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Autore: Mr Lavottino    03/11/2021    3 recensioni
Duncan e Noah sono costretti a viaggiare in macchina insieme per poter andare al matrimonio di Bridgette e Geoff. Durante il viaggio forano una gomma e sono costretti a fermarsi.
Nelle vicinanze trovano una casetta al cui interno ha... niente di meno che una ragazzina rapita!
Riusciranno i nostri eroi a salvare la povera sventurata? Ma soprattutto, arriveranno in tempo alle nozze?
Genere: Avventura, Comico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Duncan, Emma, Noah, Nuovo Personaggio, Zoey | Coppie: Bridgette/Geoff
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Il clima all’interno dell’auto era fin troppo teso. Talmente teso che se fosse stato Tyler durante l’episodio tredici di A Tutto Reality!: il Tour sarebbe finito smembrato. Quello fu il primo esempio che il cervello di Noah, ironico come al solito, riuscì ad elaborare, andando ben oltre la classica similitudine della corda di violino che tanto la faceva da padrona.
Invece, la persona alla sua destra non sembrava essere così spensierata da poter fare battute. Sì, perché Duncan l’aveva presa proprio male. L’essere costretto ad un viaggio di due ore da solo in macchina con Noah era per lui un qualcosa di inaccettabile.
- Ti vedo pensieroso. – lo stuzzicò Noah dopo aver notato il corrucciamento della fronte di Duncan. L’indiano non riuscì a nascondere un sorrisetto, che non fece altro se non infastidire ancora di più il suo compagno di viaggio.
- Ricordami perché sono qui. – sbottò ironicamente, con un tono tutt’altro che divertito. Intrecciò le braccia con forza attorno al costato ed affondò ancora di più nel sedile.
- Perché Geoff e Bridgette hanno deciso di sposarsi in un luogo sconosciuto all’essere umano e nessuno ti ha voluto accompagnare in macchina, quindi ti hanno accollato a me con il gioco dei fiammiferi. – spiegò, stando al gioco, Noah – E pensare che avevo solo una possibilità su tredici. Diamine sono proprio sfortunato! – Noah continuò ad infierire su un Duncan quasi sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
Già, perché poche ore prima aveva letteralmente chiesto a tutti gli invitati al matrimonio, arrivando addirittura a farlo ai genitori degli sposi, se potevano accompagnarlo visto che non aveva la macchina. Tutti lo aveva liquidato senza pensarci due volte.
- Ah, dannazione! È tutta colpa di Zoey, io nemmeno ci volevo venire a questo stupido matrimonio! – gridò, per poi lasciarsi andare ad un fortissimo sospiro. Noah ridacchiò e ciò non fece che peggiorare le cose – Che hai da ridere? – lo imbruttì il moro.
- Niente, niente. – Noah fece cenno con la mano di lasciar perdere, ma poi ci ripensò e decise di affrontare il discorso giusto per farsi una risata – È solo che… se non volevi venire bastava dirlo. –
- Se Zoey non mi avesse rotto le palle, io non ci sarei mai salito su questa fottuta macchina. – Duncan strinse i pugni con forza. Ebbe per un attimo l’istinto di aprire la portiera e saltare fuori, ma una vocina nella sua testa, che non ascoltava poi così spesso, lo persuase dal suicidarsi in un modo, e per un motivo, così ridicolo. L’idea che sostituì il gesto estremo fu quella di picchiare il tizio alla sua sinistra, ma anche quella, per vie traverse, non sarebbe stato proprio il massimo. Sicuramente avrebbe causato un incidente e, soprattutto, gli assistenti sociali che stavano alle sue calcagna non l’avrebbero presa affatto bene. Dopo tutto, era pur sempre un ex galeotto uscito da due annetti di prigione.
- In effetti dev’essere stato brutto per te, da amico di tutti a ultima ruota del carro. – Noah non provava nemmeno a pesare le parole, tanto era sicuro di essere in una posizione privilegiata, come se gli stesse parlando da davanti delle sbarre.
- Vaffanculo. Sei l’ultima persona con cui sarei voluto salire in auto. – sputò acidamente Duncan.
- Guarda che per me vale lo stesso, eh. È tutta colpa di Bridgette e della sua cazzata de “facciamo che i maschi vanno con i maschi e le femmine con le femmine!” – sbottò Noah imitando il tono della surfista.
- Su questo devo darti ragione. – Duncan portò l’indice ed il pollice della mano destra sulla fronte e se la massaggiò cercando di calmarsi – Che poi, che cazzo mi inviti al matrimonio?! Erano anni che io e Geoff non ci parlavamo e a Bridgette sono stato sempre antipatico. –
- Ancora non l’hai capito? Volevano far vedere a tutti di essere la coppia più duratura del reality. Hanno invitato addirittura Chris, il loro unico scopo era quello di vantarsi. – Noah scosse la testa e girò di colpo il volante per seguire le indicazioni del navigatore.
- Oh, ma come diavolo guidi? – protestò Duncan, che si ritrovò lanciato contro il cruscotto. Noah lo guardò e rise.
- Da che so io, quello che si è fatto levare la patente un anno fa per guida in stato di ebrezza non sono io. – la freccia scoccata dal suo arco colpì perfettamente il centro del bersaglio – Ma magari mi sbaglio, eh. – aggiunse, giusto per scavare ancora di più nella cicatrice ancora aperta che Duncan si portava dietro ormai da undici mesi, dodici il diciassette di quel mese.
- Fanculo. – Duncan affondò la testa nel sedile e puntò gli occhi contro il soffitto grigiastro della Nissan di Noah. Il suo sguardo cadde poi verso la strada e solo a quel punto si rese conto della completa assenza di macchine attorno a loro.
Sulle prime non disse nulla, solo dopo quasi venti minuti di incroci a raso vuoti e di strade sterrare iniziò a farsi qualche domanda in merito al loro viaggio.
- Si può sapere dove cazzo stiamo andando? – domandò con una punta di acidità un bel po’ marcata.
- Che ne so, il navigatore si è abbuiato da quasi dieci minuti. Non prende niente. – confessò Noah, che fino a quel momento aveva cercato di risolvere il problema da solo.
- Cristo Santo! Perché non me l’hai detto prima? – Duncan estrasse il telefono di tasca e si rese subito conto dell’icona in alto a destra: tre linee sbarrate. Ergo, niente campo – Fantastico, non prende nulla. –
- Grazie mille Capitan Ovvio, ora si che riusciremo a trovare la strada giusta! – ironizzò Noah battendo con forza le mani sul volante.
- Ehi! Ti ricordo che è tutta colpa tua se siamo persi in mezzo al nulla. – ribatté prontamente Duncan, indicando la vegetazione che si estendeva radiosa attorno a loro.
- Se tu ti fossi trovato un altro autista, adesso non saremmo qui! – l’indiano, con gli occhi infuocati, iniziò una battaglia frontale dalla quale Duncan non esitò a partecipare.
- Ci poteva essere anche la Madonna in auto con te, fatto sta che ti sei perso come un fottuto idiota! – Duncan alzò le braccia al cielo e poi le incrociò al petto.
- Sempre meglio Radio Maria di te. – Noah gettò benzina sul fuoco e ciò, ovviamente, alimentò la fiamma. Ne susseguirono dieci minuti pieni di offese reciproche mentre l’auto continuava ad impolverarsi procedendo per stradini sterrati sconosciuti anche al creatore. Tutto ciò andò avanti fino a che le ruote, quasi come se stanche di sentirli litigare in modo così infantile, decisero che era l’ora di fermare quel supplizio.
Un “boom” secco, poi la macchina smise semplicemente di andare avanti, costringendo Noah a scendere. Una davanti e una dietro, la combo perfetta per lasciarli a piedi senza alcuna speranza.
- Fantastico, davvero fantastico! – urlò Noah, sempre più convinto che quel giorno Dio volesse in qualche modo farlo arrivare sull’orlo del collasso mentale.
- Grandioso. – Duncan sbatté il telefono sul sedile e scese dall’auto scuotendo la testa – Spero vivamente che tu abbia delle ruote di scorta. – disse, mentre Noah apriva il bagagliaio e dava un’occhiata alle cianfrusaglie là dentro.
- Niente. – ammise dopo qualche minuto di ricerca disperata – Però, se vuoi, ho un rastrello di plastica. – aggiunse con un humor tutt’altro che adatto al momento.
- Perché mai hai un fottuto rastrello, ma non una dannata ruota di scorta?! – Duncan si mise le mani nei capelli.
- Ma che ne so! – Noah lanciò il rastrello per terra facendolo finire in mille pezzi – Alla macchina ci pensa Emma, io guido e basta. – confessò.
- Perché lasci fare queste cose ad una donna?! – ribatté, sempre più alterato Duncan.
- Ehi, Terra chiama ex galeotto, Emma lavora in un’agenzia di assicurazioni. – la risposta di Noah fece scoppiare Duncan a ridere.
- Sì, perché lo sanno tutti che per lavorare in un’agenzia di assicurazioni serve aver partecipato almeno una volta al Gran Premio. Cristo, non ti faceva così idiota! – Duncan si girò ed iniziò a guardarsi attorno. Fra i vari alberi scorse quella che sembrava essere una piccola baracca dirottata.
- Siamo nella merda, dannazione. – Noah, dal canto suo, continuava a frugare nel bagagliaio nella vana speranza che due ruote nuove di zecca con tanto di crick, perché non c’era nemmeno quello, comparissero dal nulla per magia.
- Ehi, lì c’è qualcosa. – disse Duncan, dopo essersi avvicinato al bosco.
- Cosa? – Noah gli andò accanto ed assottigliò gli occhi per vedere meglio.
- Boh, sembra un magzzino, o qualcosa del genere. Potremmo chiedere aiuto, magari c’è qualcuno. – Duncan alzò le spalle e Noah schioccò la lingua contro il palato.
- Non lo so, da qui mi sembra una casetta diroccata. Però non abbiamo altra scelta. – Noah mosse il primo passo verso il bosco, ma Duncan lo afferrò per il braccio.
- Ehi, ehi, ehi, frena un secondo. Ho visto fin troppi film horror iniziare in questo modo. Va a prendere un’arma. – Noah non poté far altro che alzare un sopracciglio.
- Un’arma? Perché dovrei avere una cosa del genere nella mia macchina? – ribatté poi.
- Oh, dannazione! Una pala, un pezzo di legno, un affare con cui posso spaccare la testa di qualcuno, che ne so! – sbottò Duncan, poi, dopo averci pensato un secondo, aggiunse altro – Che poi, scusa, hai un cazzo di rastrello di plastica nel bagagliaio, spiegami perché non dovresti avere qualche altra puttanata del genere. – Noah non poté far altro che tornare alla macchina in silenzio, perché in cuor suo sapeva che il discorso di Duncan non faceva una piega. Nemmeno una.
- Ho questo. – Noah tirò fuori un appendiabiti. L’occhiata che Duncan gli rivolse bastò a fargli capire che no, Emma non avrebbe mai più dovuto avere accesso all’organizzazione della macchina.
- Dai qua. – Duncan afferrò il bastone dalla punta metallica e si incamminò verso il bosco seguito da Noah.
La casetta, che più che altro sembrava un magazzino degli attrezzi in disuso, distava giusto un centinaio di metri dalla strada, tuttavia non c’era alcun sentiero la collegasse ad essa. E solo questo sarebbe bastato ad entrambi per non avvicinarsi di un altro passo verso quell’ammucchiamento di legname marcio, ma non era assolutamente nella situazione di permettersi il lusso di non rischiare.
Duncan, da grande amante dei film horror, aveva ipotizzato potesse essere il nascondiglio di qualche cannibale che si nascondeva nella foresta alla ricerca di prede, o forse di un vampiro assetato di sangue. Noah, da grande odiatore della vita, aveva ipotizzato che quello dovesse essere il luogo in cui dei rapitori lasciavano le loro vittime in attesa di riscatto. Oppure a qualche assassino solitario che si divertiva a fare a pezzi i poveri sventurati che foravano le gomme in prossimità della sua piccola abitazione e che non avevano ruote di scorta. Insomma, quasi una punizione divina per la sua mancanza.
Giunti davanti alla porta, Duncan guardò Noah, che gli fece cenno di andare avanti. Il moro alzò gli occhi al cielo e spinse il pezzo di legno marcio noto come porta al senso comune, che dopo aver fortemente cigolato si scostò.
E lì, davanti ai suoi occhi, Duncan si trovò davanti l’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato. Questo Duncan, che, ovviamente, avrebbe scommesso tutti i suoi, pochi, soldi, su una bella tavolata imbandita di resti umani, mentre Noah, per la prima volta in vita sua, si maledisse per aver indovinato.
Oltre a vari arredamenti in legno marcio che si tenevano in piedi per miracolo, c’era ana ragazzina, che più di dodici anni non poteva avere, dai lunghi capelli biondi e dagli occhi blu legata e imbavagliata per terra, che alla loro vista incominciò ad agitarsi come un pesce fuor d’acqua. Duncan e Noah si guardarono con la bocca spalancata, il primo per lo stupore, il secondo per la consapevolezza che quel giorno Dio aveva deciso di sfogare tutto l’odio che provava verso la razza umana contro di lui.
- E adesso? – domandò Duncan con un filo di voce. Noah provò a cercare una soluzione, ma il suo cervello era troppo in confusione per poter anche solo elaborare un pensiero coinciso. No, quella non era per nulla la sua giornata.
- Lasciamola qui. – disse di getto – Meglio non infischiarci negli affari degli altri. – scosse la testa e fece un passo indietro. Duncan lo guardò con gli occhi spalancati, mentre la ragazzina incominciò ad agitarsi ancora di più.
- Lasciarla qui? – ripeté Duncan, ancora troppo confuso per riuscire ad elaborare un pensiero lucido.
- Sì, se ce ne andiamo adesso, forse, possiamo far finta di non aver visto nulla. – aggiunse, mentre nella sua testa la versione più ottimistica, quella dove lui riusciva in qualche modo ad arrivare a quel maledetto matrimonio, veniva riprodotta come un film in bianco e nero di inizio millenovecento.
- Stai scherzando? – Duncan tornò lucido di colpo – Questa ragazzina è stata rapita! Se la lasciamo qui verrà ammazzata. – disse, mentre la povera bambina scuoteva la testa per confermare quanto detto.
- No, no, no. Non voglio entrare negli affari altrui. È maleducazione! – Noah scosse la testa. La ragazzina iniziò a dimenarsi sempre di più e, a quel punto, Duncan le tolse lo straccio dalla bocca.
- Stanno per tornare, veloci! – disse lei, con un tono fin troppo adulto. Solo in quell’istante Noah si rese conto dei rumori provenienti da fuori.
- Di chi cazzo è questa macchina? – urlò qualcuno in lontananza e Noah era più che sicuro si stessero riferendo alla sua povera Nissan – E perché c’è un rastrello rotto per terra? – sì, stavano proprio parlando, o meglio urlando a squarciagola, della sua macchina.
- Duncan! – corse al fianco del moro e lo afferrò per le spalle – Andiamocene, veloce! – lo trascinò a se, ma Duncan si scostò di colpo e si bloccò tenendo lo sguardo verso il pavimento.
- Non possiamo lasciarla qui. – Duncan avrebbe voluto lasciarla lì, avrebbe voluto fare come diceva Noah, avrebbe voluto scappare nella macchia e sparire per sempre, ma non poteva. Perché se l’avesse fatto, in qualche modo Zoey l’avrebbe scoperto, perché lei lo avrebbe sicuramente scoperto, e a quel punto sì che sarebbe morto. Perché Dio, forse, perdona, ma Zoey no. Rivisse nella sua testa, tipo guerra del Vietnam, quella volta che aveva investito un povero cagnolino e non si era fermato ad aiutarlo, quando Zoey lo aveva scoperto, complice l’alcol, Duncan aveva ricevuto tante di quelle mazzate che suo padre in confronto lo trattava coi guanti. E suo padre lo picchiava con la cinghia dei pantaloni da quando lui ne aveva memoria.
Duncan prese la ragazza di peso e, senza pensarci due volte, corse fuori dalla casetta addentrandosi nella macchia.
- Ah, dannazione! – Noah non poté far altro che corrergli dietro, non senza prima rivolgere uno sguardo verso la sua macchina. Lì, parcheggiate accanto alla sua Nissan, c’erano tre macchine e, ad occhio e croce, quattro o cinque persone – Che giornata di merda! – sussurrò, per poi riprendere a correre.
 
I tre si erano rifugiati dietro ad una specie di cunetta nel bel mezzo della macchia. Approfittando della copertura del luogo, Duncan aveva liberato la bambina dalle corde.
- Come ti chiami? – le aveva chiesto, mentre si sedeva di getto sul terriccio andando ad insozzare l’abito nuovo che aveva comprato per il matrimonio.
- Courtney. – rispose lei. Duncan e Noah si guardarono negli occhi e per poco non scoppiarono a ridere – Che c’è? – ribatté lei, stranita dal modo in cui i due avevano reagito al suo nome.
- Niente, niente. Diciamo solo che è un nome che conosco fin troppo bene. – Duncan sviò la cosa.
- Maledizione, siamo nella merda! – Noah estrasse il telefono dalla tasca e pregò con tutto se stesso di avere almeno una tacchetta per chiamare i soccorsi, ma quel giorno le preghiere, almeno le sue, non funzionavano. Nessuna connessione – A te il telefono prende? – domandò poi all’altro, che sembrò cadere dalle nuvole.
- Merda. – disse soltanto – L’ho lasciato sul sedile. – si dette un colpo in fronte, che Noah avrebbe volentieri moltiplicato per cento, ed appoggiò la testa contro il terriccio esalando un profondo sospiro.
- Sei maledettamente inutile! – Noah calciò con forza il terreno ed affondò il volto fra le mani in preda alla disperazione più totale – Maledetti Geoff e Bridgette, è solo colpa vostra se sono in questa situazione! – sbottò sull’orlo di piangere. Sentiva proprio le lacrime pizzicarli gli occhi con insistenza.
- Ehi, datti una calmata ed abbassa la voce. – lo sgridò Duncan, mentre guardava dall’altro lato della cunetta per cercare traccia dei rapitori.
- No che non mi calmo! Dannazione, ma come fa Zoey a stare con un idiota come te!? – Noah strinse i pugni con forza. L’istinto di colpire Duncan era parecchio forte, ma la consapevolezza che poi le avrebbe sicuramente prese lo portò a fermarsi. Ma non ce ne fu bisogno, perché Duncan, che fino a quel momento aveva cercato di restare calmo e favorire una forzata convivenza pacifica, lo colpì in pieno volto con un pugno ben assestato. Noah poté giurare di aver visto le stelle per qualche istante.
- Ma vuoi stare zitto!? È tutto il giorno che ti ascolto mentre ti lamenti e basta. Cerca di usare quella testaccia bacata, invece di rompere le palle. – urlò Duncan. Aveva completamente perso le staffe, fra la situazione in cui si trovavano, la sua ridotta capacità strategica e la poca pazienza che sempre lo aveva contraddistinto non era proprio la persona più adatta ad essere messa sotto pressione in quel modo.
- Sei impazzito? Mi hai fatto male! – protestò Noah massaggiandosi il punto colpito. Duncan stava per ribattere, ma si bloccò quando vide che Courtney lo stava guardando.
- Dannazione! – sbottò – Va bene, calmiamoci. Io vado alla ricerca di soccorso, tu resta qui con lei. – si tirò su e, dopo essersi pulito il sedere dalla terra, fece per incamminarsi verso la foresta.
- Aspetta! Vuoi lasciarmi qui da solo con lei? Mi vuoi morto, per caso? – Noah cercò di bloccarlo, ma Duncan gli fece cenno di fare piano e continuò ad allontanarsi da loro.
- Tienila d’occhio. – disse soltanto, per poi sparire nella macchia.
- Questa è la peggior giornata della mia vita. – sussurrò Noah, mentre con la coda degli occhi guardava Duncan perdersi nel mezzo del verde. Ci mise un po’ a calmarsi del tutto, gli servirono cinque minuti buoni di autoconvincimento aggressivo, alla fine scese a compromessi con se stesso e capì che doveva darsi una svegliata, altrimenti avrebbe fatto un brutta fine.
Si perse per un po’ ad osservare la ragazzina al suo fianco, che continuava a guardarsi attorno come se fosse alla ricerca ossessiva di qualcosa. Aveva un chiaro visetto angelico contornato da folti capelli biondi e decorato da degli occhi azzurri come il mare e delle piccole labbra rosee. Tutto di lei faceva pensare ad una figlia di un qualche aristocratico.
- Perché ti hanno rapita? – le domandò poi, più per annullare quel silenzio così tedioso che per altro. Courtney sembrò pensarci un po’, quasi come se non sapesse la risposta.
- Mio padre è Justin Pierre James Trudeau. – confessò la biondina. Noah scosse la testa in segno d’assenso, poi, dopo dieci secondi che sembrarono un’eternità, comprese a pieno quelle parole.
- Tuo padre è Justin Pierre James Trudeau?! Il Primo Ministro canadese?! – gli occhi di Noah si spalancarono al punto che per poco non caddero dalle orbite.
- Sì, mi hanno rapita per chiedere un riscatto. – spiegò Courtney. Se inizialmente Noah pensava di essersi messo nei guai, capì in quel momento di essere nella merda fino al collo. Aveva alle calcagna non dei criminali qualunque, ma un gruppo organizzato che era arrivato addirittura a rapire la figlia del Primo Ministro canadese in persona.
- Porca puttana. – sussurrò. Portò una mano sulla fronte e si lasciò andare a dei lunghi respiri pesanti. Adesso sì che era spaventato, terribilmente spaventato. Smise di perdersi nei suoi pensieri solo quando sentì Courtney singhiozzare. La biondina scoppiò poi a piangere all’improvviso, davanti ad un immobile Noah che non aveva la minima idea di cosa fare.
Aprì e chiuse la bocca più volte, senza sapere cosa dire.
- Da quanto eri chiusa là dentro? – chiese, nella vana speranza che facendola parlare avrebbe smesso di piagnucolare.
- Tre giorni. Pensavo che nessuno sarebbe venuto a salvarmi, ho avuto molta paura. – come previsto da Noah, i singhiozzi si fece via via sempre più lievi – Vi ringrazio infinitamente. -
- Speriamo piuttosto che qualcuno venga a salvare noi. – Noah tirò istintivamente il colletto della camicia nuova ed affondò con la schiena contro la terra.
- Sono sicura che – Courtney si fermò di colpo. Un forte rumore di terra calpestata attirò la loro attenzione e li costrinse a zittirsi.
- Dannazione, dove diavolo può essere andata? – una voce roca e pesante penetrò con forza nelle loro orecchie. Noah si sporse di qualche centimetro dalla cunetta e si trovò a qualche metro da lui un omone burbero alto quasi due metri, pelato, con gli occhi scuri ed il volto tagliato da una cicatrice che andava dall’occhio destro al mento. In soldoni, era la copia umana di Scar de “Il re Leone”.
- Non troppo lontano, dev’essere ancora nei paraggi. – un’altra voce, meno roca ma comunque pesante, fece spagliare ulteriormente Noah. Questa apparteneva ad un tizio di colore meno basso dell’altro, ma più fisicato e dall’aspetto ugualmente intimidatorio. Nome in codice nella testa di Noah: Samuel L. Jackson.
Noah fece cenno a Courtney, completamente paralizzata dalla paura, di non muoversi nemmeno di un centimetro. La ragazzina si coprì la bocca con le mani e chiuse gli occhi. I due rapitori si avvicinarono alla cunetta a passo lento ed in quel momento Noah notò i due fucili d’assalto che tenevano in mano. Di male in peggio.
- Qui non c’è traccia, forse è scappata dall’altro lato della strada. – ipotizzò Scar.
- No, se fosse scappata lì l’avremmo già trovata. Trevor sta cercando lì da un bel pezzo. – ribatté l’altro.
- Ci mancava solo questa grana. – pian piano, i due erano arrivati alla montagnetta. Noah sentiva il sudore grondargli dalla fronte. Il suo respiro si faceva via via più forte ogni volta che sentiva i passi farsi più vicini.
- Non ci torno a casa, non ci torno a casa, non ci torno a casa. – questa era la frase che si ripeteva in continuazione, mentre la voglia di scoppiare a piangere si faceva sempre più forte.
- Basta, qui non c’è nessuno. Torniamo indietro. – Samuel L. Jackson sbottò di colpo ed iniziò ad allontanarsi. Noah si lasciò andare ad un grosso sospiro di sollievo, ma, all’improvviso, tutto andò precisamente come non doveva andare. Forse in altre circostanze Noah si sarebbe stupito, ma quel giorno no, non aveva di che stupirsi.
Courtney calpestò accidentalmente un legnetto e ciò attirò l’attenzione dei due rapitori. Fu così che Noah si ritrovò facci a faccia con i due energumeni che, dopo essersi sporsi oltre la cunetta, lo guardarono con il sorriso di chi sapeva di aver fatto Jackpot.
- Bene, bene, chi abbiamo qui. – Scar si leccò i baffi.
Noah ebbe l’istinto di lasciare lì Courtney e darsi alla fuga nella macchia. Ebbe anche l’istinto di tirargliela letteralmente addosso, per poi chiedere scusa ed implorare in ogni modo di essere risparmiato. L’unica cosa che voleva in quel momento era buttarsi nel letto caldo del suo appartamento nel centro di Montreal ed addormentarsi con i vestiti ancora addosso.
Ma quello non era né il momento, né il luogo giusto per perdersi nei suoi pensieri. E seppur la testa gli dicesse di scaricare la bambina e cercare la fuga, il suo spirito da essere umano, una volta tanto, prese il sopravvento.
Noah afferrò della terra e, senza pensarci due volte, la lanciò sul volto dei due, per poi prendere Courtney per la mano e scappare a gambe levate verso la macchia.
- Corri! – non riuscì a dire altro, si limitò a correre con tutte le sue forze sperando che gli anni passati a saltare le lezioni di educazione fisica non lo facessero morire proprio quel giorno.
Sentiva indistintamente le urla dei due che gli correvano dietro, fra bestemmie e parole non troppo lusinghiere verso sua madre, mentre il rumore di erba calpestata e del suo respiro pesante la facevano da padroni nella sua testa. Nemmeno si preoccupò della possibilità che potessero aprire il fuoco contro di loro, cercò solo di non cadere e di allontanarsi il più possibile.
Ma non ce la poteva fare e lui lo sapeva bene, perché l’ultima volta che aveva corso in vita sua era stato proprio per nascondersi e non fare palestra a scuola. Un ottimo controsenso che, però, non gli permetteva di avere il fiato necessario per una corsa prolungata. E quindi cadde.
Tuttavia, per una volta in quelle maledette ventiquattro ore, qualcosa girò per il verso giusto. Un meccanismo della giornata infernale si ruppe, dando al povero Noah un singolo, ma prezioso, attimo di tregua. Infatti, i due energumeni caddero su di lui e ruzzolarono giù da un dirupo che Noah nemmeno aveva visto.
La caduta dei due fu lenta e rumorosa, come simboleggiavano i continui “Ahia” e le bestemmie svariata che venivano coperte dal rumore di frasche e rami spezzati. Solo dopo aver udito un tonfo sonoro Noah ebbe il coraggio di affacciarsi dal burrone constatando con occhio gli almeno quaranta metri di salto nel vuoto che i due malcapitati avevano appena affrontato.
- Signore sei stato grande! Ci hai salvato! – lo esaltò Courtney. Noah ci mise un po’ a capire che ce l’aveva con lui, poi si tirò su e, con aria distinta, si pulì la camicia dal terriccio e sorrise di gusto.
- Vero? Sono stato mitico. Grande trovata quella di buttarmi a terra. – disse con tono ironico, anche se sotto sotto cercava di convincere se stesso di averlo fatto di proposito, in un triste tentativo di riacquistare un minimo di autostima. Si sarebbe voluto godere quella sensazione più a lungo, ma il suo cervello decise arbitrariamente di ricordargli che no, non c’era niente di cui essere fieri, anzi, dovevano tornare alla cunetta il più velocemente possibile.
- Forza, torniamo indietro prima che mandino qualche altro squilibrato a cercarci. – Noah afferrò Courtney per una mano e la invitò a seguirlo. Ci misero qualche minuto di troppo a raggiungere la fantomatica collinetta, principalmente perché Noah continuava a sbagliare strada e a venire corretto da una Courtney che, dal canto dell’indiano, risultava essere fin troppo spigliata. Quasi fu tentato di lasciarla lì a vagare nel bosco per un’oretta per poi andarla a recuperare e gridarle “Adesso non fai più tanto la sapientina, eh?”. Già si immaginava la scena e rideva. Tuttavia non lo fece, perché in cuor suo sapeva che quello che si sarebbe perso sarebbe stato proprio lui.
Perciò si limito a proseguire verso la cunetta, che vista da lontano fu per lui come un’oasi nel deserto. E mai nella vita Noah avrebbe immaginato di provare un sentimento di forte rassicurazione nel vedere Duncan davanti ai suoi occhi. L’ex punk gli andò in contro con un’espressione mista fra sgomento e sollievo.
- Si può sapere dove diavolo vi eravate cacciati? – sbottò, passando lo sguardo prima su Courtney, che si limitò a ridacchiare, poi su Noah, il quale mostrò un sorriso a trentadue denti che in vita sua non aveva nemmeno mai ipotizzato di avere.
- Si dia il caso che io mi sono appena appena sbarazzato di due dei rapitori. Scar e Samuel L. Jackson dritti al tappetto. – si gongolò battendo il pugno sul petto in attesa di un complimento di qualche tipo. Duncan boccheggiò per qualche istante, poi guardò Courtney che confermò la cosa con un cenno della testa.
- Penso che in qualsiasi altra circostanza stenterei a crederti, ma oggi ne sono successe fin troppe. – Duncan si carezzò la testa e sospirò profondamente, poi puntò gli occhi azzurri contro la bambina – Tu stai bene? –
- Sì. – rispose lei scuotendo di nuovo la testa.
- Bene, meglio così. Io, invece, non ho trovato nulla. Solo alberi, insetti e fango. – spiegò Duncan schiacciando una zanzara che gli girava intorno da qualche minuto.
- Magnifico! – ironizzò Noah - Ehi, bambina, sai quanti sono i rapitori? – le chiese poi.
- Dovrebbero essere tre o quattro, non ricordo. – Courtney alzò le spalle e Noah cadde nuovamente preda dello sconforto, ritornando in quello che era il suo mood di vita ormai da quando aveva acquistato la capacità di intendere e di volere.
- Quattro? Vuoi dire che ci sono altri due tizi del genere in giro? – si lamentò, per poi appoggiarsi ad un tronco.
- Beh, almeno la metà sono fuori gioco, no? – disse Duncan, più per chiedere conferma che altro. Noah fece cenno di sì, anche se dalla faccia non ne sembrava molto convinto – Quindi cosa facciamo? – aggiunse poi Duncan, sperando che almeno Noah avesse avuto qualche idea.
Seguì un secondo di silenzio, che servì ad un abbattuto Noah per mettere a posto la testa. Non poteva, anzi, non doveva lasciarsi abbattere in quel modo. Era tutta la vita che scappava dalle difficoltà, era finalmente giunto il momento di andare a combattere senza paura! O almeno questo era quello di cui si sarebbe voluto convincere, perché l’unica cosa che il suo cervello era in grado di pensare era la frase “stai per morire” ripetuta in loop come un mantra. Quindi optò per staccare la spina del suo tanto amato cervello e comportarsi come avrebbe fatto un decerebrato qualsiasi, come ad esempio il ragazzo alla sua destra.
- Torniamo nei pressi della strada, magari incontriamo qualcuno. – propose, sperando con tutto il cuore che Duncan si rifiutasse.
- Ottima idea! – ovviamente no, doveva andare tutti secondo i piani di un Dio che Noah aveva, molto probabilmente, fatto arrabbiare in un momento non precisato della sua vita, quindi Duncan accettò di gusto quell’idea suicida.
Iniziò così una scampagnata nei boschi alla ricerca del sentiero che, fra un battibecco fra Duncan e Noah e diverse punture di zanzare, si concluse in un quarto d’ora pieno. Quando Noah vide la strada sterrata, tirò a sé i due e si gettò dietro ad un cespuglio lì vicino.
- Ahia, ma sei impazzito? – protestò Duncan massaggiandosi la testa dolorante.
- Shhh, stai in silenzio. – Noah indicò un punto non precisato a qualche metro da loro. Duncan riconobbe distintamente due macchine verdastre parcheggiate lì vicino, poi sentirono una voce che confermò i loro dubbi.
- Si può sapere quei due idioti dove sono andati? – i due videro in lontananza un tipo che Duncan ricollegò all’evaso pazzo assassino con la motosega e l’uncino. Non era lui, non ci assomigliava per niente, ma il modo in cui parlava glielo ricordava parecchio.
- Non ne ho idea, forse si sono persi. – alle spalle del finto evaso pazzo assassino con la motosega e l’uncino apparve quello che il cervello di Duncan, molto poco abile negli abbinamenti, etichettò come “Chef, ma più grosso e incazzato”.
- Ah, maledizione! – sbottò il finto evaso pazzo assassino con la motosega e l’uncino – Andiamo a cercarli. – così i due si incamminarono verso la foresta.
- Questa è la nostra occasione, saliamo in macchina e scappiamo da qui il più velocemente possibile. – sussurrò Noah, cercando con gli occhi la conferma da parte dei due.
- Va bene, andiamo! – i tre si scostarono dal cespuglio e, a passo svelto, si diressero verso una delle macchine verdi. Noah mise la mano sulla portiera e, proprio in quell’istante, un vocione grosso e rauco li richiamò.
- Ehi, che diavolo pensate di fare? – i tre si girarono e ad una decina di metri da loro trovano un altro grosso energumeno. E, mentre a Noah caddero letteralmente le braccia, Duncan provò ad individuare una persona a cui associarlo. Ne uscì fuori un ibrido fra Mr. T e The Rock.
- Avevi detto che i rapitori erano solo quattro! – si lamentò poi con Courtney, che si limitò a sorridere e ad alzare le spalle.
- La bambina! – urlò Mr. Rock, così lo aveva ribattezzato Duncan nella sua testa, per poi prendere uno walkie talkie e comunicare la notizia ai suoi compagni di merende.
- Salite in macchina! – sbraitò Noah, giusto in tempo per vedere il finto evaso pazzo assassino con la motosega e l’uncino e lo Chef più grosso ed incazzato correre verso di loro – Metti in moto, sbrigati! – Noah guardò Duncan che, non senza qualche problema, cercava di mettere di far partire l’auto.
- Eh, dammi un attimo! È più di un anno che non guido. – protestò lui, mentre cercava di schiacciare la frizione e girare le chiavi contemporaneamente.
- Cristo, datti una mossa! – gridò Noah. Puntò lo sguardo fuori dal finestrino e vide che Mr. Rock li aveva praticamente raggiunti. Proprio quando le dita della mano di Mr. Rock toccarono il fendinebbia posteriore dell’auto, Duncan riuscì a partire di botto sollevando un enorme polverone.
- Sì, ce l’abbia fatta! – esultò, per poi tornare a concentrarsi sulla guida. Dallo specchietto retrovisore controllò Courtney e, per poco, non inchiodò di colpo – Signorina, mettiti la cintura! – la biondina inclinò la testa e lo guardò incredula.
- Non credo sia importante in questo – cercò di obiettare, ma Duncan fu irremovibile. Zoey lo aveva indottrinato all’uso della cintura al punto che anche lui ne era diventato ossessionato.
- Se non la metti mi fermo! – ribatté. Courtney fece come ordinatole sbuffando pesantemente – Ehi, vedi di non – Noah afferrò il volante proprio un attimo prima che Duncan finisse fuori strada.
- Per piacere, pensa a guidare! Gliela fai dopo la paternale. Non voglio finire con la faccia spalmata contro un albero. – lo sgridò. Duncan fece per ribattere, ma dallo specchietto retrovisore vide un grosso macchinone verde con sopra il finto evaso pazzo assassino con la motosega e l’uncino, lo Chef più grosso incazzato e Mr. Rock che, con tanto di mitragliette puntate contro di loro, li intimavano di fermarsi.
Duncan provò a seminarli proseguendo per le stradine di campagna, ma i tre rapitori erano parecchio ostinati. Continuavano a minacciarli di aprire il fuoco se non si fossero fermati e tutto ciò non faceva che mandare ancora di più in paranoia Noah.
- Gira a destra! No, a sinistra! Vai dritto! No, aspetta il prossimo incrocio! – continuava a sparare indicazioni stradali senza un senso logico, con il solo risultato di mettere ancora più pressione ad un già esasperato Duncan.
- Ti prego, sta zitto! – gridò poi, nella vana speranza di riuscire a concentrarsi. Vide un cartello a bordo strada con su scritto “Città di Bloodbath dopo la discesa della valle! Girare a sinistra!” e, senza pensarci due volte, svoltò a sinistra rischiando letteralmente di far uscire Noah dal finestrino.
Nemmeno quella svolta improvvisa riuscì a far demordere i rapitori. Duncan stava quasi per arrendersi, quando un grosso cartello in legno attirò la sua attenzione: “Attenzione, dirupo a strapiombo. Pericolo caduta!”.
- Noah, sto per fare una grossa cazzata. – disse con la gola secca. Noah ci mise poco, fin troppo poco a capire cosa volesse fare. Gli bastò guardare il modo in cui affondò il piede sul pedale anche se il dirupo era ormai vicino.
- No! No! No! Ci ammazziamo sul serio! – urlò, mentre le lacrime incominciarono a scendere da sole per la paura.
- Attento! – anche Courtney, che fino a quel momento era rimasta in silenzio cercando di non vomitare, si sporse dai due sedili cercando, invano, di avvisarli dell’imminente impatto. Ma Duncan, dopo aver visto la cittadina nella vallata sottostante, affondò ancora di più il piede sull’acceleratore.
E saltarono.
 
Zoey era preoccupata. Era tutto il giorno che cercava di contattare Duncan senza risultati. Il telefono continuava a squillare fino all’avvio della segreteria. Ormai era quasi ora della cerimonia. Geoff e Bridgette avevano organizzato l’evento al “Rance Good Marry”, un luogo paradisiaco nel bel mezzo della natura con piscine, spa, campi da golf e camere di lusso.
Le diociotto si avvicinavano e, a quell’ora così atipica, i due piccioncini sarebbero dovuti convolare a nozze. Era stata la sposa a scegliere l’ora, sostenendo che la luce del tramonto rendesse i capelli del suo “piccipicci” ancora più belli e a quelle parole Geoff non aveva potuto che fare come voleva lei.
Se Zoey era preoccupata, Emma, invece, era furiosa. Furiosa come non lo era mai stata in vita sua. Furiosa come pensava non sarebbe mai riuscita ad essere. Più furiosa di quando una ragazzina le aveva soffiato da davanti gli occhi l’edizione limitata de “I fiori del male” di Baudelaire. Continuava a chiamare Noah ad intervalli regolari di cinque minuti, ma la chiamata nemmeno partiva.
Il numero da lei chiamato non è al momento disponibile”, quella la frase che le rimbalzava nel cervello come una molla impazzita. Aveva provato a confrontarsi con Zoey, ma nessuna delle due era riuscita in alcun modo a venire a capo del grosso dilemma che le attanagliava: dove dannazione si erano cacciati quei due?
Nulla da fare, di loro due nessuna traccia. Ormai erano le diciotto in punto e la cerimonia stava per iniziare. Il suono delle trombe, volute appositamente da Geoff per dare inizio alla cerimonia proprio come se fosse stato un re, sovrastò i pensieri nella testa di Emma, che si ritrovò, suo malgrado, con la sedia accanto a lei vuota.
La cerimonia andò avanti senza alcun intoppo, con Zoey ed Emma che, ogni cinque secondi, si giravano a guardare se, per puro miracolo, i due fossero arrivati almeno per vedere il momento del bacio. I secondi passavano e si trasformavano in minuti ed i minuti in ore. Alle diciassette e ventisette il matrimonio era ormai al suo clou ed i due sposi, vestiti con abiti eleganti e ricamati, erano pronti a giurarsi eterna fedeltà ed amore.
Il prete scese dall’altare ed andò loro incontro. La damigella porse gli anelli a Geoff che, dopo averla ringraziata cortesemente, li estrasse dalla scatoletta dorata. Cinse la fede con due dita e poi la infilò con grazia nell’indice sinistro di Bridgette, che poi fece con lui esattamente la stessa cosa.
- Bridgette, vuoi tu prendere Geoff come tuo sposo? – disse il prete.
- Sì, lo voglio. – rispose lei, con un briciolo di emozione nella voce.
- Geoff, vuoi tu prendere Bridgette come tua sposa? – ripeté il prete.
- Sì, lo voglio. – rispose lui, guardandola intensamente negli occhi. Un leggero rumore di pneumatici su sterrato incominciò a risuonare in sottofondo, ma nessuno ci fece caso.
- Bene, allora io vi dichiaro Marito e Moglie. – il rumore si fece sempre più forte – Adesso puoi baciare la sposa. – Geoff e Bridgette avvicinarono le loro labbra e, proprio quando stavano per sfiorarsi, una Nissan bianca con delle belle gomme nuove entrò con forza in scena. Ci fu una rapida sgommata, che alzò numerosi ciottoli che si andarono a schiantare sugli ospiti e lasciò sul bellissimo prato verde una striscia di fango, dopodiché l’auto si fermò e da lì scesero Duncan e Noah, con i vestiti completamente macchiati ed in condizioni pietose, che come se nulla fosse salutarono gli sposi ed il prete con un cenno della testa e si misero a sedere nei rispettivi posti.
- Dove diavolo siete stati? – urlarono Emma e Zoey contemporaneamente.
- Abbiamo avuto un piccolo intoppo lungo la strada. Siamo dovuti andare dalla polizia della cittadina qui vicino, una cosetta veloce. – rispose Duncan, mentre gli occhi degli ospiti, e degli sposi, erano puntati su di loro.
- Cosa diavolo avete combinato?! – sbraitò Emma alzandosi in piedi di colpo.
- Mah, niente di che. Abbiamo salvato la figlia del Primo Ministro. – Noah liquidò la faccenda come se non fosse importante – Scusami Emma, potresti sederti? Non riesco a vedere bene l’altare. –
Duncan lo guardò e non appena i loro occhi entrarono in traiettoria scoppiano entrambi a ridere come dei pazzi nel bel mezzo dello stupore generale.
Fu così che, fra una risata e l’altra, Noah e Duncan capirono che, forse, fra i due poteva nascere non un’amicizia, ma almeno un rapporto di pacifica convivenza. Courtney era salva, il Primo Ministro aveva potuto riabbracciare sua figlia ed i rapitori erano stati tutti spediti in galera.
E questo gli ospiti lo scoprirono solo il giorno dopo.
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE:
Ma ciao! Mentre stavo ascoltando la lezione di Sociologia mi è venuta in mente quest’ideina e, visto che era un po’ che non mi facevo vivo, in due giorni l’ho buttata giù. L’idea di far vivere un’emozionante avventura a Duncan e Noah bazzicava già da un po’ nella mia testa, ma solo adesso sono riuscito a concretizzarla a pieno.
Poi si, come al solito ci ho infilato in mezzo la Doey perché era da troppo che non scrivevo su di loro, seppur questa volta solo in modo marginale.
Non è stato facile signori e signore, l’ho finita. Ecco, lo stesso non si può dire de “La volpe e il lupo” eheheheh. A dire il vero la stesura della trama è finita, so perfettamente come andranno le cose, ma ho un blocco e non riesco a scriverla. Mi viene proprio difficile. Sarà per l’ambientazione buia, non ne ho idea. Cercherò in qualche modo di finirla, ma non vi assicuro niente.
Mi dispiace, so che molti di voi ci tenevano. Cercherò di fare qualcosa.
 
Ma parliamo adesso di questa storiella! Non è nulla di che, tuttavia ho voluto comunque pubblicarla, perché… beh, mi sembra caruccia. Diciamo che le parti di Noah da solo forse sono un po’ annacquate, ma, ehi, descrivere cose inutili per alimentare l’hype è il mio pane quotidiano!
Mi spiace anche per Geoff e Bridgette, ma l’idea dei nostri eroi che entrano in scena con la macchina riparata e si siedono come se nulla fosse mi fa schiantare dalle risate. Boh, sarò strano io LOL.
 
Detto questo, spero di rivedervi presto! Alla prossima!
   
 
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