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Autore: Little Firestar84    12/11/2021    5 recensioni
Questa storia partecipa a “Luoghi dell’Orrore” indetto sul gruppo facebook Il Giardino di Efp”
Due ragazze scomparse apparentemente nel nulla; un padre disperato che chiede aiuto, certo che City Hunter possa essere la sua unica possibilità per ritrovare le sue figlie prima che sia troppo tardi.
Ma il Bosco di Aokigahara sarà la fine del duo City Hunter? O in mezzo a quella foresta ci sono ancora segreti da scoprire?
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
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 “Tutta questa storia non mi piace…. Sei certo che abbiamo fatto bene ad accettare questo caso?” Kaori si guardò intorno con titubanza, mentre lei e Ryo entravano nella hall dell'albergo, in stile antico, ai piedi del monte Fuji.

“Che rottura, Kaori, sei tu quella che si lamenta che non accetto incarichi da uomini… per una volta che lo faccio, mi pianti la grana!” Ryo sbuffò, mentre, dentro di sé, se la rideva della grossa e pregustava la ricompensa finale che gli sarebbe toccata, o perlomeno il gusto della caccia... sì, era vero, per una volta aveva accettato un caso da parte di un uomo, ma Kaori non era certo nata ieri, aveva capito che lui non era esattamente mosso da nobili motivi e perciò lo fulminò: sapeva benissimo il perché della decisione del socio.

A lui non interessava il cliente, ma le di lui figlie, Yumiko e Yuriko, le avvenenti giovani gemelle, modelle di biancheria intima, che erano sparite nel nulla mentre facevano le turiste… Ryo, appena viste le fotografie tratte da numerosi cataloghi di intimo di alta gamma di diverse griffe europee, aveva messo la sua tipica faccia da allupato, ed aveva iniziato a sogghignare, probabilmente immaginando come le due sorelle lo avrebbero ringraziato una volta che lui fosse corso in loro aiuto.

Perché, logicamente, anche loro sarebbero cadute vittima del fascino di Ryo, come succedeva sempre, ogni volta. Ed ogni volta, Ryo ci stava, stava al gioco, si lasciava sedurre da due moine, da sguardi ammiccanti, e non porgeva la benché minima attenzione a ciò che Kaori provava.

Anzi: la rimproverava pure, rammentandole che lui era il suo tutore. Che lei era solo la sua socia. Che lei non poteva decidere della sua vita. Non erano sposati, che si trovasse qualcun altro a cui fare scenate di gelosia…

Kaori si sentì pervadere da una sensazione di paura, quasi tutto il suo corpo fosse percorso da brividi, mentre camminavano nella hall, e si strinse nelle spalle, rattristata ed insicura, mentre stava alle spalle di Ryo, e fu totalmente incapace di scacciare quei pensieri crudeli, derisori, che la ferivano… si sentiva osservata, quasi mille occhi le stessero scrutando dentro, nel profondo dell’animo, sussurrandole quelle parole che sì la ferivano, ma che la giovane donna non poteva che troppo spesso ritenere veritiere.

Accelerò il passo, notando che Ryo era ormai giunto al bancone e stava parlando con una vecchina, dall’età indefinibile, quelle donne dai lineamenti quasi contorti dal tempo, la pelle quasi di carta, i capelli raccolti in uno chignon così stretto che sembrava le tirasse la pelle del viso. Si fermò dietro di lui, scrutandolo ad alcuni passi di distanza, tentata di sfiorarlo ma avvertendo al contempo di non averne alcun diritto.

Le sue spalle… una lacrima minacciò di lasciarle gli occhi, ma lei scosse il capo, non voleva piangere, voleva essere forte, determinata, non voleva mostrargli come vivesse nel dubbio che, di lui, avrebbe visto solo quello, quella schiena forte, grande, ma che era quasi una metafora del loro rapporto.

Lui, il capo; lei, la segretaria/domestica/tuttofare, ma nulla di più. Un maschiaccio. Un peso. Qualcuno che, avesse potuto scegliere, lui di certo non avrebbe mai preso sotto la sua ala protettrice – lui che aveva diviso il campo con uomini come Mick Angel e Kenny Field, uomini capaci, in gamba, donne come Mary e Sonia o Saeko, tanto belle quanto letali, o anche solamente Kasumi, che forse non era sweeper come lui, ma era una ladra brava come poche…

E lei, lei cosa aveva da offrirgli? Nulla: Ryo stava con lei solo per pietà, a malapena sapeva fare le pulizie, non sapeva nemmeno cucinare, lo aveva sempre detto…

“Beh, che hai?” Lui le domandò, seccato, alzando un sopracciglio, mentre appoggiava con entrambi i gomiti sul bancone della reception; la vecchina si era allontanata, forse alla ricerca di qualcosa di appartenuto alle ragazze, chissà.

Kaori fece per dare una risposta piccata, ringhiare, sbraitare, ma poi non lo fece, nonostante la tentazione: non era al massimo delle sue capacità, lo sapeva bene, e comunque, come diceva sempre Ryo, le sue capacità erano estremamente limitate.

Cosa pensi di fare accanto a lui? Non gli servi a nulla…

Kaori si portò una mano al collo, quasi stesse cercando la causa di quella corrente fredda improvvisa o la presenza di qualcuno che le avesse parlato, bisbigliandole quelle parole nell’orecchio, ma non trovò nessuno: avrebbe dovuto immaginarlo, era tutto nella sua testa, dubbi, stress, stanchezza e soprattutto quel luogo così spaventoso in cui le ragazze si erano smarrite…

Il bosco di  Aokigahara, meglio noto come il bosco dei suicidi.  A lei non erano mai piaciute le storie dell’orrore, temeva gli spettri, credeva nel paranormale, e sapere che era lì che avrebbero dovuto cercare quelle due ragazze non l’aveva certo rassicurata.

“Bah, se vuoi fare la sweeper ed essere mia socia, sarà meglio che ti faccia passare questa fissa, guarda che gli spettri mica esistono!” lui esternò, tronfio come solo Ryo poteva essere. E Kaori ringhiò, pronta a brandire uno dei suoi martelli. E allora, quelle due sorelle, come la metteva con loro? Avevano perfino avuto come cliente un fantasma, e lei era stata posseduta!

“Signor Saeba?” La vecchina riapparì; guardava Ryo con aria dolce e trasognata, ma sembrava lanciare, al contempo, sguardi freddi e crudeli a Kaori. La donnina non era sola: un giovane di bell’aspetto, forse coetaneo di Kaori, dai boccolosi capelli biondi e gli occhi azzurri era con lei – un ragazzo che, a dispetto dei colori quasi innaturali, era giapponese, come evidenziato dalla grana della pelle e dai lineamenti somatici. “Michi è una guida. Sarà lieto di venire con voi alla ricerca delle giovani scomparse.”

La donna si  profuse in un inchino, dando ancora una volta a Kaori la sensazione che lei non fosse la benvenuta, e poi sparì, lasciando il trio da soli. Michi si voltò, guardandola allontanarsi, ed il suo sguardo amichevole  e complice presto si trasformò in ghiaccio, il freddo che sembrava essere emanato da quegli inusuali occhi di ghiaccio.

“Perdete tempo,” Affermò, con brutale sincerità, con un tono che sembrava parlare del tempo, di una partita di calcio, e non di una situazione di vita o morte. “A quest’ora saranno già morte. Nessuno si perde per caso in quel bosco – si va lì per morire.”

“Sciocchezze!” Ryo sentenziò, mettendosi le mani in tasca dei jeans neri. “Probabilmente si sarà rotta la bussola e avranno perso la strada!”

“Non ditemi che non vi avevo avvertiti…” Michi continuò, la voce bassa; Kaori lo guardò, e le sembrò quasi che il giovane sorridesse con un’espressione perversa e crudele mentre sollevava da terra il suo zaino e si incamminava verso l’uscita dell’hotel. “Andiamo, allora, inizieremo le ricerche oggi, ma dovremo sbrigarci – spesso cade la nebbia, su questo posto.”

L’ingresso della foresta, segnalata da un grosso cartello in legno, scritto in Giapponese ed Inglese, era a poche decine di metri dall’albergo, forse duecento al massimo. Michi e Ryo camminavano davanti, e Kaori stava loro dietro,  tenendo la mano sul cuore, sobbalzando al minimo rumore che avvertiva fosse anche il semplice rombo di un motore.

“Accipicchia, strano forte questo posto…” Ryo sentenziò, alzando lo sguardo; alberi altissimi si issavano, fitti, verso il cielo, i loro rami si intrecciavano, ai lati del sentiero, creando quasi un passaggio, una cupola che sembrava creata ad hoc, e non certo opera fortuita della natura. 

“Sono i minerali presenti nel terreno. Rendono così gli alberi. Per questo la foresta è molto fitta, e ci si rischia di perdersi.” Michi spiegò loro, freddo. “Non perdete il sentiero, o sarà impossibile ritrovarvi – le bussole ed i telefoni, qui, non prendono. Per questo dovreste dire al padre delle ragazze di rassegnarsi. Non si esce vivi da qui.”

Di nuovo, a Kaori parve che lui la stesse guardando, con un ghigno sinistro, ma poi si rese conto che no, non era così… si disse che era stata la sua immaginazione, e nient’altro. Era solo un’impressione. Suggestione. Quel luogo.

Se ti perdessi qui, nessuno ti ritroverebbe più, nemmeno Ryo… e poi, perché dovrebbe cercarti? Sei solo un peso…

Si guardò intorno, ma non vide nessuno: la voce era nella sua testa, si disse. Solo l’immaginazione ed il freddo, era solo la corrente d’aria, il vento. Si convinse che era la sua immaginazione, che quel luogo la stava impressionando più di quanto non volesse dare a credere, a vedere, ma man mano che avanzava, e scendeva il buio, Kaori sentiva che quelle parole erano sempre più vere, e vedeva, avvertiva Ryo più lontano che mai, sia col corpo… che con l’animo.

Non ha mai detto di amarti come donna. Perché per lui sei solo una virago, un travestito, non hai fascino, capacità… sei solo un problema, un ostacolo. Se tu non ci fossi, non sarebbe sempre in pericolo. Sarebbe sano e salvo. Felice. Accanto ad una donna che può davvero amare.

Kaori si morse le labbra, e fu quasi tentata di correre via, indietro, mollare tutto e tutti: odiava quel caso, quel luogo, non si era mai sentita così insicura in tutta la sua vita, però poi vide qualcosa, quasi un flash, un lampo- giallo in mezzo al vede, marrone, grigio e nero del bosco.

Una tenda da campeggio.

“Ryo, torna qui!” Lo chiamò. ”Ma… il padre delle gemelle non ha detto che avevano una tenda così?”

Ryo squadrò la struttura; sembrava, effettivamente, quella di cui l’uomo aveva parlato.

“Ho carta e penna, lasciamo alle ragazze un messaggio,” Michi sentenziò. “Si sta facendo buio. Se torneranno alla tenda, lo troveranno e torneranno a casa.”

“Sempre che non si siano perse…. la nostra bussola è andata, e probabilmente anche la loro era nello stesso stati.” Ryo sbuffò, mentre prendeva una piccola bussola dalla tasca della giacca: gli aghi ruotavano, pazzi, muovendosi incapaci di fermarsi. “Dormiamo qui, riprenderemo le ricerche domani mattina. Almeno, adesso sappiamo che erano in zona. Kaori, vai con Michi, farò io il primo turno di guardia.”

Michi si limitò a scrollare le spalle, e Kaori lo lesse come un'ammissione che, che stessero o meno, a lui non importava, sarebbe stato pagato comunque, anzi, forse quel contrattempo avrebbe magari comportato un bonus. Michi si avviò verso la tenda, scostando con una mano il pesante tessuto impregnato dall’umidità della nebbia che stava scendendo, e Kaori si voltò a guardarlo, prima di tornare a fissare Ryo, col cuore in gola e gli occhi bassi.

“Beh? Non avevamo detto che non dovevi avere paura?” La schernì lui, in quel suo modo che a lei parve cattivo e crudele che, in mille altre occasioni, l’avrebbe fatta arrabbiare, ma che lì, in quel momento, la faceva solo stare peggio, la faceva sentire...

Inadatta, incapace, inutile… non certo come era stato Hide…

“Kaori, se non vuoi restare liberissima di non farlo. Di un caso così semplice posso occuparmene anche da solo, non mi serve certo la balia!”

La donna sgranò gli occhi, cercando quelli sfuggenti e freddi di Ryo, e si sentì mancare, il cuore che le si spezzava nel petto, andando in mille pezzi che chissà se si sarebbero mai più rimessi a posto.

Parlare era inutile: Ryo l’avrebbe solo presa di più in giro, aumentando le sue insicurezze, i suoi dubbi.

Adesso basta, si disse mentre, senza aggiungere altro, si voltava e camminava lenta verso la tenda. Era tornata da Ryo perché credeva che, col tempo, le avrebbe detto - avrebbe ammesso- di amarla, ma con ogni giorno che passava, si faceva sempre più certa in lei la consapevolezza che lei avesse travisato le sue parole. Che lui avesse parlato per confondere il generale. Che lui  l’avesse illusa con quel bacio per spingerla a lasciare la nave, alleggerendosi la coscienza.

Adesso basta, Si ripeté, mentre entrava nella tenda, e si sedeva su uno dei sacchi a pelo delle ragazze; avrebbe smesso di credere alle favole, ai sogni. Avrebbe fatto le valigie e raggiunto la sorella in America, si sarebbe lasciata quella vita alle spalle. Ryo, Miki, Mick, Saeko…

Credi davvero di poterti dimenticare del tuo amato fratello, di colui che si è sacrificato per te per tutta la vita? Che è morto nel giorno del tuo compleanno, mentre tu ti facevi i castelli in aria immaginando il suo socio innamorato di te?

Si tappò le orecchie, nonostante sapesse che fosse totalmente inutile: Hideyuki non era certo lì con lei, era tutto nella sua testa, e quel luogo, le leggende che lo riguardavano, rendevano quel pensiero più reale, ossessivo, trasformavano il suo flusso di coscienza, modulandolo sulla voce calda e tranquilla dell’amato fratello adottivo, che però in quello stato agitato e turbolento era divenuto un sibilo freddo e crudele.

Non dormì: osservò, stringendosi stretta, la figura di Michi, il petto che si alzava ed abbassa ritmico, il flebile suono del suo respiro tranquillo; ogni atomo del suo essere era all’erta, e le ombre degli alberi, mossi dal vento, le ricordavano visioni di incubi infantili, paure incise nel suo DNA ed in quello di migliaia di altri uomini e donne per il mondo.

E poi, la vide: un’ombra che non poteva che appartenere ad una persona, lunghi capelli mossi dall’aria, foglie e rami calpestati, spezzati… col cuore a mille ed il fiato in gola, Kaori lasciò la tenda, afferrando la pistola appartenuta ad Hideyuki, e corse dietro all’ombra misteriosa, vento e gocce di cheta pioggerella autunnale che le rigavano il volto, i rami che le si impigliavano nei corti capelli rossi, scorticandole la pelle del viso.

“Aspetta, ti prego!” Urlò alla giovane, vestita di un lungo abito bianco, che sembrava risplendere ed emanare luce propria. “Sei una delle gemelle Kurahashi?"

La figura femminile si fermò di scatto, e si voltò verso Kaori, prendendo tuttavia a camminare all’indietro, quasi fosse intimorita dalla donna, che le puntava la pistola al petto. Un raggio di luna illuminò il volto della ragazza, giovane, forse adolescente, lunghi capelli neri lisci, luminosi, più scuri delle tenebre – sembrava un folletto, un creatura delle fiabe, un’apparizione mistica.

Senza nemmeno sapere esattamente il perché, la sweeper abbassò la sua arma.

“Non fidarti di lui,” la ragazza singhiozzò, a malapena trattenendo le lacrime, le parole erano come strozzate da un senso di disperazione talmente profondo che non sembrava nemmeno più umana. “Non ti puoi fidare di Michi, lui non è quello che sembra!”

“Cosa? Ma di cosa stai parlando?” Kaori allungò una mano verso di lei, ma la ragazza si voltò, e prese a correre all’impazzata, senza fermarsi, quasi rami, radici e terreno sdrucciolevole per i suoi piedini scalzi non rappresentassero un problema. Mentre lei si allontanava, Kaori udì una voce alle sue spalle chiamarla ad alta voce, sempre più forte… Michi.

Ricordando le parole dell’apparizione, Kaori strinse con quanta più forza aveva in corpo la pistola, e prese a correre nella direzione opposta a lui, col cuore che le martellava nel petto, e sudore freddo che le appesantiva i vestiti, rendendole difficile muoversi. Temendo che la raggiungesse, decise di abbandonare il sentiero, ripromettendosi di farlo solo quel tanto che bastava da essere lontana da lui e seguire ancora da lontano la via maestra: le avrebbe permesso di guadagnare tempo mentre Ryo, rendendosi conto dell’accaduto, non avesse corso dietro alla guida, per ritrovarla.

Sempre che non abbia di meglio da fare. Chi ti dice che non abbia incontrato una bella ragazza e che adesso non sia nella tenda a farsela?

La voce perversa le sussurrò all'orecchio, facendola rabbrividire ancora di più. Kaori si fermò all’improvviso, e nel farlo scivolò su un ammasso di foglie, e cadde, lungo una piccola scarpata. La caduta fu breve, quasi indolore, tuttavia non riusciva a capire bene da che direzione fosse giunta, sentiva solo freddo, i versi degli animali selvatici, il vento… e qualcosa di duro su cui era caduta. Si alzò, pulendosi alla meno peggio i pantaloni, e con dita esitanti sfiorò l’oggetto che le aveva procurato quel fastidio. 

Quando si rese conto di cosa teneva in mano, ricadde all'indietro, un grido di atavico terrore che le esplose dalla gola, risonando in mezzo alle tenebre, causando stormi di uccelli scuri che si alzarono in volo, gracchiando l’uno sull’altro, togliendole quel poco di luce lunare che le aveva illuminato il cammino.

Un teschio - umano. 

Arrancando, i palmi delle mani sbucciati, tentò di rialzarsi, appoggiandosi al tronco di un albero; era freddo, umido e viscido, ricoperto forse di muschio, e più lei provava ad alzarsi, più scivolava… ormai i pantaloni erano zuppi, macchiati, e anche strappati all’altezza delle ginocchia, quasi fosse stata una bambina irruenta - peccato che non ci fosse nulla dei giochi infantili che per troppo poco tempo avevano impegnato le giornate di Kaori quando era fanciullina.

Trovò un appiglio nelle tenebre, una liana forse, un ramo spezzato, non ne era certa, e stringendo  i denti, vincendo il dolore che la percuoteva come una miriade di piccole scosse elettriche, Kaori si issò in piedi, abbracciando quel qualcosa che l’aveva aiutata, provvidenziale.

La luna fece capolino tra le nubi grigie, vincendo le tenebre, e si soffermò con i suoi raggi su di lei, illuminando ciò che l’aveva aiutata – qualcosa di appeso ai rami di quell’albero, un ammasso senza forma alcuna ormai…. Il vento si abbatté su di lei, alzando un’ondata di nauseabondo fetore di morte, di marcio, di carne imputridita, mentre un qualcosa di indefinibile scendeva in picchiata sul corpo ormai privo di vita da chissà quanto tempo, dimenticato come tanti, troppi altri, nel corso dei secoli.

Il corvo beccò qualcosa, prima di posarsi su un ramo, e voltarsi verso di lei; nel becco, qualcosa che spendeva, colpito dalla luce delle stelle e della luna: un occhio di vetro. Kaori si portò una mano alla bocca, mentre in lontananza sentiva gridare il suo nome. Era Ryo o Michi a cercarla?

Rispondere sarebbe potuto essere la sua sola ancora di salvezza.

Rispondere sarebbe potuto significare la sua fine, se ciò che aveva detto la ragazzina era vero, e Michi era ben diverso da ciò che tutti credevano e pensavano.

Prese a correre, inciampare, cadere e rialzarsi, in quella macabra corsa in cui continuava a trovare resti umani, oggetti appartenuti a defunti forse mai ritrovati, che mai avevano ottenuto la pace della sepoltura, ed intanto continuavano le urla, continuava la crudele risata nella sua mente che le diceva che a Ryo non importava nulla di lei, che lei era solo un impiccio, un impiastro, inutile e per giunta pericolosa.

Piangeva, Kaori, e le sue lacrime cadevano, mischiandosi sul suolo alla pioggerellina e all’umidità, piangeva, e sentiva così freddo che nemmeno le sentiva, nemmeno sentiva il vento sferzarle il viso.

Piangeva, Kaori, e scappava – da tutto, da tutti, e forse anche da se stessa. Solo da quelle voci non poteva fuggire: voci crudeli e forse veritiere, che risiedevano dietro una porta del suo cuore che una volta aperta non voleva più richiudersi, e adesso la perseguitavano senza sosta.

Sentiva Hideyuki, sentiva Saeko, sentiva perfino Ryo e se stessa, che le ripetevano quelle cose ad oltranza; lei voleva solo una cosa, voleva smettere di pensare. Di ascoltare, di sentire. Con ogni passo che faceva era come se un pezzo della sua lucidità venisse a mancare, quasi la ragione le stesse sfuggendo tra le dita, scivolando come seta.

Kaori non aveva mai desiderato la morte, avrebbe dato la vita per coloro che amava, questo sì, ma mai, nemmeno nel momento più triste della sua vita, aveva pensato di prendere quella decisione, eppure, era come se quel luogo stesse scegliendo per lei- le stesse imponendo la sua decisione. Le dicesse che, se voleva andarsene, poteva farlo in un solo modo: da cadavere, perché da viva… era impossibile.

“No…” Pensò scrollando il capo, stringendo il ciondolo che portava al collo, l’anello donatale dalla madre biologica, che il fratello aveva conservato per lei. “No, Ryo… tu… tu non sei così… non lo pensi davvero…”

Sentì come uno scricchiolio sinistro in lontananza, e si fermò immobilizzata, vedendo nella distanza la siluette di una casa, il cui interno era illuminato da una sola fonte di luce, forse una candela davanti alla finestra.

Vita. C’era qualcuno.

Nonostante quella fastidiosa sensazione che non sembrava volerla abbandonare, Kaori mosse piano, paino, i pesanti piedi, uno davanti all’altro, lentamente, un passo alla volta, fino a che, dopo un tempo che le parve infinito, raggiunse la casupola, dall’aria quasi diroccata. Alzò il pugno per bussare, ma avvertì una sensazione alle spalle, quasi un avvertimento, e per un attimo ebbe l’impressione di sentire il calore di Hideyuki, la presenza dell’amato fratello, che lui stesse cercando di fermarla…

Ma era sola, e forse Ryo nemmeno la cercava, magari nemmeno si era reso conto che lei non c’era più. Dandosi della sciocca, si schiarì la gola mentre si passava il pugno davanti agli occhi, scacciando le lacrime che troppo a lungo aveva versato a causa di quell’uomo.

Mai più.

Se ne sarebbe andata da quella foresta maledetta, da Shinjuku, da Tokyo e dal Giappone, si sarebbe lasciata tutto e tutti alle spalle, avrebbe ricominciato da capo. Ma prima, doveva arrivare all’alba.

Batté il pugno chiuso contro il legno quasi marcio, una, due, tre volte, rifiutandosi di ascoltare quella voce che le diceva di andarsene e voltare le spalle a quel luogo, fino a che la porta non si aprì con un sinistro cigolio, e vento freddo la colpì – partendo da dentro la casa, mentre la luce si spegneva, la candela che aveva smesso di bruciare alla finestra.

Kaori non fece in tempo a voltarsi: nonostante il desiderio di andarsene, ritrovare la strada, ritrovare Ryo, c’era qualcosa che la tratteneva lì, in quel luogo, contro la sua volontà. Incapace di muovere un solo muscolo, centinaia di fredde dita striscianti la attaccarono, lunghe come rami, sottili come fili, forti come l’acciaio, e la trascinarono all’interno della casa, facendola cadere attraverso il pavimento, che sotto al suo peso si sfracellò, quasi fosse stato di carta velina.

Polvere. Umido. Vecchio. Marcio. Morte. Urina. E singhiozzi e risate: questo Kaori percepì con assoluta certezza quando finalmente aprì gli occhi, il suo intero essere dolorante, forse aveva anche un osso o due rotto, non ne era certa….

Qualcosa di vischioso, caldo, le correva giù dal capo; la sweeper si portò una mano alla fronte, e vi trovò la sostanza, appiccicosa, e sussultò: sangue. Stava sanguinando, e a giudicare dal pulsare nella testa, anche piuttosto copiosamente.

Si rimproverò, cercando di caprie dove fosse una via d’uscita – e come fosse finita in quella specie di cantina – quando, sopra di sé, dal buco che lei stessa aveva provocato, sentì delle voci. Delle risate – che se fino ad un momento prima erano solo lontane, echi, adesso erano lì, sotto al suo naso, a prenderla in giro, deriderla, sminuirla.

La candela si accese di nuovo, sopra alla sua testa, sembrava che volasse, che forse una forza invisibile e misteriosa fosse lì a sostenerla, e baciate dalla danza della fiammella, Kaori vide i lineamenti delle crudeli e sadiche creature: una era la ragazzina, nel cui sguardo ora scorgeva un’ombra di malizia, di crudeltà sadica, mentre l’altro, che allungava il braccio esile e nero, scheletrico, verso di lei, come quei bambini che desiderano afferrare un insetto per torturarlo, era… era…. Quasi non poteva pronunciare le parole, nemmeno pensarle, tanto il pensiero le era sconosciuto, alieno, eppure lui era lì, davanti a lei, crudele come pochi, come mai era stato.

Suo padre- il suo vero padre. L’uomo che aveva tentato di assassinare la sua mamma. L’uomo che, respinto, l’aveva rapita. L’uomo che era morto in un inseguimento, e che era stato pronto a trascinarla con sé nell’aldilà, se fosse stato necessario.

E adesso, lui era lì, a fissarla come se lei fosse stata un giocattolo da rompere.

“Nessuno ti troverà mai…” le disse la ragazzina, prima che la voce cambiasse, divenendo quella che lei conosceva bene di Reika, che rideva e la scherniva. “Tu rimarrai qui, e Ryo sarà finalmente mio… saremo una coppia, nel lavoro e nella vita!”

“Finalmente si libererà di te!”

“Sei solo un impiastro, inutile, pericolosa!”

“Finalmente Ryo potrà cercare di sedurmi come si deve!”

“Senza di te fra i piedi, potrò prendermi la mia rivincita ed ucciderlo!”

“Mi vendicherò!”

Kaori si tappò le orecchie, travolta da quell’assalto di voci che la facevano sentire piccola ed inutile come non mai, urlò lei stessa, nel tentativo di coprire le risa, le parole saccenti, crudeli, ma nulla… il suo pianto non faceva altro che unirsi a quelle delle due ragazze, che stavano abbracciate in un angolo, ormai solo il patetico ricordo delle bellissime donne che erano state un tempo.

Kaori le vide, e avvertì la loro disperazione, che sapeva essere la sua… sopra di lei, suo padre e la ragazzina, continuavano la loro tortura, e lei prese in mano la pistola che aveva in tasca, che mai aveva lasciato andare – che mai avrebbe abbandonato.

Quattro colpi – le sarebbero bastati per mettere fine a quell’agonia, allo strazio e alla perversione.

Quattro colpi: era tutto ciò di cui lei aveva bisogno, e forse anche meno.

Quattro colpi: e poi, sarebbe tutto finito.

Socchiuse gli occhi, mentre, alle sue spalle, si irradiava il calore, ed il fuoco, e la stretta sulla pistola si faceva sempre più decisa.

Strinse i denti e ricacciò indietro le lacrime, preferendo l’odio alla sofferenza.

I quattro colpi, se li sarebbe fatta bastare.

 

            Ryo si allontanò di alcuni passi dalla tenda giallo fosforescente, camminando lungo il sentiero sterrato, dando calci alle pietre mentre si accendeva una sigaretta e alzava lo sguardo al cielo, terso: c’era la nebbia quella notte, ma di tanto in tanto, la luna spuntava, ed i suoi raggi facevano capolino.

Molti avrebbero trovato quel luogo spettrale – cosa più che giusta, viste le storie che erano sempre circolate sulla Foresta dei suicidi – ma non era così per lui. Immerso così nella natura, in mezzo all’umidità, ai versi degli animali, lui si sentiva quasi a casa, e ritornava ad un passato che logicamente non rimpiangeva, ma non voleva né poteva nemmeno condannare o rifiutare del tutto.

Ogni passo che aveva fatto, ogni azione, lo aveva portato lì, a ricucire i rapporti con persone che credeva morte, con uomini che erano stati avversari. La vita lo aveva perfino portato a capire – se non a perdonare – il suo padre putativo, Shin Kaibara. Aveva perfino imparato ad accettare i propri peccati, a perdonarsi – a darsi una seconda possibilità.

E questo, grazie a una persona sola: Kaori.

Si morse le labbra, il filtro tra i denti, mugolando, mentre ad occhi chiusi osava ciò che fino a solo pochi mesi prima sarebbe stato per lui impensabile: la immaginava, ad occhi aperti, la sognava… e la desiderava.

Sotto ai vestiti comodi, cosa aveva indosso quel giorno, la sua bella amazzone dai capelli rossi? Ryo soffocò un gemito rauco mentre la mente andava a quella foto leggermente osé, il corpo femminile ormai adulto, sbocciato, avvolto in quel sensuale pizzo celeste, così chiaro da sembrare quasi bianco: aveva quel completo, quel giorno, o altro? Semplice cotone dalle fantasie infantile, o audace pizzo- bianco virgineo, giocoso azzurro o giallo, peccaminoso rosso o nero?

La mano vagava, andava a strofinare leggera il rigonfiamento all’altezza del cavallo dei jeans neri, e Ryo soffocò un gemito di piacere.

Orami era pronto. Era giunto il momento. Era stato sconfitto, e lo accettava, di buon grado. Si arrendeva alla sua socia.

Le aveva chiesto di rimanere al suo fianco  e divenire la sua famiglia (una proposta di matrimonio sui generis), l’aveva baciata (anche se attraverso un vetro), le aveva detto di amarla (usando però un modo tutto suo, molto contorto), e adesso Ryo sentiva che fosse giunto il momento di dirle che l’amava e cogliere il bocciolo che era l’intonsa femminilità della sua socia.

Renderla donna – la sua donna.

Quando quel tipo era andato a presentare loro il caso, lui aveva fatto un po’ il cretino come suo solito, ma fin dal principio aveva deciso che, con il cospicuo assegno del loro cliente, l’avrebbe portata da qualche parte.

Il mare? No, ormai faceva freschino.

La montagna? No, lei ci andava già ogni tanto con le sue amiche. Ryo voleva qualcosa che fosse soltanto loro.

Sospirò, grattandosi il capo, quando ebbe un pensiero, una visione che lo fece sorridere, compiaciuto: la sua dolce e bellissima Kaori, completamene nuda, immersa nelle acque bollenti di un centro termale, notte fonda, solo loro due soli nella fonte, lei appoggiata ad una roccia, lui che si impadroniva del corpo troppo a lungo agognato, e sanciva una volta per tutte la loro unione…

Ryo rise. Già, le terme: sembrava una bella idea. E scoprire cosa lui avesse in serbo per lei… sarebbe stata davvero una bella sorpresa, per la sua socia!

La sigaretta consumata, Ryo la gettò a terra e spense il mozzicone con il piede, poi prese dal pacchetto una seconda bionda e fece per accenderla, ma ogni volta che la fiammella dell’accendino si accendeva, dopo un attimo si spegneva, quasi il vento fosse stato uno spirito birichino che gli faceva i dispetti.

“Torna indietro, Ryo, Kaori ha bisogno di te!”

Appena sentì la voce, lo sweeper si voltò alle sue spalle, ma non trovò nessuno; scrollò le spalle, riprovò ad accendere la sigaretta, ma ancora una volta quella brezza birichina gli impediva di inalare ancora una volta l’anelata dose di nicotina, necessaria per scacciare il desiderio di sbattere quella guida fuori dalla tenda e mostrare alla sua amata socia come si fosse guadagnato il soprannome di Stallone.

“Vuoi andare da mia sorella o no, testa di rapa!?”

“Maki?!” Ryo si voltò, andando un po’ nel panico, i denti che battevano per la tensione mentre una sola goccia di sudore gli cadeva dalla tempia lungo il collo. Si guardò attorno, e non vide nulla, eppure sentiva qualcosa, come un calore, una presenza – e non sinistre come quelle che li avevano accompagnati da quando avevano messo piede nell’albergo, ma stavolta rassicurante, protettiva.

Makimura, vecchio mio, sei venuto a lanciarmi una maledizione perché ho deciso di tenermi stretta Kaori e non lasciarla andare mai più? Lo sweeper si domandò, dimentico della sigaretta.

Mani in tasca dei jeans scuri, Ryo si incamminò verso la tenda, continuando a sentire quella presenza accanto a lui; si voltò, ed in mezzo alle ramaglie quasi gli parve di vedere una volpe dorata, dalle molteplici code, che emanava una luce abbagliante e camminava accanto a lui, seppure a dovuta distanza.

Era forse Makimura, giunto a sostenerlo? Un presagio oscuro? O solo la sua immaginazione che gli giocava brutti scherzi? Lui e Kaori avevano letto tanto di quel luogo prima di andarci, storie antiche, di anziani abbandonati lì a morire nei tempi andati, di giovani che entravano lì per il solo scopo di suicidarsi, corpi avvolti in sudari bianchi o grigi che pendevano dagli alberi, ossa che la terra di tanto in tanto faceva affiorare, e spirti che sussurravano bugie alle orecchie di coloro che erano più fragili per farli perire, trasformando anch’essi in crudeli spettri vendicativi, maligni.

“Kaori!” Quando sentì Michi chiamare la sua socia a squarciagola, Ryo prese a correre verso la direzione da cui proveniva la voce; arrivò alla tenda, ma la trovò vuota, quindi continuò a seguire, in quel reticolo labirintico, la direzione da cui immaginava provenissero le urla di Michi.

Si guardò accanto: la volpe correva affianco a lui, guardando avanti, determinata, le sue nove code smosse dal gelido vento, che danzavano nell’aria leggere, e per quanto Ryo fosse preoccupato, quella presenza lo rassicurava e la rincuorava, quasi fosse la promessa di un futuro degno di essere vissuto, una vita piena di gioia e amore.

“Che diavolo succede!?” Ryo ringhiò appena raggiunse Michi in una radura, dove un corpo pendeva, sinistro, da un albero, lasciato lì da chissà quanto tempo; la volpe si sedette al fianco di Ryo, composta, e la giovane guida si limitò a studiarla un attimo, quasi non fosse sorpreso da quella presenza, prima di tornare a guardare lo sweeper. “Allora, dov’è Kaori?”

“Non lo so, è uscita dalla tenda e poi si è messa a correre.” Il giovane strinse denti, pugni, lo sguardo a terra, quasi si vergognasse o fosse dilaniato dal senso di colpa - una sensazione che Ryo conosceva bene, ma che non comprendeva in quel ragazzo.

Michi rimase in silenzio; poi, tentennate e schivo, si avvicinò alla volpe, e sfiorò la sua testa con una delicata carezza che l’animale accettò, lasciandosi andare a quel tocco delicato ed amorevole, colmo di rispetto e privo di paura.

Ryo guardò la scena, stupefatto, in silenzio.

“Credo che la sua amica sia stata vittima di una Kitsune malvagia, o peggio, uno yūrei. Immagino che l’abbia spinta a lasciare la tenda, ed abbia iniziato ad ingannarla, riempendo la sua mente di bugie, ed il suo cuore di paure forse perfino da prima che arrivassimo nella foresta. Mia nonna aveva avvertito una presenza che seguiva Kaori, da quando era giunta in albergo. Credo che avesse iniziato a istigarla da quando siete arrivati qui."

“Sembri molto calmo, e saperne parecchio di queste cose…” Ryo rimase imperturbato a guardare il giovane, la mano sulla Python, pronta ad afferrare il calcio della sua pistola, qualora la risposta non gli fosse piaciuta o avesse avuto anche il solo minimo sentore che Michi potesse essere il vero colpevole della sparizione di Kaori.

Eppure, lo sguardo della volpe – di Makimura – gli diceva che non era così. Che si poteva fidare – che, anzi, doveva, se voleva uscire vivo con la donna che amava da quel luogo sinistro. 

“Se si cresce accanto a questa foresta, l’unico modo per poter sopravvivere è comprenderla, ed affidarsi agli spiriti benigni perché vengano in nostro soccorso, come il tuo amico.” Michi sospirò, alzandosi in piedi e guardandosi intorno. “Gli yūrei si nutrono della sofferenza di coloro che si inoltrano in questo luogo, e la mia famiglia da secoli soccorre i disperati ed i dispersi, scacciando gli spiriti cattivi.”

"Sei... cosa, una sorta di esorcista?” Ryo gli domandò. Prese la pistola, tenendo il braccio lungo il corpo, pronto ad alzarlo e sparare se ne fosse giunta l’occorrenza, mentre i due uomini si incamminavano per sentieri sconosciuti, disseminati di oggetti e nastri azzurri che celavano ognuno il mistero di una sparizione, di una vita ormai cancellata dalla faccia della terra.

“Mischio il rito cattolico con quello Shintoista, già. Discendo da un Gesuita che arrivò qui nel mille e seicento, ed iniziò ad esorcizzare le donne che entravano nel bosco e venivano tramutate in spettri.” Il ragazzo accese la piccola lampada che aveva in mano, e illuminò la via, mentre Ryo guardava il terreno, alla ricerca di una pista che indicasse il passaggio di Kaori. “Direi che si vede che non sono proprio giapponese al cento per cento.”

Ryo non rispose alla battuta, non ridacchiò, scrollò solo le spalle: in quel momento era il massimo che poteva fare.

Makimura – perché voleva credere che la volpe fosse il suo amico – prese a camminare davanti a loro, illuminando loro la strada; pareva che al suo passaggio gli alberi lasciassero libera la via, gli animali selvatici si zittissero e sparissero, quasi il passo della volpe benedicesse il loro cammino, purificando quel luogo infame di morte… perché, Ryo lo sentiva, quello era la foresta. Per quanto Maki li proteggesse, quasi avvertiva il respiro sul collo, il sussurro crudele, le risate demoniache… uomini più deboli, animi più puri, sarebbero già stati portati alla pazzia.

A tanti era successo: era stato anche quello il destino di Kaori?

Ryo strinse il calcio della pistola, ogni muscolo del corpo teso mentre si malediceva, chiedendosi se, fosse stato sincero, tutto questo sarebbe comunque successo o meno.

“C’è ancora tempo… poco, ma c’è.”  La volpe si fermò ai piedi di un basso crinale, e si voltò verso i due uomini, prima di indicare un fitto banco di nebbia con il nobile capo. Ryo e Michi si scambiarono un rapido cenno di assenso, e presero a salire la salita ripida, aiutandosi con le mani, che sanguinavano causa delle pietre acuminate, delle ossa trasformate dal tempo e dagli agenti atmosferici in oggetti acuminati e letali, rudimentali pugnali alla mercé dei pazzi e dei disperati.

Arrivarono alla cima, dopo un tempo che parve loro infinito, ben più lungo di quello che avrebbero dovuto impiegare data l’altitudine di quel rialzo, e la nebbia magicamente si diradò, mostrando loro cosa avevano innanzi: una casa, anzi, una catapecchia, poco più di un rudere, bassa e con le finestre sprangate, la porta di legno marcio che non si capiva come non fosse caduta a terra.

All’interno, potevano scorgere una luce ballerina, piccola e minuscola, flebile, e soprattutto quell’urlo agghiacciante, colmo di dolore e disperazione - un suono che Ryo fu certo mai avrebbe potuto dimenticare, avesse vissuto altri cent’anni.

Era di Kaori: lei stava urlando.

Senza aspettare altro, Ryo buttò giù con facilità quelle quattro tavole ormai inutili, e corse dentro, tuttavia rimase spiazzato quando vide cosa stava ridendo, gustandosi quel dolore: una era una ragazzina dai lunghi capelli neri, avvolta in un kimono bianco, quasi intangibile, eterea e spettrale, ma l’altro, lo sapeva chi fosse quell’uomo, le cui braccia erano divenute gambe di ragno, sottili e fredde, gli occhi rossi e la lingua appuntita come quella di un serpente velenoso.

Quel viso, Ryo, una volta, lo aveva visto in fotografia.

Era il padre di Kaori – il suo vero padre, quello biologico. Il mostro, il ladro, il rapitore. L’assassino.

Ridevano, avvicinandosi verso di lui con fare minaccioso, e intento letale. Ridevano e godevano delle loro sofferenze e delle loro paure, del dolore, era come se quelle grida dessero loro ancora più potere.

Grida, e singhiozzi… e non erano solo di Kaori. Chi c’era con lei? A Ryo in quel momento importava poco o nulla, avrebbe anche condannato il mondo intero, se avesse significato salvarla.

Michi si lanciò sulla donna, brandendo una pergamena purificatrice; la colpì, ed intanto le versò una fialetta di acqua benedetta sul volto  di porcellana, recitando una formula in latino mentre il corpo da celestiale diveniva deforme, mostruoso, un’aberrazione di tutto ciò che era buono e giusto, ed il ragazzo continuava imperterrito a recitare la sua preghiera, fino a che di lei rimase solo sabbia e polvere, che una corrente fredda disperse nell’aria.

Ryo, intanto, balzò all’interno del buco del pavimento, anch’esso coperto di assi marce, e atterrò con felina grazia su un lurido selciato di terra e polvere ammuffita; senza mai abbandonare la sua fidata arma, Ryo accese l’accendino, sperando che la sua luce fioca fosse anche solo di un po’ di aiuto.

La rotellina scattò, accendendo la fiammella, e Ryo guardò davanti a sé; in un angolo, per terra, c’erano le due gemelle, che singhiozzavano disperate, abbracciate, solo una pallida imitazione delle veneree silfidi che erano state fino a poche settimane prima, le bellezze che avevano posato in quelle foto succinte ed ammiccanti;  davanti a loro, che lo guardava con occhi colmi di odio, occhi colmi di lacrime, c’era lei, Kaori.

Kaori: che gli stava puntando la pistola addosso, con fare deciso, seppure colmo di paura, tremando.

“Kaori, sono io, Ryo…” La pregò, avvicinandosi lentamente alla donna quasi lei fosse stata un animale selvatico, feroce, pronto a sbranare la sua preda. “Ti prego, Sugar, torna da me…”

Lei non dette segno di cedimento: digrignò i denti, e tese le braccia, così tanto che i muscoli le fecero male, e fece fuoco.

Due colpi, due spari: sfiorarono il capo di Ryo, senza tuttavia toccarlo, e lo sweeper si chiese se fosse stato caso, fortuna, o la prova che Kaori era negata con le armi da fuoco.

Poi sentì un suono, come un sibilo, acido che scioglieva qualcosa, carne marcia, carne che bruciava, e la nausea gli salì alla gola, fino a quasi farlo vomitare; Ryo dovette coprirsi con la mano che teneva la pistola il naso e la bocca per evitare di rimettere  la cena e la bile.

A terra, a sibilare, c’era la creatura, il ragno mostruoso col volto del padre di Kaori.

La donna  fece un altro paio di passi, e raggiunse Ryo, mettendosi al suo fianco; lo sweeper poggiò una mano sulla spalla della socia, mentre la guardava alzare nuovamente l’arma sulla creatura, ed alle loro spalle si materializzò nuovamente la volpe.

Kaori alzò lo sguardo al cielo, mentre calde lacrime di gioia e pace le scorrevano sul viso. Il suo amato fratello era ancora lì, con lei – non se n’era andato, ancora la proteggeva dall’aldilà, come aveva sempre fatto, e mai e poi le avrebbe rivolto parole d’odio, di derisione, o colme di rancore.

“Il momento è arrivato, sorellina. Puoi chiudere il cerchio.”            

Come già una volta, Kaori si sentì abbracciata da Ryo, e si lasciò andare al contatto col suo petto, permettendogli di stringere le sue mani in quelle di lui, grandi e calde, ed insieme  presero la mira, due colpi, era tutto quello che le era rimasto, ma le bastò.

“Non sei mio padre,” Lei gli disse, standogli innanzi. “Non ti permetterò mai più di avere tutto questo potere su di me.”

Il corpo si contorse, bruciando, lampi di luce e fuoco emessi dai fori di proiettile, ed intanto, lei, fiera, risoluta e determinata, lo guardava, e metteva fine a quel triste capitolo della sua vita, e smetteva di farsi domande: lui poteva essere stato suo padre, ma lei… lei era Kaori Makimura, era City Hunter, la sorella di Hideyuki, l’amica di Miki, Mick, Saeko e compagnia bella, e… ed era la donna di Ryo, nel bene e nel male.

Il sole sorgeva, illuminando il mondo e risvegliandolo, la natura che finalmente trovava pace in quel luogo troppo a lungo funestato dalle maledizioni, e mentre nella luce del mattino Hideyuki ritornava nell’aldilà, grato di aver svolto il suo compito salvando la sua famiglia, Kaori si gettava nelle braccia di Ryo, come aveva fatto quel giorno nella radura.

Ma stavolta, fu diverso: non avrebbe più sofferto per lui, era giunto il momento che decidessero entrambi. Si alzò sulle punte e gli lasciò un bacio all’angolo della bocca,; lui sorridendo, la afferrò per le spalle, e la sollevò, dandole quello che entrambi avevano sempre agognato.

Un bacio. Il suo amore. Una silenziosa promessa che aveva il sapore del per sempre.   

   
 
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