Anime & Manga > Kenshiro / Hokuto no Ken
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Autore: Redferne    12/11/2021    4 recensioni
Tre fratelli.
E una tecnica segreta che rappresenta la summa, lo stadio ultimo di una disciplina millenaria dall'incomparabile potere distruttivo.
Ed il modo in cui essa coinvolgerà le loro vite, ed i loro rispettivi destini.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jagger, Kenshiro, Raul, Ryuken, Toki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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CAPITOLO 15

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tocco che percepiva sull'epidermide non accennava affatto a diminuire.

Anzi, col passare dei secondi la pressione si fece sempre più insistente ed incisiva. Quasi come se colui o la cosa che la stava esercitando gli stesse chiaramente dimostrando, tramite quei ripetuti colpetti senza mai staccare l'oggetto che la generava dalla porzione di pelle con cui si trovava a contatto, di volere qualcosa da lui. Anche se non sapeva ancora cosa.

Quel che era più che certo era che l'unico risultato che aveva ottenuto con quella sua azione, almeno fino a quel momento, era stata solo di far concentrare ancora di più la sua attenzione sull'oggetto impiegato per infastidirlo. Permettendogli quindi di metterlo maggiormente a fuoco e di cogliere qualche ulteriore dettaglio in più.

Che si trattasse certamente di un fucile era fuor da ogni dubbio e possibile discussione.

Il foro era troppo grosso per trattarsi di quello appartenente ad una pistola. Ma...

Ma non era solo. Non era uno solo.

Non era un solo foro.

Adesso se n'era reso conto, finalmente. Soltanto adesso.

Il lieve e leggero schiacciamento all'altezza dello zigomo si era notevolmente accentuato, in maggior misura di quanto non fosse prima. E adesso era finalmente in grado di percepirne con estrema chiarezza sia i bordi che i contorni.

I buchi erano due. Gemelli, identici e disposti in parallelo. Con due listarelle a sezione rettangolare, piazzate sia sopra che sotto, a tenerli uniti come il resto della coppia di canne di cui facevano parte.

Non era un fucile normale o comune, ma un giustapposto. A condotti congiunti.

Detto volgarmente DOPPIETTA.

Quel genere di arma caricata a cartucce o a pallettoni che in genere, fino a non qualche decennio se non addirittura al secolo prima, veniva utilizzata prevalentemente per la caccia o in analoga attivita di stampo prettamente venatorio. Ma che con il successivo, ripetuto e reiterato utilizzo si era scoperta più che buona a sforacchiare e ad ammazzare pure esseri umani e cristiani.

E anche non, visto che quando si trattava di uccidere la propria fede di appartenenza diventava un discorso totalmente indipendente dall'atto che si stava per compiere.

Indifferente. Secondario. Perché nonostante in chi, in cosa o in tutto quello che si può credere o decidere di credere...l'umanità intera é perduta.

Lo é praticamente da sempre. Si brucia tutti nello stesso inferno, e si é destinati tutti allo stesso inferno.

La morte. La morte é l'unica liberazione da questo inferno. Solo per finirne in un altro, di inferno.

Ed é per questo che esiste la Divina Arte di Hokuto.

Perché la Sacra Tecnica dell' Orsa Maggiore é l'unica cosa al mondo in grado di donare una morte differente.

Una morte che libera. Che libera per davvero, però. E che salva.

E il successore, nonché unico depositario...é l'unico in grado di dispensare quel genere di morte così liberatrice e salvifica.

E non a seconda della sua volontà, ma della volontà del destino, degli Dei e del cielo. Gli unici che possono autorizzarlo a fare ciò che fa, ed in virtù di questo permesso lo proteggono ed al contempo impediscono che possa accadergli qualcosa, qualunque cosa di male.

Perché il successore é l'unico, é il solo che può annullare una vita per portare a farne rinascere un'altra.

Una nuova. Pulita. Immacolata. Pura. Libera dal male.

Liberaci dal male, dunque. Tu che puoi. Tu solo che puoi farlo per davvero.

Il discorso della doppietta poteva essere applicato allo stesso modo anche fino a non molto tempo prima. Per lo meno fino a prima che scoppiasse il conflitto nucleare che aveva spazzato via dal pianeta, e in un sol colpo, più della metà del creato. Razza umana compresa.

Ma adesso, che le armi erano diventate così rare e difficili trovare e rimediare, uno strumento di offesa come quello tornava di sicuro di grande utilità, e faceva di sicuro un gran comodo.

Seghettando e tagliando opportunamente le due canne lo si rendeva facile da trasportare e da equipaggiare. Inoltre tale operazione non ne inficiava e nemmeno ne comprometteva la gittata, visto che anche a dimensioni normali non é che avesse e fosse dotato di chissà quale ampio raggio e portata di colpi. Ed in più, con l'apposito selettore, si poteva modificare persino la capacità di sparo.

Uno alla volta, la destra o la sinistra a seconda della scelta e di dove veniva inclinata l'apposita levetta di selezione. Oppure tutte e due, se si decideva di tenerla nel mezzo.

Un'arma che a distanza corta e ravvicinita era in grado di colpire nel mucchio e più persone in contemporanea, causando e dando vita a vere, proprie ed autentiche stragi.

Sempre ammesso e non concesso che si riuscisse a rimediarne una, beninteso. Che non era poi tanto facile, in quei tempi.

Perché anche se la si recuperava, restava il problema delle apposite munizioni. E di dove dover andare a sbattere la testa nel tentativo di ramazzarne qualcuna da infilarci dentro. Col risultato che spesso molti improvvisavano, fabbricandosi da soli le munizioni o riempiendola alla bell'e meglio con cocci di vetro, sassi, e pezzi di ferro o di metallo raccattattati in giro o chissà dove. Proprio come si faceva una volta con i cannoni, le colubrine o le bombarde costruite e realizzate artigianalmente o in modo rudimentale.

Assai ben poco pratica, come soluzione e rimedio. E persino piuttosto pericolosa, visto che il più delle volte si finiva col farsi esplodere tutto quanto in faccia e sul muso.

Meglio, molto meglio ricorrere dunque alle classiche armi da lancio o da mischia.

Spade, coltelli, pugnali, mazze, bastoni, alabarde, picche, catene, asce e scuri. E archi, balestre e frecce. Si correvano di sicuro meno rischi, dato che li almeno sul muso non scoppiava nulla.

E comunque, almeno da quelle parti esisteva un'unica persona che possedeva quel tipo così particolare e peculiare di fucile. Anzi...l'unico uomo ad esserne dotato.

E a Kenshiro bastò e fu sufficiente spostare lievemente la pupilla all'indietro, oltre i due fori della doppia canna che lo stava tenendo in scacco e sotto tiro, per riuscire a scorgere colui che la stava manovrando, e che lo stava minacciando. E per avere conferma dei suoi peggiori sospetti e timori.

Lo aveva volutamente escluso dai suoi ragionamenti, almeno per ora. Così come lo aveva tenuto fuori dal suo discorso relativo ai suoi fratelli acquisiti, nonché compagni di allenamento e di addestramento.

Non voleva parlare di lui. E non solo perché gli faceva persino pena, facendogli scaturire dal profondo del proprio cuore sentimenti di pietà mista a commiserazione e compatimento. Ma anche per il fatto che, nella sua mente, ogni volta che si ritrovava costretto a figurare ed immaginare quel tizio finiva col generargli al contempo l'effetto speculare ed opposto. E cioé ribrezzo misto al più risentito disgusto.

Non avrebbe mai voluto arrivare a pensare così male di una persona. Ma se doveva, se avesse mai dovuto trovare un modo per definire e valutare quell'uomo, quell'essere, ed avvicinarsi il più possibile a quel che pensava veramente sul suo conto...

Per poterlo giudicare in modo adeguato avrebbe come minimo dovuto scordare e dimenticarsi dell'educazione e delle buone maniere con cui era stato allevato e con cui era cresciuto. E che gli erano state impartite ed inculcate, sin da piccolo e dalla più tenera età.

E non era proprio il caso. Non gli andava di farlo, ecco tutto.

Non ora. Anche se...

Anche se non poteva continuare a tergiversare, purtroppo. E nemmeno seguitare a far finta di nulla.

Prima o poi avrebbe dovuto affrontare la questione. E di petto, per giunta.

A maggior ragione che adesso era appena diventato l'ultimo successore, ed insieme il nuovo reggente e depositario della Divina Arte.

E forse...quel momento tanto a lungo e così tanto rimandato era già arrivato. E prima di quanto avesse potuto pensare.

Era lui. Ce lo aveva davanti.

Jagger.

Era proprio lui, in persona. Che lo stava scrutando dall'alto verso il basso, con quella sua solita aria strafottente e sprezzante. Identica in tutto e per tutto a quella piena e strabordante di alterigia e supponenza dei nobili e dei signorotti locali e feudali quando si trovavano di fronte a qualche povero e sudicio villico. Oppure un analogo e qualsivoglia altro rappresentante della vile plebaglia, sempre pronti ad affliggerli e a tediarli col loro aspetto lurido e miserevole.

In ogni caso le loro posizioni ed il senso di superiorità mostrato da suo fratello maggiore erano tutta apparenza, e non stavano affatto rispecchiando la realtà dei fatti.

Come minimo era Kenshiro quello che avrebbe dovuto guardarlo dall'alto in basso, e non certo viceversa. Anche se il giovane, per sua stessa ammissione ed indole, non ci aveva mai tenuto a porsi proprio sopra anima né morta né viva.

Sopra nessuno, nella sua vita. Tantomeno su di un piedistallo. Ci sarebbe mancato altro.

La differenza tra loro due era stata sempre fin troppo evidente. E col passare del tempo si era fatta ancora più marcata. Tuttavia...Jagger sembrava davvero sicuro di sé.

I casi non potevano che essere due. O era troppo stupido per rendersi conto della situazione, oppure troppo ostinato per volerlo ammettere.

In realtà ve n'era una terza. Vale a dire che era troppo pazzo. Per capirlo e per capire qualunque altra cosa.

Ma non é detto che un pazzo debba essere per forza anche stupido. E' una di quelle cose che per fortuna non debbono escludere per forza anche l'altra.

Forse, con un po' di sforzo, ci si poteva ancora ragionare.

Forse...anche se non era detto.

Ma valeva la pena fare un tentativo. In fin dei conti la situazione era ancora perfettamente sotto controllo.

Kenshiro aveva ancora la piena padronanza della scena e del contesto, anche se a prima vista non sembrava affatto.

“Tsk” fece Jagger, facendo leva sul calcio di legno e spingendo ancor più in affondo ed in direzione dei suoi piedi le canne della doppietta, e premendogliela ancor di più contro alla gota. “E tu saresti il successore della Sacra Scuola di Hokuto? Non ti sei nemmeno accorto che mi sono avvicinato a te, e neanche ti sei reso conto di quando l'ho fatto!!”

Sembrava incredulo.

Ed aveva ben ragione di esserlo. Perché le cose non stavano affatto così, anche se lui riteneva che fossero tali.

Ma non era affatto come stava pensando.

La verità era che suo fratello minore si era già accorto da tempo della sua presenza.

Di più: si era accorto persino del suo arrivo. Aveva percepito il suo sopraggiungere mentre si trovava per la via, ed in mezzo alla strada. Ancor prima che entrasse e decidesse di penetrare all'interno dell'edificio in cui risiedeva, alle prese con i suoi esercizi.

Proprio ne più né di meno di quello che avrebbe fatto un animale selvatico alle prese con un potenziale nemico. O un erbivoro o una preda alle prese con un predatore, con un carnivoro o col loro avversario naturale. Quello che la grande madre che domina tutti gli esseri viventi ha deciso che debba esserlo per lui. Quello che é chiamato a ghermirlo, sbranarlo e a divorarlo.

Ma l'istinto serviva e poteva spiegare solo fino ad un certo punto. Per capire e comprendere come avesse fatto a sentirlo occorreva accantonare e mettere da parte la mera scienza.

Le sue capacità vantavano origini ben più profonde.

Jagger era semplicemente entrato nel suo campo d'aura, tutto qui.

Quella sorta di palla che un essere umano é in grado di formare estendendo le proprie braccia e le proprie gambe sino al limite, per poi farle roteare attorno a sé.

Il confine che riesce a raggiungere e la distanza che lo separa dal suo stesso corpo rappresenta lo spazio vitale di ogni individuo. Sacro ed inviolabile.

E che non può essere né va mai superato. Mai. Poiché un aggressore o un malintenzionato, nel momento stesso ed esatto in cui supera ed infrange quella barriera immaginaria ed invisibile eppure ben presente commette un reato gravissimo.

Non solo attenta alla porzione di spazio più intima di un uomo, ma va contro addirittura l'universo stesso. Entra in conflitto con l'intero universo, le sue leggi, il suo ordine e la sua armonia.

E automaticamente si mette in una posizione di torto e di svantaggio. Dalla quale non potrà che uscirne perdente e sconfitto.

La teoria della SFERA DINAMICA, o del CERCHIO DIVINO DELL' ENERGIA.

I suoi concetti, tanto cari alla discilpina nobile anche se di qualche gradino inferiore quale era L'Aikido, che pur l'aveva ideata e perfezionata, erano ben noti anche ai praticanti della Sacra Scuola di Hokuto. Solo che, nel loro specifico caso...il discorso e gli effetti, nonostante fossero gli stessi e funzionassero pressoché nell'identico modo, andavano moltiplicati per mille ed elevati all'ennesima potenza.

La cosa non costituiva certo una stranezza o un a novità, a volerla dir tutta.

Spesso i praticanti del Sacra Arte della Costellazione dell' Orsa Maggiore riprendevano tecniche semplicissime provenienti da pratiche comuni ed ordinarie, anche se vantavano e disponevano e portavano sulle loro spalle conoscenze dall'altrettanta tradizione secolare e millenaria. E nelle loro mani ne estendevano la validità e l'efficacia a dismisura.

In tal modo un praticante del Pugno della Stella del Nord era in grado di aumentare il proprio campo percettivo, per poi proiettarlo a decine di metri di distanza.

E nel caso del successore e del reggente di tale, meravigliosa tecnica...egli poteva arrivare a coprire decine di chilometri e di miglia. Ed arrivare a sentire quel che si muoveva, succedeva, accadeva entro i confini di un'intero villaggio o città. Di un intero stato o nazione, persino.

Si diceva che un maestro di Hokuto potesse sentire il cadere di una foglia dentro al perimetro di un paese. Che non potesse toccarne il suolo nemmeno una, senza che lui lo sapesse o ne venisse informato e a conoscenza.

Non vi era nulla di strano o di anormale, a riguardo. Anzi...entro certi aspetti la cosa costituiva la normalità, il pane quotidiano per uno come lui.

DOVEVA costituirlo.

Se era vero quanto si diceva sul suo conto e sul conto di quelli come lui, avrebbe dovuto imparare a spostarsi per il mondo veloce come e quanto il vento, non appena la gente e le persone invocassero il suo aiuto o la sua presenza, Fosse anche solo con l'intenzione o col pensiero, senza l'ausilio della bocca e della lingua.

Il Dio della morte sopraggiunge di notte, come un ladro. E compare con la leggerezza di un soffio o di un refolo di brezza, per poi travolgere i malvagi con la forza e la potenza devastatrice di un tornado. Di un uragano.

E' il tifone che tutto abbatte. Ma che colpisce solo chi se lo merita. E che risparmia gli innocenti e gli inermi, perché a loro rivolge il suo sguardo pietoso ed insieme ricolmo d'ira.

E la furia casuale degli elementi che agisce secondo la volontà precisa e razionale dell'uomo. E che dai suoi sentimenti viene spinta.

Era già da un bel po', da un bel pezzo che Kenshiro si era accorto del suo arrivo e della sua imminente comparsa. Ma ciò non sembrava valere per chi aveva davanti, al contrario.

A volerla dir tutta, suo fratello maggiore non dava nemmeno l'impressione di essere in grado di generarlo e svilupparlo, un campo di forza combattiva e spirituale. A differenza di quanto stava facendo e di quanto aveva fatto lui.

“Uh uh uh...” ridacchiò Jagger. “Ma tu guarda che roba...proprio un degno rappresentante, non c'é che dire. Non sei stato neanche in grado di prevedere un attacco a sorpresa! Ti sono piombato alle spalle come un fulmine, e neanche te ne sei accorto!! Ah, ah, ah!!”

Kenshiro glielo lasciò credere.

Gli lasciò tranquillamente credere anche quello.

Aveva deciso di assecondarlo, e di lasciargli credere tutto ciò in cui voleva ed avrebbe voluto credere. Tutto quello in cui seguitava a voler credere a tutti i costi, con ostinata quanto disperata testardaggine, a dispetto di ogni ragionevole logica.

L'asservimento spesso costituisce l'unico rimedio e soluzione, con i pazzi e gli psicotici.

In realtà non vogliono uccidere, a meno che non siano costretti a farlo. E nemmeno vorrebbero fare del male, a meno che non li si metta dichiaratamente in condizioni di compiere ciò e di nuocere al prossimo.

Non sono poi così tanto pericolosi come appaiono, in realtà.

Quel che vogliono non é la morte dell'avversario o di chi gli sta davanti. Ma il totale, completo ed assoluto controllo su di esso. Arrivando persino a fargli del male o a togliergli la vita, se necessario.

Nei casi più estremi, sono disposti a pagare e scontare qualunque prezzo e penitenza. Persino le più amare e salate.

Reagiscono nel peggiore dei modi e delle maniere solo se li si mette con le spalle al muro, come una belva braccata. E allora, giunti a quel punto...se devono scegliere tra il contrattaccare ed il soccombere, in genere prediligono la prima eventualità.

Ma se li si mette a proprio agio...diventano inoffensivi.

Hanno paura di chi stanno cercando di dominare, in realtà. E vogliono principalmente fargli assaporare, dargli un piccolo assaggio e porzione di quel che stanno provando loro. Di quel che la presunta vittima gli sta facendo provare e gli sta causando. E direttamente sulla pelle del principale responsabile.

Quando arrivano ad ucciderlo, lo fanno solo perché temono che egli possa sopraffarli in un'eventuale colluttazione. E che possano avere la peggio in uno scontro diretto.

Da un morto, invece, non devono temere più nulla.

Talvolta lo smembrano e lo fanno persino a pezzi, pur di star sicuri. Perché dietro a questi atti così innominabili e ributtanti si nasconde il terrore di vederli rianimarsi o tornare in vita, o di riaprire improvvisamente gli occhi.

Hanno paura che si risveglino. Hanno paura che li osservino. Ed hanno paura che li giudichino, infine.

Ma Kenshiro non stava reagendo e nemmeno giudicando. Lo stava facendo semplicemente sfogare. E scorrere, come le acque tumultuose di un fiumiciattolo o di un torrente.

Si dice che sia nella natura stessa della natura di riparare da sola i propri danni e di rimarginare le proprie ferite.

Persino il fiume più sozzo ed inquinato torna pulito, se si lascia passare tutta l'acqua torbida senza minimamente interferire.

Occorre solo tempo. Il suo tempo, come il tempo per ogni cosa. Anche se alle volte il processo può essere alquanto lungo, ed oltremodo tedioso.

Lo stava facendo scorrere. E qualunque cosa gli stesse dicendo e facendo, se la stava facendo passare attraverso come se nulla fosse.

Tipico dei matti, dei maniaci e dei paranoici.

Amano sentire il suono della voce. Che sia la loro o quella delle sue prede.

Amano sentire la vittima che li prega, ed implora loro pietà. Oppure che gli chiede e gli domanda come hanno fatto ad imprigionarli e a metterli in trappola. Quasi come se gli stessero rivolgendo un velato complimento nei confronti delle loro abilità, della loro intelligenza e della loro arguzia.

E poi amano così tanto raccontare come hanno sviluppato il loro infallibile piano, con la contentezza paragonabile a quella di un infante che ha appena imparato a muovere i primi passi o a non farsela addosso nelle mutande.

E amano continuare a ripetere di come il mondo é ingiusto ed iniquo e mostruoso. E di come la gente sia gretta, meschina ed insensibile. Al punto di non voler riconoscere il loro genio fuori dal comune.

E, cosa più importante...sono talmente presi a guardare la bocca altrui digrignare i denti ed urlare per il dolore o per le suppliche, oppure ad immaginare la loro che é impegnata a sproloquiare o in un delirante monologo, da non accorgersi di quel che fanno le mani. Specie dell'altro.

Tipo liberarsi, magari. O mettersi in guardia e pronti a difendersi.

Suo padre Ryuken glielo aveva sempre detto.

Bisogna guardare le mani, non la bocca. E fare in modo che l'altro faccia vice – versa. E che guardi la bocca, e non le mani.

E poi gli aveva detto un'altra cosa.

Che le parole, specie se troppe, sono chiaro indice di vanità. E quindi...

Quindi rappresentano una debolezza. Perché la vanità é un sinonimo di ego.

E' solo uno come un altro dei suoi tanti nomi. E come lo si conosce.

Bisogna saper mettere da parte e rinuciare, all'ego. Lasciarlo perdere. Perché porta solo guai e rovina, specie a un guerriero.

Si dà fin troppa importanza alle cose futili. Persino alla morte e alla vita.

Anche loro sono decisamente e largamente sopravvalutate.

Un vero guerriero non si attacca né si aggrappa a nulla.

Accetta tutto, anche quando le cose si dovessero mettere male. E senza mai dimenticare di perseguire il proprio obiettivo.

Rimane calmo. Ma può anche imprecare, se si trova in difficoltà. E quando capisce di non avere più scampo alcuno, và incontro al proprio destino.

Con animo sgombro e sereno. E sorride.

I maniaci non possono fare questo, però. Perché sono intimamente egocentrici.

E Jagger ne stava presentando tutti i tipici tratti caratteriali e comportamentali.

Di un egocentrico congenito e di natura. Praticamente inguaribile.

Ed in quanto tale...Kenshiro lo stava facendo parlare, rimanendosene in silenzio. Proprio come sapeva di dover fare, e come va fatto con i derelitti di quel genere.

Ma doveva stare comunque attento, e non abbassare le proprie difese.

“Uh uh uh..” lo punzecchiò l'altro, rincarando la dose. “Allora? Come ci si sente mentre si sta lì lì per morire, eh? Dimmi, razza di verme...come ci si sente, eh? Come uno che sta per finire dritto dritto dentro a una bella fossa scavata di fresco, vero? Come ci sente, mh? Dimmelo, avanti! Rispondi!!”

Gli stava dando tutto lo spazio e l'attenzione che vanno concessi in casi come questo. Tutti quelli che gli servivano e che gli stava richiedendo, pur senza ordinarglielo direttamente.

Ma se avesse seguitato a rimanersene zitto ancora per un altro po'...la sua strategia avrebbe finito col funzionare a rovescio, ed avrebbe ottenuto l'effetto contrario. L'opposto di quel che si prefiggeva.

Se un maniaco non ottiene risposta, dopo che và avanti per un bel pezzo col suo discorso, si sente sminuito ed estromesso.

Messo da parte, in altre parole.

Jagger avrebbe potuto pensare che lo stesse ignorando, e che non lo stesse prendendo affatto in considerazione. Ed allora...

Allora sì che si sarebbe decisamente infuriato. Ed avrebbe corso il serio quanto concreto rischio di andare decisamente fuori controllo e fuori dalla grazia di Dio. Diventando davvero pericoloso.

Per quel che avrebbe potuto fare. Agli altri ma soprattutto a sé stesso.

Per tenerselo buono doveva dargli ad intendere che lo aveva ascoltato, e che non gli era affatto sfuggito quel che gli aveva appena detto.

Doveva fargli vedere che l'aveva notata, la sua presenza. E che non gli era passato per niente inosservato.

Bastava poco, in fin dei conti. Davvero molto poco, con uno così.

“Jagger...” mormorò con tono sommesso.

Gli diede un'occhiata, subito dopo avergli rivolto la parola. E quella, da sola, fu più che sufficiente per intendersi al volo.

Suo fratello recepì il messaggio al volo, ed arretrò di qualche passo abbassando l'arma.

“Uh uh uh...” disse. “Ho capito. Beh...non mi costa nulla accontentarti, in fin dei conti. Dopotutto...che razza di duello ad armi pari sarebbe se non si esaudisce l'ultimo desiderio di un condannato a morte, non ti pare anche a te? Ah, ah, ah!!”

“Si, hai sentito bene” proseguì, non appena ebbe terminato di ridacchiare. “Perché ormai non ti rimane che morire, dopo aver affrontato me. E visto che te ne devi finire all'altro mondo...tanto vale per te farlo in una posizione comoda! Ah, ah, ah!!”

Kenshiro, questa volta, non disse nulla.

Si limitò a riabbassare le gambe, scaricando su di esse l'intero peso del corpo che sino a quel momento e per tutto il tempo che si era ritrovato a testa in giù era stato ad esclusivo carico delle prime due dita della mano destra , e riguadagnando la posizione eretta.

Perfetto. Ottimo, davvero.

Era riuscito a far comprendere a suo fratello che da lui non stava provenendo la benché minima ostilità, nonostante fosse stato proprio quell'altro ad aggredirlo ed attaccarlo per primo.

Inoltre...quella posizione che aveva tenuto fino ad un istante prima stava iniziando ad essergli oltremodo disagevole e fastidiosa. Senza contare il fatto che la presenza della canna di una doppietta poggiata sulla faccia gliel'aveva resa ancora più scomoda ed indigesta.

Guardò di nuovo Jagger. E di nuovo senza dir nulla.

“Uff...e va bene” gli fece lui, tagliando corto. “Ma sbrigati. La mia pazienza ha un limite, lo sai! E vedi di tentare nulla di strano o di insolito. Bada che ti tengo d'occhio. E sotto tiro!!”

E per meglio farsi comprendere, gli puntò ancora la doppia canna contro e nella sua direzione. Giusto per un attimo.

“Coraggio” lo esortò, intanto che la riabbassava ancora. “Dammi un motivo. Dammi un solo cazzo di motivo per spararti adosso! Ti giuro che non vedo l'ora. Non vedo la stracazzo di ora! E non aspetto altro!!”

Adesso sembrava quasi dispiaciuto di non averlo costretto a starsene ancora un po' in verticale e in posizione ribaltata, a fare ulteriore fatica.

Pareva persino non ricordarsi affatto di averglielo concesso di persona, il permesso di rimettersi in piedi. E dire che le aveva appena pronunciate.

Ma dal tono della sua ultima frase era fin troppo chiaro che doveva essersene già pentito, della sua più recente decisione. E subito dopo averla emessa, per giunta.

Kenshiro tornò a guardare dritto davanti a sé, con gli occhi fissi in avanti e verso un punto invisibile di un orizzonte altrettanto immaginario.

Rimase fermo, come indeciso sul da farsi. Ma per fortuna gli arrivò un pronto quanto rapido suggerimento.

“Grr! Avanti, tu! Muoviti, dannazione!!” Lo esortò ancora Jagger, sempre più irrequieto e spazientito, muovendo il fucile con un ampio gesto di braccio verso l'esterno.

Per ovvi motivi il giovane non aveva potuto vederlo, ma attraverso la sua pelle leggermente imperlata di sudore aveva percepito con chiarezza lo spostamento d'aria provocato dalla grossa e voluminosa arma da fuoco.

Alla miriade di minuscole quanto microscopiche ed infinitesimali goccioline così simili alla rugiada della bruma mattutina che si adagiava sulle foglie e sui bassi cespugli, e che alla pari di essa stazionavano ed attraversavano in mille rivoli i solchi generati dagli altrettanto piccoli pori che componevano, strutturavano e davano vita alla liscia superficie del derma che ricopriva per intero il suo vigoroso corpo...a loro la cosa non era affatto passata inosservata.

Ed essi avevano naturalmente reagito, inturgidendosi e facendosi tutti intirizziti. E causandogli un live brivido.

Breve fin quanto si vuole, ma intenso. Al punto da non poter affatto passare inosservato. E su cui non ci si poteva affatto mettere a sorvolare, pur con tutta quanta la propria buona volontà di cui si dispone.

No, non si poteva far finta di nulla, nemmeno se lo si volesse e desiderasse con tutte quante le proprie forze.

Ma era solo un brivido di freddo, dopotutto. Non certo di paura.

Kenshiro non aveva paura. E soprattutto...Jagger non gli faceva paura.

Non gli aveva mai fatto paura.

Non lui, almeno.

Decise comunque di seguire il consiglio che gli aveva appena elargito.

Dopotutto, quando si prova freddo, da sempre il modo migliore per riscaldarsi a scando di possibili raffreddori o raffreddamenti di sorta lo costituisce il muoversi.

E' il miglior rimedo, da che mondo é mondo. E poi chissà...forse quel pazzoide lo avrebbe interpretato come un gesto ed un segno di magnanimità.

Da parte sua, ovvio. Sarebbe stata la dimostrazione lampante che lo ascoltava, e che teneva in estrema considerazione il suo parere. Su ogni cosa.

Mise le gambe alla medesima distanza tenuta dalle proprie spalle, ed eseguì una serie di diretti alternati sul posto.

Una lunga sequenza di pugni dritti, identici in tutto e per tutto ai celebri e celeberrimi TSUKI tanto noti e cari a qualunque karateka o praticante di qualche KENPOU di OKINAWA o di qualche altra isola del gruppo delle RYU – KYU, da cui si diceva e soteneva che derivasse la decantata tecnica marziale nipponica.

Destri e sinistri. Ripetuti, in successione e senza alcuna sosta. Con l'aria che veniva espirata e buttata fuori con forza ad ogni estensione di arto superiore. Mentre l'altro braccio che non era impegnato a sferrare il colpo veniva piegato ad angolo esattamente retto e portato al fianco a cui stava attaccato, secondo quanto prevedevano i dettami della fisionomia umana.

Come già accennato, a prima vista ricordava davvero un allenamento di KARATE. Oppure di SHORINJI – KENPOU. Principalmente per la forza che i movimenti stavano sprigionando.

Anche se, ad un'occhiata più attenta, la fluidità e il modo flessuoso in cui i pugni si susseguivano l'uno dopo l'altro, man amano che venivano eseguiti, ora stava ricordando molto ma molto di più l'antico WU – SHU o GONG -FU cinese, da cui in seguito si sarebbe sviluppato il KUNG – FU odierno che tutti gli adepti conoscono e praticano.

Anzi, più che susseguirsi i pugni stavano letteralmente confluendo l'uno nell'altro fino a diventare, a rendersi un solo ed unico movimento, complice anche l'altissima velocità di esecuzione.

Dopotutto, si diceva anche che qualunque stile marziale giapponese in fondo derivasse dalla Cina...

Tutto quel che si conosceva e faceva entro l'arcipelago ed i suoi confini tracciati dal mare e dall'oceano derivava dal continente.

Persino Hokuto. Persino la Divina Arte.

Fu la Cina ad idearla. Anche se poi toccò al Giappone portarla al massimo fulgore e splendore.

Ecco. Un combattente esperto ma soprattutto coscienzioso e lucido avrebbe capito tutto, dopo aver assistito ad una simile dimostrazione.

Potenza e velocità insieme, in un connubio perfetto quanto mortale e letale.

A chiunque sarebbe bastato vedere tutto ciò, soltanto questo, per rendersi conto della monumentale differenza che separava chi o quelli che stavano solo osseravando da colui che le stava praticando, quelle mosse.

Ma Jagger no.

Non capiva. Non era in grado di capire.

Non era più in grado di capire, ormai. Non era in grado di capire più nulla.

Più niente.

Non voleva capire più niente. E nemmeno sentire o vedere ragioni.

Mentre proseguiva, il giovane allievo ormai divenuto maestro anche se da poco, pochissimo...egli non poteva fare a meno di rimuginare e riflettere su alcune inevitabili considerazioni.

Poteva farlo, dopotutto. Poteva riuscirci tranquillamente.

Gli era concesso. Il suo corpo, abituato alla pratica continua e costante, in queste situazioni si metteva ad agire e muoversi in automatico.

Correva voce da sempre, tra gli allievi, che i praticanti della Divina Arte della Sacra Scuola di Hokuto non fossero che uomini comuni.

In grado di compiere cose incredibili, sovrumane. Persino dei prodigi, anche.

Persino quella terribile ed insieme meravigliosa capacità che Dio stesso ha concesso all'uomo. Ad ogni uomo.

L'unico dono che Dio gli ha lasciato, e che gli é rimasto. La recondita possibilità di compiere, col giusto aiuto e nelle corrette circostanze, azioni quasi divine.

Quella che viene comunemente chiamata e definita MIRACOLO.

Persino i miracoli. Persino loro.

La Divina Arte di Hokuto rende questa possibilità così remota del tutto tangibile.

Può rendere possibile l'impossibile, se lo si desidera. Se davvero lo si vuole.

Equivale quasi, dal punto di vista scientifico, di creare qualcosa o addirittuta l'energia stessa dal nulla. Che per la fisica moderna ed applicata equivale a pura follia, a mero astrattismo.

Eppure, per Hokuto...é reale.

Con la volontà si può tutto. E si può raggiungere ed ottenere qualunque cosa, qualunque obiettivo.

Una cosa del genere rappresenta il coronamento di ogni sogno e desiderio umano.

Ma gli adepti, i discepoli e i maestri di Hokuto non sono che esseri umani anche loro, in fondo. E hanno i loro limiti.

Perché sarà pur vero che la Divina Arte di Hokuto é stata ideata, pensata e progettata dagli Dei.

Forse deriva davvero da loro. Ma ad usarla, ad utilizzarla sono pur sempre gli uomini.

Devono pur sempre farne uso loro, non le divinità.

E per fare ciò, devono prendere a prestito un'energia a dir poco enorme. E per un tempo variabile, e più o meno prolungato.

Un'energia che deriva dall'intero pianeta. O forse, addirittura dall'intero universo. O, fatto ancora più sconvolegente, da qualche dimensione mistica o ultra – terrena.

Da ALTROVE, insomma. Da dimensioni che, pur essendo e scorrendo in parallelo alla realtà per come la si conosce, vanno oltre qualunque tentativo di spiegazione e comprensione umana.

Da altrove, appunto. Da un altrova che non si sa e che non si conosce.

E che non si vuole conoscere.

Non lo si vuole assolutamente conoscere, perché é meglio non farlo.

Meno si sa, meglio é.

Forse potrebbe addirittura arrivare dall'aldilà. O dall'oltretomba.

Dal paradiso.Oppure dall'inferno.

Ed ovviamente...esiste un MA.

C'é un prezzo ed un conto da pagare, per avere ed ottenere tutto questo. Ed é bello salato, e alla lunga pure amaro. Molto amaro.

E' il prezzo che va pagato. Il conto da riscuotere per ottenere lo stesso potere di DIO.

Poiché nulla si dà per nulla. E non si può creare energia partendo dal nulla.

Anche l'impossibile ha i suoi limiti, dopotutto.

Sarebbe come pretendere di poter generare il moto perpetuo.

Forse un giorno si potrà dare vita ad un movimento che dura all'infinito. Fino all'infinito, ed oltre.

Ma anche facendo questo, dovrà pur sempre e comunque esserci uno che quel movimento lo fa partire.

Un movimento potrebbe anche non finire né morire mai. Ma deve pur nascere, per poter esistere.

L'uso e la pratica assidua, continua e costante della Divina Arte di Hokuto può logorare e causare il progressivo deterioramento fisico e mentale da parte di chi ve ne fa ricorso, fino a consumarlo del tutto. Fino a provocarne il totale annientamento.

E' per tale motivo che chi la pratica si sottopone ad allenamenti a dir poco durissimi, che gli permettano una perfetta quanto ottimale sinergia tra la mente ed il corpo.

Le due forze da sempre contrapposte devono entrare in completa armonia, per elevare al massimo l'anima e lo spirito.

Ma alle volte, potrebbe non bastare.

Nemmeno quello basta, in certe spiacevoli occasioni.

Suo padre Ryuken si era ammalato di cuore, e ormai ogni giorno di vita in più per lui era da considerarsi guadagnato.

E lo stesso discorso valeva per Toki, uno dei suoi fratelli maggiori.

Toki aveva sempre dato da capire di essersi ammalato di cancro dopo essere stato investito dalle polveri tossiche del fall – out radioattivo generato dalle esplosioni dei missili e delle testate nucleari.

Era accaduto quando si era sacrificato, mettendo a repentaglio la propria incolumità, nel tentativo di proteggerlo insieme a Julia, la sua fidanzata. Richiudendo a mani nude e direttamente dall'esterno i portelloni a chiusura elettronica, computerizzata e temporizzata del bunker adibito a rifugio sotterraneo, dopo averceli spinti dentro.

Perché si erano guastati ed inceppati. E se non l'avesse fatto, sarebbero morti tutti.

Lui, Julia, lo stesso Toki, i bambini, i vecchi che stavano badando a loro e che li accudivano...

Tutti. Nessuno escluso.

Il sacrificio di uno per la vita di tanti. Di molti. Di tutti.

Un gesto davvero nobile. Che solo uno come Toki, con la sua innata bontà e gentilezza d'animo, avrebbe potuto compiere così a cuor leggero e senza minimamente badare alle disatrose e catastrofiche conseguenze sulla sua salute. Peccato solo che...

Peccato solo che non lo aveva convinto del tutto.

No, non gli era riuscito di convincerlo al cento per cento, su questo. Non gliel'aveva data a bere, nonostante avesse fatto di tutto per far credere che le cose stessero davvero così.

Kenshiro aveva sempre nutrito il sospetto che Toki fosse già malato prima di allora. E che quella disgrazia non fosse stata altro che un'ulteriore croce in più piombata sulle fragili spalle di un povero corpo già da tempo roso e minato da un'inenarrabile malattia.

Un colpo di grazia che le aveva rese ancora più fragili e incerte di quanto già non fossero, quelle spalle così gracili. Ma che non era da considerarsi come la causa della sua futura morte, un giorno non più tanto lontano. E che via via che scorrevano i mesi sembrava anzi farsi sempre più prossimo ed incombente.

No, non andava affatto considerato tale, in quanto non avrebbe fatto altro che ammazzare un uomo che in realtà era già morto. Già morto da un pezzo.

Che sorte ingrata ed infausta che era, la sua.

Non era giusto.

Non avrebbe mai dovuto pensarlo o azzardarsi a farlo, vista la posizione che adesso ricopriva.

Un uomo facente parte del rango che ora aveva ottenuto, a prezzo di così grandi sacrifici, non poteva concedersi una simile caduta di etichetta. Considerando soprattutto i nobili e glorosi trascorsi di coloro che ne avevano occupato le fila prima di lui.

Ma vedendo il triste destino di quel poveretto...non poteva fare a meno di ritenere che la vita fosse davvero un gran mucchio di merda puzzolente e putrida, certe volte.

In ogni caso...pare che tutti quelli che si addentravano nei meandri e nei misteri della Divina Arte di Hokuto fossero destinati per qualche oscuro motivo ad una vita incerta e travagliata.

Oltre che estremamente breve, inoltre.

Un particolare, quello, che non andava affatto tralasciato.

Una specie di malìa. La malìa di Hokuto, e della costellazione dell' Orsa Maggiore.

Ma anche in quel campo ed in quel senso vi erano le opportune eccezioni. Che forse, come sostiene un vecchissimo adagio, servono soltanto a confermare ancor di più la regola.

Come lui e Raoul.

Per qualche ragione ancora più strana, loro due sembravano essere stato dispensati da tutto questo.

Loro non ci rientravano, in quel discorso. E parevano essere immuni a quella sorta di maledizione che aleggiava sul capo di coloro che praticavano il Sacro Pugno della Stella del Nord.

Anche se, nello specifico caso del più anziano ed esperto tra i suoi fratelli maggiori, l'eccezione la si poteva considerare valida solo fino ad un certo punto.

Suo fratello Raoul non era affatto rimasto immune, da quel maleficio. Anzi...

Forse era rimasto più colpito di chiunque altro.

Da qualche tempo non era più lo stesso.

La malìa gli era penetrata molto più a fondo, fino ad intaccargli l'anima.

E quello era il tipo di contagio più subdolo e pericoloso. Perché non ce ne si accorge, ed in genere quando ci si rende conto di essere malati dentro solitamente é troppo tardi per riuscire a porvi qualche possibile rimedio.

Ci sono rovine che arrivano e giungono all'improvviso, facendo un gran boato e baccano. Come il fragore di un terremoto. Oppure di un maremoto, con tanto di gigantesca quanto monumentale onda anomala pronta a seppellire ed inghiottire tutto quanto sotto galloni e galloni di acqua.

E poi ci sono quelle di tipo più sommesso, silenziose. Come la goccia d'acqua che scava con pazienza ed estrema ostinazione dentro ad una roccia, sino a far crollare un'intera volta o un'intera caverna.

Corrodono, consumano e corrompono. Goccia, dopo goccia, dopo goccia...

Raoul era caduto vittima dell'ambizione, e della sete di potere e di dominio più sfrenate.

Erano diventate per lui un'autentica ossessione, una febbre che distrugge ed avvelena lo spirito.

Pericolosa e inarrestabile almeno quanto lo sono la rabbia, la tristezza, la depressione e la follia per il cervello umano. E visto che si stava parlando proprio di quello...

Anche Jagger era caduto vittima del maleficio insito nella Divina Arte trasmessa dalla Sacra Scuola.

Nemmeno lui era riuscito a sfuggirgli. E a conti fatti, era sempre stato quello che aveva avuto meno possibilità di scamparla.

A lui il morbo lo aveva preso direttamemente alla testa, e ben presto.

Sin da subito. Prima di tutti.

Kenshiro era stato l'ultimo, tra i quattro figli adottivi del sommo e saggio Ryuken, a venire accolto nel monastero. L'ultimo, ad avere la concessione di accedere sia al tempio, alla palestra ed al campo di addestramento.

E quando lo aveva incontrato e conosciuto, Jagger era già così. Sin da quando lo aveva visto per la prima volta.

Instabile. Parecchio instabile.

Già si notava e si scorgeva in lui un certo squilibrio unito ad una notevole dismisura.

Restava solo da capire se fosse impazzito subito dopo aver iniziato gli allenamenti o se lo fosse già di suo. Ancor prima di apprendere la Divina Arte. E che il potere di quest'ultima non avesse fatto altro che accelerare il nefasto processo, peggiorando una situazione già di per sé fin troppo grave.

Difficile stabilirlo con chiarezza.

Una cosa però era più che certa, ed almeno su questo non sussiteva alcun dubbio di sorta.

Raoul era ancora in grado di ravvedersi, se solo lo desiderava davvero.

Perché la strada del dominatore che si stava accingendo ad intraprendere rappresentava una sua libera e spontanea scelta.

Nessuno lo stava obbligando. Poteva fermarsi quando voleva, col suo progetto.

Avrebbe potuto ancora riconvertire il processo. C'era ancora una possibilità per lui, per quanto remota.

Perché non era affatto un bruto, nonostante i modi bruschi e spicci.

Aveva tutte le qualità. Era intelligente, nonché abile.

L'unico problema...era il fatto che era anche testardo ed ostinato. Ed orgoglioso.

Per Jagger, invece, non c'era speranza. Non c'era mai stata speranza.

E qui non c'entrava certo lo squilibrio psicologico. Era una mera questione caratteriale, di indole e di attitudine.

Che fosse pazzo o meno, squilibrato o altro...Jagger era prima di tutto, prima di ogni altra cosa malvagio.

Sì. Malvagio, incauto e stupido.

Una pessima combinazione, specie lì dentro. La peggiore che fosse possibile.

Malvagio, incauto e stupido. Ed assolutamente privo di talento. E di qualsivoglia valore.

E se mai ce lo avesse avuto per davvero, un briciolo di talento...esso era ormai naufragato in mezzo alla tempesta composta dai suoi neuroni resi guasti e avariati.

Perduto per sempre. Come ciò che rimaneva del suo senno.

E uomini simili non fanno altro che approfittarsi in continuazione e ad ogni occasione possibile dell'oncia di potere che hanno.

Se gliene si dona un poco, essi credono di diventare come delle autentiche divinità, in grado di dispensare la vita o la morte dalle proprie mani in base al loro sentimento e capriccio, e di decidere del destino dei loro simili a piacimento.

Credono che Dio abbia messo al mondo i suoi simili per dare ad essi il piacere di tormentarli, e a loro esclusiva volontà.

Suo padre gli aveva detto che andava fermato. E che se fosse diventato lui il legittimo successore, sarebbe stato un suo preciso compito ed incombenza.

Toccava a lui, farlo. E Kenshiro lo sapeva.

Sapeva che sarebbe arrivato questo momento, prima o poi. E a quanto sembrava...

Il momento fatidico era giunto ancor prima del previsto. Ancor prima di quanto credesse.

Mentre era perso nelle sue elucubrazioni e decideva sul da farsi Kenshiro si accorse che, intanto, almeno una cosa l'aveva portata a termine.

Gli esercizi. Aveva appena concluso gli appositi esercizi di defaticamento.

Portò entrambe le braccia davanti e sé, tenendole ben diritte e parallele al pavimento, con i palmi bene all'infuori.

Le dita erano stese anch'esse, rivolte verso il soffitto, con pollici piegati ad angolo retto.

Espirò. Questa volta più a lungo, in un unico soffio.

Jagger capì che aveva finito e si fece sotto di nuovo.

Alzò ancora la doppietta e gliela puntò in faccia, questa volta appena sotto all'occhio sinistro, in concomitanza del rispettivo zigomo.

“Tsk” ricominciò, col suo solito tono sprezzante. “Lo sapevo. Sapevo che il vecchio si era completamente rincoglionito, tra la vecchiaia e quel mezzo catorcio di cuore malato marcio che si ritrova in quel suo petto rinsecchito. Ma devo dire che stavolta ha superato davvero tutte le mie aspettative!!”

“E' andato davvero oltre ogni limite!!” Ribadì, se pur con termini differenti. “Ma non importa...a tutto c'é rimedio.”

Kenshiro non si scompose neanche stavolta.

Finché Jagger aveva l'intenzione di ferirlo a ingiure ed insulti, poteva andare avanti finché voleva.

Le offese non uccidono nessuno. Vanno paragonate al latrato o all'abbaiare di un cane.

Fino a che si limita a fare quello e basta, e senza passare alle vie di fatto come l'azzannnare o mordere...lo si può lasciare andare avanti fin quanto vuole, e finché lo desidera. Fino a che non si stufa.

Ne avrebbe potute aver da dire fino a saziarsi, e lui lo avrebbe tranquillamente lasciato fare.

Ma se aveva intenzione di fare altro...beh, lui era più che pronto.

Razza di povero, triste, patetico idiota che altro non era.

Era ancora più che convinto di averlo in pugno, quel babbeo. Di tenerlo in scacco, e di avere la situazione pienamente sotto controllo.

Avrebbe potuto disarmarlo e togliergli quel cannone dalle mani quando e come voleva, senza dargli il tempo di fare nulla.

Prima che potesse fare qualunque cosa. Suo fratello non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di sparare un sol colpo.

Gliel'avrebbe distrutto prima ancora che potesse far partire anche un solo proiettile.

Era vero che nell'era della tecnologia moderna bastava premere un pulsante, un tasto o un grilletto per distruggere tutto. E le guerre nucleari appena combattute lo avevano ampiamente dimostrato.

Ma prima bisogna arrivarci, al famoso interruttore.

E se quella mano la si spezza, la si fracassa, la si rompe, la si distrugge, la si taglia, la si tronca o addirittura la si fa esplodere...ecco che di colpo quel tasto così vicino diventa irraggiungibile.

E persino un'operazione così semplice diventa impossibile.

“Che...che cosa vuoi?” Si limitò a chiedergli. “Che cosa sei venuto a fare, qui?”

Jagger non rispose. Fece parlare i fatti, al suo posto.

I gesti. Le azioni. Per la prima volta in vita sua.

Davvero incredibile, per uno come lui che era abituato e che si era sempre limitato a minacciare e ad aggredire verbalmente, ma senza mai tentare nulla di davvero concreto.

Quelli della sua risma erano in genere sempre ben pronti a farsi avanti solo quando e se qualcuno si faceva avanti per primo al posto loro. Per poi piazzarsi alle loro spalle per istigarli e per stuzzicarli, sussurrandogli all'orecchio cosa c'era da fare e come avrebbero dovuto fare, in modo che potessero dare il peggio di sé. Liberamente, senza remore.

Era un cospiratore ed un sobillatore di natura. Ma adesso, improvvisamente, sembrava aver perso ogni paura e vergogna.

Doveva aver davvero trovato e preso il coraggio a piene mani, tutto ad un tratto.

O forse...doveva solo essere disperato,

Abbassò leggermente la canna del fucile, e poi la allungò di scatto colpendo Kenshiro al petto e costringendolo ad arretrare.

E poi, solo allora, solo a quel punto si decise finalmente a dire qualcosa.

“Siediti!!” Gli ordinò, con voce secca e aspra.

Kenshiro, per effetto del colpo non così tanto inatteso, assecondò la spinta dell'impatto e fini su di una sedia che si trovava poco distante, alle sue spalle.

Non fece a tempo ad alzare il viso che si ritrovò davanti la faccia di suo fratello.

“Bene, bene...” commentò. “Il nuovo successore...ma guarda un po'. Scommetto che adesso sarai contento, vero? Immagino che tu sia tutto bello tronfio e orgoglioso di ciò, dico bene? Così come immagino che dentro di te tu ti stia facendo delle grandi e grasse risate, alla faccia mia e dei tuoi due altri fratelli, vero? Te la stai godendo in barba a noi tre, giusto? In barba a me, a Toki e a Raoul! Ma adesso, se permetti, sarò io a godermela almeno per un po'!!”

“Sì, sì...” continuò. “Si é trattato proprio di un bello scherzetto. Un bel giochetto, niente da dire. Ma si dice che un bel gioco sia destinato a durare poco. E infatti é ora di finirla, adesso! Ora é giunto il momento di fare sul serio! E' giunta l'ora per noi grandi di riprendere in mano la situazione, e di mandare i mocciosi fuori dai coglioni! Di rispedire i marmocchi come te a casa, a suon di schiaffoni!!”

“Sei ancora in tempo” gli suggerì. “E adesso, ascoltami bene. Ora tu andrai da nostro padre a dirgli una bella cosuccia.”

Suo fratello minore lo guardò, come in attesa di istruzioni.

O magari voleva solo vedere dove stava andando a parare. Anche se, in cuor suo, lo sapeva e se lo immaginava benissimo.

Sin troppo bene.

“Hai capito?!” Insistette Jagger, apparendo sempre più fuori di sé ad ogni parola emessa. “Ora tu andrai dal vecchio, e gli dirai che rinunci all'incarico! Gli dirai che non accetti il ruolo di successore, perché non ne sei in grado!!”

Kenshiro lo osservò, stupito.

“Ch...che cosa?!” Chiese.

“Hai inteso benissimo!!” Aggiunse l'altro. “Vedi di non fare il finto tonto. Ascolta...io lo dico per il tuo bene, credimi. Tu...tu non sei all'altezza, di quel ruolo. Non ce la faresti mai, a reggere l'incombenza. Non ce la faresti, a sostenere un peso simile. Sei il più piccolo e il più inesperto tra noi, e non esiste che tu possa permetterti di sorpassare noi che siamo i tuoi fratelli maggiori. Non esiste!!”

“Non esiste, chiaro?!” Gli ribadì. “Ti é chiaro, in quella tua testina di cazzo? Ti entra, in quella tuta testa di merda? Non esiste che tu ti possa essere messo in quel tuo cervello una cosa del genere. Non esiste! Ma non esiste proprio. Non esiste per un cazzo! A me non interessa se il vecchio te lo sei oliato e arruffianato per benino, in tutti questi anni. Tu non sei degno di essere il successore, hai capito? Non lo sei mai stato! Adesso tu vai lì da lui, e gli dici che rinunci!!”

“Avanti!!” Lo esortò di nuovo. “Che cosa aspetti? Forza!!”

Ma Kenshiro non si mosse, e nemmeno disse nulla. Si limitò a continuare ad osservarlo, con quel suo solito sguardo enigmatico di sempre.

Quello sguardo che voleva dir tutto e che pure voleva dir niente. Proprio quello sguardo che Jagger non sopportava, e che detestava con tutte quante le sue forze. Che aveva da sempre detestato, con ogni singola fibra del suo corpo.

Quei due occhi...con quei suoi occhi ti scavava dentro. Scavava dentro di te, come se fosse alla perenne ricerca di risposte. E come se davvero pensava che fosse lui a dovergliele fornire, quelle risposte.

Bastò. Quello fu sufficiente a far perdere completamente a Jagger i lumi e la ragione. O per lo meno quel poco che gli era ancora rimasto.

Alzò la propria arma fin sopra ed oltre la propria testa e poi la scaglio di tutta forza, rabbia ed impeto contro il ragazzo, abbattendogli la doppia canna in metallo tra tempia, collo e spalla.

Kenshiro stramazzò al suolo per l'impatto, mentre un rivolo denso e rosso scuro iniziava a colargli lungo la parte colpita, a partire dall'attaccatura dei neri capelli.

Non fece a tempo a rannichiarsi per proteggersi che una nuova gragnuola di botte gli piovve addosso per ogni dove.

“D – dannato!!” Urlò jagger, furibondo. “Cos'é quello sguardo, eh? Che cazzo é, quello sguardo? Che cos'hai da guardarmi così? Che cazzo hai da guardarmi così, eh? Razza di stronzo! Che cazzo significano quegli occhi, eh? Si può sapere che cazzo mi dovrebbero significare, quegli occhi? Che cazzo hai da guardarmi così, eh? Non lo sopporto, quando mi guardi a quel modo! Non lo posso sopportare, capito? Non l'ho mai potuto sopportareee!!”

Continuava a massacrarlo, come in preda a una sorta di vero e proprio delirio. Non si fermava più.

“Bastardo!!” Inveì. “Non ti ho mai potuto sopportare, capito? Non ti ho mai potuto soffrire, a te e a quei tuoi occhi languidi da smidollato! Prendi, prendi! Beccati questo!!”

Alla fine si arrestò. Ma più che altro per sincerarsi dell'effetto della sua sonora ripassata che per scrupolo vero e proprio. Se mai fosse stato possibile provare un simile sentimento, per uno come lui.

Kenshiro approfittò dell'attimo di pausa per rialzarsi, mettendosi accovacciato e su di un ginocchio.

Aveva il volto e buona parte del corpo piuttosto tumefatti, per via dei ripetuti urti da oggetto contundente in acciaio temprato. Ma nonostante tutto, sembrava non curarsene né farci troppo caso.

“T – tu...tu usi sempre pistole e fucili” dichiarò. “P – perché...perché almeno una volta...perché non provi ad usare la sola forza dei tuoi pugni, per tentare di sconfiggermi? E il sangue che la Divina Arte ti ha donato, per una buona volta?”

“Che...che cosa hai detto?!” Gli disse Jagger, quasi esterrefatto. “Cosa cazzo...che cosa cazzo stai dicendo?!”

“Lo hai capito, quel che ho detto” gli ribadì suo fratello. “Utilizzi sempre pistole e fucili, quando combatti. Non é forse vero quel che dico, Jagger? Per non parlare degli aghi. O degli attacchi di sorpresa o alla sprovvista. Ma se vuoi combattere contro di me...e se davvero ritieni di essere il degno successore della Divina Scuola, dovresti usare solo i tuoi pugni. Usa solo i tuoi pugni, mi hai sentito? E nient'altro.”

“E vedi di piantarla, di giocare sporco.” aggiunse.

“Stà...sta zitto!!” Sbraitò il diretto interessato di quel consiglio. “Stà zitto, capito? Chiudi quella cazzo di bocca! Cosa vuoi che me ne importi, eh? Che cazzo vuoi che me ne freghi mai, a me?”

“I pugni non sono tutto” proseguì. “Così ragionano i perdenti! E' così che ragionano i perdenti come te! Ed é proprio per quello che muoiono, e che meritano di morire! Ed é proprio per questo, che tu dovrai morire! Devi morire! Non meriti altro che di morire! Quel che conta in un duello é vincere, chiaro? Vincere e essere i più forti, razza di scemo! Ad ogni costo e con qualunque mezzo!!”

Riprese ad avanzare e gli si lanciò ancora contro, portando ancora verso il soffitto le canne della propria doppietta e puntando di nuovo al suo viso.

Voleva frantumarglielo, come minimo.

Era certo di essere in procinto di sferrargli il colpo di grazia, ormai.

“La Divina Arte di Hokuto può donare un'infinita potenza, a chi la pratica!!” Annunciò trionfante, mentre accennava persino una sorta di rincorsa per prendere meglio lo slancio e colpirlo ancora più forte.

Aveva davvero intenzione di chiuderla lì. Una volta per tutte.

“A coloro che sono prescelti può arrivare a dare lo stesso potere di Dio! E proprio per questo, e per via della sua pericolosità può essere trasmessa a un solo individuo per ogni generazione! E questo lo sa anche un idiota incapace come te! E in mano a un imbecille e buono a nulla del tuo calibro, essa non avrà alcun futuro! E' destinata a estinguersi! Mentre in mano mia diventerebbe ancora più grandiosa e potente! Più splendente e gloriosa che mai!!”

Puntò ancora più in alto l'arma, pronto a lanciargli l'attacco decisivo.

“Che tu sia maledetto, razza di bastardo! Diventare il successore era il mio sogno! Il più grande desiderio di tutta la mia vita! E tu ti sei messo in mezzo, tra me e mio padre! Hai rovinato tutto! E non te lo perdonerò mai! Devi morire, capito? Morire! Maledetto! Muori, muori! Io ti spacco il cr...”

Si bloccò di colpo. Qualcosa aveva improvvisamente arrestato la sua mossa, il suo assalto e la sua furia, che ora si era come dileguata.

Si sentiva come se avesse sbattuto contro qualcosa dopo che qualcuno lo aveva disarcionato dalla propria moto. Per poi farlo finire addosso ed in pieno ad un muro di mattoni o di blocchi di cemento. O addirittura una parete realizzata mediante una colata su di un'apposita armatura di ferro o di analogo metallo, altrettanto durissimo e resistente.

Percepì una pressione a dir poco spaventosa attorno al mento.

Abbassò gli occhi, colto da un presentimento a dir poco terribile.

Vide una mano che gli aveva serrato la mandibola fino ai lati, in una morsa d'acciaio da cui era pressoché impossibile sfuggire o liberarsi.

Una spiacevole quanto umiliante sensazione lo pervase.

Una sensazione di sacrilegio, quasi.

Lo avevano svilito, oltraggiato.

Ma chi aveva osato?

Chi poteva aver osato tanto?

La seguì a ritroso fino al braccio, e da lì fino alla spalla per poi risalire fino al busto e alla testa dell'artefice. Del responsabile. Anche se era fin troppo facile intuirlo ed immaginarlo, giunti a quel punto.

Anche se non ci credeva. Nemmeno adesso che era lui stesso a far da testimone.

Era stato quello.

Era stato Kenshiro.

In meno di un decimo di secondo si era rialzato, aveva colmato e chiuso la breve distanza che li separava e lo aveva intercettato, stoppando e stroncando il suo attacco sul nascere. E con un tempismo a dir poco perfetto, sensazionale.

Non l'aveva nemmeno visto muoversi. Ma come diavolo aveva fatto?

 

Grr!!

Lasciami!!

Lasciami, maledetto figlio di puttana!!

Ti ordino di lasciarmi, capito?!

LASCIAMI ANDARE!!

 

Questo fu ciò che avrebbe voluto tanto urlargli.

Ma per sua sfortuna, oppure immensa fortuna, dalla bocca paralizzata dalle dita del suo rivale gli uscì solamente un ringhio sommesso seguito da un gorgoglio semi – indistinto.

“Ghrhrhmfffhh!!”

Gli era andata fin troppo di lusso.

Anche un cretino si sarebbe accorto che il giovane si doveva trovare al limite. E che aveva raggiunto il colmo.

Quel che aveva appena subito avrebbe fatto traboccare di collera persino un santo. E a quel punto gli sarebbe bastato meno di un niente, a chi lo stava tenendo in scacco, per tramutargli tutte le ossa della faccia in poltiglia.

Sarebbe stata sufficiente la minim pressione, per ridurgliele in briciole. E ne avrebbe avuto pure tutte quante le ragioni, per farlo.

Lo aveva aggredito ed attaccato deliberatamente, e senza alcun motivo. E lui aveva tutto il diritto, di doversi difendere.

Tutto quanto il sacrosanto diritto di questo mondo.

Ma il successore legittimo della Divina Scuola di Hokuto deve essere superiore, ad un semplice santo.

Egli deve superare tutti i santi che siano mai esistiti. Persino lo stesso Buddha, se occorre.

Un santo deve sopportare al massimo la sua sofferenza personale, anche se in nome di ciò che venera.

Ma l'erede designato deve sopportare la sofferenza di tutto quanto il mondo intero. E senza poter credere o contare su nulla, se non sé stesso.

Inoltre, Jagger era ben più di un cretino.

Si limito a fargli capire quel che stava provando con un gesto sin troppo eloquente. E che potesse risultargli inequivocabile.

Bastò un attimo. Un respiro. Un battito. Sia di cuore che di ciglia, e Jagger si sentì mancare la terra sotto ai suoi piedi.

Aveva perso il contatto col pavimento.

Suo fratello, che tanto sminuiva e disprezzava con tutte le sue forze, lo aveva sollevato con un solo arto.

Per la sorpresa il fucile gli era caduto a terra, mentre lo issava. E senza il benché minimo sforzo.

“Poco fa hai detto giusto. E ora di finirla, Jagger” gli disse, con sguardo severo ma col tono che tuttavia era rimasto ancora calmo. O che per lo meno si sforzava nel tentativo di trattenersi.

“Ggghhrrrmmffhh!!”

“Hai sentito bene” gli ribadì. “Falla finita. Ti chiedo di farla finita, una volta per tutte.”

“Forse non sarò il miglior successore che la Divina Scuola abbia mai avuto o conosciuto, nel corso della sua millenaria storia” spiegò. “Anche se questo é ancora tutto da dimostrare. E ti confesso che nemmeno lo volevo, il titolo di successore. Anche se anch'io lo desideravo ardentemente. Non ho chiesto io di diventarlo. Quel che so...quello che so per certo é che nostro padre ha preso la sua decisione, e se ha stabilito così avrà avuto le sue buone ragioni. E io non voglio assolutamente tradire la fiducia che ha voluto dimostrare nei miei confronti. Ha fatto la sua scelta, e io voglio essere degno di tale scelta.”

Fece un breve scatto del polso e lo gettò a terra, mezzo metro più avanti.

“E sono sicuro di un'altra cosa” aggiunse. “Che qui, se c'é uno che non merita il titolo di successore, di sicuro quello sei tu. Non sei degno di tramandare la Divina Arte. Perciò é ora che tu la smetta, con questo tuo ridicolo e assurdo atteggiamento. Una volta per tutte.”

“E adesso vattene!” Gli intimò. “Và fuori di qui!”

“T – tu...tu...” balbettò Jagger, ormai fuori di sé e con gli occhi quasi completamente fuori dalle orbite. “Tu...maledetto...”

“Vattene!!” Ripeté Kenshiro, con voce ancora più decisa. “Bada che é il mio ultimo avvertimento, sappilo. Vattene, o sarà tanto peggio per te.”

Detto questo, si voltò e gli diede le spalle.

Jagger stava sul punto di esplodere.

Quel pezzo di merda non lo stava nemmeno più guardando in faccia, dopo averlo lanciato.

Evidentemente non lo stava nemmeno ritenendo degno di incrociare il suo sguardo. E nemmeno di stare al suo livello.

Aveva ragione. Aveva sempre avuto ragione, su tutta quanta la linea.

Lo aveva sempre detto lui, che quella mezza sega non aveva mai avuto i requisiti. E non solo per la scarsa abilità.

Neanché mezz'ora che era stato nominato successore, e già era lì che stava cominciando a montarsi la testa.

Beh...avrebbe provveduto lui a fargliela riabbassare subito, sia la cresta che la cresta. Seduta stante.

A costo di staccargliela di netto dal collo. Così non avrebbe avuto più nulla da alzare o da montare.

Aveva commesso un grave errore, a non dargli il colpo finale. E a girarsi.

Scattò in piedi, e alzò il braccio con l'intento di colpirlo da dietro.

“Bastardo!!” Urlò. “Come osi? Come cazzo hai osato, eh? Io ti ammazzo, capito? Ti ammazzo! E quando sarai mort...”

L'ingiuria gli morì in gola.

Non fece a tempo a poggiare il piede destro per terra che una fitta di dolore gli partì dalla rotula e da lì si propagò in un lampo a tutto quanto il ginocchio, facendogli cedere l'articolazione e sbilanciandolo in avanti.

Cercò di rimanere dritto , ma la testa gli girava e vorticava dandogli un senso di nausea.

Alzò la faccia e vide che Kenshiro si era voltato di nuovo, e questa volta gli stava ancora di fronte.

Solo che...

Solo che la sua espressione era totalmente cambiata.

Era furente, adesso. Le sue nere e folte sopracciglia erano aggrottate, e i denti scoperti e serrati in un ringhio.

Non erano più solo denti. Erano paragonabili a fauci come quelle di un lupo famelico e assetato di sangue e di carne umana.

“Lo hai voluto tu!!” Grido. “ATAH!!”

Sferrò un diretto e lo centrò in piena faccia, tra la bocca ed il setto nasale.

“AHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAHTAH!!”

Una tempesta di pugni investì Jagger in pieno, squassandolo da capo a piedi.

Decine e decine di segni delle prime due nocche e della falange prossimale gli comparvero sugli abiti e sulle parti scoperte della pelle, come un tatuaggio. O come un marchio impresso a fuoco.

“OOH...ATAH!!”

Con un ultimo, terrificante montante Kenshiro lo fece sbalzare dall'altra parte della stanza, facendogliela attraversare in volo.

Il corpo inerte del suo avversario si schiantò contro il muro opposto, scendendo lentamente fino a stramazzare seduto.

“Argh...AARGH!!”

Nenache mezzo secondo più tardi le ossa del cranio iniziarono a deformarglisi, prendendo a contorcersi con un rumore a dir poco raccapricciante.

La testa gli si gonfiò come un palloncino, con lo strato di derma soprastante che ribolliva e si agitava come creta o cera molle.

“AARGHH!!”

La chiara cute del cuoio capelluto iniziò gradatamente a tendersi e a gonfiarsi come e peggio di un tamburo, tirata sino all'inverosimile, coi bulbi e i follicoli che si aprivano e si dilatavano tutti quanti all'unisono.

Buona parte e metà di ciò che vi era impiantato e che vi si trovava sopra si diradò e si sfoltì per poi cadere, mostrando e mettendo a nudo e allo scoperto quel che loro natura erano da sempre chiamati a coprire e celare.

Jagger si afferrò la regione temporale con entrambe le mani, nel tentativo di porre fine o almeno mitigare in parte quel supplizio così atroce e quei dolori così lancinanti.

Senza riuscirci, però. Almeno a giudicare da come si stava agitando, senza sosta e senza pace.

Stava sgambettando come un autentico forsennato. Doveva essere veramente insopportabile.

 

HOKUTO SHINKEN HACHIMON KUDAN.

 

IL COLPO FATALE DELLE OTTO PENE CAPITALI E DELLE NOVE ROTTURE.

 

Detto anche LA TORTURA DELLE OTTO AGONIE E DELLE NOVE LACERAZIONI PERMANENTI.

 

La conoscevano bene entrambi. Sia chi l'aveva usata, sia chi la stava suo malgrado subendo.

Non era una delle tecniche più potenti della Divina Scuola, ma di sicuro era una delle più famigerate. E terribili. Al punto che la si utilizzava solo contro coloro che si erano macchiati di crimini gravissimi, e che avevano usato la Sacra Tecnica dell' Orsa Maggiore per compiere il male. E per uccidere degli innocenti, versando sangue inerme.

Secondo l'anatomia e la medicina cinese, i nervi del corpo umano sono tarati e progettati per recepire otto tipi diversi di dolore.

In altre parole, l'essere umano può arrivare a provare otto tipi di sofferenza differenti.

Perché non sono le azioni di un torturatore, di un boia o di un aguzzino a provocarli. Ma il sistema nervoso centrale.

Il dolore più grande...lo provoca il corpo stesso.

E agendo su particolari e determinati tsubo, diventa possibile far provare questi dolori senza dover mettere sotto torchio o ricorrere a strumenti di offesa o di sevizie.

Venire tagliati dalla lama di una spada o dal filo di un coltello. Oppure trafitti, o impalati dalla punta acuminata di una picca o di una lancia.

Pressati in una morsa fino a finire stritolati. Oppure schiacciati per un arto, una generica parte del corpo se non addirittura per intero da una roccia, da una lastra di pietra o di qualunque altro materiale spesso e duro. E di decine o addirittura centinaia volte più pesante, rispetto a ciò su cui sta abbattendo di schianto.

Oppure una parte del corpo che viene cavata, strappata o asportata mediante l'ablazione violenta per mezzo di un paio di pinze o di tenaglie.

O finire gravemente ustionati dal fuoco più vivo, oppure dal ghiaccio più gelido. O dalla lava. O dall'olio bollente dopo esservi stati immersi. Lentamente, sino a che la pelle non si distacca.

Scuoiati o scorticati, parzialmente oppure interamente. Anche a suon di secche quanto rapide scudisciate o frustate. Fino a rimanere ridotti come un ammasso di carne sanguinolenta, con i tessuti nudi e vivi che bruciano a contatto con l'aria e le ossa che inesorabilmente seccano e diventano aride, ritrovandosi esposte direttamente al sole.

Si narra che sia come ardere vivi senza nemmeno il bisogno di venire buttati direttamente in una pira o in un rogo.

Le stesse fiamme che si provano quando si viene infettati da una febbre altissima di origine virale, oppure dovuta a un'infezione batterica. Con l'unica differenza che ci si sente bruciare dentro.

Come quando si viene dilaniati e divorati da un cancro o da un'altra malattia incurabile, con le membra che si assottigliano sempre più. Come succhiate, masticate ed ingerite da una bestia sempre vorace e mai sazia.

E il venire investiti da una scossa elettrica, o magari colpiti da un fulmine. Con il torace che si paralizza, e con esso vengono bloccati sia il respiro che il battito cardiaco. E così si muore soffocati, d'asfissia, mentre i muscoli si irrigidiscono fino quasi a spezzare il bianco e spugnoso sostegno che avvolgono e contengono tra essi, custodendolo quasi come un tesoro.

Le cronache storiche narrano che alcuni esponenti della Divina Arte delle Sette Stelle, non particolarmente interessati ad utilizzare il proprio pugno per offendere o per ragioni di tipo marziale ma piuttosto per migliorare le loro pratiche ascetiche e contemplative, arrivarono addirittura al punto di utilizzare tale tecnica su sé stessi.

Come suppellettivo e coadiuvante per la propria mortificazione fisica e spirituale. Per avere un aiuto in più, ed insieme una via più semplice e rapida per trascendere.

Arrivavano ad un passo dall'impazzire, e a perdere quasi del tutto il proprio senno, pur di poter raggiungere lo scopo che si erano prefissati.

Perché erano convinti, in cuor e nella mente loro, che se fossero riusciti ad accettare e ad accogliere tutto quell'immane dolore avrebbero potuto raggiungere la soglia. Il breve ma intenso tratto che collegava la terra delle anime a quella degli uomini. Il mondo dei vivi a quello dei morti.

Un assaggio del paradiso. A cosa si arriva e si é disposti a fare, pur di poterlo ottenere.

L'impero cinese decise persino di omaggiare questa tecnica creando l'orrido supplizio del LING – CHI.

La terribile MORTE DEI MILLE TAGLI, che faceva ammutolire solo chi si azzardava a nominarla di sfuggita, zittendoli giusto un istante prima di farla emergere a punta e fior di labbra.

I malcapitati che la subivano arrivavano a non avere nemmeno più la forza di urlare, poco prima che spirassero.

O forse fu proprio la tecnica di Hokuto a trarre ispirazione e spunto da quella pratica così orribile e immonda.

Difficile, stabilirlo con chiarezza. La verità si perde nella notte dei tempi e nelle tenebre dei miti, insieme a tutte le altre storie troppo ributtanti perché valga la pena rievocarle o rimembrarle.

Quel che é certo é che le due cose condividevano lo stesso, medesimo, agghiacciante epilogo.

Dopo aver provato tutti e otto i diversi tipi di dolore, il corpo della vittima era destinato a esplodere smembrandosi in nove parti esatte. Come se nove catene di ferro o di acciaio munite e dotate di ganci o di rostri acuminati penetrassero tutti insieme nelle sue carni, e che subito dopo si mettessero a tirare ognuno nella propria direzione dalla quale era giunto e venuto, fino a farlo a pezzi.

Ma quest'ultimo passaggio non doveva essere per forza consequenziale. Era il maestro o il combattente che l'aveva usata, a decidere ciò.

Era lui a stabilire se la cosa dovesse avvenire in automatico oppure no. Se la tecnica dovesse completarsi da sola e per conto proprio al termine della tortura, o che ci dovesse pensare lui stesso con un ultimo e decisivo colpo. Che giunti a quel punto suonava quasi come un favore, sollevando il proprio avversario da tutta quell'inumana sofferenza.

Si accoglieva la morte come una vera e propria liberazione.

Proprio come facevano quei monaci solitari e anche un poco pervertiti di cui si faceva cenno poc'anzi, dotati e caratterizzati da un'insana passione da una spiccata predilezione per l'auto – lesionismo e il sadismo nei confronti di sé stessi.

Loro si fermavano alle otto sofferenze. Anche se era capitato, se pur di rado, che a qualcuno sfuggisse il controllo. O che venisse tutto preso da un eccesso a dismisura di masochismo.

Provavano piacere in ciò che facevano. E allora andavano fino in fondo, ammazzandosi con le loro stesse mani.

O magari chissà...forse quel che si erano auto – costretti a passare era talmente spossante e stremante che desideravano solo venirne prontamente sollevati, raggiungendo così la pace e l'oblio eterni.

Jagger stava patendo le pene dell'inferno. Ma nonostante stesse seguitando a contorcersi, era ancora vivo.

Kenshiro non aveva fatto ancora ricorso all'ultima parte della tecnica.

Forse voleva riservarsi per sé stesso quell'ultimo, estremo piacere. O forse riteneva che fosse semplicemente giusto così.

Si avvicinò a quella sottospecie di macchia di proto – plasma umano a cui ormai aveva ridotto il più giovane tra i suoi tre fratelli più grandi, e si mise ritto davanti a lui.

“Ooeerghhll...n – no, t – ti pphrreghooohh...” biascicò Jagger, mettendogli le sue mani davanti ed esponendo il ventre in segno diresa, come facevano certi animali selvatici. “Ooglahhh...n – non...mi huc...non mi huccc...non mhi ushidereee, ti schlongiuhroohhh...ah...ahbbih piehtàaaahhh...aahhiuthamiiihh...aahiudahmiiihh, t – ti phhlregooohhh...”

Il ragazzo rimase sordo alle sue suppliche, pur non godendosele affatto. Non quanto avrebbe sperato, almeno.

Non stava provando piacere, a differenza di chi gli stava di fronte se soltanto i ruoli si fossero potuti ribaltare anche solo per un breve, brevissimo istante.

Non voleva vendicarsi. Stava facendo solo giustizia.

Giustizia, e basta, Tutto qui.

“Tu ti sei mai soffermato a sentire le invocazioni di coloro che uccidevi?” Gli chiese.

“C – coohshaahh?!” Fece l'altro, incredulo.

“So che lo hai fatto” gli disse. “Lo so bene. Lo hai già fatto. Ti é già capitato di uccidere, in passato. E di versare anche sangue innocente, in certi casi. Le tue mani ormai ne hanno addosso l'odore, anche quando non ne sono macchiate. Ebbene...gli hai mai dato retta? Hai mai voluto dare retta alle suppliche delle tue vittime, mentre ti imploravano di risparmiare loro la vita?”

“O ti sei mai fermato a udire le mie?” Continuò. “Quante volte...quante volte ti ho detto di smetterla, Jagger? Quante? Quante volte ti ho detto perché mai volessi farmi del male e mi odiassi così tanto, eh? O quante volte mi hai costretto a domandarmi e a domandarti perché mai dovessi sopportare tutte quelle tue angherie, e cosa avessi mai fatto per meritarle? Quante, quante volte mi sono chiesto e ti ho chiesto perché mai tu ce l'avessi così tanto con me, e perché mai tu continuassi a maltrattarmi nonostante io non ti avessi mai fatto nulla?!”

“Quante volte?!” Ribadì. “Rispondi!!”

“I....hio...”

“Io ti ho sempre voluto bene, nononstante tutto” gli confidò. “Perché sei mio fratello maggiore, e ti ho sempre rispettato anche quando non lo meritavi affatto. E nonostante tu non mi abbia dimostrato mai nulla. Ti ho sempre tenuto in considerazione, anche se non mi hai voluto dimostrare la benché minima unghia od oncia di affetto. Forse sono stato l'unico per cui tu abbia davvero contato qualcosa, qui dentro. Nonostante tutto. E nonostante tu mi abbia ripagato in questo modo. Ma ora...ora basta.”

“Ora basta” ripeté. “Non voglio più stare ad ascoltarti. Stavolta sono io, che non ti ascolto più.”

Alzò il pugno destro e se lo portò all'indietro, oltre la spalla, pr caricare il colpo finale.

“Muori” sentenziò.

Lo fece partire, e il movimento e lo spostamento d'aria furono a dir poco poderosi. E portentosi. E spaventosi, pure.

Il braccio fendette lo spazio che separava le nocche dal suo muso, tagliandolo in due, e gli scompigliò quei pochi capelli che gli erano ancora rimasti attaccati tra fronte e nuca.

Jagger chiuse gli occhi. Si vide spacciato, con le ossa della faccia ridotte a frantumi ed in purea.

Non avvenne. O, meglio...si limitò ad accadere all'interno della sua testa. E del suo cervello marcio.

Aveva già visto la sua fine. La sua morte imminente. Ma essa...non arrivò.

Non era avvenuta.

Riaprì gli occhi. E vide il pugno a giusto un paio di millimetri dalla sua fronte.

Il pugno di suo fratello, che si era leggermente rannicchiato per meglio raggiungerlo. E per meglio colpirlo.

L'aria che lo circondava adesso era calma, immota.

A quella distanza gli sarebbe stato sufficiente anche solo liberare ed espandere il proprio spirito combattivo per stimolare ed attivare uno tsubo qualunque situato tra quelli più in prossimità, per farlo scoppiare e ridurlo in pezzi e a brandelli. Ma Kenshiro aveva deciso diversamente.

Aveva deciso di non fare neanche quello. Ma volle avvertirlo e metterlo in guardia ugualmente, sulle sue intezioni. Fosse anche solo per fargli capire come sarebbe andata, e cosa aveva davvero rischiato.

“Saresti già morto...” gli rivelò. “Avrei potuto ammazzarti, se solo avessi voluto.”

Ripiegò la mano e la rimise lungo il fianco, recuperando la posizione eretta.

Adesso era calmo, esattamente come l'aria attorno a lui.

Fece un lungo respiro, esalando a pieni polmoni.

“Sai...” gli confidò, “...nostro padre mi aveva avvertito, al momento della nomina. Mi aveva messo in guardia, e subito dopo aver fatto di me il nuovo reggente. Mi aveva detto che sarebbe potuta finire così. Anzi...che sarebbe finita senz'altro così. Mi aveva rivelato che i primi contro cui avrei dovuto combattere, una volta diventato successore...sarebbero stati proprio i miei fratelli maggiori. Mi aveva prenannunciato che voi sareste stati i miei primi avversari. E che il primo sangue che avrei dovuto versare, per celebrare l'evento...sarebbe stato proprio il vostro.”

“E sai cosa gli ho risposto, io?” Continuò. “Gli ho detto, gli ho promesso che mai e poi mai avrei combattuto contro di voi. E che mai e poi mai avrei combattuto e incrociato i miei pugni o li avrei alzati contro uno di voi, indipendentemente dalla ragione. E che mai e poi mai avrei versato una sola goccia del vostro sangue. Perché lo considero IL MIO STESSO SANGUE, nonostante tutto. Ebbene...tu sei stato il primo che mai ha fatto quasi dimenticare il mio giuramento.”

“Ho detto QUASI” precisò subito dopo.

“E adesso...vattene, Jagger” gli intimò poi. “Sparisci. Via di qua. Non sei degno di tramandare la Divina Arte!!”

Il diretto destinatario di quell'esortazione così accorata era a dir poco incredulo.

L'aveva scampata. Era sopravvissuto. L'aveva fatta franca.

Aveva avuto un vero colpo di sfortuna, ad inciampare. E proprio sul più bello. Solo così quel verme aveva potuto coglierlo di sorpresa e colpirlo a tradimento. Ma...

Ma il cielo non aveva permesso che lo uccidesse.

Era chiaro, adesso. Era fin troppo chiaro.

Era lui. Era lui, il predestinato. Era lui, il legittimo successore. Non quell'insetto.

Dal volto deforme e ancora mezzo riparato dalle mani fuoriuscì una sorta di mugolio convulso. Una specie di breve muggito, di gorgoglio mugghiante che nel giro di una breve manciata di attimi si tramuto in una risata. Una risata di trionfo.

“Mhmhmh...eheheheheh...ah, ah, ah, ah...AHAHAHAHAHAHAHAHAH!!”

Era come pensava. Era proprio come pensava. Come aveva sempre pensato.

Non funzionava. Non aveva funzionato neanche stavolta.

Quell'incapace non era stato in grado di far funzionare la tecnica. Aveva appreso le mosse del Divino Pugno delle Sette Stelle in maniera raffazzonata e superficiale, ma non era ancora in grado di sviluppane e metterne a frutto gli effetti più letali. E non ne sarebbe mai stato in grado.

Perché aveva il cuore troppo tenero, oltre che un'abilità limitata.

La risata divenne omerica.

“AHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAH!!”

Si rimise in piedi anche lui, senza smettere di tenersi la testa con una mano.

“Ah ah ah...sei un idiota!!” Gli urlò dietro, indicandolo a dito. “No sei altro che un idiota!! Un povero stronzo incapace e buona a nulla, capito? Hai perso l'attimo giusto ancora una volta! Hai sprecato l'unica occasione che avevi per potermi battere! E stà pur certo che non te ne darò mai più un'altra! Ormai conosco le tue mosse, e la prossima volta che ci affronteremo ti ammazzerò, chiaro? Ti ucciderò senza alcuna pietà, sappilo!!”

“Vattene, Jagger” gli ripeté Kenshiro, senza nemmeno più girarsi a guardarlo. “Và via, ho detto. Ti conviene andartene, prima che io cambi idea. Te l'ho detto. Non farmi pentire della decisione che ho appena preso, o altrimenti sarà peggio per te.”

“Ah, ah!! Idiota!!” Ripeté a sua volta l'altro, senza neanche starlo a sentire. “E' come pensavo! E' proprio come pensavo! Tu non hai il coraggio di uccideermi! Tu non hai il coraggio di uccidere tuo fratello! Tu non hai il coraggio di uccidere nessuno dei tuoi fratelli! Non hai il coraggio di fare nulla, capito? Tu non sei degno di tramandare la Divina Arte di Hokuto! Non ne sei degno!!”

Kenshiro non disse più nulla. Era solamente tempo e fiato sprecato. O almeno era questo, ciò che doveva aver dedotto.

“Ricorda queste mie parole, lurido bastardo e figlio di puttana che non sei altro!!” Gli gridò ancora dietro Jagger. “Tieni bene a mente quel che sto per dirti! Un giorno ti ammazzerò con le mie mani, chiaro? Ti ammazzerò sicuramente!!”

E disparve, correndo oltre la porta dalla quale era sopraggiunto, rimasta aperta per tutto quanto il tempo. Rasentando lo stipite per poi urtarlo violentemente, dopo aver percorso il breve tratto che lo separava da esso con passo incerto ed alquanto barcollante. E zoppicando e barcollando in maniera sin troppo vistosa, a più riprese e ad ogni pié sospinto, pur sforzandosi comunque di mantenere lo stesso modo tronfio e supponente di quando aveva messo piede lì dentro.

Il giovane rimase con lo sguardo tenuto fisso sul muro davanti a sé, seguitando col suo silenzio.

Ormai era troppo lontano. Jagger si trovava troppo distante perché potesse attivare l'ultima parte e fase del colpo che aveva impiegato poco prima.

L' HACHIMON KUDAN funziona solo a distanza ravvicinata. Quanto basta ad un essere umano per sentire con chiarezza la voce di un suo simile che gli sta parlando e che si sta rivolgendo a lui. O poco più.

Alzò di nuovo il pugno destro, con un gesto lento e studiato. E lo poggiò sulla parete, proprio nel punto dove sino ad un attimo prima si trovava la testa del suo aggressore.

Sull'uomo che aveva chiamato fratello. E che ancora lo chiamava fratello, visto che nonostante tutto continuava a ritenerlo tale.

Il tocco delle sue nocche fu lievissimo, appena pecettibile. Ma sufficiente ad aprire e generare una fitta ragnatela di innumerevoli crepe che si sparsero tutt'intorno al punto d'impatto.

La rabbia che lo aveva animato e mosso sino a poco fa era totalmente sparita.

Come se fosse evaporata. E aveva lasciato il posto a un'enorme quanto insondabile tristezza.

Era finito in balia del lato peggiore di sé stesso. Facendo l'esatto contrario di quanto avrebbe dovuto fare.

Dovrebbero essere la tristezza e l'afflizione a creare la forza e la furia. Non l'opposto.

Il suo incarico di nuovo reggente cominciava male. Nel peggiore dei modi.

Due lacrime gli scesero dagli occhi, furtive.

“Ha ragione lui” disse, con voce rotta. “Ha pienamente ragione Jagger. Non sono altro che un idiota.”

Era inutile. Non riusciva a odiarlo. Non gli riusciva proprio, di odiarlo. Indipendentemente da quello che gli aveva fatto. E che gli aveva sempre fatto.

Non quanto avrebbe dovuto, almeno. Non quanto gli sarebbe servito per fare ciò che doveva fare.

Ciò che sarebbe stato giusto e corretto fare, nella sua posizione. Nella posizione che ormai occupava e ricopriva.

“E avevate ragione anche voi, padre” continuò. “Non sono che uno sciocco. Nient'altro che uno stupido sciocco.”

“Ma...” aggiunse, “...va bene così. Può andare bene anche così, per ora. Mi avete insegnato che un vero maestro non si deve mai tirare indietro, anche quando non ha alcuna possibilità di successo. Ma un giorno...un giorno riuscirò anche a vincere, ve lo prometto.”

Alzò il pugno stretto e chiuso e se lo portò davanti al proprio viso, serrandolo ulteriormente.

“Può andare anche bene così” ribadì a sé stesso. “Almeno per ora. Ma un giorno vincerò anch'io” proclamò. “Ve lo giuro, padre mio.”

Aveva sconfitto suo fratello. Lo aveva letteralmente surclassato. Eppure...sentiva lo stesso la sconfitta.

Sentiva lo stesso di aver perso. Di non aver vinto. Ma un giorno...

Un giorno avrebbe vinto. Un giorno, in futuro, avrebbe vinto anche lui.

Ne era certo. Più che certo.

Un giorno sarebbe toccato anche a lui, di vincere.

Finalmente.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Salve a tutti, rieccomi qua!!

E' passato un beeeel po' di tempo dalla mia ultima pubblicazione. Ma adesso...Redferne é tornato in pista!!

Ormai suonerà come una scusa, ma ho avuto di mezzo i soliti impegni. Ed oltre a ciò...un piccolo contrattempo. Sempre legato alla mia passione.

In quest'ultimo periodo sono alle prese con una storia che mi sta particolarmente a cuore, la cui stesura é cominciata addirittura a prima del periodo estivo.

E se ci riesco, vorrei riuscire a pubblicarla la sera della vigilia di Natale, dato che di quello si occupa.

Inoltre, riguarda un personaggio che ho amato e che amo molto tuttora. E l'ultima volta in cui mi sono occupato di lui, sono rimasto scottato.

Quasi bruciato, direi. Ma ora é giunto il tempo di riaffrontarlo.

Un paio di mie illustri colleghe (che considero anche carissime amiche) avranno già capito di chi sto parlando.

Di “Rocky” Joe Yabuki, il protagonista di quel capolavoro immortale di ASHITA NO JOE.

E' tornato a farmi visita, dopo una lunga assenza. E ho realizzato una one – shot che vorrei tanto postare la notte del 24 Dicembre.

Ce la farò? Spero vivamente di sì. Anche perché, in caso contrario, mi tocca aspettare il prossimo Natale!!

Mi sono reso conto che per l'argomento trattato, posso postarla solo quel giorno. Anzi, quella notte.

Incrociamo tutte le dita di mani e piedi...

Ma adesso torniamo a questo capitolo.

Finalmente tornano a volare un bel po' di mazzate, com'era prevedibile. Anche se il finale é davvero amaro.

Non sembra che il nostro Ken abbia vinto, nonostante abbia surclassato quell'idiota di Jagger.

Spero vi piaccia.

Inoltre, provo a fornire una spiegazione della follia di Jagger. Che in un certo senso sta alla base anche della follia di Raoul (anche se lì si tratta di corruzione dell'animo, più che del cervello. Ma per alcune filosofie di stampo orientale l'anima ha dignità di organo, quindi...) e della malattia sia di Toki che di Ryuken.

Insomma, padroneggiare la Divina Arte di Hokuto per un mortale non é uno scherzo. E le conseguenze psico – fisiche possono essere devastanti.

Ma non lasciatevi ingannare...Jagger era già pazzo sin dal principio, secondo me!

E la tecnica di Hokuto non ha fatto altro che accelerare ed accentuare un processo già in atto da tempo.

Prima di chiudere, un grazie di cuore a Devilangel476, Kumo no Juuza (presto proseguirò con la tua storia, promesso!) e a vento di luce per le recensioni dell'ultimo capitolo

Ed un grazie speciale ad un'amica che sono stato lietissimo di ritrovare.

Ad innominetuo, per la valanga di recensioni. E per essere tornata da queste parti.

Forse esagero, ma...mi sei mancata.

E come sempre, un grazie di cuore a chiunque leggerà la mia storia e vorrà lasciare un parere.

Grazie ancora a tutti e...alla prossima!

 

See ya!!

 

 

 

 

 

 

Roberto

 

 

 

 

   
 
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