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Autore: Ciarax    02/11/2021    0 recensioni
«...Ma perdere un soldato, e un amico, senza aver provato tutto per salvarlo è anche peggio. Il senso di colpa ti divorerà dall'interno, più di tutta questa devastazione che si sta per abbattere sulla Terra...»
«Sei giovane, ma hai perso già tanto e spero che tu riesca a trovare pace alla tua guerra interiore prima che ti logori, Sophia»
...
Ma quando la lotta non è combattuta con le armi ma è una guerra intestina che ti logora dall'interno... Non sei più sicuro di sopravvivere.
Ritornare alla vita civile dopo anni di servizio nell'esercito non è un viaggio facile e le cicatrici che sembrano rimarginate riprendono all'improvviso a sanguinare.
Ritrovatasi in mezzo alla vita degli Autobot, Sophia fatica a ritrovare il suo posto in una realtà che non sente più sua. Un'altra guerra non era certo quello che cercava e già esausta dall'affrontare le sue battaglie interne... Non è certa di sopravvivere.
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Warning: menzione e descrizione di scene di violenza, perlopiù negli ultimi capitoli.
Menzione di salute mentale alterata e disturbo da stress post traumatico anche se non nei dettagli è comunque un aspetto importante della storia.
Genere: Angst, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1 – DECEPTICON
 
I don't know what it is like to feel
Anything other than what I'm feeling
Take me, wake me
Before I'm forever damned.
Citizen Soldier – Forever Damned
 
            «Diamine»
Sophia si morse la lingua lasciando solamente che un sospiro frustrato lasciasse le sue labbra serrate. Poggiò la mano destra sul volante del pickup nero e si passò quella libera tra i capelli ramati mentre gettava lo sguardo fuori.
Si era addormentata. Nell’auto. Di nuovo.
            Stava decisamente iniziando a diventare una brutta abitudine ma il sonno troppo leggero le impediva di riuscire a riposare abbastanza la notte nella stessa casa dove il nonno dormiva sonoramente, risuonando nelle sue orecchie­­­­ stremate.
Nonostante fosse sicura di aver dormito almeno quattro ore il pickup era ancora caldo all’interno, anche se il motore era spento da parecchio e fuori le temperature erano ancore proibitive, specialmente di notte.
            «Se esco da qui mi becco un raffreddore» mormorò tra sé e sé, maledicendosi per non avere addosso nient’altro se non la canotta nera e i pesanti pantaloni cargo che poco facevano per tenerla al caldo.
Il resto della notte lo passò sveglia, continuando a guardare distrattamente i riflessi della luna sull’acqua del lago Michigan. Il suo telefono aveva vibrato un paio di volte ma lo ignorò totalmente lasciando che la batteria finisse di scaricarsi completamente, abbandonato sul sedile del passeggero.
            Aveva cercato un paio di volte qualche stazione che trasmettesse uno di quei pezzi jazz che tanto amava ascoltare in quei momenti ma ogni volta che ne trovava una il segnale veniva disturbato da un fastidioso rumore statico, dopo l’ennesima stazione rinunciò facendo ripiombare l’abitacolo di nuovo nel silenzio.
            «È da quando ti ho trovato che non mi fai sentire neanche una stazione decente, eppure tutte le altre non hai problemi di segnale» borbottò nuovamente dando una piccola botta sullo stereo che emise un fastidiosissimo rumore di protesta.­­
Quel GCM Topkick decisamente non aveva i suoi stessi gusti musicali.
Sospirò per l’ennesima volta vedendo come si stava iniziando ad affacciare alle prime ore del mattino. Un’altra nottata passata quasi completamente in bianco e con il telefono pieno di messaggi da parte della sua psicologa che non intendeva mollare la presa con lei.
            Sophia decise finalmente di mettere a tacere la propria testa e girò la chiave sul cruscotto, il motore si avviò con un rombo aggressivo e finalmente la donna si decise a spostarsi dalle sponde del lago Michigan dove si ritrovava a guidare senza meta ogni volta nel pieno della notte.
Guidava tranquillamente, senza fretta nonostante fosse ad un paio d’ore di distanza da Green Bay. La strada deserta la calmava e non vedeva alcun motivo di spingere sull’acceleratore anche se amava infrangere i limiti di velocità una volta ogni tanto.
            Neanche dieci minuti che un abbaglio sullo specchietto retrovisore colse la sua attenzione, vedendo la massiccia figura di un Range Rover ad una decina di metri dietro a lei con i fari accessi ed il rombo del motore ben udibile. Aggrottando la fronte leggermente sorpresa di vedere qualcun altro in giro a quell’ora della notta l’istinto la colse nel portare una mano nella fondina che teneva sotto il braccio destro, sul fianco delle costole.
            «Fossi in te non sprecherei tempo con quel giocattolo, piccoletta» l’intero corpo di Sophia congelò, la presa sul volante era talmente forte da farle sbiancare le nocche e il respiro le si era mozzato in gola.
Mantenne la testa dritta, spostando appena gli occhi per controllare attorno a lei per controllare che non ci fosse effettivamente nessuno nell’abitacolo con lei ma la voce baritonale che aveva sentito non era umana. Il suo sguardo cadde poi sulla radio accesa che al momento non trasmetteva nulla se non il silenzio che la circondava.
            «Evita di mettere su scenate, questo davvero non è il momento» replicò nuovamente la voce diffusasi in tutto il pickup tramite le casse dell’impianto stereo.
Quella cosa sembrava… infastidita.
            «Che cosa…»
            «O decidi di superare lo shock o il Decepticon ti fa fuori, a te la scelta» la interruppe bruscamente il pickup.
            «Decepticon? Di cosa stai parlando?» domandò Sophia riprendendo rapidamente controllo del proprio respiro a non mollando la presa sulla Beretta che portava addosso. Non era ancora sicura se quella lieve instabilità mentale, diagnosticatale al ritorno dalla sua ultima missione in Iraq fosse la causa di quegli strani eventi ma tutto era decisamente fuori la sua immaginazione per essere un brutto scherzo della sua mente.
Aveva percepito chiaramente l’urgenza di quelle parole e con un respiro era tornata al controllo del proprio corpo anche se non la smetteva di tenere salda la presa sul volante, fermando l’impercettibile tremore delle proprie mani.
            «Il veicolo che ci segue a poca distanza è un Decepticon. Non mi sembra di riconoscerlo ma è meglio liberarsene subito» e con quelle parole Sophia senti il pedale dell’acceleratore scendere vertiginosamente sotto il proprio piede e lo sterzo irrigidirsi improvvisamente.
Non era più lei ad avere il controllo del veicolo.
            Sentì la presa della cintura di sicurezza stringersi di più attorno a lei, di fatto impedendole molto la libertà di movimento ma di certo a quelle velocità non si sarebbe sognata di muoversi più di tanto. Il Range Rover dopo un primo momento lì recuperò in fretta mettendosi alla loro stessa velocità e Sophia percepì il proprio istinto di sopravvivenza entrargli prepotentemente in circolo nel corpo.
Nonostante quella situazione surreale si maledisse per aver lasciato a casa il proprio fucile d’ordinanza anche se iniziava a dubitare che anche quello avesse potuto far molto danno a qualunque cosa fosse alle sue calcagna.
            Il tempo sembrava essersi dilatato nell’abitacolo quando in realtà solo dopo pochi minuti di pacifici tentativi di depistaggio, rivelatisi decisamente infruttuosi, un sospiro frustrato lasciò le casse del pickup seguite da un lieve rumore di statico.
Sophia, che non aveva proferito parola da quando quella cosa aveva iniziato a guidare da sola, continuava a tenere d’occhio il Range Rover alle loro spalle che non sembrava aver intenzione di mollare la presa. L’istinto di sopravvivenza e gli anni di addestramento le gridavano di mettere in moto il corpo e allontanarsi il più possibile da quei due, ma, fatti alla mano, in una situazione sconosciuta come questa e praticamente disarmata non le era difficile capire come avrebbe avuto ben poche possibilità di sopravvivere senza l’aiuto del Topkick nero su cui viaggiava.
Non sapeva cos’era ma se la stava aiutando, tanto bastava.
            «Questo ammasso di metallo non vuole saperne di lasciar stare -borbottò frustrato il fuoristrada con un’improvvisa accelerata, -spero tu abbia dei buoni riflessi, piccoletta»
Sophia non fece in tempo a replicare che il Topkick sterzò bruscamente uscendo fuoristrada e guidando per un paio di chilometri nel nulla, seguito prontamente dal Range Rover alle loro spalle. Senza nessun preavviso l’intero veicolo iniziò a tremare, vibrando dall’interno prima di iniziare ad aprirsi e mutare forma senza rallentare minimamente la velocità.
Una mano metallica sostenne per un attimo il corpo di Sophia, impedendole di schiantarsi rovinosamente a terra e le permise di mettere in moto l’istinto per farla riuscire a minimizzare l’impatto quando anche quel minimo di sostegno la abbandonò. Rotolando un paio di volte sul terreno arido si rialzò rapidamente impugnando con un movimento fluido la Beretta che portava nella fondina e la puntò contro il Range Rover che si era fermato a pochi metri di distanza, i fari ancora accesi e piantati su di lei.
Un fastidioso gracchiare metallico si diffuse nell’aria quando anche quel veicolo iniziò un rapido processo di trasformazione, separandosi e riassemblandosi in qualcosa di ben più grande di un semplice fuoristrada a benzina. Ogni pezzo si adattava ad un meccanismo più grande dove cavi, tubi e parte della carreggiata si sistemavano man mano in quello che sembrava sempre di più un enorme e spaventosa versione di un giocattolo robot per bambini.
            Passi pesanti alle sue spalle distrassero per un attimo Sophia che girandosi appena incrociò un paio di occhi, o quello che le sembrava fossero occhi, cerulei e fissi su di lei con una considerevole differenza di altezza. Quell’ammasso metallico che una volta era il suo pickup adesso era un enorme robot alto almeno una decina di metri, coperto per la maggior parte dal nero e lucido metallo della carrozzeria del Topkick originale e che, apparentemente, ne proteggeva le parti forse più delicate.
Quello era senza dubbio un essere di un altro pianeta.
            L’occhio le cadde poi sugli enormi cannoni montati sugli avambracci del robot che attirò la sua attenzione parlandole con tono severo.
            «Meglio se ti allontani da qui»

            «Stai bene?»
L’espressione che gli rivolse quel Mecha per poco non la fece scoppiare a ridere, se fosse per la scarica di adrenali o per altro non ne era molto sicura.
            «Dovresti preoccuparti più per la tua salute, non sono io quello che ha un corpo organico tanto fragile, piccoletta» la rimbeccò l’altro inchiodandola con gli occhi di un azzurro innaturale, illuminati artificialmente e che colsero immediatamente l’espressione annoiata di Sophia che storse leggermente il naso a quel nomignolo.
Non aveva paura di lui, quella era la prima cosa che Ironhide aveva notato. Si era irrigidita quando l’aveva sentito parlare per la prima volta, quello sì ma era un comportamento comprensibile, ciò che non lo era invece fu quella tranquillità con cui lo guardava come se fosse la cosa più normale al mondo. Se non l’avesse costretta a ripararsi era certo che si sarebbe scontrata con quel Decepticon a testa alta, con solo quella ridicola arma cui tanto faceva affidamento.
Se si trattasse di pazzia o totale istinto suicida… non era certo di volerlo scoprire.
            «Che cos’era quello?» domandò poi Sophia calcando con una punta di odio l’ultima parola, rivolgendo un rapido sguardo nel punto in cui giaceva il corpo cybertroniano senza vita prima di riportarlo senza paura sulla figura di Ironhide.
            L’Autobot rimase per un attimo in silenzio, soppesando la situazione. Non era certo se mostrarsi a lei in quel modo così brusco fosse stata una mossa avventata ma non c’era motivo di lasciarsi sopraffare dai se e dai ma, aveva fatto quello che doveva per proteggere quell’umana e tanto bastava. Quel Decepticon non doveva trovarsi nei paraggi ma questo gli aveva tolto il disturbo di pensare ad un modo per riuscire a mostrarsi a Sophia senza che lei desse di matto o si spaventasse in maniera eccessiva.
A quanto pare l’aveva sottovalutata. Si era lasciato condizionare parzialmente da tutto il tempo che aveva passato nascosto ai suoi occhi, mentre la sentiva alzarsi in piena notte e guidare fino alle sponde del lago Michigan e addormentarsi più di una volta all’interno del veicolo. Portava sempre e d’ovunque quella Beretta, saldamente ancorata alla sua fondina sotto il braccio e che trattava con il massimo riguardo, come se la sua vita dipendesse da quell’arma.
            «Quello – la riprese l’Autobot con una punta di divertimento, -era un Decepticon. Deve aver sentito il mio segnale e pensato che sarebbe stata una cosa facile eliminarmi»
            «Sembra una cosa a cui sei abituato» commentò Sophia con un’espressione incredula.
            «Sono secoli che siamo in guerra, e di certo non sarà quel moscerino a distruggermi»
            «Siamo? Ci sono altri come te?»
L’Autobot non rispose e con calma riprese la forma dell’enorme Topkick nero, aprì poi la portiera del guidatore e attese paziente, «È tardi e da parecchio che non ti ricarichi in modo sufficiente. Se non hai altre domande… o hai paura adesso, piccoletta?»
            Sophia esitò un attimo ma vedendo come quello strano essere non si era rivelato minaccioso nei suoi confronti fino a quel momento forse poteva dargli un minimo di fiducia, in fondo gli aveva salvato la vita poco fa.
Con calma si richiuse la portiera alle spalle e senza che facesse nulla il motore rombò all’improvviso, e questo la fece per un momento valutare se fosse il caso di assicurarsi che non finisse anche lei nelle stesse condizioni di quel Decepticon. Riuscì a malapena ad assicurarsi la cintura di sicurezza, forse per la prima volta dopo mesi che si era ritrovata già nuovamente sulla strada che riportava a Green Bay.
            «A cosa pensi?» la voce profonda che proveniva dagli speaker dell’abitacolo fecero trasalire per un secondo Sophia, persa nei propri pensieri.
            «Cosa?» domandò scuotendo leggermente la testa per tentare di concentrarsi sulla strada deserta avanti a sé anche se non era lei quella a guidare.
            «È da quando siamo partiti che sembri distratta» fu il semplice commento dell’Autobot e a quella frase Sophia soffocò una risata esasperata.
            «Distratta? Ho appena assistito ad uno scontro tra robot giganti e uno di questi è quella che pensavo fosse la mia auto… e io ci salgo sopra senza problemi, - esclamò con uno sbuffo passandosi una mano fra i capelli ramati e poggiando la tempia sul finestrino, -non capisco neanche se è tutta un’allucinazione o se ho esagerato col caffè stamattina»
A quelle parole Ironhide si adombrò e passò qualche secondo di silenzio prima che rispondesse. Non era certo il più sensibile quando si trattava di queste situazioni ma era abbastanza attento da non lasciarsi sfuggire i dettagli che potevano comunicargli lo stato reale dell’umana; eppure, Sophia gli era sembrata perfettamente in controllo delle sue emozioni e invece era in totale disagio emotivo. Poteva trattarsi di una semplice mancanza ma non capiva allora perché la cosa l’avesse messo tanto a disagio,                         «Ironhide… è la mia designazione. Vengo… veniamo dal pianeta Cybertron. Io e gli altri Autobot»
            «Ironhide…» Sophia si passò quel nome sulla punta della lingua con attenzione, sentendolo meno estraneo di quanto non si sarebbe mai aspettata. Sapere che quella creatura aveva un nome la mise meno a disagio e si concesse un piccolo sorriso, incerta se l’Autobot potesse vederla o meno anche in quella forma, «Da quanto sei qui?»
Ironhide si prese qualche attimo di pausa per pensare a quella domanda, non che fosse complicata ma il tono tradiva una leggera agitazione. Non sapeva esattamente se era la sua presenza ad agitarla in quel modo, anche in quel momento il suo volto era una maschera indecifrabile mentre teneva lo sguardo fisso sulla strada con la testa poggiata sul finestrino del guidatore.
            «Otto mesi, circa»
            «Da quando ti ha riportato mio nonno. Non ci credo che hai sentito tutti quei deliri» sorrise amaramente Sophia socchiudendo gli occhi, improvvisamente esausta.
Lo sapeva che il suo comportamento era infondato, non era successo nulla di strano in quei mesi da quando aveva iniziato ad ignorare gli appuntamenti e le chiamate della psichiatra a cui l’avevano affidata. Non ce la faceva più a sentire la preoccupazione nella voce dei suoi genitori e del nonno ogni volta che venivano a sapere come se l’era svignata dopo un ennesimo appuntamento cancellato, persino uno dei vecchi membri della sua squadra si faceva sentire più spesso del solito solo per assicurarsi che stesse bene.
            Solo quando il Topkick si arrestò all’improvviso Sophia si accorse che entrambi erano di fronte casa del nonno, alle prime luci dell’alba dove il sole iniziava a tingere il cielo di colori tenui. Il sonno se n’era andato da un pezzo e nonostante tutto preferì rimanere ancora per qualche attimo all’interno del veicolo, pensando se quello fosse stato solamente uno strano delirio dettato dalla stanchezza oppure c’era seriamente qualcosa che era cambiato in quella rigida e noiosa routine che si era imposta da quando era ritornata.
            «Hai intenzione di rimanere lì per tutto il giorno?» la voce leggermente metallica e profonda le giunse chiara e forte alle orecchie, tracciando un profondo solco tra quello che pensava di aver solo immaginato da quello che era accaduto davvero.
Sophia poi scosse la testa, rizzando la schiena e cercando per un attimo il telefono abbandonato sul sedile del passeggero, spento o con la batteria scarica, neanche lo ricordava più, «Grazie… di avermi salvato la vita» era l’unica cosa che le venne in mente in quel momento prima di aprire la portiera per rientrare in casa.
            «Ho fatto solo il mio dovere, piccoletta»


 
---Note---
Già pubblicata qualche mese fa su Wattpad, è un piccolo sfizio di meno di una decina di capitoli dunque molto breve. Anche se so che nel fandom italiano Transformers non sia molto attivo, ci tenevo a pubblicare anche qui.
 
Ciarax
   
 
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