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Autore: StClaire    12/11/2021    0 recensioni
Andrea ed Elisa credono di essere diverse tra loro, ma in fondo sanno che sbagliano. Si incontrano per caso e per caso si attraggono. Ma cosa possono dare l'una all'altra?
Andrea ha ventitré anni, studia architettura all'università e ha uno stile di vita dedito alle feste, l'alcol e alle droghe leggere.
Elisa ha diciassette anni, ha i capelli tinti di rosa, un'anima ribelle e tanti dilemmi in testa, tra i quali, il suo fidanzato.
Una stupida scommessa, una partita di rugby, la gelosia e un aiuto tanto svariato quanto non richiesto daranno il via a una serie d’inaspettati eventi.
Dal testo:
«Sai una cosa, Elisa?», domandò Andrea.
Elisa sentiva il freddo entrarle negli occhi, gelarle le lacrime, «Cosa?», mormorò in un filo di voce.
«Faccio fatica a toglierti gli occhi di dosso», confessò Andrea.
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 1
  
Le luci della città andavano ad affievolirsi. Elisa sospirò guardando fuori dal finestrino. Avrebbe di gran lunga preferito rimanere a casa, la sua casa, che imbarcarsi in quella follia.
«Veramente una stupida idea mamma, davvero stupida», bofonchiò, ancora, Elisa dai sediolini posteriori dell’auto.
«Ti prego, smettila», sbottò Cesare, sbattendo le mani sul volante e guardando in cagnesco verso sua sorella attraverso lo specchietto retrovisore.
«Smettetela entrambi!», urlò a sua volta Nadia, «Mi sembra di stare con due bambini! È solo una cena!», continuò la donna, guardando prima verso suo figlio e poi verso sua figlia, «Cercate di non farmi fare brutte figure!»
«Ah!», Elisa incrociò le braccia e si stravaccò alla meglio nella sua seduta, «Immagino che le figlie di Michele siano perfette!», commentò con ironia.
«Ma Michele non passa la metà delle sue giornate a lamentarsi di una delle figlie? L’ha chiamata più volte “delinquente”, l’ho sentito!», domandò Cesare, bussando con forza sul clacson e imprecando.
«Non permetterti di chiamarla così!», si allarmò Nadia nel posto dell’accompagnatore, «È solo… uno spirito libero!», terminò, felice di essersela cavata con quell’aggettivo.
«Certo, certo…», mormorò Elisa, «Che c’è?», domandò poi verso sua madre che la stava ancora fissando.
«I tuoi capelli, tesoro», mormorò sua madre. Elisa alzò gli occhi al cielo, «Dovresti smetterla di tingerti i capelli. Si rovineranno!»
«Soprattutto, dovresti smetterla di tingerteli di questi colori di merda!», gignò Cesare, «I capelli rosa, sei rimasta agli anni novanta…», soffiò scuotendo la testa.
«Vaffanculo Cesare!», sbottò Elisa dando un calcio al sedile del fratello.
«Brutta stronza…», ringhiò il ragazzo girandosi, per quanto la cintura gli permettesse, verso i sediolini posteriori.
«BASTA!», urlò Nadia, «Ringraziate il cielo che siamo quasi arrivati e che non posso ammazzarvi qui! Ascoltatemi bene», disse slacciandosi la cintura e guardando verso i suoi figli, «So che quest’idea della convivenza non vi va giù, ma è solo l’inizio. Michele lo conoscete da anni ormai, e sapete che uomo incredibile sia», Elisa alzò gli occhi al cielo e Cesare reclinò il capo all’indietro, «Quindi», riprese Nadia respirando profondamente, «Vedete di non essere antipatici, soprattutto tu, signorina», ringhiò Nadia verso sua figlia, «Sono davvero sicura che andrai d’accordo con Bianca. Ha la tua età ed è davvero carina, sembra una bambola!».
Elisa mimò un sorriso tirato e aprì la portiera della macchina, senza neanche rispondere a sua madre. Se questa Bianca veniva definita “bambolina” da sua madre, doveva essere una noia.
«E l’altra?», domandò Cesare mentre usciva anche lui dalla macchina.
«Andrea? Andrea ha la tua età e studia architettura, come il padre. Ed è anche molto brava…»
«Nonostante sia una delinquente?», domandò ironicamente Elisa.
«Elisa!», la richiamò sua madre, «Smettila!», Nadia li scrutò un’ultima volta, prima di entrare nel lussuoso ristorante che Michele, il suo compagno, aveva scelto per quell’inevitabile cena.
«Beh, almeno se l’è scelto con i soldi…», mormorò Elisa a suo fratello.
«Già, almeno quello», constatò Cesare, «Mamma dice che possiede una casa molto grande».
«Ci mancherebbe. Andare a vivere dall’altro lato del mondo per ritrovarsi tutti e sei stretti nella stessa stanza».
Cesare sospirò e le passò un braccio intorno alle spalle ed entrò nel ristorante, seguendo il ticchettio ritmato dei passi di sua madre. Si guardarono intorno, ed Elisa si sentì improvvisamente fuori posto, ma decise di allontanare quella spiacevole sensazione. Il bianco primeggiava su tutto. Dai muri, alle tovaglie, agli abiti delle cameriere, dai pavimenti luminosissimi. Il sobrio chiacchiericcio la metteva in soggezione. Lei era abituata a posti di tutt’altro rango, pub, birrerie, piazze. Si meravigliava un po’ della scelta di Michele, il compagno di sua madre. Elisa lo conosceva bene, e non le sembrava il tipo da posti del genere. Era vero, era ricco, anzi, ricchissimo, ma in quel posto avevano tutti la puzza sotto il naso. Si sentiva ferocemente osservata e la sensazione non le piaceva, così si strinse ancora di più a suo fratello, che al contrario suo sembrava perfetto in quel luogo. I suoi capelli biondi stridevano in confronto ai suoi, rosa. A lei piaceva quel colore, non ci vedeva niente di male e comunque, prima o poi, la tinta sarebbe andata via.
La sua attenzione fu catturata da un uomo che si era alzato da un tavolo verso il centro della sala, sotto un lampadario che sembrava fatto interamente di cristallo.
Michele fece cenno loro di raggiungerlo, sorridendo.
Accanto a lui, al tavolo rotondo e luminoso come tutti gli altri, era seduta una ragazza, quella che doveva essere Bianca. Elisa la guardò attentamente. Sua madre aveva ragione, sembrava una bambola. La pelle era simile alla porcellana, in contrasto con il rosso dei capelli, e le guance erano velate di rosa naturale, non era blush. Gli occhi azzurri sembravano due diamanti, e la camicetta da lei indossata le sembrava la cosa più candida che avesse mai visto. Era la copia esatta, femminile e bellissima, di Michele. Si girò verso suo fratello notando che fissava con sorpresa la figlia di Michele. Gli diede un colpetto facendolo rinsavire e si sedette.
«Benvenuti!», esordì Michele, «Spero che non abbiate avuto problemi a trovare il ristorante, è un po’ fuori città, ma vi piacerà, ve lo prometto», stampò un bacio a timbro sulle labbra di Nadia e poi strinse la mano di Cesare.
«Andrea?», domandò Nadia a Michele, mentre lui la faceva accomodare.
Cesare notò che Michele si era rabbuiato in volto alla sola pronuncia del nome della sua primogenita.
«Oggi aveva un esame, è in ritardo», mormorò Michele, «Ci ha pregato vivamente di iniziare anche senza di lei», sbottò l’uomo, «E credo proprio che accetteremo...»
«Oh, no! Non se ne parla proprio», squittì Nadia sorridendo, «L’aspetteremo».
Michele le sorrise, ma Elisa lo notò, era un sorriso tirato. Chissà. Forse Michele aveva ragione, Andrea doveva essere una “delinquente”. Era sicuro di non averla mai vista, come d'altronde non aveva mai incontrato Bianca.
«Bianca, frequenti il quarto anno vero?», domandò Nadia.
Bianca annuì, senza perdere il sorriso dolce che le aveva visto in viso appena arrivati, «Sì, sono al quarto anno del classico».
«Anche Elisa è al quarto anno!», sorrise Nadia guardando sua figlia e invitandola con lo sguardo a parlare con la sua coetanea.
«Già», annuì mestamente Elisa, «Solo che io studio lingue».
«Sarebbe piaciuto anche a me, il Latino e il Greco sono molto belle come lingue, ma diciamo non proprio pragmatiche…», sorrise Bianca.
«Hai sedici anni, come me?», le domandò Elisa, stupita, aggrottando le sopracciglia. Quale sedicenne normale utilizzava “pragmatiche”, come aggettivo?
«Sì», annuì Bianca sorridendo, «sono del 2005».
«Un anno decisamente funesto per la mia vita».
Tutti si voltarono verso la voce che si era intromessa. Quella che doveva essere la primogenita di Michele si lasciò cadere scompostamente sulla sedia affianco sua sorella.
«Che c’è?», domandò rivolta verso Bianca, «È vero. Avevo otto anni e tu piangevi in continuazione! Eri una lagna! Una principessina viziata…»
«Andrea!», Michele richiamò sua figlia all’ordine, rosso in viso.
«Scherzavo», mormorò con un sorrisino infimo Andrea, facendo l’occhiolino a sua sorella che le rispose con una linguaccia.
«Com’è andato l’esame?», domandò Nadia rivolta ad Andrea.
«Bene», fu la sua unica e breve risposta, poi spostò lo sguardo su Elisa, incrociando i suoi occhi. Elisa sentì una scarica elettrica attraversarle il corpo, il suo cuore aveva perso un battito, e adesso arrancava per rimettersi in corsa. Si sentiva impaurita. Erano gli occhi più strani e affascinanti che avesse mai visto. Castani, chiarissimi, da sembrare quasi dorati, ma non era nel colore la loro particolarità, ma nelle pupille. Quella destra era stretta a una fessura, come se fosse colpita dal sole diretto, mentre quella sinistra era completamente dilatata, rendendo l’iride un semplice bordo. Per un motivo che non riusciva a spiegarsi, non poteva staccare gli occhi da quelli di Andrea. E lo sguardo di quella ragazza era indecifrabile, ma di certo non amichevole. Fu lei la prima a dedicarsi ad altro, voltandosi verso Michele che richiamava la sua attenzione.
«Andrea, loro sono i figli di Nadia», esordì Michele, «Cesare ed Elisa».
«Bei capelli», sorrise Andrea con ironia guardando Elisa, che sentì il suo viso andare in fiamme per la rabbia.
«Begli occhi», mormorò a denti stretti guadagnandosi un'occhiataccia da sua madre e suo fratello ma, stranamente, anche un sorriso sinceramente divertito da parte proprio di Andrea.
Forse capiva perché Michele la considerava una delinquente, anche se non riusciva a decidere se fosse per i capelli neri, in disordine, legati in una mezza coda dalla quale scappavano i ciuffi più corti, il septum al naso, i vestiti semplici e disordinati o l’eyeliner sbavato. O forse era per quegli occhi, strani e rossi. Aveva fumato, e non del tabacco, si vedeva lontano un miglio.
«Cesare, Nadia mi ha raccontato della tua squadra di rugby», Michele riprese la conversazione, richiamando l’attenzione del ragazzo che annuì.
«Sì. Ho appena cambiato squadra. Campionato di Eccellenza», rispose in modo fiero. «Ed è una cosa bella?», domandò Bianca inserendosi nella conversazione.
Elisa vide Cesare sorridere in modo seducente a Bianca. Quella ragazzina aveva degli occhi allucinanti. Sembravano di cristallo. Completamente diversi da quelli assurdi della sorella.
«È come la serie A del calcio», spiegò, «Quest’anno la mia squadra al momento è capolista».
«Che campione», borbottò ironicamente Andrea guardando il cellulare.
«Andrea, il telefono», la richiamò asciutto Michele.
«Si lo so, niente telefono a tavola», sbuffò lei riponendo il telefono in tasca.
«Quindi non vai all’università?», domandò ancora Michele.
«No. Il mio è praticamente un lavoro a tempo pieno. Mi alleno tutta la giornata e ovviamente poi si alternano le trasferte».
«Giusto», annuì Michele, «Almeno viaggi molto».
«Anche troppo», si inserì Nadia ridendo, «A casa non c’è quasi mai!».
«Che perdita…», sbadigliò Andrea guadagnandosi un’ammonizione da suo padre. Elisa li guardò bene.
Aveva l’impressione che Michele sapesse benissimo che Andrea non era propriamente in sé.
Abbassò lo sguardo e cercò di evitare di farsi inserire in qualsiasi discussione. Aveva ancora quella sensazione di ansia mista a paura. Come se stesse succedendo qualcosa di estremamente sbagliato. Aveva sempre la sensazione che Andrea la stesse guardando, ma ogni volta che guardava nella sua direzione quella ragazza era impegnata in qualcos’altro. Elisa non poteva fare a meno di domandarsi se ci vedeva bene, ma sembrava di si. Non aveva mai visto degli occhi del genere.
 
*
 
Il fatidico giorno era arrivato. Elisa deglutì a stento, guardando quella che era stata la sua amata casetta, per lunghi sedici anni, scomparire attraverso lo specchietto retrovisore. Sentiva una strana sensazione di abbandono, dentro, una malcelata tristezza del suo essere. Non voleva lasciare casa sua per andare a vivere insieme a degli sconosciuti, anche sé vedere sua madre felice dopo gli anni passati a soffrire per i tradimenti di suo padre, la rendeva abbastanza serena. In fondo era felice per sua madre, ma costringerli ad andare a vivere dall'altra parte della città le sembrava veramente qualcosa di esagerato. L'unica nota positiva, da quanto aveva capito dai racconti di sua madre, era che la casa di Michele era veramente grande e bella. Michele, architetto di successo, aveva apportato delle modifiche alla casa per i nuovi abitanti.
Quando arrivarono, infatti, la prima cosa che la colpì, fu il giardino, era semplicemente immenso. Michele e la sua famiglia, vivevano nella zona residenziale della città, su una collinetta e tutte le case affacciavano sul mare. Loro venivano dal centro, e a tutta quella tranquillità non erano abituati. Soprattutto lei. La finestra della sua camera affacciava su una delle strade più vivaci della città ed era abituata a essere accompagnata nel sonno dagli schiamazzi felici della gente. Si guardò intorno, sembrava tutto tranquillissimo. Anche troppo.
«Spostati», sbottò Cesare dandole uno spintone, iniziando a scaricare i bagagli.
Elisa inspirò profondamente. Già era difficile di per sé, essere lì, senza che ci si mettesse anche suo fratello a girare il coltello nella piaga. Alla fine, non era scritto da nessuna parte che le cose sarebbero dovute andare male. Michele, il compagno di sua madre ormai da anni, le era simpatico.
«Iniziate ad andare dentro!», li incitò Nadia continuando a scaricare i bagagli, «E non fatemi fare brutte figure!»
Elisa e Cesare si guardarono, sospirando all’unisono, attraversarono il giardino curatissimo, attraversarono il percorso di ciottoli bianchi e salirono i pochi gradini, sempre bianchi, e arrivarono alla porta. Elisa inspirò profondamente e bussò.
Attesero un minuto, niente. Risuonò.
Ancora silenzio.
«Mi sembra un ottimo inizio», commentò sarcastico Cesare, voltandosi verso sua madre che era ancora al di là di quell’oceano di erba, «Siamo sicuri che siano in casa?».
Elisa schioccò la lingua infastidita e riprese a suonare come un’ossessa. Improvvisamente, quando le sue dita erano ancora attaccate al campanello, la porta si aprì con violenza.
«Ma che cazzo ti prende?», sbraitò Andrea che aveva praticamente scardinato la porta.
Elisa si bloccò, la bocca aperta dallo spavento. Andrea continuava a fissarla in cagnesco, una sigaretta storta in bocca e con quei suoi occhi particolari e lei non poteva far altro che rimanere incatenata al suo sguardo. Stava per proferire parola, ma la ragazza la precedette, rientrando in casa, ma lasciando la porta d’ingresso aperta.
«Immagino sia un invito a entrare…», mormorò Elisa ancora tramortita dallo spavento.
«Non ci manca una testa?», domandò Andrea indicandoli a malapena.
«Nostra madre è fuori, vicino alla macchina», ripose Cesare, appoggiando una mano sulla spalla di Elisa, che si sarebbe volentieri rifugiata da quello sguardo dietro le possenti spalle del fratello.
«Ok», annuì Andrea semplicemente, con un leggero ghigno del volto, «Comunque», riprese guardando ancora Elisa e soffermandosi sui suoi capelli tinti di rosa, «La tua camera è al piano di sopra, vicino alla mia, vedi, mio padre ha pensato bene di appenderci un bel quadretto col tuo nome, nel caso ti venisse una crisi d'identità», continuò con un malcelato tono di sarcasmo nella voce.
Elisa annuì semplicemente, cercando di mantenere la calma e non mandarla a fare in culo, lei e quel sorrisino di superiorità. Cinque minuti che era lì, e già la odiava.
«Vi serve una mano per i bagagli?», domandò Andrea aspirando una boccata dalla sigaretta quasi finita.
«No», rispose Elisa velocemente, forse troppo poiché Andrea inarcò un sopracciglio, sorpresa.
«Meglio così», aggiunse Andrea. Poi, incredibilmente, le dedicò un mezzo sorriso, che a Elisa ricordava più un ghigno.
Quella ragazza non prometteva niente di buono.
La sua fantasia riguardo al futuro roseo che si aspettava, si stava lentamente bruciando come la sigaretta che Andrea teneva tra le labbra.
 
*
 
«Di cosa ti lamenti, Michele?», sbottò Andrea parlando con suo padre e aspirando avidamente dalla sigaretta, «Non ho ancora ucciso nessuno, no?», domandò sarcastica.
«Non ho nessuna intenzione di scherzare, Andrea», rispose lui continuando a girare in cerchio. La fioca luce che veniva dai lampioni gli metteva in risalto gli occhi azzurri e le rughe, «Sono passate già tre settimane da quando Nadia e la sua famiglia sono venuti qui. E tu non hai fatto altro che evitarli come se avessero la peste!»
Andrea sbuffò, schiacciando quel che restava della sigaretta nel posacenere, «Sto studiando, Michele, non li sto evitando», rispose, «Certo, non è che impazzisca di gioia a vederli girare per casa, ma non credo che mi urterò di più».
«Tu pensi che Nadia sia stupida?», domandò con un ringhio Michele.
Andrea lo guardò, sorpresa da quella domanda, «Devo rispondere sinceramente?», chiese a sua volta, schioccando la lingua.
Suo padre scosse il capo con disappunto, «Non sopporto il tuo comportamento da ribelle!», latrò cercando di non alzare troppo la voce.
Andrea lo guardò per una manciata di secondi, «Che intendi dire?», domandò, anche se conosceva benissimo la risposta, «Sai che me ne sarei potuta andare. E sai che l’avrei fatto con piacere…», soffiò prima che lui riprendesse a parlare, «Invece, eccomi qui. Potresti almeno apprezzare questo», disse sarcasticamente allargando le braccia.
«Non voglio che per casa si senta parlare delle tue poco ortodosse abitudini…»
«Riguardo cosa faccio quando esco con i miei amici o intendi quello che faccio a le-….»
Improvvisamente il rumore di rametti spezzati li fece voltare.
Andrea incrociò lo sguardo impaurito di Elisa.
«S-scusate…», mormorò imbarazzata la ragazza.
«Figurati, avevamo finito», rispose con un sorriso forzato Michele, «Buona notte ragazze», aggiunse per poi allontanarsi a grandi passi. Andrea rimase a guardarlo allontanarsi verso casa e decise di accendersi un’altra sigaretta, lasciandosi cadere sul dondolo scuotendo la testa.
«Ehi, guarda che puoi uscire dall’angolo, non ti mangio mica», borbottò quando si rese conto che Elisa era ancora lì, troppo imbarazzata per fare qualsiasi cosa. La ragazza fece giusto alcuni passi, quelli che bastavano per rientrare nella pozza di luce che i lampioni davano.
«Ti piace il posto?», le domandò Andrea tanto per dire, le dava fastidio vederla lì in piedi, intenta a evitare il suo sguardo.
«Abbastanza», mormorò, «È un po’ troppo tranquillo per le mie abitudini».
Andrea annuì. Era vero. Quel posto era fottutamente silenzioso. Se qualche volta volevi farti una sana e rumorosa discussione con tuo padre, le voci echeggiavano all’infinito, amplificate dal silenzio del mare.
«Fumi?», le domandò per rompere il ghiaccio. Nelle settimane che erano passate, vivendo tutti quanti sotto lo stesso letto, aveva sempre cercato di evitare chiunque. Nadia, Elisa, Cesare e anche suo padre. Sventolò il pacchetto in direzione di Elisa, la vedeva indecisa. Lo sapeva che fumava, l’aveva capito da quando aveva messo piede in casa. La guardò tentennare, attratta dalla sua offerta, ma impaurita che qualcuno potesse vederla.
«Che c’è? Mammina non sa che fumi?», la prese in giro, lanciandole il pacchetto di sigarette morbide, che lei afferrò al volo, attenta a non spezzarle.
«No, non lo sa», rispose Elisa con un pizzico di irritazione.
Andrea la guardò, «Quanti anni hai?», domandò interessata.
«Quasi diciassette».
«E non ti vergogni ad andare in giro con quei capelli?», Andrea guardò Elisa prima sbiancare e poi farsi tutta rossa, poco mancava che soffocasse col fumo.
«No, e non credo che ti riguardi», sbottò Elisa arricciando le labbra e dandosi contegno.
«Ti sei arrabbiata?», la schernì Andrea alzandosi e guardandola negli occhi. Elisa aveva lo stesso verde degli occhi della madre.
«No», mentì lei.
Andrea si avvicinò, guardandola. O meglio, guardando i suoi capelli. Li aveva raccolti in una coda alta e non troppo ordinata. Elisa la fissava di rimando, domandandosi che diamine stesse facendo Andrea, ma lei sembrava non accorgersene.
«Qual è il tuo colore originario?», le domandò improvvisamente Andrea. Quei capelli erano davvero assurdi, ma sapevano come attirare l’attenzione.
«S-sono biondi», balbettò Elisa.
Andrea staccò gli occhi dai suoi capelli e la guardò in viso. Era pure bassa! Era stranamente arrossita. La guardò, aggrottando la fronte, «Mi ricordi qualcosa», esclamò infine.
«Qualcosa?», domandò Elisa, fissandola a sua volta in quei suoi occhi strani, come se fosse appena rinvenuta, «Che cosa?»
«Non lo so», rispose Andrea dopo un attimo di silenzio, «Io esco, ‘notte», e se ne andò, lasciandola lì, sotto la luce del lampione.
 
*
 
Elisa sgranò gli occhi nel buio della stanza. Si guardò intontita intorno, si era di nuovo addormentata sul divano nel salone di quell'immensa casa. Sentì di nuovo il rumore che l'aveva svegliata, seguito da un’imprecazione. Si alzò lentamente e si avviò verso l'ingresso, trovando Andrea accasciata davanti la porta principale.
«Che c'è?», domandò Andrea con la voce roca guardando verso Elisa.
«Ti senti bene?», mormorò Elisa dopo un attimo di silenzio. Guardò verso Andrea, era bianca, così pallida che sembrava emanare una luce propria, ma gli occhi erano infossati in due borse nere e così i suoi occhi sembravano ancora più esasperati.
«Tsk», soffiò Andrea, «Una meraviglia», borbottò lasciando ciondolare il capo di lato.
Elisa rimase in silenzio per un po', continuando a fissare Andrea ancora accovacciata vicino la porta d’ingresso, indecisa sul da farsi.
«Mi metti soggezione se rimani lì a fissarmi», asserì improvvisamente Andrea aprendo di nuovo gli occhi, «Che c'è?», domandò di nuovo.
«N-niente», balbettò Elisa, «Sicura di stare bene?». Quella ragazza le metteva troppa soggezione. Quegli occhi spaiati rendevano impossibile capire cosa stesse pensando. Non riusciva mai a capire se le sue parole fossero ironiche o meno.
Andrea sbuffò rumorosamente e si alzò in una sola abile mossa, «Certo. Tu che ci fai ancora sveglia? Ti sei di nuovo addormentata sul divano?».
Elisa aprì la bocca per dire qualcosa, ma nessun suono di senso compiuto riuscì a uscire, «Che ne sai?», domandò.
Andrea si appoggiò alla porta sorridendo di sbieco, «Non dormo molto la notte. E tu sei sempre sul divano quando scendo in cucina. Che c’è, il letto è scomodo?».
«No, è comodo. È solo che… non lo so. Non riesco a dormirci», rispose Elisa scrollando le spalle.
«È solo che non è il tuo», concluse Andrea per lei.
Elisa si fece forza e alzò lo sguardo incrociando quello felino di Andrea, «Già», sussurrò sorpresa. Il tono di Andrea era cambiato repentinamente, 
«È una sensazione che conosco», mormorò Andrea sospirando profondamente, «Vado in camera, torna a dormire», disse scompigliandole i capelli e superandola.

 
_______


Salve!
Volevo avvisare che la storia era già stata pubblicata anni fa ed era in fase di sviluppo, poi ho voluto tagliare alcuni personaggi più o meno importanti e così eccoci qui! La sto ripubblicando!
Spero che il primo capitolo piaccia, ho bisogno di svago :)

Ah, il titolo l'ho copiato a Troye Sivan!
A presto!
 
  
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