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Autore: Shily    09/11/2021    1 recensioni
James Adams ha ventisei anni, troppi straordinari alle spalle e due solide, ferree convinzioni.
La prima è che l'amore è la tomba della passione, la seconda è che deve sempre affidarsi al suo insistinto per non finire nei guai.
Quando però una sera, complici un temporale e un paio di birre, si trova stretto sul divano della migliore amica di sua sorella, con i calzini zuppi d'acqua e i riscaldamenti al massimo, l'intuito si rivela inevitabilmente un pessimo consigliere.
Ma soprattutto, James non fa sesso con una ragazza dalla bellezza di otto mesi, due settimane, quattro giorni e dodici ore - non che tenga il conto, eh - e lui l'astinenza non l'ha mai saputa praticare. Si troverà così a fare i conti con Annabeth, cresciuta a pane e favole Disney - lui, invece, è il classico cinico per tradizione - , oltre che con quei famosi fantasmi del passato di cui tanti parlano.
E mentre il mondo sembra premere perché lui superi il bivio di una vita, crescere o non crescere, con lei si ritroverà a fare la più grande delle sue cazzate.
Probabilmente a prendersi un raffreddore e tornare a casa sotto la pioggia si sarebbe evitato molti problemi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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03. In vino veritas... in birra catastrofe


Di cazzate nella vita ne avevo fatte tante, al punto tale da non riuscire a ricordarle tutte - mia madre invece sì, lei probabilmente aveva ognuna di esse stampate nella memoria.
Ne avevo fatte di grosse e di piccole, come quando ero quasi stato espulso per aver cercato di rubare una copia del compito di scienze o quando, a nove anni, avevo quasi rischiato di rompere una gamba a Leanne per spingerla giù da un muretto; la più epocale era certamente quella di me e Robert che, ancora minorenni, in un sabato d'estate avevamo rubato la macchina dei nonni e, senza patente, eravamo andati a un festival della musica.
Bello, per carità, ma non valeva neanche la metà della punizione che avremmo trovato a casa.
Tanti gli sbagli e le stronzate che mi portavo alle spalle da aver avuto la nomea del teppista per anni: avevo tradito ed ero stato tradito, avevo avuto ragazze da una notte, ragazze più grandi - donne. C'era stata poi la cugina Cassie, che in realtà era cugina di Robert da parte di madre, ma una nostra lontana parentela non ci aveva fermati dall'appartarsi al compleanno dello zio.
Col senno di poi, forse, qualcuno dei tanti rischi non l'avrei rifatto oppure sì, ma con più attenzione così da non essere scoperto. Ma mai, nella lunga lista che mi caratterizzava, avevo fatto una cazzata come quella della sera prima.
Perché, e scusatemi il francesismo, porca miseria ero andato a letto con Annabeth.
Sentivo il suo respiro al mio fianco mentre le prime luci del mattino filtravano dalla finestra socchiusa. Mi voltai verso di lei, distesa sul materasso - sul quale, ancora sotto gli effetti dell'alcol, aveva insisto perché ce la portassi nuda e in braccio.
Mi soffermai sulla schiena bianca e liscia, passando per i capelli sparsi sul cuscino e terminando con il lenzuolo che la copriva dalla vita in giù.
Questa volta l'avevo fatta proprio grossa.
"Sei sveglio," constatò lei, continuando a darmi le spalle.
Chiusi gli occhi e inspirai profondamente, prima di iniziare l'inevitabile conversazione.
"Anche tu," mi passai una mano tra i capelli umidi a causa dei termosifoni troppo alti e dei piumoni pesanti.
Almeno avevo scoperto qualcosa su di lei quella sera, oltre alla sua taglia di reggiseno ma a quello preferii non pensare: era troppo freddolosa.
"James," chiamò e rotolò sul letto per guardarmi, "Abbiamo fatto sesso?"
"Temo proprio di sì," risposi. "Ho bisogno di fumare. Ti dispiace?"
"Un po sí in realtà, nelle altre stanze va bene ma in camera da letto poi rimane," la vidi scorrere con lo sguardo su tutta la mia figura. "Com'è potuto succedere?"
Quella era esattamente la stessa domanda che mi stavo facendo dal momento in cui avevo aperto gli occhi. Avevo urgentemente bisogno di una sigaretta e Annabeth sospirò al mio fianco, ricordandomi la sua presenza.
Magari ne avrei fumare due, và.
"Mi scoppia la testa," mormorò e si mise seduta, afferrando il lenzuolo per coprirsi. "Ti va un caffè?"
Mi sporsi verso il comodino alla ricerca del telefono e lo trovai ai piedi del letto. Lo raccolsi e controllai l'orario... Accidenti, ma quanto avevo dormito?
"In realtà dovrei andare a lavoro, sennò rischio di fare tardi."
Vidi Annabeth aprire uno dei cassetti, portandosi il lenzuolo dietro, e recuperare una maglietta. Dopo quella che mi sembrò un'eternità, si decise finalmente ad alzare lo sguardo su di me.
"Ti aspetto in cucina," disse con tono incolore. "Se vuoi puoi darti una sciacquata prima di andare."
Annuii e mormorai un ringraziamento, restando a guardare mentre usciva di corsa dalla stanza. Mi ributtai sul letto con un tonfo e un rimbalzo dovuto all'impatto, desiderando solo una pala e un posto dove sotterrarmi.
Da quel momento in poi, sobrio per tutta la vita.
Fu solo venti minuti, molte imprecazioni e una notevole dose di coraggio dopo che varcai la soglia della cucina. Annabeth era lì che aspettava appoggiata al bancone, una tazza in mano e i capelli stravolti.
"C'è del caffè se vuoi," indicó una caffettiera color giallo limone e notai le profonde occhiaie che le segnavano il volto.
"Annabeth, ascolta, per quello che è successo stanotte..." mi accarezza il principio di barba con le nocche.
"Non lo diremo mai," mi interruppe con lo sguardo ancora perso nel vuoto. "A nessuno, neanche a Robert."
Lasciai cadere la mano e tirai un sospiro di sollievo, felice che lei fosse sulla mia stesa lunghezza d'onda. Come se non lo fosse già stata anche quella notte... No!
Stop, James. Dimentica tutto.
"Come se non fosse mai successo, nessuno lo saprà."
"Specialmente Leanne. Tu sei suo fratello e lei..."
"La regine del dramma, lo so," conclusi per lei, immaginando perfettamente l'apocalisse che avrebbe generato una rivelazione del genere. "Sarebbe una tragedia."
Annabeth annuì e sospirò profondamente. "Che gran casino, eh?"
Grande lo era sì, cazzo.
"Annie, mi dispiace."
Lei provò a sorridere, sebbene con scarsi risultati, limitandosi ad alzare un angolo della bocca.
"E di cosa? Non mi hai mica costretto."
"Lo so, però potevo evitarlo."
"Se non ricordo male hai bevuto quando me," mi fece notare. "E sono io che ti sono saltata addosso."
"Non me ne lamento, tranquila," provai a scherzare, incontrando però l'espressione sofferente della ragazza. "Ricevuto, è ancora troppo presto."
Annabeth alzò un sopracciglio in modo eloquente e mi pentii subito di aver aperto la bocca.
"James," prese una piccola pausa, "Io di solito non le faccio queste cose, ci tengo a precisarlo."
"Quali cose?"
"Queste. Noi due," mosse il dito tra di noi. "Non le faccio, non sempre per lo meno. E soprattutto non con il fratello della mia migliore amica"
"Annabeth Foster," mi portai la tazza alle labbra per nascondere il sorriso beffardo, "Allora non sono la tua prima avventura di una notte: sei una continua sorpresa."
"Dí un po', dove vuoi che ti tiri la tazza? In testa, nello stomaco, nel..."
"Va bene così," la interruppi divertito. "Non serve che continui, ho già capito. Non ti facevo così aggressiva, sai?"
Alzò gli occhi al cielo e trattenne un sorriso, mordendosi il labbro inferiore. Come un lampo mi tornano in mente i ricordi della sera prima, quando l'avevo baciata fino allo sfinimento in ogni parte del corpo e quando le sue labbra avevano sfiorato ogni superficie possibile del mio corpo.
Cazzo, dovevo smetteterla.
"Devo andare," esclamai all'improvviso senza darle il tempo di ribattere. "Il lavoro, sai com'è."
Lei annuì e mi guardò stranita. "Buona giornata allora. E ricorda, nessuno deve sapere."
"No, nessuno," ripetei cantilenante e posai la tazza nel lavandino. "Ehm... grazie per tutto."
Io cosa?
Annabeth strabuzzò gli occhi e mi precipitai fuori dall'abitazione.

 
🍓



Grazie per tutto avevo detto ed ero scappato via.
Ma, esattamente, grazie per cosa?
La birra?
L'ospitalità?
Il caffe?
L'orgasmo?
Grazie per tutto, e probabilmente avrei cambiato nome e continente pur di non rivedere Annabeth mai più.
"Jim, sei sicuro che vada là?"
Mi girai verso il mio amico Dave, intento a indicarmi dubbioso una lunga asse di legno che dei ragazzi stavano trasportando.
"Ehm... no, non lo so. Mi ero distratto," mi pettinati i capelli con una mano.
"Va tutto bene?" mi guardò. "Sei un po' strano oggi."
"Alla grande," mi sforzai di sorridere e sembrare naturale. "Solo un po' di stanchezza."
"Come vuoi. Alla fine ieri che fine hai fatto? Ti aspettavamo."
Ho rovinato per sempre la mia vita e il rapporto con mia sorella.
"Sono rimasto da un amico, pioveva troppo e non me la sentivo con la moto."
"Quale amico?"
"Non... non lo conosci," mi finsi impegnato a raccogliere dei materiali da terra.
"Jim, i tuoi amici sono anche i miei. Dai, dimmi chi è."
Sentii un'ondata di panico montarmi dentro e mi cominciai a guardare intorno alla ricerca di un salvagente. Poco lontano da lì, la grande e luminosa insegna di un negozio di materassi faceva bella mostra di se:

Daniel Shermann, dove la comodità non è un sogno.

Come fossi stato colto da un'illuminazione divina, esultai mentalmente e risposi:
"Daniel, il mio vicino di casa, ora abita in centro. Te lo ricordi?"
"Non molto," Dave si strinse nelle spalle e io, per la felicità, mi sarei dato il cinque da solo.
Triste. Molto tristeragazzi.
"Adams," tuonò una voce e, racimolando tutta la mia pazienza, mi voltai verso il capo cantiere Owen. "La tua pausa pranzo è iniziata cinque minuti, se inizi più tardi non riavrai il tempo perso."
"Va bene, vado subito," urlai e alzai un pollice verso l'alto. Mi rivolsi poi a Dave: "Quello mi odia."
"Non è vero, è solo un po' burbero."
Esausto mi tolsi il casco protettivo e pulii le mani sui pantaloni. "Con te forse, perché sei il figlio di uno dei soci dello studio. A me odia proprio."
Dave si strinse nelle spalle. "Credo sia colpa della tua faccia, ad alcuni può dare fastidio."
La mia faccia?!
Evitai di rispondere, cacciando indietro l' autostima che cadeva a picco, e mi allontanai dal cantiere. Appoggiati alla mia moto e intenti a litigare, trovai Robert e Rebecca.
"Sei un'animale," sbottò lei e si allontanò dal ragazzo.
"Come sei pesante, ti ho solo spinta un po'. Non è colpa se sei così leggera che voli."
"Spinta un po'?" ripetè Rebecca e sbattè un piede per terra. "Mi hai fatto cadere dalla moto. Col sedere per terra."
"Mi auguro ci sia un video della caduta," sorrisi e mi avvicinai a loro.
"Purtroppo no, è successo tutto troppo velocemente," rispose Robert e mostrò due buste targate Mc Donald's.
"È un gran peccato," mossi il busto per evitare un pugno. "Però scendi da là, Robs. Non si mangia su di lei."
"Scusa, non volevo sporcare la tua fidanzata," alzò le braccia al petto. "Anche perché è l'unica che hai al momento."
Con una spinta a mio cugino, presi il panino e cominciai a mangiare voracemente. Non me ero reso conto di averne così tanta fame, ma nel momento stesso in cui avevo sentito l'odore delle patatine il mio stomaco si era svegliato tutto all'improvviso, accusando il colpo della mancata colazione.
"Siete disgustosi," commentò Rebecca, cercando un punto pulito del marciapiede su cui sedersi. "Sembra che non mangiate da un mese."
"Allora perffe maii c' 'po?"
"Jim, ingoia prima, ti prego."
"Dicevo," mi pulii il mento con una manica della maglietta. "Perché mangi con noi allora?"
"Perché quando avevo cinque anni la nonna mi ha chiesto di pensare a voi, altrimenti stava pensiero."
Come ragionamento  non faceva una piega.
"A proposito di stare in pensiero," Robert mi guardò male, in un'ottima imitazione di sua madre, "Si può sapere che fine hai fatto ieri sera?"
Assurdo! Ventisei anni e ancora mi giustificava per dove passava la notte... Con Roberto poi.
"Ma niente," mi strinsi nelle spalle, evitando accuratamente il suo sguardo. "Te l'ho detto che non riuscivo a venire per la pioggia."
"Non è vero," mi puntò un dito contro. "Hai detto che facevi tardi e mi hai lasciato da solo con Dave, è stato impossibile avvicinare una ragazza."
"Non esagerare, dai" mi sentii in dovere di rispondere. "Dave se la cava."
"Ma non quanto il collaudato duo Jim-Robs. Rebecca, digli qualcosa anche tu."
Nostra cugina si sporse oltre di lui per riuscire a parlare . "Dov'eri, Jim? Hai avuto difficoltà a tornare a casa con la pioggia?"
Mi guardava con un'espressione sinceramente preoccupata e io, alla vista delle due persone con cui ero cresciuto e che mi conoscevano meglio di chiunque altro, fui quasi sul punto di vuotare il sacco.
Non desideravo altro che potermi togliere il peso di quel segreto e dividerlo con qualcun altro, raccontare di come le cose fossero precipitate senza che nessuno dei due potesse fare qualcosa per impedirlo. Ma più di tutto avrei voluto dimenticare i sospiri di Annabeth che mi avevano accompagnato per tutta la mattina, e il suo profumo di cui ora ogni cosa sembrava impregnata.
Che schifo di situazione in cui mi ero infilato.
"Terra chiama James," Robert mi agitó una mano davanti agli occhi.
"Sí, eccomi. Mi ero incantato."
"Già, ce n'eravamo accorti."
"Robert, fa un po' silenzio," lo richiamò Rebecca. "Allora, James, dove sei stato?"
Abbassai gli occhi, incapace di reggere il loro sguardo, e mentii. Perché Annabeth quella mattina aveva detto la verità: nessuno poteva sapere o sarebbe stata la fine.
Io avrei fatto la parte del solito James che combinava casini e non pensava prima di agire e lei... beh, lei era la migliore amica di Leanne e tanto bastava per creare uno scenario catastrofico.
"Mi ha ospitato un amico del lavoro, abita vicino Annabeth e quando ho visto il tempo l'ho chiamato."
"Chi?" chiese Robert. "Lo conosco?"
"No," risposi con troppa foga, mi ero rotto che tutti volessero la lista delle mie amicizie. "È nuovo, non l'hai mai visto."
Ora dovevo solo evitare che Dave e Robert si incontrassero.
Speranza quasi impossibile visto che era con loro che uscivo, mangiavo e respiravo.
Rebecca controllò l'orario sul telefono e si alzò in piedi, passandosi una mano sul jeans per pulirlo. "Io devo andare, ho lasciato il locale alla nuova apprendista e devo controllare che non abbia fatto saltare niente in aria," annunciò, riferendosi alla pasticceria in cui lavorava.
"Lavori troppo, Rebs," la rimbeccai affettuosamente.
"Detto da te, che non ti allontani dal cantiere neanche per la pausa pranzo, suona un po' finto."
Robert nasconde il viso tra le mani. "Siete diventati due adulti noiosi, che fine hanno fatto i cugini che uscivano a far festa con me?"
"Io non l'ho mai fatto," rispose lei e raccolse la borsa da terra.
"L'altro ieri abbiamo fatto l'alba insieme," obbiettai e mi alzai in piedi per salutare mia cugina.
"Ci sentiamo, ragazzi," diede a entrambi un veloce bacio sulla guancia e corse via.
"Allora," Robert raccolse i residui del nostro pranzo da terra, "Che facciamo?"
"Io," sottolineai con forza, "Torno a lavoro, o è la volta buona che Owen mi caccia."
"E io che faccio, scusa?"
"Non è colpa mia se hai aperto un locale notturno," gli diedi una veloce e consolatoria pacca sulla spalla. "Magari passo stasera, dai."
"Ci conto," allungò il pugno chiuso contro il mio a mo' di saluto.
Diedi uno sguardo al cellulare e vidi una nuova notifica. Avevo perso una chiamata da mia madre. Controllai un' ultima volta l'orario e portai il telefono vicino all'orecchio. Pochi istanti dopo la voce calma e familiare di mia mamma saluto.
"Ciao, ma'. Ho trovato la chiamata, è successo qualcosa?"
"Jim, mi sono preoccupata."
"Ma sono a lavoro, ma'," distesi le labbra verso l'alto.
Non lo voleva proprio accettare che quando ero in cantiere non le potevo rispondere e, inevitabilmente, finiva sempre per preoccuparsi. Forse era colpa delle tante volte in cui le ero scomparso da sotto al naso tra l'infanzia e l'adolescenza.
"Hai ragione, scusa," rispose. "Non è che quanto torni puoi..."
"Che?" mi spinsemi il telefono contro l'orecchio con forza. "Mamma, non ti sento. Sei in bagno, vero?"
"Sono in salotto, lo so che lì non prende," fece e sentii in sottofondo dei passi veloci. "Dicevo: me lo prendi il pane quando torni?"
Scossi la testa divertito. "Certo! Ti faccio un messaggio quando sto tornando."
"Lo spero bene, sono tre sere che non torni a casa!"
Sospirai e mi passai una mano sugli occhi: ecco che ripartiva il solito disco del "Questa casa non è un albergo" e "Io ti ho fatto e, se voglio, io ti disfo."
Non vedevo l'ora che casa mia fosse pronta per reclamare un po' dell' indipendenza che avevo tanto desiderato da quando aveva sette anni - a mia difesa ero sempre stato precoce per la mia età.
"Hai ragione, stasera sono tutto tuo," risposi e, sebbene lei non mi potesse vedere, assunsi la mia miglior espressione pentita. "Ci guardiamo un film insieme noi due?"
"E i tuoi fratelli dove li metti?"
"Lasciali stare loro," minimizza. "Almeno qualche volta fammi credere di essere figlio unico, reggimi il gioco."
La sentii ridere e la immaginai portare le mani sui fianchi in segno di rimprovero. "Vai a lavorare, và. Così posso vantarmi con quell'antipatica della signora Robinson che mio figlio progetta case."
"Fai la brava," la ripresi con affetto. "Io vado. Un bacio, ma'."
Chiusi la telefonata e feci per riporre il cellulare nella tasca, quando l'arrivo di una nuova notifica attirò la mia attenzione.
Ancora un po' e l'avrei buttato da un ponte.
Le mie intenzioni erano di leggere il mittente e rimandare la questione a dopo il lavoro, ma il numero non era salvato in rubrica. Preso dalla curiosità aprii la chat per vedere la foto del contatto.
Era Annabeth.
Il biasimo per me stesso mio piombò addosso come un macigno: Annie passava le vacanze a casa mia da anni, avevamo trascorso la maggior parte delle feste insieme e ci ero persino andato a letto. Ma nonostante ciò non avevo il suo numero salvato.
Anche questa volta mi feci i complimenti da solo.
Mi sono sentita con Leanne. Mi hai lasciata a casa prima che iniziasse a piovere, se dovesse chiedere anche te.
Una bugia in più o in meno, ormai, non faceva la differenza.
Un unico pensiero mi accompagnò mentre indossavano il casco protettivo e mi avvicinavano ai colleghi: l'astinenza era proprio un brutto affare.


 
🍓
 


Rimanendo in tema di felicità, io lo sono che voi non avete idea. Vedere i vostri commenti, scleri e supporto nei miei confronti e della storia è inspiegabile.
Mille e uno volte grazie.
Da me, da James (che si sta rivelando un ottimo protagonista) e da Annabeth (che, per tutti noi, si sta rivelando un ottima sorpresa).
E insomma, grazie per tutto (cit) 😜
Di nuovo, mi farebbe piacere sapere che ne pensate.
 
   
 
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