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Autore: OrnyWinchester    08/11/2021    3 recensioni
La visita di re Leodegrance e di sua figlia, la principessa Ginevra, permette a re Artù di ricongiungersi con i luoghi del suo passato, dove lo attenderà un incontro con il destino.
Questo racconto è tratto dal mio libro “Ricordi della Tavola Rotonda Vol. 1”, una rivisitazione della leggenda arturiana con l’aggiunta di nuove storie originali, che hanno come protagonisti il giovane re Artù, Merlino e i cavalieri della Tavola Rotonda.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Vi sono molto grato per questo importante dono, re Leodegrance. Questa tavola racchiude gli ideali con cui intendo ispirare i miei cavalieri, primo fra tutti l’uguaglianza di tutti coloro che vi siederanno, affinché nessuno nel mio nobile esercito possa sentirsi inferiore ad un altro.” proferì solennemente re Artù, mentre osservava ammirato la meravigliosa tavola rotonda in legno, donatagli dal suo futuro suocero, re Leodegrance di Carmelide.
 
***
 
Il giorno volgeva al termine a Camelot e, dopo i festeggiamenti che avevano accompagnato la visita del re di Carmelide e di sua figlia Ginevra, promessa sposa di re Artù, tutti si erano ormai ritirati nelle loro stanze per la notte. Soltanto la sala consigliare era ancora illuminata dalla luce delle torce e dei candelabri e potevano udirsi alcuni mormorii: Artù e Merlino, l’anziano mago suo mentore, stavano osservando compiaciuti il dono del loro ospite.
“Questa tavola è stupenda, non trovi, Merlino?”
“Sì, sire. Bisogna dire che re Leodegrance vi conosce proprio bene per avervi omaggiato di un così prestigioso simbolo dei valori di Camelot. Inoltre, anche la fattura dell’oggetto ha in sé un qualcosa di straordinario. Se non fossi sicuro che è opera del lavoro dell’uomo, avrei perfino pensato che potesse trattarsi di un manufatto magico!”
“La magia è ovunque intorno a noi; basta cercarla nelle grandi come nelle piccole cose e compiacerci di quanto di bello abbiamo ricevuto alla fine di ogni giornata.” asserì con magnificenza Artù, come a voler rimembrare una lezione appresa tempo prima.
“Parole molto sagge, sire.” gli fece eco Merlino.
“E’ uno dei primi insegnamenti che ho ricevuto dal mio educatore, quando ero poco più di un bambino.” continuò il sovrano, adducendo al mago.
“Un maestro decisamente all’altezza del suo compito. Anche se non sono passati poi molti anni da allora: lo ricordo come se fosse soltanto ieri.” replicò questo, aprendosi in un grande sorriso. “Vostro padre, re Uther, mi diede l’incarico di venirvi a prendere nella dimora di sir Ector e di suo figlio Kay, dove risiedevate al tempo, per condurvi al castello e iniziare ad impartirvi lezioni per la vostra formazione come futuro re di Camelot.”
“Già. Sir Ector e sir Kay sono sempre stati gentili con me e di tanto in tanto avevo l’occasione di dedicarmi agli addestramenti nel combattimento a corpo libero e con la spada. Ma sir Ector non era di certo la persona più adatta ad insegnarmi come governare un regno. E per quello sei arrivato tu, Merlino. Non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto ciò che mi hai permesso di conoscere e apprendere in questi anni. Sei stato e sei ancora la risorsa più preziosa che possiedo.”
“Se continuate così, sire, finirete per farmi piangere con tutte queste parole smielate.” tentò di cambiare discorso Merlino.
“Non fare il burbero, Merlino, perché so perfettamente che non lo sei e che hai un cuore immenso: sei sempre pronto ad aiutare tutti, che ti venga chiesto o meno. Senza il tuo supporto non sarei mai potuto diventare il sovrano di un regno libero dalle tirannie, dai pregiudizi e dalle ingiustizie. Se Camelot è un luogo di pace e di serenità, lo deve soprattutto alle aspirazioni e agli ideali che mi hai trasmesso.” “Mio padre, che ha regnato prima di me su queste terre, ha fortificato il regno, lo ha reso sicuro, ma ha sempre messo il comando militare davanti ad ogni cosa. Non si è mai fermato a pensare alle necessità degli altri, a guardare al loro animo e, per questo, non ha mai instaurato una connessione empatica con il popolo. Io, invece, che ho potuto contare sulla tua guida, ho imparato da subito che le qualità di un re non possono basarsi esclusivamente sulla spada, sebbene non ne possano prescindere.” spiegò Artù.
“Siete davvero in vena di complimenti, sire. Dovete sapere che ogni re è diverso, così come è diversa ogni persona. I miei insegnamenti sono stati importanti per voi perché hanno trovato un terreno fertile su cui crescere. Se il vostro animo non fosse stato recettivo, curioso e aperto alle novità, le lezioni che vi ho impartito sarebbero andate perdute: in poche parole sarebbe stato tempo perso per entrambi.” affermò Merlino in tono sicuro.
“A forza di elogiarci a vicenda, si sta facendo davvero molto tardi. Sarà meglio ritirarci.” convenne il sovrano.
“Sì, sire. Tanto potrete osservare il dono del re di Carmelide ogni volta che vorrete. La tavola è e resterà lì a lungo. Non avete motivo di consumarla con gli occhi in una notte soltanto.”
“Hai ragione, Merlino. Qualche ora di meritato riposo ci farà bene, anche perché dobbiamo impegnarci a rendere piacevole il soggiorno dei nostri ospiti, non possiamo riempirli di sbadigli.”
“Tanto più che la principessa Ginevra sarà la vostra futura moglie e non è saggio annoiarla la prima volta che visita il regno.”
“Non posso che essere d’accordo, anche se non penso di essere una persona noiosa, Merlino.”
“Oh, non lo siete, ma di tanto in tanto, quando siete troppo indaffarato o distratto dai vostri obblighi, diventate goffo e insicuro e, come dire, potreste dare quell’impressione.” disse con delicatezza Merlino, cercando di non ferire l’amor proprio del re.
 
***
 
L’indomani Artù trascorse la maggior parte del tempo mostrando a re Leodegrance e alla principessa Ginevra i luoghi più suggestivi del regno di Albione che potevano essere raggiunti a cavallo direttamente dal castello. Artù aveva potuto notare come Leodegrance guardasse con ammirazione ogni cosa che concerneva Camelot, anche se nei suoi occhi affiorava una profonda stanchezza, la stanchezza di un uomo che, dopo aver regnato per molti anni sulle terre che aveva ereditato, non aveva più nulla di nuovo da dare al suo popolo, privandolo dell’innovazione e di ogni scintilla d’ingegno che gli consentisse di progredire. Pur stimando profondamente Artù e condividendone gli ideali, era diventato incapace di lottare per essi e aveva deciso di lasciare i suoi possedimenti al giovane re, quando ne sarebbe stato il momento. E ad Artù affidava anche il bene più prezioso che aveva, sua figlia Ginevra. Mediante questo matrimonio, infatti, sperava di renderla serena e al tempo stesso di lasciare il proprio regno in ottime mani, risollevandolo dall’anonimato a cui era destinato. La principessa Ginevra, come unica figlia di Leodegrance, era stata molto vicina a suo padre e da lui aveva appreso le basi necessarie a qualunque sovrano per regnare. Tuttavia, il re aveva una mentalità piuttosto chiusa e aveva preferito che la giovane dedicasse la sua istruzione a mansioni più congeniali ad una regina, mettendo in chiaro che non le avrebbe consentito di salire al trono senza un marito al proprio fianco. A quel punto Ginevra aveva dovuto rassegnarsi all’idea e, pur essendone contrariata, con il tempo aveva accettato l’irremovibilità di Leodegrance sulla questione. L’accordo di matrimonio con re Artù, ad ogni modo, non aveva rappresentato la fine delle sue aspirazioni personali, ma era stato visto dalla principessa come una possibilità concreta di venire incontro tanto ai desideri di suo padre, quanto ai suoi. La reputazione di Artù era nota ovunque e Ginevra aveva appreso proprio dall’interessato la volontà di una regina che regnasse attivamente al suo fianco, che lo consigliasse e che non rappresentasse soltanto un trofeo da tenere in bella mostra e da esibire nelle circostanze preposte. Questo e tanti altri erano stati i motivi per cui Ginevra sentiva di poter essere appagata accanto ad Artù, oltrepassando il fatto stesso di un matrimonio combinato. Da quel momento i suoi grandi occhi color nocciola si animavano, pensando alla vita che l’avrebbe attesa a Camelot, e quella prima visita non stava deludendo affatto le sue aspettative.
Lande lussureggianti e paesaggi meravigliosi rapivano lo sguardo dei due ospiti durante il cammino, dimostrazione dell’attento operato di Artù affinché il reame crescesse energicamente in ogni suo aspetto.
“Beh, questa era solo una breve visita ai posti di maggior interesse che si trovano nei pressi del castello; se ne avremo l’occasione, mi piacerebbe condurvi in luoghi incantevoli che, tuttavia, sono più distanti e richiedono più giorni di viaggio. Comunque, cosa ne pensate? Ciò che avete visitato è stato di vostro gradimento?” chiese Artù rivolto ai due.
“Certo. Quello che ci hai mostrato, Artù, rende perfettamente giustizia alla fama che Camelot si è fatta negli altri regni. Una terra pacifica e incantata. Sono davvero molto contento che i nostri due reami abbiano rafforzato l’amicizia che li univa con questo matrimonio. Così facendo, potrò recarmi in visita spesso in questi posti splendidi.” sentenziò Leodegrance.
“Ogni volta che vorrai.” “E tu, Ginevra, ti sei divertita?”
“Sì, molto. Anche se c’è un altro luogo che mi piacerebbe visitare, se fosse possibile.”
“Dimmi pure. Di che posto si tratta?” domandò Artù, incuriosito.
“Vedi, Artù, ho sentito parlare di una radura, non molto lontano da Tintagel, dove una leggenda narra che vivano fate, gnomi e altre creature magiche della natura. Poiché è nota a tutti la magia protettrice che fa prosperare il regno di Camelot, ma non ho ancora avuto la possibilità di vederla con i miei occhi, mi piacerebbe recarmici.” spiegò la principessa.
“Ma certamente. Domani vi ci condurrò, se lo desiderate. Ma, data la distanza, dovremo restare lontano da Camelot per alcuni giorni. Tra l’altro dovete sapere che sono luoghi a me molto cari, poiché la mia defunta madre viveva nel castello di Tintagel e io stesso sono nato lì.” disse Artù, rivolgendo l’invito sia a Ginevra che a Leodegrance. “Mi piacerebbe davvero molto tornarci ancora una volta con voi, Ginevra, e farvi conoscere qualcosa in più sulla mia storia familiare.”
“Mi dispiace contraddirti, Artù, ma per me gli spostamenti a cavallo finiscono qui.” lo interruppe Leodegrance. “Sto invecchiando e preferisco rimanere a riposare. Perdonami se non mi unisco a te e a mia figlia anche in questa occasione.”
“Non c’è problema. Puoi restare al castello a riposare quanto vuoi. Darò disposizione ad alcuni uomini fidati del mio esercito di accompagnare me e Ginevra: non hai nulla di cui preoccuparti.”
“Ti ringrazio, Artù.” si scusò il re di Carmelide.
   
 
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