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Autore: La Chiave di Do    05/11/2021    1 recensioni
"Se ti viene voglia di scrivere potresti anche raccontare di quanto Alex conobbe quella tipa coi capelli rossi... capito chi? Federica mi pare si chiamasse, potrei sbagliare".
A Federica, in un luogo che non è Roma e neppure Londra, in un tempo che non è il 2013 e neppure il 2021.
Genere: Erotico, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alex Turner, Nuovo personaggio
Note: AU, Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
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NDA
L'ho creata io,  questa sezione di  EFP.
Finché avrò voce questa barca affonda
con  me.  Un  pegno  d'amore da me a
Fede,  rispettivamente  25  e  27 anni.
E non sentirli.

La mia gratitudine, come sempre, a G.
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Estate


 
You were reading a book about some idiot
and telling me about another
I was so severely underwhelmed
I thought I might never recover
 

Luglio si incolla alla pelle con tenacia crudele. Come un innamorarsi al contrario, ti infiamma impietosamente il corpo e offusca la mente, ma ti rende odioso qualsiasi corpo umano a meno di due palmi di distanza; e con tutta quella pelle esposta in giro in un frenetico susseguirsi di gambe, bicipiti, petti e pance, è come ritrovarsi a un buffet di matrimonio subito dopo un pranzo di Natale.
Anche all’approssimarsi del tramonto l’appartamento è troppo caldo anche solo per pensare, figuriamoci leggere o riposare, e dopo mezz’ora passata in nudità ad aprire e chiudere il frigo vuoto e a ponderare di chiudercisi dentro, Federica ha trovato la forza di infilarsi qualcosa addosso, intascare il libro e incamminarsi ansante al locale, pronta a qualsiasi efferatezza per una birra ghiacciata.

L’interno è un abominio di calore: ordina e scappa se vuoi vivere, le suggerisce l’istinto di conservazione. Trova rapidamente un tavolino all'aperto, l’unico ancora vuoto, e ci si accampa con irruenza, disseminandoci la borsa di tela, il libro, il cellulare e la bottiglia di birra.
La Corona appoggiata sul tavolo è in assoluto la cosa più seduttiva che i suoi occhi abbiano incontrato dall’inizio della giornata; è pronta a giurare che potrebbe sposarla, così gelida da ricoprirsi di condensa nella prima frazione di secondo a contatto con l’aria torrida. L'agguanta con cupidigia, rovesciandosi in bocca la prima sorsata così in fretta da farla schiumare aggressivamente mentre le scorre in gola: non è sollievo, è un brivido di trasalimento e gratitudine. Verso la birra, verso il barman, verso chiunque abbia inventato i frigoriferi.
Dopo qualche sorso le sembra di avere riguadagnato la capacità di pensare. Riapre il libro dove l’aveva lasciato, accavallando le gambe sulla sedia accanto e tamburellando le dita sulla bottiglia mentre cerca il punto esatto. Eccolo.

Il cielo ha iniziato a tingersi di rosso e Federica ha già scorso poco meno di una decina di pagine quando fra un sorso e l’altro si appoggia distrattamente la bottiglia contro il collo. Gesù Cristo. Mentre gli occhi scorrono da una riga all’altra, la mano sinistra asseconda meccanicamente il freddo rollìo del vetro lungo la clavicola.
Stai dando spettacolo, partorisce aspro il retro della sua mente. È pronta a scommettere di essersi lasciata sfuggire un mugolio di assenso.
“Aspetti qualcuno?”
E ti pareva.
La copertina si chiude con un colpo secco rivelandone il profetico titolo: Disgrace.
Dall’altra parte del tavolo, appollaiato alla sedia di legno, c’è un tizio che nulla comunica oltre al suo essere, effettivamente, un tizio. È il modo in cui lo dice ad arricciarle le dita in un moto di nausea: non è una domanda, è solo una scusa maldestra per assicurarsi la sua attenzione a spese di Coezee. Non ha ancora alzato gli occhi dal rosso della copertina, ma già sa che sarà un maschio bianco etero cis, con ogni probabilità pure basic.
Bingo. Bermuda color kaki, braccio sinistro ricoperto da un drago in stile giapponese, maglia bianca del Real, spalle da palestra tre volte a settimana, crocifisso che dondola sul petto da una catenella d’oro, testa rasata a zero. Federica sospira, posa il libro, la birra. Sfodera il sorriso meno spontaneo mai registrato.
“In effetti sì, mi dispiace”.
No che non aspetto nessuno, e soprattutto no che non mi dispiace, l’unica cosa che mi dispiace è dover inventare una scusa per leggere DIECI PAGINE in pace.
Il sorriso si spegne progressivamente quando lo vede scostare rumorosamente la sedia dal tavolino.
“Ma ti sta facendo aspettare…?” snocciola lezioso, come una battuta provata davanti allo specchio “Non è una cosa carina, non si fanno aspettare le ragazze”.
“Eh già, fare aspettare i ragazzi invece è buona educazione” le scivola dalla bocca prima che possa fermarlo, glielo vomita addosso prima di tentare maldestra di correggere il tiro “Sono in anticipo io, comunque”.
Un Tizio numero due, una versione di Tizio numero uno da un universo parallelo, ride a un paio di metri di distanza, facendosi gocciolare il drink sulla canotta di un boxing club.
“C’ha le palle questa” borbotta più a sé stesso che al suo amico.
Federica inizia a recitare i nomi dei Santi in ordine alfabetico, e non in chiave lusinghiera; spera solo che il teatrino finisca prima che la birra sia diventata troppo calda per finirla senza che le faccia schifo quanto Tizio Uno e Due.
“Va beh, ti faccio compagnia finché non arriva”.
Anche questa non è una domanda, anche questa le accende un conato di vomito. Apre la bocca, in cerca di una risposta diversa da un vaffanculo. Una mano irresistibilmente fresca le si posa sulla spalla sinistra e le si avvolge con delicatezza attorno al trapezio; per un millesimo di secondo è grata a chiunque appartenga.
“Oi” si palesa il proprietario della mano “scusa il ritardo, il traffico era un casino”.
Federica sa benissimo che quella voce baritonale e quell’accento aspro non appartengono a nessuno che conosca. La mano le scivola senza fretta via dalla spalla tracciando una linea immaginaria fra le sue scapole fingendo protettiva un’intimità inesistente.
Il Tizio si dilegua prima ancora che il suo liberatore possa entrare nel suo campo visivo, forse spaventato dall’odore di un altro maschio nei paraggi. Bestie.

Un’altra Corona tintinna contro la sua prima di venire appoggiata sul tavolo, svelando il fresco segreto della mano che la accompagna: non un vampiro, non una statua di ghiaccio, solo un altro stronzo che come lei sta cercando di non liquefarsi in una serata di luglio.
Mentre si siede di fronte a lei, Federica constata che questo, quantomeno, non è un Tizio. Il pantalone grigio rivela una magrezza incompatibile con l’ossessione per la palestra. I quattro (QUATTRO) bottoni aperti della camicia bordeaux comunicano una gamma di significati potenzialmente infinita, ma per il momento decide di scegliere solo la più ovvia: fa caldo. La sfumatura perfetta sulla nuca e la quantità generosa di gel con cui si è sistemato il taglio pompadour, invece, le lanciano in faccia solo tre opzioni: fuckboy, fashion victim, gay.
Il non-Tizio sospira, sfila dal taschino della camicia un pacchetto di Marlboro Gold e accavalla la caviglia nuda sul ginocchio. Mocassino di pelle nera. Gay.
Sfila la sigaretta e l’accendino, prima di reintascarsi il pacchetto: non lo appoggia, non espande i suoi possedimenti sul territorio di Federica. Anzi, il tempo di far brillare la punta della Marlboro nel riflesso dei Ray Ban e si libera le mani dall’accendino per poter riagguantare la sua birra, sgombrando il tavolo di qualsiasi traccia di lui. Un tiro, a denti stretti, guardando un punto imprecisato del cielo in fiamme.
“Fumo questa e me ne vado a fanculo, okay?”
Commovente, non-Tizio.
“Okay, grazie” non vorrebbe suonare troppo acida, ma in effetti non gliene frega molto di quello che farà o non farà Josh Homme dei poveri nei prossimi cinque minuti. Vorrebbe soltanto poter leggere il suo dannato libro senza teatrini testosteronici nei paraggi.
Lui sorride, e Federica non riesce a capire se sia un sorriso divertito, irritato o di semplice cortesia: per una manciata di istanti lo osserva  fumare guardando il vuoto con il labbro vagamente increspato da quella smorfia indecifrabile.
“Stai veramente aspettando qualcuno?”. 
Lo tradisce solo un velo di sarcasmo, ma decide di essere sincera: “no”.
Di nuovo quella smorfia che non è un sorriso, che non si sa che cosa cazzo sia.
“Okay” e torna a fumare.
Okay?
“Volevo solo leggere in santa pace”.
Dio santo, Federica, che cosa gliene frega di cosa vuoi fare, tu e la tua smania di avere sempre l’ultima parola.
Eppure lui annuisce, esalando una nuvola di fumo. Il suo sguardo scatta verso la copertina, poi su lei: è la prima volta che la guarda in faccia? La sta davvero guardando in faccia dietro gli occhiali scuri?
“Non so se mi è piaciuto” confessa. Parla con un tono sorprendentemente basso, quasi contenuto. “Forse è troppo amaro per i miei gusti”.
“E riesci a leggere cos’è, con gli occhiali da sole alle nove di sera?”. Fede, cazzo.
Eccolo, quello era veramente un sorriso, che rivela una fila di denti dritti interrotta solo da un preincisivo scheggiato. Si sfila gli occhiali e se li appende al collo della camicia in un equilibrio precario: certo che la stava guardando, dritta negli occhi.
Per la prima volta lo guarda veramente in faccia anche lei: zigomi alti, labbra rosee, occhi di un castano caldo, tondi, vagamente languidi. Rimettiti ‘sti occhiali, va’.
“A te sta piacendo?” continua, implacabile.
Federica sta ancora valutando se sia il sole estivo o la luce del tramonto a tingergli la carnagione di un miele discreto e il castano profondo di sfumature calde, e tarda pericolosamente a rispondere. Ma quello sguardo enigmatico non le si è scollato un secondo di dosso.
“Sì. No. Non lo so”. CONTEGNO. Decide di imitarlo nell’ingollare una sorsata di birra e la bottiglia finisce prima del previsto. “Indubbiamente è amaro. Ma è di una giustizia implacabile”.
Lo sbuffo di fumo successivo arriva a puntate aggressive, come a esprimere disappunto.
“Mmmh”. Sembra soppesare le cose da dire, come se fosse contemporaneamente sotto esame e non gliene fregasse niente. “Sei già arrivata a… quella cosa? Che riguarda la figlia?”
Quanta pudicizia per parlare di uno stupro. O forse, povero Cristo, vuole solo evitarti lo spoiler?
“Sì, l’ho già letto” risponde di getto.
“Non mi pare una gran giustizia”. Per la prima volta il suo tono non sembra sarcastico.
“Beh, no. Ma penso che la narrazione trascenda il piano individuale. È un contrappasso penoso, senza dubbio. Eppure è storia. Ingiustificabile, ma tristemente comprensibile”.
Lui annuisce, silenzioso. Non sembra troppo convinto, ma parrebbe disinteressato ad avere l’ultima parola. La sigaretta è ridotta al mozzicone e nella bottiglia restano due dita birra.
“Bene” dichiara con fermezza, e nel farlo batte entrambi gli indici sul bordo del tavolo “la mia sigaretta è finita e il tuo amico è sparito. Smetto di fare il terzo incomodo fra te e Disgrace”.
Finisce la birra con un sorso e si alza, silenziosamente come si è seduto. Riaccosta la sedia al tavolo sollevandola.
“Ciao”.
“Ciao”.
Non-Tizio si ferma, esita. Già di spalle alza un dito al cielo, come colto da un’illuminazione improvvisa. Si riavvicina, gli occhi bassi sul libro: il dito si posa con un lieve tonfo al centro della copertina.
Le cose crollano. Achebe. Africa coloniale. Amaro”.
Si allontana, infilandosi le mani in tasca e lasciando il relitto della Corona sul tavolo. Federica non lo ringrazia né per il salvataggio, né per la compagnia, né per averla lasciata in pace come promesso. Ma di non avergli detto grazie per il consiglio letterario in effetti un po’ le dispiace.

Sta per riaprire il libro, maledicendosi per averlo chiuso così stizzosamente senza memorizzare il numero di pagina a cui era arrivata, ma la sua attenzione è attirata dal rettangolo di carta bianca lasciato sotto il cadavere di una delle due bottiglie: solleva la seconda, raccoglie il primo. È lo scontrino per una Corona, ornato da un cerchio perfetto di condensa.
Lo volta: con una biro nera è stato scribacchiato un numero di telefono. E un nome.
Alex. Non-Tizio si chiama Alex. Non è gay.



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Vertigo
Crying Lightning (acoustic version)

   
 
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