La nave, come un delfino, filava sul mare, lasciandosi dietro una scia di candida spuma. Le stelle scintillavano d’argentei bagliori nell’infinità zaffirina della volta celeste e i loro raggi, leggeri, sfioravano l’acqua, accendendola di effimeri baluginii. Si era avviato verso la prua. Lì, immerso nel silenzio di quella notte serena, avrebbe potuto posare la maschera dell’allegria. Non sapeva perché, ma si vergognava a mostrare la pena del suo cuore. Le sue lacrime erano custodite nelle profondità della sua anima, come gemme in uno scrigno. – Mi mancate, madre mia… – aveva mormorato, il tono malinconico. Al compimento del suo sesto anno di vita, sua madre era stata colpita da una grave consunzione. Nonostante le cure sollecite dei guaritori e le ardenti preghiere di suo padre, si era spenta. Ricordava bene il suo corpo, ormai privo di vita, illuminato dal giallore lugubre delle candele. Il dolore, in quell’istante, si era congelato nel suo cuore. No, quelle membra esili serbavano solo l’aspetto di sua madre. Nonostante la sua malattia, lei aveva sempre avuto un carattere energico. Non si doveva piangere un corpo privo di volontà e di opinione. Aveva sentito due braccia nerborute stringergli le spalle. Un moto di vergogna l’aveva invaso e il suo volto s’era imporporato. Qualcuno aveva veduto la sua amarezza e si era preoccupato. Si era irrigidito. Non era suo desiderio mostrare la sua dilaniante disperazione. – Amico mio… Non fingere una serenità che non provi. Siamo fratelli, non dimenticarlo. – aveva mormorato la gentile voce di Kyam. A quel suono basso, ma dolce, la sua resistenza si era infranta e le lacrime, prive di controllo, avevano inondato le sue guance. – Grazie... – aveva sussurrato. Quelle parole, d'apparenza semplice, avevano lenito le sue angosce. Kyam si era mostrato capace di andare oltre la sua maschera esuberante e aveva accolto la sua amarezza. Lo aveva stretto tra le sue braccia, senza domandargli nulla. E, per lunghi, eterni istanti, erano rimasti immobili, stretti in un abbraccio, accarezzati dalla luce argentea delle costellazioni.
Un forte scalpiccio di passi interruppe il corso dei suoi pensieri. Maxi, colto di sorpresa, sussultò, si terse le lacrime, poi si girò. Fissò, quasi sorpreso, la figura di Kilik avanzare a grandi passi verso di lui, i lunghi capelli castani scompigliati. Gli sembrava di essere riemerso da un sogno. I ricordi, con la loro dolcezza, lo avevano catturato e lo avevano strappato alla realtà. Chinò la testa e fissò lo sguardo sul viso di Kyam. Il dolore, che prima distorceva i lineamenti del suo amico, era svanito. Sembrava addormentato in un sonno quieto, quasi fanciullesco. Ma era una illusione del suo cuore d’amico, che non concepiva una simile, straziante tragedia. Non voleva comtemplare l'aspra e dolorosa verità della sua morte- Un fulmine, ad un tratto, rimbombò nel cielo, grigio di nubi e, per un istante, il lampo illuminò d’un livido riflesso il viso di Maxi. La pena strinse l'animo di Kilik, come una mano d’acciaio. Il giovane comandante di quella nave aveva subito una grave perdita. Il suo sguardo, di solito scintillante di energia, era vuoto, quasi perduto in dimensioni lontane. Lacrime silenziose sgorgavano dai suoi occhi e flebili singhiozzi, simili ai lamenti di un animale ferite, sollevavano il suo petto. Cauto, il monaco guerriero allungò il braccio e appoggiò la mano sulla spalla destra del pirata. Aveva imparato a stimare Maxi. Oltre l’aspetto bizzarro, occultava un cuore nobile, degno di un guerriero. E Kyam era ben degno del suo affetto. Lo aveva compreso, tra loro esisteva un legame fraterno assai forte, che nulla avrebbe potuto distruggere. Maxi, in quell’istante, era straziato dalla morte di un fratello. Per lui, era dilaniante vedere una persona così onorevole abbattuta da una tale tragedia. Maxi non meritava un siffatto tormento. Doveva donare al suo cuore un aiuto. Maxi si girò e, per alcuni istanti, i suoi occhi neri, lucidi di lacrime, si fissarono in quelli ambrati del monaco, caldi di comprensione. Kyam, poco prima di spegnersi, gli aveva raccomandato cautela con quel giovane. Con la sua sagacia, aveva avvertito, nelle profondità della sua anima, il palpito d’una energia oscura. Ma, in quel momento, quella informazione, d’una importanza decisiva, gli pareva quasi un’inezia. Il suo cuore e la sua mente, pesanti di dolore, non desideravano pensare a nulla. - Mi dispiace tanto per quello che è accaduto, Maxi. Vorrei potere fare qualcosa. – mormorò il giovane monaco, dispiaciuto. A queste parole, con un grido disperato, Maxi si lanciò nel suo petto. Forse, se ne sarebbe pentito, ma non aveva la forza di sfruttare la sua razionalità… Bramava il conforto d’un abbraccio caldo e sincero, in quel momento doloroso. Colto di sorpresa dall’irruenza del gesto del pirata, Kilik barcollò, ma non cadde. Poi, d’istinto, strinse le braccia attorno alla sua schiena. – Kilik… Per favore, almeno per ora, non abbandonarmi. Mi fa troppa paura la solitudine. — confessò il pirata. Forse, aveva sbagliato a mostrare la sua vulnerabilità, ma non voleva pensare a nulla. Desiderava lasciarsi cullare dall’affetto di una persona, capace di accogliere il suo tormento. La disperazione, in quel momento, oltrepassava la prudenza. Pur di non sprofondare nella tenebra, era disposto a mettere in pericolo la sua incolumità. Ne era cosciente, era un comportamento egoista, ma non aveva la forza di mutarlo. La stretta di Kilik, d’istinto, si serrò attorno alla schiena di Maxi. Nella sua semplicità, era una richiesta commovente. Quel giovane, tanto vivace e intelligente, aveva paura di mostrare la sua fragilità. Doveva dare forza al giovane pirata e dargli la possibilità di fidarsi di lui. – Stai tranquillo. Non ti abbandonerò. – affermò, deciso, mentre il rimbombo di un nuovo tuono rompeva il silenzio.