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Autore: Dorabella27    05/11/2021    15 recensioni
Si ritorna ai toni che più mi sono congeniali, con una piccola one shot, prima tappa di un ideale trittico che, in una sorta di klimax ascendente, prevede una seconda storia un pochino più lunga, e un terzo racconto, che immagino diviso in due o tre parti. Alla fine del trittico, molti pezzi andranno al loro posto, e si chiarirà il senso di alcuni particolari, elementi, oggetti ricorrenti. Chiedo scusa a chi mi segue se non onoro subito la promessa fatta in precedenza: prometto che arriverà anche il seguito di "L'America è lontana?", come pure quello di "Aveva uno scopo" (magari, per le festività Natalizie, data l'ambientazione...). Intanto, non potevo non dare accoglienza a tre piccoli "racconti raminghi" che sono venuti a battere alla mia porta: l'ospite è sacro e va sempre accolto.
Cominciamo ora il nostro primo racconto, in cui chiamo in causa un personaggio caro a molti fan di RoV, ma che non era mai venuto a farmi visita: in una nottata di inizio autunno, in una caserma parigina, un soldato smonta dal suo turno di guardia e sia avvia verso il meritato riposo...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Alain de Soisson, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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ROSA DI COMPLEANNO
 
"E anche questo turno di guardia è finito. Alla buon'ora!", pensò Alain Soisson, tornando, intirizzito, nelle camerate, e agognando il suo letto. L'umidità di quella nottata di inizio autunno gli era entrata nelle ossa, e quel vento freddo che gli sferzava il viso lo aveva tenuto sveglio, ma gli aveva lasciato addosso i brividi.
Se solo quella notte avesse avuto la compagnia di André: parlare con lui lo aiutava a far passare più velocemente le ore penose da trascorrere a presidiare il tetto della caserma, come se i poveri di Parigi potessero mai prendere l'iniziativa di marciare compatti su Rue de La Chaussée d'Antin con l'intenzione di rubare ai soldati della Compagnia B il loro misero rancio.


Era bello parlare con André: aveva letto un mucchio di libri, ma, rispetto a tanti intellettualoni che facevano pesare la loro intelligenza e la loro cultura, le sue riflessioni, anche se profonde, erano sempre espresse con immediatezza e semplicità, anche alla portata di un soldato come lui, che aveva imparato a leggere e scrivere solo dopo i quindici anni, per potersi arruolare, e che aveva letto, con fatica, nel corso di quegli oltre tre lustri passati nell'esercito, solo due o tre libri, chiedendosi che gusto mai potessero trovarci, certe persone, a passare il loro tempo e le ore di libertà su delle pagine inchiostrate.

        Era anche spiritoso e allegro, André, benché si intravedesse sempre, nelle sue parole, un sottofondo di malinconia pensosa. Alain lo ammirava  e insieme, per quella nota di tristezza che ormai aveva imparato a cogliere, lo compativa anche un po': certo, fintanto che non si fosse tolto dalla testa e dal cuore il loro Comandante, quella donna che, in apparenza fredda come il ghiaccio, doveva tenere compresso tutto un mondo di sentimenti calorosi, di generosità e forse anche di umorismo,
era molto difficile, per non dire impossibile, che la sua tristezza potesse dissolversi. Per quella sera, la ripartizione dei turni decisi dal Comandante de Jarjayes aveva consentito ad André di restare in camerata. Ma Alain era sicuro che l'avrebbe trovato sveglio, supino nel suo letto, con le braccia piegate, i gomiti allargati e le mani sotto la testa, nella posa che gli era abituale quando stava rimuginando su qualcosa, cioè sul suo solito problema; oppure, l'avrebbe trovato assorto nella lettura, alla luce debole di un moccolo di candela.

Forse il Colonnello Oscar François de Jarjayes aveva fatto in modo di tenere André, il suo ex attendente, nonché devoto innamorato, almeno per una notte al riparo dagli spossanti turni di guardia al freddo, per consentirgli di riprendersi completamente dopo il pestaggio da lui subito in armeria qualche settimana prima, e che aveva comportato una non breve convalescenza.

Del resto, dopo quell'episodio, la diffidenza dei soldati nei confronti di quel Grandier, che per vent'anni aveva lavorato per una famiglia di "dannati aristocratici", non si era polverizzata, ma la silenziosa dignità con cui André aveva tenuto per sé, con i superiori, i nomi di quanti gli avevano ridotto il viso e il corpo a un ammasso sanguinolento di tagli e lividi, rifiutandosi di denunciarli, unitamente al coraggio con cui si era battuto, lui solo, contro i cinque energumeni che gli si erano coalizzati contro, gli aveva guadagnato un silenzioso rispetto da parte dei rudi soldatacci della Compagnia B; i quali non capivano che gusto ci provasse, quel Grandier, a trascinare la loro stessa, misera vita, fra camerate fredde e pulciose, dove scorrazzavano i topi, rancio scarso e pessimamente cucinato, faticose esercitazioni e ancor più pesanti turni di pattugliamento delle irrequiete strade parigine, mentre avrebbe potuto starsene tranquillo in una bella stanza del palazzo di famiglia del Comandante, ben riscaldata da un bel fuoco nel camino, con addosso vestiti pesanti e adeguati alla stagione, e attingendo magari liberamente, pur se con qualche cautela, dalle cantine, che, Alain ne era sicuro, in una casa nobiliare dovevano custodire chi sa quali interessanti tesori di vini e liquori.

Così rifletteva Alain Soisson, mentre attraversava la camerata; e quando arrivò al suo letto, collocato proprio sopra quello di André, scoprì, con sorpresa, che il suo amico dormiva. Doveva essere scivolato nel sonno mentre leggeva  - i suoi immancabili libri! - pensò Alain, e il volumetto gli era cascato di mano, aprendosi a terra, e lasciando cadere, sullo squallido impiantito, un foglietto, ripiegato in quattro parti, che Alain raccolse insieme al libro. Il volumetto recava sul frontespizio il titolo: Il contratto sociale, seguito dal Discorso sull'origine della diseguaglianza fra gli uomini. "Eccolo qui, il mio amico cervellone: non si smentisce mai", pensò Alain, le labbra increspate da un sorriso.

Nel foglietto, che Alain non poté trattenersi dall'aprire, era custodita una minuscola rosa bianca ormai secca; la carta era percorsa da righe scritte da una mano infantile, in una grafia tondeggiante e ordinata, ma che tradiva qualche incertezza negli sbaffi di inchiostro:
 
26 agosto 1761
Caro André,
                          questa mattina Nanny mi ha detto che è il tuo compleanno, il primo che passi senza la tua mamma e il tuo papà. So che c'è una torta buonissima che ti aspetta, che la mia Signora Madre ti ha regalato un fazzoletto da collo e mia sorella Sylvie ha un nastro per capelli per te, però tu devi apparire stupito, e non dire che ti ho avvisato. Io ho saputo soltanto adesso che oggi compi sette anni. Siccome non ho fatto in tempo a prepararti niente, ti scrivo questo biglietto, e ho colto di nascosto un fiore dal roseto preferito della Contessa Madre.

Deve essere molto brutto passare il compleanno senza genitori. Io non so come ci si può sentire, perché Nanny dice sempre che ho avuto davvero tanta fortuna nella vita, ma se vuoi oggi posso farti compagnia e giocare con te tutto il giorno per provare a farti essere meno triste.

Volevo dirti che sono tanto felice di avere trovato un amico come te, e che spero tu resterai con me per molto tempo. Io ti prometto che proverò a  essere buono e a non fare troppo il prepotente quando giochiamo.

Grazie per tutto il tempo che passi con me,
il tuo affezionato Oscar.
PS.
Per favore, non dire in casa che ho staccato questo fiore o il Generale potrebbe arrabbiarsi.
 
Alain Soisson era un omone, alto e robusto come un armadio, ma si commosse, mentre nella sua mente si formava l'immagine di una bambina bionda di nemmeno sei anni che armeggiava con una penna d'oca e una boccetta d'inchiostro. Chi sa se il freddo e orgoglioso Collonnello de Jarjayes, la migliore spadaccina di Francia, una donna abituata a misurarsi contro avversari di ogni tipo, sfoderando un coraggio da leonessa, in un mondo di uomini, da bambina, seduta alla scrivania su una sedia troppo alta, dondolava i piedi che restavano a mezz'aria? E chissà se, nello sforzo di non fare errori mentre scriveva, si teneva, tutta concentrata, la lingua fra le labbra, mentre gli occhi color fiordaliso restavano incollati al foglio?
Immaginò André bambino, con la sua consueta espressione paziente, cercare di arginare la vivacità di una bambina bionda e bellissima, incapace di stare ferma un attimo; e poi immaginò quante volte, negli anni passati, André doveva avere aperto e riletto quel biglietto, che stava quasi tagliandosi lungo le linee dove la carta era stata piegata.
Si intenerì, Alain Soisson; poi, pensò, sentendo un'ombra di colpevolezza montargli nello spirito, che non sta bene sbirciare nei segreti altrui: ripiegò allora il biglietto, avendo cura di sistemarvi la rosa, maneggiandola con tutta la delicatezza che le sue mani grandi come vanghe gli consentivano; quindi, rimise il foglio tra le pagine del libriccino, che ripose con cura sotto il cuscino del suo amico.
Poi, mentre si rigirava, con la sua stazza da orso, nell'angusto lettuccio, pensò ad André, e a che cosa potesse sognare: ma era un interrogativo ozioso, la cui risposta era fin troppo facile.
 "Buonanotte, André. Spero tanto che i tuoi sogni si avverino. Prima o poi", pensò allora Alain, prima che gli occhi si arrendessero al sonno.
 
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Ed eccoci tornati a un argomento e a un taglio che sento decisamente come più congeniali.
Questa è la prima storia di un trittico di one shot che sono venute a bussare in questi giorni al mio pc: potevo io, in tutta coscienza, non accoglierle?
Per cui, in una ideale klimax ascendente, arriveranno tutte e tre, di lunghezze crescente (l’ultima credo in due parti), per sistemare alcuni tasselli e riempire alcuni di quei magnifici vuoti temporali che l’anime lascia, per farci fantasticare meglio, direi.
Sono solo momentaneamente in sospeso il seguito di “Aveva uno scopo” e de “L’America è lontana?”, che mi avete richiesto in molti.
Tornando a questa micro-one shot, si potrebbe forse obiettare che Oscar sembra un tantino troppo precoce, dato che dovrebbe avere scritto questo bigliettino a meno di sei anni. Addirittura avevo pensato a segnare il testo con un paio di errori di ortografia e punteggiatura, ma poi ho desistito da questa prima idea. Rispondo alla mia auto-obiezione prima di tutto dicendomi che esistono bambini curiosi e vispi che a tre anni parlano correntemente, a quattro anni leggono e a cinque e mezzo scrivono correntemente, e ricordando che, a quei tempi, si cresceva prima, e si era tutti un po’ più precoci di oggi, e Oscar, comandante delle Guardie Reali, lo era forse particolarmente; e poi, Oscar, almeno sino a quando non è apparso André, è stata una bambina solitaria che poteva solo essere incuriosita dalle attività dei grandi e invogliata a imitarli prima possibile.
 
   
 
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