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Autore: pokas    12/11/2021    4 recensioni
Una denuncia, un incoraggiamento, non so cosa sia, ma so che Diana meritava di più di quelle sudici mani e quella raccapricciante omertà di chi la circonda.
Vi prego di leggere anche l'angolo dell'autore.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Ultimo anno di liceo, ultimo viaggio con i compagni di una vita, gli stessi con cui ho litigato, pianto, superato ogni prova… E mia sorella.
 
Serata del 31 ottobre, la data è stata scelta dalla classe per godersi la festa di Halloween in una città che non avevano mai visitato, in fin dei conti, come si può rinunciare ad una visita al cimitero delle fontanelle di Napoli in una simile festività?
 
Camerata delle ragazze, dopo una serata di urla e canti stonati tra le strade partenopee, era giunta l'ora di dormire, ma alcune avevano altri piani.
 
-Ragazze ma voi avete sonno?-
-no, voi?-
-niente sonno, zero-
-zero, grazie a sta ceppa, hai bevuto due monster-
Scoppiarono a ridere, tutte sedute vicine, quasi in cerchio
-ma… Se ci raccontassimo qualche storia di paura? È ancora halloween no?-
-si! Mi piace, vado a spegnere la luce-
 
Silenzio. Tutte la fissarono in silenzio mentre io le fermai la mano a poco dal pulsante. -Non spegnerla- le dissi con una calma disumana
-dai, altrimenti non c'è sfizio. Vogliamo solo divertirci un po'-
-lascia stare Rebecca, Diana ha solo paura del buio- disse mia sorella ridendo.
 
-Io non ho paura del buio, chiariamolo. È ciò che si nasconde nel buio…- iniziai titubante. Forse speravo che fosse disposta ad ascoltarmi, forse poteva capirmi, per un solo secondo…
Stella si mise a ridere -hai quasi 18 anni, non sei un po' troppo grande per credere ancora nell'uomo nero?-
-quella era una confidenza! Brutta stronza!- le urlai saltandole addosso.
 
Devo averla attaccata con cattiveria, ricordo solo che delle ragazze mi avevano placcata a terra e tra le dita stringevo dei capelli di Stella. Ero sfinita, chissà quante mazzate ho tirato all'aria, talmente arrabbiata da non avere l'energia di alzarmi. Rebecca spense le luci e lì iniziò, di nuovo, il mio incubo.
 
Ridevano. Ridevano di stupide storielle trovate su internet, capaci di spaventare solo gli sciocchi. Storie fasulle, costruite solo per far leva sulla paura dell'ignoto, ma una storia fa paura davvero, quando è vera come il sangue che ti scorre nelle vene.
 
Stella parlava dell'uomo nero, come se io davvero credessi ad una storiella popolare senza fondamenta, ma il MIO uomo nero, esisteva eccome, se è per questo, aveva anche un nome.
 
-Tranquilla, va tutto bene- mi ripeteva ogni singola volta, erano quelle parole a farmi rabbrividire, perché non andava mai bene.
Riconoscevo il suo passo, il suo odore, mentre lentamente apriva la porta della mia camera.
Una puzza di alcool invadeva le mie narici, ogni pelo del mio corpo si drizzava, ogni senso cercava di urlare, ma io ero l'unica a non poterlo fare.
Se solo avessi provato ad urlare, la sua mano screpolata e sproporzionatamente grande per il suo corpo, passava dalla spalla alla bocca, o se era arrabbiato, al collo.
 
-Fermalo, fermalo ti prego- maledetta vocina devi stare zitta, maledetto lui, maledetti tutti.
 
Il suo respiro affannato… La voce rauca che mi ripeteva come tutto sarebbe tutto finito presto… Il buio talmente denso da intravedere solo la fioca luce che penetrava dalla finestra.
 
Quanto tempo? Non lo so, non ricordo, non mi interessa. Il tempo non fa la differenza, un minuto, un'ora; quel fastidioso, disgustoso, alito che mi soffiava nell'orecchio restava addosso anche dopo, quindi che importanza ha quanto tempo?
 
Dopo le prime volte fingevo di dormire, sembrava far passare più in fretta il tempo, o forse gli piaceva di più, l'importante era il silenzio quasi tombale. Niente movimenti, niente pianto, se non volevo altri lividi addosso.
 
-Avresti dovuto parlarne. Avresti dovuto lottare. Avresti dovuto…-
-Nulla! Non avrei potuto fare nulla!-
 
Ogni volta litigavo con quella maledetta voce nella mia testa, nel buio e nel silenzio della mia stanza, mentre lui se ne andava barcollando, lasciando di sè una chiazza chiara nel mio letto.
 
Restavo ad ascoltare i suoi passi, se ne andava, ma non bussava mai alla porta di Stella. Quella maledetta stronza, si scopava metà della scuola e sono io che mi sento nelle orecchie parole come -lo so che ti piace, inutile che fai finta di nulla- o -piccola troia come hai osato scacciarmi a pranzo-.
 
Era diventato insopportabile ogni contatto, il bacio di mia madre (quando proprio era di buon umore), l'abbraccio di mio padre, la piccola ed umida lingua del cane che mi dava il buongiorno.
 
Dopo un mese, o forse due, ne parlai a Stella, le dissi cosa mi faceva lo zio, che era così…
-Smettila di cercare attenzione, nessuno ti caga e ti inventi certe storie per avere attenzione. L'anno scorso la tua presunta depressione e ora questo? Sai quanto ha fatto lo zio per noi? Dopo che ci hai tutti trascinati dagli assistenti sociali solo perché non ti sentivi abbastanza amata. L'intero paese ha parlato male di noi, a scuola, a lavoro, ovunque.  Guardati, neanche uno ubriaco fracido ti guarderebbe-
La sua risposta, la sua misera e stupida risposta, le è costato il suo bel naso. Le ho rotto il setto nasale a furia di pugni, grosso errore a quanto pare.
 
Dopo? Dopo non ho più rivisto la mia camera, i miei giochi, i miei vestiti. Quegli stronzi mi hanno mandata direttamente nella tana del leone.
-Ora tu ti fai una valigia e te ne vai dagli zii! Per fortuna mio fratello ha voglia di accoglierti in casa anche dopo tutto ciò che hai detto di lui. Dopo che ti ha aiutata con la tua depressione hai anche il coraggio di tirarlo in ballo nelle tue fantasie malate. Fatti passare questo brutto vizio di accusare tutti di maltrattarti e forse ti facciamo tornare qui-
 
Grazie madre, grazie davvero, parla quella che a tre anni mi ha rotto il braccio perché non sistemavo i miei stupidi giochi.
 
La paura era diventata la mia nuova compagna, l'unica talmente leale da non abbandonarmi mai, poi un volantino a scuola.
-Sportello di ascolto per gli studenti, gratuito e riservato. Parlare è il primo passo- diceva.
 
Le mie sedute erano diventate per il resto della mia "famiglia" lavori di gruppo a scuola, tanto se ne fregavano così poco da non investigare oltre.
 
-Come ti senti oggi?- mi chiese la dottoressa il giorno prima che partissimo per Napoli
-meglio…-
-a casa?-
-lo sa già…- risposi guardando la valigia, lei fece lo stesso
-il 2 novembre fai 18 anni… Sei pronta a questo viaggio? Sicura di non voler tornare più a casa? -
-si, finalmente avrò un letto solo per me- risposi ridendo, era ironico, era triste… Era spontaneo.
 
La dottoressa mi aveva trovato un posto sicuro dove alloggiare in cerca di un lavoro, a quanto pare aveva preso molto a cuore la mia causa… Forse perché è una madre? Forse perché è donna? No, è semplicemente umana, in fin dei conti cosa c'è di più forte dell'empatia?
 
 
Ed ero lì, immobile nel buio di una camerata piena di ragazze, mentre con i cellulari si illuminavano il volto dal basso per spaventare le compagne.
-Stella… mi dispiace- pensai vedendole il volto sorridente, ma il naso che le puntava di più sulla destra. -No, probabilmente non mi dispiace poi così tanto- ripensai vedendo come mi fissava.
 
Forse anche io ero un po' stronza, perché dovrei augurarle una cosa simile? Perché dovrei odiarla solo perché non era una vittima? Perché?
-la domanda da porti è: perché in fondo, ti è piaciuto avere qualcuno che ti ritenesse speciale?-
Mi tuonò in testa la stessa vocina che avevo imparato ad ignorare in passato, ma che spesso non si sbagliava
-colmare un vuoto non è indice di felicità, è solo accontentarsi di una carezza su mille schiaffi- le risposi, avevo imparato a non zittire e reprimere i pensieri, era un modo per affrontare il tutto
-allora perché la sera restavi sveglia? Lo aspettavi-
-lo temevo. Subire era meno peggio che restare notti in piedi con la paura che accada… O forse ascoltavo i suoni nel corridoio…-
-perché?-
-perché era difficile non sentire ciò che accadeva in casa, le discussioni dei miei, le risate di Stella che parlava al telefono…-
-ed ecco perché la odi-
-?-
-lei lo sapeva- tuonò la voce.
La fissai ridere, in quel momento mi resi conto di cosa ci fosse di più forte dell'empatia: lo spirito di autoconservazione.
 
ANGOLO DELL'AUTORE
 
Qui è Pok e sono l'autrice di questa one.
Vorrei partire dicendo grazie a chi ha letto fino a qui, in più vorrei rassicurarvi sul fatto che gli eventi narrati non hanno nulla di reale.
Ci tenevo a scrivere un racconto simile per diffondere il messaggio che parlare non è mai una colpa, è il primo passo per la libertà che tutti si meritano sul proprio corpo e sulla propria vita.
Il silenzio, al contrario, rende complici, in modo indiretto, ma lo fa. La paura non può e non deve essere un ostacolo per lottare per la vita che si desidera.
Se tu o un tuo familiare, amico o conoscente, subite violenza di qualunque genere vi invito a chiamare il 1522, il numero antiviolenza e antistalking.
Il primo passo è parlare.
   
 
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