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Autore: MollyTheMole    31/10/2021    1 recensioni
C'era stato un momento della sua vita in cui Masumi aveva voluto un costume da Principessa Leia per Halloween.
L'idea era stata di suo fratello, che adesso, però, è morto.
Almeno, questo è quello che crede lei. Forse, è quello che anche suo fratello vorrebbe che lei credesse, nonostante ciò gli imponga di pagare un prezzo troppo caro.
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sera Masumi, Shuichi Akai
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le meravigliose deduzioni della Principessa Leia 

 

ATTENZIONE: Per chi non è in pari con la storia, qua ci sono spoiler grandi come una casa!

 

Quando il sole calava su Beika, tingeva il paesaggio di arancione. Era un bell’arancione, intenso, proprio del colore delle arance. 

A New York il sole calava in un modo diverso. La luce era diversa.

A New York tutta la sua vita era stata diversa.

Gli piaceva fermarsi nello studio, davanti alla grande finestra che dava sulla strada principale. Si fermava lì a fumare, con le luci spente, ad attendere che il sole tramontasse e che il cielo si tingesse di blu, fino a quando l’unica luce arancione rimasta sarebbe stata la cenere ardente sulla punta della sua sigaretta.

Poi restava solo a pensare.

Ecco, quello era un momento che tendeva ad evitare come la peste. Non gli piaceva molto, pensare. La sua nuova vita in generale non gli piaceva. Aveva fatto il suo dovere e non lo rimpiangeva, ma non sempre era facile vivere la vita di un altro.

Uno deve comportarsi come qualcun altro.

Parlare come qualcun altro.

Vestire come qualcun altro.

Persino la sua faccia non era la sua. 

E quando la luce scompariva e restava avvolto nel buio, la testa di Shuichi vagava indietro nel tempo, a quando aveva avuto tutto: una casa, una famiglia, il lavoro dei sogni.

Aveva sempre voluto fare il musicista.

Poi, però, la sua vita era cambiata, e non in meglio. Tuttavia, si era accontentato. Aveva un lavoro che gli piaceva comunque, una mamma particolare, sì, ma pur sempre una mamma, un fratello e una sorella.

Jodie. Una donna speciale. 

Tutto sommato, anche se la sua vita non era andata esattamente come l’aveva pensata, Shuichi era stato felice, perché aveva avuto tutto quello che un uomo avrebbe mai potuto desiderare.

Poi, era scivolato lungo un pendio pericoloso.

A volte si domandava come avesse fatto a perdere persino la sua identità.

Quelli erano pensieri che non poteva permettersi. Di solito per distrarsi accendeva le luci e scendeva in cucina a preparare la cena, per sé e per il dottor Agasa, se c’era bisogno di passare a controllare come se la stesse cavando Shiho Miyano.

Quella però era stata una serata tranquilla. Il dottore e Shiho erano chiusi in casa con i giovani detective a giocare ai videogiochi e i bambini si sarebbero fermati a dormire dal professore. 

Il giorno dopo sarebbero andati tutti in campeggio e Shuichi aveva già lo zaino pronto.

Sperando che non muoia nessuno, stavolta. 

I Kudo erano negli Stati Uniti per celebrare la ristampa di uno dei libri di Yusaku. 

Del piccolo detective geniale, nemmeno l’ombra.

L’FBI taceva.

Shuichi non aveva nulla da fare se non fissare il tramonto con la sigaretta in bocca e ascoltare in lontananza il rumore di una moto che si faceva sempre più vicino.

Tirò la sigaretta e sospirò.

Era qualche giorno che ci pensava. 

Jodie. Era sicuro che prima o poi sarebbe venuta a conoscenza della sua identità. Era diventata un bersaglio mobile e si comportava in modo avventato.

Gli aveva fatto fare le scale d’emergenza del grande magazzino di corsa per impedirle di farsi sparare da Chianti mentre inseguiva Bourbon travestito da lui.

Lasciandole il biglietto di avvertimento forse ho fatto solo peggio.

L’ho convinta che fossi io.

Eppure, perché? Perché darsi così tanto pensiero per lui? L’aveva lasciata, abbandonata, ferita, e con questa sceneggiata non aveva fatto altro che girare il coltello nella piaga. Quando avrebbe scoperto l’inganno - perché era certo che l’avrebbe scoperto, se non si fosse fatta ammazzare prima - gli avrebbe fatto vedere i sorci verdi e lo avrebbe odiato a morte, o almeno avrebbe dovuto e in parte se l’augurava.

Il pensiero di trovarla fredda ed impassibile lo disturbava.

Non era uno sciocco, non lo era mai stato. Persino Camel ci aveva scherzato sopra, anche se in buona fede.

Akai-san, forse un giorno conquisterò la tua fiducia a sufficienza da essere considerato tanto quanto Jodie. Hai il suo nome sempre in bocca. Non dirlo a Jodie, copri le spalle a Jodie, evita che Jodie si ficchi nei guai… 

E forse c’era un motivo se aveva il suo nome sempre in bocca, e forse era anche giunto il momento che Shuichi si prendesse un momento per pensare a che cosa tutto questo significasse per lui, per lei.

Insomma, per loro.

Come se ci potesse essere, un loro

Pensare non va bene. Se penso, finisco col rimpiangere quello che ho fatto.

E se lo rimpiango, allora mi rendo conto che non posso più tornare indietro.

Che in fondo la mia vita fa schifo.

Tirò un profondo sospiro e inalò il fumo della sigaretta, mentre una moto appariva lungo la strada.

Il guidatore doveva avere dei problemi, perché sbandava di brutto. Tendeva a destra, e non ci mise molto a urtare con la ruota il marciapiede e a finire a gambe all’aria sull’asfalto con il fracasso di una decina di zoccoli tirati di sotto dal quinto piano.

La moto scivolò per un momento, mentre il ragazzo alla guida rimase a terra, appallottolato su se stesso.

Shuichi rimase a fissare la strada.

La moto era una Artesia XT400.

Le scale non sembravano finire mai mentre lui scheggiava giù alla velocità della luce. La porta non arrivava mai. Una parte di lui sapeva che non avrebbe dovuto gettarsi in strada per non far saltare la sua copertura. Avrebbe dovuto chiamare i soccorsi e basta. Anche se indossava una maschera, c’era comunque un rischio minimo da mettere in conto. 

Per lui, Masumi non avrebbe dovuto significare niente.

In un lampo fu fuori da villa Kudo e dritto in strada.

- Ti sei fatta male?- le chiese, avvicinandosi a lei.

Masumi, però, non gli rispose.

Shuichi si sentì gelare il sangue.

Le sollevò la visiera del casco solo per rendersi conto che sua sorella era viva e che piangeva a dirotto, rannicchiata su se stessa contro l’asfalto.

- Ti sei fatta male?- ripetè ancora, scrollandola piano per la spalla.

La ragazza scosse il capo e provò a rialzarsi. 

- Piano, fai piano.-

- Se ne vada.-

- Sei caduta…-

- Non mi serve aiuto!- abbaiò, senza nemmeno guardarlo in faccia.- Non ho bisogno di nessuno!-

Shuichi rimase a guardare sua sorella mentre si rialzava in piedi e faceva una smorfia. Aveva i gomiti e le ginocchia sbucciate e le faceva male una caviglia, ma per il resto sembrava stare bene. 

Nulla che non si fosse già fatta in precedenza, in ogni caso.

Peccato però che piangesse a dirotto.

Ma che accidenti è successo?

Forse era successo qualcosa a mamma. O a suo fratello. O magari a lei.

Oh, avrebbe fatto volentieri secco chiunque avesse anche solo osato fare del male a lei!

- Sera- san.- disse, cercando di attirare la sua attenzione.- Che cosa è successo?-

- Ho detto che non mi serve… Ah, è lei.- commentò, guardandolo in faccia per la prima volta.

La guardò ridere e mormorare tra le lacrime qualcosa che assomigliava molto a che ironia.

Ironia? E perché mai?

- Ho urtato il marciapiede con la ruota. Non fa niente, sto bene. Vado a casa, adesso.-

- Preferirei chiamare l’ambulanza. Non penso che dovresti andartene così. E poi, la moto è danneggiata, potrebbe non partire. Permettimi di aiutarti a…-

- Non ho bisogno d’aiuto. Voglio solo andare a letto.-

- Sera-san, che è successo?-

- Sei duro d’orecchi? Ho toccato con la ruota…-

- Non questo. Il resto. Sera-san, che è successo?-

L’aspettava al varco. Già la vedeva. 

Fatti i fattacci tuoi! Gli avrebbe urlato, e poi avrebbe provato a raggiungerlo con un calcio girato, uno di quelli che gli aveva insegnato lui tanti anni prima e che sua madre di sicuro aveva contribuito a migliorare.

E invece accadde l’impossibile.

Le tremò il labbro, le si velarono gli occhi di lacrime, e in un secondo sua sorella si trasformò in una cascata singhiozzante, farfugliando parole che Shuichi non capì.

- Su…- le disse, posandole una mano sulla spalla e sentendo la pazienza sfuggirgli tra le dita.

Devo sapere che accidenti è successo o faccio uno sproposito!

A quel punto riuscì a comprendere qualche parola qua e là e rimase di sasso.

- Come scusa?-

Non poteva essere vero, eppure aveva appena sentito sua sorella mugugnare abbastanza distintamente le parole quella bastarda ha ucciso mio fratello.

No, no no no no no.

Non poteva aver parlato con Kir.

Vero?

- Va bene, vieni dentro. Ti fa male la caviglia? Sì, appoggiati a me, brava, così. Alla moto ci penso io. Togli il casco che respiri meglio. Brava. Vieni con me e vediamo di aggiustare quelle sbucciature, ok?-

 

Sua sorella si era calmata un po’. In quel momento era seduta sul divano con indosso una sua T-shirt. Era talmente grande per lei che le faceva quasi da vestito. Stringeva le ginocchia sanguinanti al petto e fissava il pavimento con gli occhi rossi e gonfi di pianto. 

Ed è tutta colpa tua.

Scacciò la vocina dentro la sua testa e si palesò in salotto con la valigetta del pronto soccorso.

- La caviglia non sembra rotta né slogata. A quest’ora sarebbe gonfia e tutta blu. Penso che tu abbia preso solo un brutto colpo.-

- Sì.- commentò laconica Masumi, senza alzare nemmeno lo sguardo dal pavimento.

Shuichi non aggiunse altro e si sedette accanto a lei.

- Mi dai un ginocchio?-

- Posso fare da sola.-

- In due facciamo prima.-

- Non voglio.-

- Come preferisci.-

- Non sono una bambina.-

- Va bene.-

 

- Ripeti dopo di me: sull’albero mai. Non senza me, mamma o Shukichi.-

- Va bene.-

- Non ho capito.-

- Sull’albero mai. Non senza te, mamma o Shuikichi.-

- Brava. Sei una teppista, lo sai?-

Masumi rise. Aveva appena perso i denti davanti e sfoggiava una bella finestra nera nel suo sorriso, e un paio di fossette ai lati del volto.

- Non c’è niente da ridere. Potevi farti male sul serio.-

- Tu ci andavi mai sugli alberi?-

Quando Masumi pensava era buffa. Le venivano gli occhi grandi e una piega tra le sopracciglia che faceva sorridere.

- Sì, ci andavo a leggere, ma ero più grande di te, ero a Londra e non ci andavo mai da solo.-

Era una bugia detta a fin di bene.

Sua sorella non avrebbe dovuto fare i suoi stessi errori.

 

La guardò medicarsi le ginocchia. L’alcol bruciava e osservò la sua smorfia infastidita. 

Le erano sempre venute le fossette, fin da piccola, anche quando faceva le boccacce e si lamentava.

- Che hai da guardare?-

- Hai fatto un incidente davanti a casa mia. Non voglio che le cose peggiorino.-

- Non peggiorerò…- percepì un’esitazione nella voce.- … Okiya-san. Sto bene.- 

E fece male. Fu una vera e propria pugnalata.

Mia sorella mi chiama con il nome di un altro e sospetta talmente tanto di me da non sapere nemmeno come chiamarmi.

La sua coscienza avrebbe fatto meglio a tacere una volta per tutte, per quella sera.

Si schiarì la voce, prima di continuare.

Devo sapere che cosa è successo.

- Hai detto che è successo qualcosa a tuo fratello.-

- Sì, ma non sono affari tuoi.-

- Lo sono se devo chiamare la polizia.-

- No.- 

Masumi scosse il capo e sospirò.

- No. Sanno già tutto. E’ passato tanto tempo, ormai.- 

Oh, dunque era così che stavano le cose!

Masumi parla di me.

E adesso sì che si sentiva prudere le mani.

Non era un caso se aveva detto proprio quelle parole. Quella bastarda ha ucciso mio fratello. Lei. Una donna. Non un gruppo a caso. Era certo che ormai Masumi avesse intuito qualcosa a proposito dell’Organizzazione e infatti era andata nello specifico.

Che cosa accidenti sapeva sua sorella?

- Mi dispiace molto. Che cosa è successo?-

- Me l’hanno ammazzato. Ecco che è successo.-

- Sono desolato.-

Rimasero in silenzio, sua sorella che giocava con il batuffolo di cotone impregnato di alcol e sangue.

- Adesso non c’è più la quinta regola. Non ci sono più le regole. E io sono sola.-

Shuichi si sentì stringere il cuore.

 

- Mamma, non è colpa sua!-

- Si comporta da maschiaccio, e stamattina ha dato un pugno sul naso ad un altro bambino!-

- Mi aveva rubato i soldi della merenda!-

- Un bullo ti dà fastidio, Masumi?-

Mamma l’aveva messa in punizione, quella volta, ma Shuichi non era mai stato un grande amante di quel metodo educativo. L’aveva provato sulla sua pelle e non l’aveva condiviso.

Masumi era intelligente, le punizioni non le servivano.

Così, mentre la portava a scuola, seduto in macchina, le aveva fatto un bel discorsetto che era finito con un decalogo, anzi, un pentalogo. 

- Ripetile ancora, Masumi. Che cosa devi fare se qualcuno ti infastidisce?-

- Regola numero uno: chiedere aiuto ad un adulto.-

- Bene. Poi?-

- Regola numero due: ascoltare sempre suddetto adulto.-

- Regola numero tre: pensare sempre con la mia testa e non farmi influenzare da idee balzane di altri. So che cosa è il bene e il male e posso scegliere da sola, anche quando l’adulto dice cose stupide.- 

- Regola numero quattro: se mi trovo persa, mirare al naso o in mezzo alle gambe.-

- Regola numero cinque: se proprio nessuna delle altre regole funziona, chiamare Shu-nii.-

- E se non ci sono?-

- Chiamare mamma, Kichi-nii e Shu-nii perché anche se ti trovi in capo al mondo mi vieni a prendere lo stesso.-

 

Non sapeva che cosa dire.

Almeno, non sapeva che cosa dire senza svelare tutti i suoi segreti.

Sai, Masumi, in verità sono tuo fratello e mi sono finto morto grazie a un ragazzino rimpicciolito per proteggere la sorella della mia ex amante che poi ho scoperto essere mia cugina e per lei ho lasciato quella che probabilmente era la donna della mia vita e per questo motivo adesso sono vestito come Subaru Okiya e mi comporto come un ebete che forse è fare un complimento all’ebete…

No, proprio non si poteva, no.

- Non hai una famiglia? Una mamma, un papà…-

- No. Mio padre, non l’ho mai conosciuto. Mamma dice che forse è morto. Mia madre adesso è dietro ad altre faccende… Non importa. L’altro mio fratello è da qualche parte in Giappone perché ha una carriera e non so nemmeno quale. Ogni tanto lo sento, ma non lo vedo da un po’.-

Masumi prese un altro batuffolo di cotone e lo inzuppò nell’alcol.

- Sono sicuro che la tua famiglia ti vuole bene.-

- Lo so.- commentò lei, stringendo il batuffolo fino a farlo gocciolare.- Ma non è la stessa cosa. Senza Shu-nii è diverso.-

Shuichi sospirò.

Sarebbe stata una lunga serata.

- Lui lavorava vicino? Si prendeva cura di te?-

- No. Viveva in America. Lavorava per l’FBI. Ho passato un periodo in America, anche se lui viaggiava molto per lavoro. Quando c’era, però, passavamo un sacco di tempo insieme. Lui è come me.- aggiunse, distraendosi per un attimo dal suo ginocchio.- Mamma voleva che fossi una bambina normale, con le bambole e le scarpine carine e le gonne, anche se nemmeno lei le ha mai potute soffrire. Shu-nii invece se ne infischiava. Mi regalava i suoi vestiti, quelli che non si metteva più. Anche i suoi cappelli. Era fissato coi cappelli. Si prendeva la colpa di tutto con mamma, anche quando era colpa mia.-

Eh, sì, se lo ricordava bene.

 

- Masumi, che accidenti hai combinato?-

- Ma io…-

- Niente ma! Hai idea di quanto mi costa riparare quest’affare, adesso?-

- Sono stato io.-

Sua madre lo guardò con occhi sgranati e Masumi sembrò sul punto di scoppiare a ridere.

- Tu?- commentò la donna, l’aria di chi non poteva bersi una simile panzana.- Sei stato tu?-

- Sì.- commentò Shuichi, laconico.- Ho infilato un po’ di vestiti in lavatrice e non ho controllato che cosa ci fosse in tasca.-

Mary parve persuasa e, rassegnata, afferrò il telefono per chiamare l’idraulico, posando l’oggetto incriminato sul piano di cucina.

- Sì, pronto? Salve, mi si è rotta la lavatrice…-

Shuichi raccolse l’oggetto e lo porse alla sorellina.

- La prossima volta che togli il ciuccio alla bambola, ricordati di rimetterlo a posto.- e le strizzò l’occhio.

 

- Fallen on the line of duty, mi hanno detto. Morto compiendo il suo dovere.- 

Masumi alzò il naso per aria, la faccia risoluta.

- Ma io non ci credo!-

Shuichi, cioè Subaru, sospirò.

Sua sorella diceva di assomigliare a lui, ma forse assomigliava di più a sua madre. Quando si metteva in testa una cosa, non c’era verso di farla demordere.

Disse quello che ha fatto il diavolo a quattro per andare a “studiare” in America.

Sì, beh, forse tutti e due assomigliavano a mamma.

- Deve mancarti molto.- commentò, guardandosi le scarpe per non lasciar trapelare alcuna emozione.

- Oh, no, eh.- fece subito sua sorella, drizzandosi sul divano con gli occhi di brace.- Non ti azzardare. Non ricominciare anche tu con questa storia dell’elaborazione del lutto. Sono mesi che mamma prova a mandarmi da uno strizzacervelli, e mesi che io dico di no! Non sono matta, James nasconde qualcosa! Per non parlare della dinamica! Dai, è ridicola. Mio fratello non si sarebbe mai fatto ammazzare a quel modo, è troppo intelligente! No, qualcosa puzza in questa storia e io ho tutta l’intenzione di venirne a capo.-

No, signorina.

Ci ho messo dieci anni per tenerti al sicuro, non ho intenzione di vedermi distruggere dieci anni di lavoro sotto al naso.

Sospirò, provando a mantenere la calma. 

- Questo James era il suo capo?-

- Sì.-

- E perché pensi che menta?-

Sulle prime, Masumi lo guardò male.

Poi, inaspettatamente, gli raccontò tutto. Gli raccontò di come era venuta a sapere della sua presunta morte, di quello che era successo al Passo di Rahia e di tutte le ragioni per cui non credeva ad una virgola di quello che era accaduto.

Ed aveva dannatamente ragione.

- Mio fratello era un genio. Un maledetto genio. E’ sopravvissuto a diversi anni da infiltrato, mezza mafia vuole vederlo morto. E’ sopravvissuto anche dopo, nonostante gli attentati alla sua vita. Secondo te è scemo abbastanza da presentarsi disarmato sul cocuzzolo di una montagna dimenticata da Dio per incontrare una qualsiasi, un’informatrice che tiene un piede su due staffe?-

Sul genio avrebbe anche avuto da ridire, ma sul resto, in effetti, il discorso non faceva una piega ed era esattamente il ragionamento che lui aveva sperato che sua sorella non facesse.

Lei lo conosceva meglio di chiunque altro ed era assolutamente normale, per non dire logico, che tutto ciò le sembrasse strano.

- Magari l’FBI…-

- No, no e no! Se l’FBI ha mandato il suo uomo migliore (perché questo era mio fratello, il loro uomo migliore) da solo e disarmato su un passo con una potenziale mafiosa vuol dire che si sono rincretiniti del tutto, e no, non penso che un’agenzia americana così importante sia composta da ottusi del genere!- 

Potè scorgere il disappunto sul volto di sua sorella quando non ebbe una replica.

- Tu pensi che io sia matta, come tutti gli altri, vero?-

Shuichi sospirò per l’ennesima volta.

- Penso che tu abbia già perso tuo padre e che lui fosse quanto di più simile ad un padre tu abbia mai avuto.-

La guardò mentre si mordeva il labbro per non piangere e si sentì un mostro.

- Questo è vero. Lui era il mio eroe.-

 

Halloween in America è sempre una festa molto seria.

Da buon inglese, Shuichi aveva prestato sempre una rigorosa osservanza nei confronti delle festività. Che fosse Halloween o Natale, si doveva festeggiare come tradizione voleva. 

Che lui ci credesse o meno, nel significato di suddette festività.

Così, quando sua sorella si era trovata a scegliere un costume per Halloween e sua madre le aveva imposto il piumino a causa del clima impietoso, in casa era scoppiata una piccola guerra tra la bambina e la donna.

Una guerra che Shuichi aveva vinto brillantemente portando Masumi al cinema.

Piumino, lupetto e paraorecchie in testa?

Sfida accettata, e vinta con grande sorpresa di sua madre, perché Masumi era entrata in casa di corsa gridando di volersi vestire come la Principessa Leia.

Almeno, Shuichi aveva creduto di aver vinto.

Sua sorella infatti aveva avuto qualche tentennamento nei giorni successivi, talmente serio che si era trovato a doverle ricordare che, purtroppo, il tempo stringeva e lei doveva prendere una decisione.

Masumi, però, diceva di non volere un supereroe finto e che voleva trovare qualcosa di alternativo, così le aveva dato il tempo per pensarci.

Poi, la vigilia di Halloween era arrivata e Masumi l’aveva chiamato al piano di sopra per fargli vedere il suo costume.

Si era barricata in camera sua - cioè, la camera di Shuichi - e ne era uscita agghindata in maniera incomprensibile.

Indossava un suo paio di scarpe con le quali ciabattava in corridoio trascinando i piedi troppo piccoli. Aveva una sua cravatta al collo che aveva annodato con un fiocco sotto il mento, e la sua fedora grigia che le cadeva sugli occhi, troppo grande per la sua testolina ricciuta. 

- Indovina chi sono!- disse, mettendo in mostra una fila di dentini di perla.

Shuichi non ne aveva idea.

- Uno dei Blues Brothers?-

- No!-

- Mh… E’ un personaggio dei cartoni animati?-

La faccia di sua sorella fu più che eloquente.

- Mi arrendo.-

Fu a quel punto che sua sorella decise di dargli il colpo di grazia.

- Sono te!-

 

Avrebbe voluto sparire. 

Anzi no, avrebbe voluto togliersi la maschera e mandare tutto al diavolo.

Riprendiamoci la nostra vita.

E invece, niente. Rimase fermo lì, la voglia di mettersi a urlare, mentre sua sorella si asciugava di nascosto una lacrima nell’angolo dell’occhio.

- Questo però non significa niente. Che fosse il mio eroe o meno, ciò non toglie che questa storia non abbia senso.-

Poi, abbassò il capo e mormorò.

- Per questo ho sgraffignato a mamma il fascicolo dell’FBI.-

- Tu cosa?-

- Erano mescolati agli appunti, tra le cose di mio fratello. James ha lasciato la relazione sulla sua scomparsa. Questa tipa ha un nome, che non ti dirò.-

E certo, traumatizzata va bene, ma fino a un certo punto.

Degna figlia di tua madre. 

- Era una spia che alla fine ha scelto di stare dalla parte dei mafiosi, evidentemente. C’erano anche le foto - e si portò una mano alle labbra per non far vedere che tremavano di nuovo - le foto della scena, sai, quella…-

Io a mamma voglio bene, eh.

Ma se la prendo…

- Non avresti mai dovuto guardare, Masumi.-

- E’ stato più forte di me. Almeno adesso so come l’ha ucciso. Due colpi.- e si interruppe, incapace di andare oltre e abbracciandosi le gambe. - Eppure io non ci credo. Non ha senso.-

- C’è un corpo, Masumi.-

- Che è irriconoscibile, e di cui, guarda caso, resta solo una mano con le impronte di mio fratello.-

- Le impronte digitali sono inimitabili…-

- Si possono falsificare. All’FBI sanno come si fa.-

Rimasero in silenzio, ancora una volta.

C’erano così tante cose da dire, ma i segreti, a volte, è meglio che rimangano segreti.

Almeno fino a che ci sono dei pazzi mafiosi in giro.

E’ l’ultima volta. Giuro che è l’ultima volta.

Poi Masumi non verserà più una lacrima per colpa mia.

- Sai, prima che morisse abbiamo litigato.- aggiunse, fissando il soffitto.- Gli ho detto che era un egoista che pensava solo a se stesso, perché ci lasciava sempre soli. Forse è morto, e non avrò più modo di dirgli che non è vero nulla. Che gli voglio bene.-

Shuichi pensò che in fondo sembrare qualcun altro aveva i suoi vantaggi. Pensò che avrebbe potuto dire tutte le fesserie che gli passavano per la testa senza che nessuno le attribuisse mai alla sua reale persona. Subaru-san è proprio strano, avrebbero detto. 

Non Shuichi, Subaru. 

- Sai che cosa penso?- disse, assestandosi meglio sul divano e schiarendosi la voce.

Masumi lo guardò perplessa.

- Io penso che se tuo fratello fosse qui ti direbbe che ti vuole bene anche lui. E che è un uomo fortunato.-

- Mi direbbe che sono una teppista.- si guardò le gambe e i gomiti e dondolò il capo. - E forse lo sono davvero. Bad kid.-

Gli venne da ridere.

- Sono cose che si dicono, ma non si pensano. Voleva proteggerti.-

Sua sorella annuì e riposò la testa sullo schienale del divano, ad occhi chiusi.

Shuichi si alzò e rassettò il tavolo, ricompose la cassetta del pronto soccorso e stava quasi per sparire in corridoio quando la voce squillante di sua sorella gli giunse forte e chiara.

Non quella strozzata e graffiata dal pianto, no.

Quella squillante, vivida, sveglia, che aveva sempre quando voleva combinarne una delle sue.

- Aspetta un po’!- gli disse, puntandogli il dito contro.

Si fermò, obbediente.

- Voleva proteggermi, è vero. Quando mi ha urlato contro l’avevo seguito sul lavoro. Era infiltrato, ma non lo sapevo. L’ho scoperto dopo, quando ho avuto le sue cose dall’FBI. Io non lo sapevo, ma tu - disse alzandosi in piedi per fronteggiarlo.- Tu come facevi a saperlo?-

Rimase di sale.

Questa volta hai parlato troppo.

- Ti voleva molto bene. Qualunque fratello l’avrebbe fatto.-

Ma Masumi era sveglia.

Molto sveglia.

- Mi dicono tutti che sembro un maschio, e in effetti è vero. Porto i vestiti di mio fratello, eppure tu non mi hai mai scambiata per un uomo. Ti sei sempre rivolto a me al femminile. Perché?-

- Questo è abbastanza ovvio. Abiti maschili o no, un corpo di donna si riconosce in ogni caso.-

Sapeva però che sua sorella poteva essere ingannata fino ad un certo punto. Avrebbe scoperto la verità e lo avrebbe fatto presto, soprattutto se avesse trovato sponda in quell’irresponsabile di sua madre. 

Aveva ingannato Masumi già una volta, quando lei l’aveva trovato in casa Kudo. Era stato evidente che si era aspettata di incontrare qualcun altro e non uno strano tizio biondo fragola intento a lavarsi i denti. 

Già in quell’occasione aveva avuto la sensazione di star camminando sul filo del rasoio, che sua sorella, prima o poi, l’avrebbe incastrato.

Forse, quello era il momento.

Tuttavia, non si sarebbe mai immaginato che sarebbe successo così.

- L’odore.- borbottò Masumi, avvicinandosi a lui con gli occhioni luccicanti.- Mi hai portato in casa, mi sono appoggiata a te. Tu hai lo stesso odore di mio fratello.-

- Forse abbiamo lo stesso profumo o usiamo la stessa ammorbidente.-

- No, non è artificiale. E’ l’odore della pelle. Ho dormito tante volte sulla sua spalla, me lo ricordo. Tu hai l’odore di mio fratello, ma questo non è possibile, a meno che tu non sia lui.-

Shuichi trattenne il respiro.

Poi, vide sua sorella scuotere il capo.

- No, mi dispiace Subaru-san. Sono fuori di me. Penserai che sono una stupida.-

- Al contrario, penso che tuo fratello sia un uomo molto fortunato. Non ti resta altro da fare che prenderti cura di te. Non vanificare il suo lavoro. E’ un modo come un altro per volergli bene.-

Masumi annuì, ma aveva le occhiaie ed era visibilmente stanca.

- C’è qualcuno che ti aspetta a casa?-

- Mamma.-

- Dille che non torni stasera. Resta qua a dormire. Non mi fido a mandarti via così.-

Sua sorella annuì e si allontanò per parlare con sua madre.

A tutto avrei pensato, fuorché all’odore.

Con tutte le volte che ha dormito nel mio letto, è normale che se lo ricordi.

Sospirò un’ultima volta e si allontanò per preparare la camera degli ospiti.

Anche lui, però, non era stupido. Conosceva sua sorella e sapeva già che avrebbe dovuto ripulire l’abitazione dalle microspie al mattino dopo.

Non si sarebbe accontentata di una spiegazione così semplice. L’aveva fatta franca per un pelo.

Sorrise sotto la maschera, gonfio d’orgoglio.

Era proprio quella teppista di sua sorella.

NOTE DELL’AUTORE: Ed eccomi di nuovo qua! 

Un grazie sentito a Placebogirl, che con le sue recensioni mi ha dato l’idea di scrivere qualcosa sul rapporto tra Shuichi e Masumi. 

Oggi è Halloween e non potevo non inserirlo nella storia. Per quanto riguarda l’episodio centrale, invece, quello da cui la storia prende il titolo, ho preso ispirazione da un episodio di Criminal Minds di cui non ricordo il titolo né il numero. 

Per il resto, ho cercato di collocare nello spazio e nel tempo questo piccolo missing moment nella speranza di azzeccarci. 

Dio solo sa che cosa ha in mente il maestro Gosho.

Un pauroso Halloween a tutti!

 

Molly.

  
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