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Autore: Zobeyde    13/11/2021    7 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ANTHEA INGANNATRICE

 
 




La capigliatura rossiccia di Jim emerse al centro dello specchio nel maniero sul lago.
Riuscì a trovare senza difficoltà il portone che conduceva al giardino sul retro e attraversò il prato fino alle sponde del lago, ma di Lucia, la bella e strana donna che abitava il palazzo, non c’era traccia. Deluso, il ragazzo continuò l’esplorazione del giardino insieme a Lily.
Il sole caldo brillava sulla superficie lievemente increspata del lago, che pareva disseminata di tanti piccoli diamanti. Una brezza leggera spirava da nord ovest, portando con sé il profumo dei boschi, e tutto laggiù comunicava pace e solitudine. Ma Jim aveva l’inquietante sensazione di essere osservato qualunque direzione prendesse.
Al di là di una siepe incolta scorse una distesa di lapidi storte, e in fondo a essa una piccola cappella diroccata. Il cancello era socchiuso, così Jim poté infilarsi tra i battenti arrugginiti ed entrare nel cimitero; l’erba cresceva alta attorno alle pietre tombali, corrose dal tempo e ammantate di muschio. Lucia era proprio là, in piedi accanto a una tomba dominata dalla scultura di un bellissimo angelo armato di spada. Fissava suo volto perfetto e distante, immersa in pensieri così profondi che si accorse della presenza di Jim solo quando fu a pochi passi da lei.
«Ciao, “Attraversaspecchi”. Alla fine sei tornato.»
«Scusa se ci ho messo tanto, è stato più complicato del previsto.» Jim esitò, guardando la tomba. «Ehm, sono capitato in un brutto momento?»
Lucia scosse la testa. «No, figurati. Ogni tanto vengo qui a pensare: questo posto mi ricorda il luogo in cui sono nata.»
«Sei nata in un cimitero?»
«In un convento.» Indicò la statua. «Quello è l’Arcangelo Michele, il Protettore della Fede: combatteva al fianco di Lucifero prima che lui rinnegasse il Paradiso e guidasse gli angeli ribelli contro Dio.» Il suo sguardo si soffermò sui piedi nudi dell’angelo; in un primo momento Jim non lo aveva notato, ma vi era una creatura mostruosa con ali da drago che si contorceva sotto il suo peso. «E da allora sono diventati nemici.»
«È un storia molto triste.»
«È il genere di storie che ci raccontavano da bambine.»
«Ti sarai divertita un mondo laggiù.»
Per un attimo credette di averla offesa, ma lei rise. «Ho odiato quel posto con tutto il cuore! Quasi li ho ringraziati quando mi hanno cacciata.»
«Perché hai sbadigliato durante uno di questi appassionanti racconti?»
«Perché ho usato la magia.» Il sorriso di lei si affievolì. «Allora ho capito che le storie che ho sentito si da bambina, di angeli bellissimi che lottano contro il Male erano reali: ero convinta di essere tra le schiere dei giusti, invece il Nemico ero proprio io. Così, le persone con cui sono cresciuta alla fine hanno allestito un enorme falò per darmi l’ultimo saluto.»
Jim era agghiacciato. «Hanno cercato di…»
«Bruciarmi viva. Lo so, sembra assurdo, ma si trattava di un piccolo paese della bassa Valtellina, sperduto tra le montagne: c’era ancora la convinzione che qualsiasi cosa fuori dall’ordinario fosse opera del Male e perciò andasse estirpata.»
«E come sei riuscita a scappare?»
Lucia lo prese a braccetto, spingendolo a seguirla fuori dal cimitero. «Mi ha salvata un angelo! Ma basta parlare del passato: stavo per preparare il pranzo, ti andrebbe di darmi una mano?»
 
 
Le cucine del palazzo ricordavano caverne polverose in cui la vegetazione aveva preso il sopravvento; le assi di legno scricchiolavano meste e c’erano talmente tanti spifferi che sembrava che la casa di tanto in tanto si lamentasse.
«Non hai mai pensato di andartene da qui?» domandò Jim, mentre guardava Lucia appendere il paiolo di rame nel focolare annerito dalla fuliggine. «Questo posto cade a pezzi.»
«Non è così male una volta che ti ci abitui.» La maga accese il fuoco con uno schiocco di dita e le fiamme arsero vivaci. «Le vecchie case hanno sempre il loro fascino: sono come belle dame che nessuno corteggia più. E poi, non saprei cosa fare là fuori.»
«Potresti fare un sacco di cose!» replicò Jim con entusiasmo. «Visitare il mondo, fermarti in una città che ti piace…»
«Mhmm, e poi?»
«Non lo so, trovare un lavoro e magari un marito…La gente non è più quella di una volta, e si vedono cose straordinarie tutti i giorni!»
«Tu però nascondi ancora i tuoi poteri dietro dei trucchi.»
«Be’, sì…»
«Lo vedi? Questo mondo non è adatto a quelli come noi, non più.» Lucia gettò nella pentola una manciata di verdure tagliuzzate e cominciò a rimestare.
«E allora perché non vai ad Arcanta? È una città nata apposta per i maghi.»
«Lo so cos’è, il tuo maestro me ne parlò quando venne qui molti anni fa. E come dissi anche a lui, sarebbe come sostituire una prigione con un’altra prigione.»
Lucia si portò l’unica ciocca di capelli bianchi dietro l’orecchio e sospirò. «E pensare che un tempo era diverso: i Mancanti cercavano la magia, la proteggevano. Dei e mostri camminavano tra noi e la gente vedeva nei maghi delle guide a cui rivolgersi quando si sentivano smarriti.»
«Forse può ancora essere così» disse Jim, ma lei scuoté la testa.
«No, Jim. Non lo percepisci? La magia sta abbandonando questo mondo, così come lo hanno abbandonato i maghi.» I suoi occhi luminosi si fissarono in quelli del ragazzo. «Si sono rifugiati tra le loro mura incantate e i pochi come noi che sono rimasti sono diventati dei ruderi, proprio come questo castello. Ricordi di un’epoca che non tornerà più.»
Jim rimase in silenzio, mentre lei cuoceva la minestra, riflettendo sulle sue parole. Il Vecchio Mondo di cui parlava sembrava molto diverso dall’epoca buia dipinta da Alycia. Sembrava, anzi, un mondo molto più libero e aperto.
Consumarono il pranzo mentre Lily, ai loro piedi, giocava tendendo agguati alle foglie di sedano e alle bucce di patata cadute sul pavimento. Lucia chiese di raccontarle del suo apprendistato; anche se era una decina di anni più grande gli risultava incredibilmente facile parlare con lei, come se si conoscessero da sempre. Così, Jim le parlò della sua vita nella compagnia fino all’incontro con Solomon Blake, di come lo stregone non fosse riuscito a ritrasformare il padre di Arthur King, dell’arrivo di Alycia e di tutti i problemi che stava causando.
Lucia lo ascoltava con interesse, faceva battute divertenti, un paio di sue osservazioni gli diedero da riflettere. Era evidente che le fosse mancata la compagnia e anche Jim dovette ammettere che sentiva il bisogno di condividere la sua “vita-magica” con qualcuno; i suoi amici del circo non sembravano in grado di capire cosa significasse per lui quell’occasione e, anche se il signor Blake era il suo mentore, era così chiuso e misterioso che una parte di Jim non riusciva a sentirsi completamente a proprio agio con lui. Cosa che invece riusciva a fare benissimo con Lucia, tanto che non badò a quanto tempo fossero rimasti lì a chiacchierare…
«Porca miseria, è tardissimo!» esclamò a un tratto, rendendosi conto che oltre i vetri impolverati era buio pesto.
Lucia stavolta lo riaccompagnò allo specchio per salutarlo e prima di riattraversarlo Jim le disse: «Cercherò di tornare prima che posso, promesso.»
Lei si limitò a sorridergli con dolcezza, dopodiché il ragazzo varcò la cornice dello specchio e scomparve.
 
 
Tenere fede alla parola però diventò ancora più difficile nei giorni successivi, in particolare col ritorno di Blake:
«Da oggi ci sarà una piccola variazione nel nostro programma» annunciò allegramente una mattina, non appena Jim ebbe aperto i libri. «Alycia necessita di alcuni campioni dalla palude, così le ho detto che poteva prenderti in prestito per qualche ora per aiutarla. Sono certo che sarà molto istruttivo per entrambi.»
«“Prendermi in prestito?”» ripeté Jim, sconcertato. «Se lo ricorda che ha cercato di strangolarmi, vero?»
«Si è trattato solo di un malinteso» replicò lo stregone con leggerezza, come se fosse una cosetta da nulla. «Ti garantisco che non accadrà più.»
Jim però continuava a non sentirsi affatto rassicurato: avrebbe preferito fare da sguattero a Valdar piuttosto che trascorrere tutto il giorno in compagnia di una matta in grado di aizzargli contro le piante.
Purtroppo, il maestro sembrava convinto di aver avuto un’idea geniale e infatti poco dopo ecco sopraggiungere Alycia, già pronta per l’escursione.
«Devo proprio portarmelo dietro?» chiese in tono lamentoso, incrociando le braccia; portava un grosso zaino di tela in spalla e indossava pantaloni alla zuava, infilati in degli stivali di pelle. «Mi farà perdere un sacco di tempo!»
«Un piccolo aiuto può solo farti comodo. E poi può essere un’occasione per conoscervi meglio.»
Lo sguardo che i due ragazzi si scambiarono trasudava diffidenza, ma alla fine lei sospirò con aria scocciata: «E va bene! Muoviti, discepolo, non ho tutto il giorno.»
Lo precedette fuori e Jim scoccò un’ultima occhiata titubante a Blake, che gli fece un cenno incoraggiante con la mano.  Quando furono sul prato, Alycia inchiodò senza preavviso, tant’è che Jim per poco non le finì addosso.
«Dì solo una parola di troppo» disse, voltandosi di scatto e puntandogli il dito contro. «E ti trasformo in una rapa, mi sono spiegata?»
«Tanto lo so che non ne sei capace.»
«Vuoi mettermi alla prova?»
Considerato com’era andata a finire l’ultima volta, lui capitolò. «No.»
«Bene.» Alycia si sfilò lo zaino e glielo mollò di peso. «Questo lo porti tu.»
«Perché?»
«Perché papà ha garantito che sarai a mia completa disposizione. Inizia ora, discepolo.»
Sarà una lunga, lunghissima giornata, pensò Jim, invocando tutta la sua pazienza. «Qualche volta un “grazie” e un “per favore” sarebbero graditi!» Ma lei era già partita a razzo, senza preoccuparsi di aspettarlo.
Jim aveva sentito dire che il Bayou Saint John era ciò che restava dell’enorme Bayouk Choupic, l’antica palude che un tempo circondava l’isola di New Orleans; negli ultimi vent’anni, la città si era espansa tanto da inglobare gran parte delle zone umide vicine, ma gli abitanti continuavano a tenersi a distanza da quei luoghi, popolati da alligatori, streghe e spiriti maligni.
Alycia e Jim percorsero a piedi circa un miglio in direzione nord, risalendo un vecchio canale di raccordo col lago Pontchartrain; di tanto in tanto la ragazza si fermava per esaminare con la lente d’ingrandimento delle escoriazioni di muffa, poi prendeva appunti su un taccuino oppure recideva qualche foglia o prelevava campioni di terreno da inserire all’interno di provette di vetro. Il tutto rivolgendo la parola a Jim solo per ordinargli di passarle qualcosa dallo zaino, così il ragazzo non poté far altro che starla a osservare. Sembrava diversa da come appariva in casa; i pantaloni mettevano in risalto per la prima volta le sue forme – forme non male, dovette riconoscere a malincuore –, ma non era solo questo: tra querce e felci rigogliose, Alycia sembrava a suo agio come circondata da amici di vecchia data, profondamente rispettosa di ogni forma di vita. In quei momenti gli ricordava un sacco suo padre, la cura quasi religiosa con cui maneggiava i suoi libri.
Continuarono così per alcune ore, finché non giunsero a un pontile sgangherato con un’unica barchetta a remi attraccata.
«La useremo per inoltrarci nel bayou» spiegò Alycia. Tirò la cima a cui la barca era assicurata e, una volta che fu abbastanza vicina, vi scivolò dentro. «Io starò a poppa e ti indicherò la strada. Tu prendi i remi.»
Jim era ormai rassegnato. «Credevo dovessi prendere solo dei campioni, perché vuoi andare fin laggiù? Ci sono gli alligatori e i serpenti e...»
«Perché laggiù c’è il pezzo forte della mia tesi. Ora sali in barca, o alligatori e serpenti saranno l’ultimo dei tuoi problemi.»
Brontolando, il ragazzo prese posto con le spalle rivolte a prua e impugnò i remi, mentre Alycia estraeva dallo zaino un grosso atlante e cominciava a sfogliarlo.
Continuarono a risalire il fiume finché non si trovarono immersi in un labirinto di canali stagnanti, palme e cipressi barbuti. La palude si mostrò presto in tutta la sua malinconica bellezza: i raggi del sole si insinuavano come lame di luce tra le chiome degli alberi e si riflettevano sugli specchi d’acqua verde, con improvvise macchie di colore laddove crescevano iris, gigli e ninfee.
Come temeva, un paio di volte Jim udì il tonfo e lo sciabordio di qualcosa di pesante che entrava in acqua, ma nessun alligatore si avvicinò troppo alla loro barca; si chiese se fosse merito di un incantesimo, o se persino quei lucertoloni avessero un po’ paura di Alycia.
«Che cosa stiamo cercando, esattamente?» domandò, visto che era più di mezz’ora che remava e i muscoli iniziavano a dolergli; l’umidità, poi, gli si incollava alla pelle e aveva già la camicia intrisa di sudore.
«Anthea muscipula gigantis.»
«Eh?»
«È una pianta.» Alycia girò il libro, Botanica parallela, e lo tenne aperto in modo che guardasse la figura disegnata: un gigantesco albero dai fiori viola acceso, da cui sgorgava una fontana di tentacoli verdi. «Volgarmente detta “Anthea Ingannatrice”: è una delle piante carnivore più rare e letali al mondo, cresce solo in determinate zone umide.»
«Tipo in Louisiana.»
«Stando a questo libro, durante il Colonialismo lo sciamano Hi Jhon raggiunse le Americhe per aiutare la sua gente» raccontò Alycia. «Viveva qui nel bayou, che poi prese il suo nome, ed elargiva consigli e incantesimi a chi ne aveva bisogno. Si dice che fosse in grado di curare qualsiasi male grazie a una pianta dalle proprietà miracolose.»
«E tu sei convinta che sia davvero qui?»
«L’Anthea ama i luoghi caldi e umidi» spiegò la ragazza. «Si nutre di roditori e uccelli, talvolta anche di serpenti e cuccioli di alligatore, infatti secondo la leggenda Hi John le offriva sacrifici per ottenere in cambio la linfa con cui creava pozioni. Durante l’Inquisizione, ne furono bruciate a centinaia, i puritani la chiamavano “Fiore del Diavolo”, ma nei campioni di acqua palustre che ho prelevato c’è un’alta percentuale di spore identiche a quelle descritte in questo libro: perciò un esemplare deve essere sopravvissuto per forza.»
«Capisco» disse Jim lentamente. «E una volta trovata cosa ne farai?»
«La studierò e la trapianterò ad Arcanta, dove sarà al sicuro.»
«E non hai pensato che forse la gente di New Orleans potrebbe ancora farne uso?»
Alycia sbatté le palpebre. «È una specie troppo preziosa, restando qui rischierebbe di scomparire per sempre.»
«Ma magari a lei piace stare qui.»
«Magari anche agli animali del tuo circo piaceva vivere nel loro habitat» lo rimbeccò lei. «E li tenete chiusi in gabbia per profitto. Ad Arcanta sappiamo dare valore alle cose: ci assicuriamo che la magia non vada perduta, la proteggiamo.»
A Jim tornò in mente quanto detto da Lucia alcuni giorni prima: “La magia sta abbandonando questo mondo, così come lo hanno abbandonato i maghi”. «Sugli animali del circo hai ragione» dovette convenire. «Non piace neanche a me vederli in gabbia, ma ci servono per sopravvivere.»
«Come ad Arcanta serve la magia. Per questo gli Arcistregoni sono incaricati dal Decanato di esplorare il Mondo Esterno, raccogliere manufatti magici, testi e incantesimi prima che i Mancanti se ne sbarazzino.»
«Quindi tuo padre è una specie di…cacciatore di magie?»
«Il migliore.» Una ruga d’espressione le segnò la fronte e Alycia tornò a sfogliare il suo libro. «O almeno, lo è stato fino alla Guerra Civile.»
Jim bruciava dalla voglia di saperne di più, ma Alycia cambiò al volo argomento:«Dovremmo esserci quasi, vira leggermente a destra.»
«Potremmo anche darci il cambio, sono ore che remo!»
«E chi ha detto che dovevi per forza remare? Potevi usare la magia.»
Jim sentì il fumo uscirgli dalle orecchie. «Non è questo il punto..!»
«Eccola, deve essere lì!»
Alycia indicò un isolotto circondato da giunchi, proprio di fronte a loro. La barca si incagliò contro qualcosa, forse una secca; perciò, dovettero scendere e proseguire nell’acqua torbida e ghiacciata. Alycia andò avanti mentre Jim si caricava in spalla lo zaino, imprecando contro le sanguisughe che gli si appiccicavano alle caviglie. Arrancò nel fango fino all’isolotto, e quando per poco non scivolò all’indietro, Alycia disse che se avesse bagnato uno solo dei suoi preziosi libri lo avrebbe incenerito.
Potrei sempre affogarla, pensò Jim, esasperato. Potrei farlo sembrare un incidente…
«Muoviti, discepolo! Mi serve lo zaino.»
È scivolata e ha sbattuto la testa, signor Blake. Glielo assicuro, non è stata colpa mia…
«Avevo ragione, è proprio qui!»
Alycia si era fermata in cima alla collina, accanto a un cespuglietto dai profumati fiori viola a forma di cuore.
«Per essere “gigantis è piccolina» osservò Jim, ripensando all’illustrazione sul libro.
Lei prese a sfogliare il suo Botanica parallela con foga. «Non dovrebbe essere affatto così!»
«Forse l’autore ha esagerato un tantino.»
La ragazza emise un verso frustrato. «No, è impossibile: so tutto sull’argomento, una delle caratteristiche dell’Anthea Ingannatrice è che può crescere senza sosta se adeguatamente stimolata.»
«È una signora dai gusti particolari, eh?» commentò Jim malizioso.
Alycia lo fulminò con gli occhi. «Piantala di dire scemenze: prendi i miei attrezzi, bisogna sradicarla.»
«Non ho intenzione fare più niente se prima non sento la parolina magica.»
Di fronte all’espressione perplessa e irritata di lei, Jim esplose: «Per favore! Intendo dire per favore!» Lasciò cadere lo zaino, senza preoccuparsi del rumore di vetri che seguì. «Non hai fatto che darmi ordini da stamattina, per non parlare del modo in cui mi tratti tutti i giorni!»
«Dobbiamo proprio discuterne adesso?»
«Sì, dobbiamo proprio!» fece Jim. «Si può sapere che ho fatto di male per meritarmi tutta questa cattiveria gratuita?»
«Oh, scusa tanto! Ho ferito i tuoi sentimenti? Solo perché non grido al miracolo qualunque cosa tu faccia come mio padre?»
«Quindi è di questo che si tratta? Vuoi dimostrare di essere migliore di me?»
«Non ho bisogno di dimostrarlo» replicò lei, sprezzante. «Traducevo trattati di magia in greco antico, tiravo di scherma con ragazzi grossi il doppio di me e distillavo veleni quando tu ancora stavi imparando ad allacciarti le scarpe. Mi sono guadagnata il rispetto del mio maestro e un posto come sua apprendista e non ho mai dovuto elemosinare nulla!»
«Tranne le attenzioni di tuo padre» obiettò Jim, in tono velenoso. «Sei abituata a essere sempre la migliore, ma non puoi aizzarmi una foresta contro perché lui non ti ha scelta. Io non ti ho rubato proprio niente, tesoro, mettitelo in testa!»
La bocca di Alycia si dischiuse dallo stupore, ma presto il suo sguardo tornò a infiammarsi di una familiare aggressività. In quell’istante, Jim avvertì un suono simile a uno schiocco e qualcosa gli afferrò la caviglia. Fu strattonato all’indietro e si ritrovò di faccia a terra, senza fiato.
«Ma che…?»
I suoi piedi erano stretti, trattenuti da una sorta di fune verde scuro, spuntata da chissà dove.
«Possibile che devi reagire così ogni volta?» esclamò, cercando di allentare la presa. «Sei veramente…»
«Non sto facendo proprio niente!» ribatté Alycia. Il suo sguardo però passò oltre, fino allo stagno «Oh, no…»
Anche Jim si voltò. «Cazzo.»
L’acqua stava ribollendo come una pozione nel calderone, e altre propaggini schizzarono da ogni direzione.  Alycia ruotò le mani ed evocò una sciabola di energia verde, che brandì per recidere al volo le ramificazioni impazzite prima che si avvicinassero a Jim. Ma presto divennero troppe…
Un tentacolo la colpì in pieno volto come una frusta, facendole volare gli occhiali; la ragazza emise un gemito di sorpresa e dolore e si gettò immediatamente a terra per cercarli a tentoni.
«Attenta!» gridò Jim.
La afferrarono per il busto e la strattonarono all’indietro. Alycia fece appena in tempo a urlare, prima di venire trascinata sott’acqua.
Jim imprecò. Riuscì a liberare un braccio dalla morsa e una luce rossa si accese nel suo palmo; l’aria fu pervasa da un suono simile a un lamento di dolore, dopodiché il tentacolo si ritrasse, ondeggiando minaccioso. Subito, altri tre emersero dall’acqua, pronti a trascinare giù anche lui. 
Jim sollevò le mani. «Vuoi giocare col fuoco, eh?»
Il primo tentacolo partì all’attacco, ma Jim era pronto; premette i palmi sul terreno ed evocò una foresta di lingue di fuoco, che s'innalzò arrostendo foglie e radici. Di nuovo, Jim percepì quel grido sofferente echeggiare intorno a lui.
L’isola, realizzò. La pianta è sotto l’isola!
La chiamavano “Anthea Ingannatrice” per un giusto motivo: li aveva proprio messi nel sacco. Mentre i rami si contorcevano in preda al dolore, Jim non perse tempo a riflettere e si tuffò nello stagno.
Alghe di un verde brillante danzavano sotto di lui e tra l’erba ondeggiante distinse immediatamente Alycia, che si dibatteva furiosamente, la bocca aperta da cui usciva un torrente di bolle. Era completamente avviluppata nelle grinfie dell’Anthea, pronta a essere trascinata dentro un’insenatura tra le grosse radici.
Una bocca.
Dalle alghe spuntarono altre liane, ma Jim riuscì a respingerle sprigionando un getto d’acqua bollente. Si sbracciò per raggiungere Alycia e l’afferrò per la vita, tirandola verso di sé. L’Anthea oppose resistenza.
L’hai voluto tu!
Jim contrasse le dita della mano come se stesse stritolando un cuore e le pareti della grotta crollarono.
Si levò una gran nuvola di sabbia mista a pietrisco che gli oscurò completamente la visuale, ma dagli strilli rabbiosi emessi dall’Anthea, comprese che le sue radici fossero state schiacciate dal peso della frana. 
Jim si lanciò verso Alycia e riuscì a estrarla dai tentacoli, dopodiché iniziò a scalciare come un dannato per allontanarli entrambi dal raggio d’azione della pianta. Nuotò con fatica, appesantito dal corpo inerte della ragazza, e quando finalmente infranse la superficie, inghiottì due enormi boccate d’aria.
Alycia si riscosse subito, tossì, imprecò e prese a dimenarsi tra le sue braccia finché lui non la lasciò andare. Raggiunsero a nuoto la riva opposta e si accasciarono sulla sponda l’uno accanto all’altra, esausti. Rimasero lì distesi per qualche minuto, respirando forte e senza dire una parola, mentre l’acqua tornava a formare uno specchio verde, immobile e omogeneo.
«C’è mancato poco» sospirò alla fine Jim, guardando verso l’isolotto. «Qui dovremmo essere al sicuro.»
Alycia non disse niente; se ne stava seduta con le ginocchia premute contro il petto, i capelli grondanti appiccicati alla testa e lo sguardo perso nel vuoto dietro gli occhiali privi di una lente. Sulle braccia aveva striature rosse e lividi laddove le propaggini della pianta l’avevano afferrata.
«Ehi?» chiese lui, cauto. «Stai bene?»
Lei annuì, trattenendo un brivido. «Non sono riuscita a prendere neanche un ramo» disse poi, con voce fievole. «La mia tesi…non potrò terminarla…»
Jim allora si tastò le tasche e ne estrasse qualcosa. «Questo può bastare?»
Alycia sgranò gli occhi: nel suo palmo c’era un fiore viola, un po’ stropicciato.
«Come hai fatto?»
Le sorrise. «Un bravo prestigiatore da fiera è in grado di derubare chiunque: figurati se non riesce a derubare una pianta.»
Alycia era allibita. Prese il fiore che lui le porgeva e lo esaminò, sistemandosi sul naso gli occhiali rotti.
«Immagino che il mio zaino sia ormai irreperibile.»
«Ah» gemette lui, ricordandosi solo in quel momento di aver mollato tutti i suoi campioni e attrezzi sull’isolotto. «Mi dispiace…»
Alycia tenne una mano aperta sopra il terreno e da esso sgorgò dell’acqua; Jim la osservò mentre evocava una bolla intorno al fiore, ottenendo una specie di ampolla. Era una manipolazione davvero sofisticata, lui poteva solo sognarselo un tale livello di precisione. «Però, sei brava.»
«Grazie» replicò lei e dopo un momento aggiunse: «Neanche tu te la sei cavata male, prima.»
Lui si grattò il naso, per qualche motivo imbarazzato, e si alzò in piedi. «Ehm, vado a recuperare la barca, ok? Aspettami qui.»
Fortunatamente la trovò dove l’avevano lasciata, incagliata tra i giunchi, ma i remi dovevano essere caduti in acqua. Mentre tornava indietro, Alycia disse: «Ti devo delle scuse.»
Lo stava fissando negli occhi senza la solita aria di superiorità, ma con un’espressione seria e intensa che provocò in lui una strana agitazione dalle parti dello stomaco.
«Ci ho messi entrambi in pericolo» proseguì, con voce leggermente incrinata. «Ho insistito io per venire fin quaggiù. Avevo studiato l’Anthea per settimane, ero sicura di sapere a cosa andavo incontro…e per poco non ci ha uccisi. Sono di livello evocatore, avrei dovuto avere la situazione sotto controllo, avrei dovuto…»
«Capita a tutti di sbagliarsi.»
«Non a una che vuole entrare nel Cerchio d’Oro. Gli alchimisti di Arcanta non commettono errori.»
«Questo è impossibile» ribatté Jim. «A meno che non si scopra che sono robot come in Metropolis…»
«E mi dispiace anche per come ti ho trattato» disse Alycia. «Hai ragione, non posso incolparti per il comportamento di mio padre. È solo che…non lo vedevo da quattro anni e ritrovarlo adesso qui, con te come apprendista…mi ha fatto male, ecco.»
Questo sì che lo lasciò senza parole. Jim si chiese se l’Anthea non avesse per caso anche il potere di cambiare la personalità di chi vi entrava in contatto. «Mi dispiace che fra voi le cose siano così complicate.»
«Hai detto bene, sono complicate» mormorò lei. «Ma non avrei dovuto scaricare su di te la mia rabbia, è stato sciocco e infantile. Scusa se ti ho fatto male l’altro giorno.»
Di nuovo, lui avvertì quella lieve stretta allo stomaco, ma cercò di ignorarla e provò invece a sdrammatizzare: «Non sentirti tanto speciale: mica sei la prima bambola che prova a farmi secco!»
Lei non parve capire e Jim ridacchiò, indicandosi una piccola cicatrice alla testa, vicino l’attaccatura dei capelli: «Una volta ho fatto arrabbiare una pollastra di Kalamazoo. Aveva una mira niente male, mi ha preso in pieno con un ferro di cavallo: tre punti di sutura.» Poi sollevò la camicia, mostrando un’altra vecchia cicatrice all’altezza del costato. «Questo invece me l’ha fatto una biondina di Dallas: quando ha scoperto che ci avevo provato sia con lei che con la sorella, mi ha inseguito con un coltello da cucina. Fortuna che il treno era già in partenza!»
Le labbra di lei furono attraversate da un piccolo fremito. «Sei piuttosto bravo a far arrabbiare la gente.»
«Ognuno ha i suoi talenti.»
Stavolta, malgrado gli sforzi, Alycia non riuscì a trattenere una risata; era la prima volta che succedeva, e anche se erano entrambi fradici ed infreddoliti, Jim si sentì immediatamente riempire di calore.
Ancora col sorriso sulle labbra, la ragazza rivolse lo sguardo alla palude, tornata a essere quieta e silenziosa. «Non mi ero resa conto di quanto fosse bello questo posto.»
«Lo è, quando non cerca di mangiarti.»
«Ad Arcanta non avevo mai visto niente di simile, nemmeno nei suoi parchi.» Prese una pausa. «Forse non hai torto, è meglio che l’Anthea resti qui nel suo habitat, dopotutto. Sa difendersi da sola.»
Rimasero per qualche istante seduti vicini a guardare l’acqua che scorreva lenta e ascoltare i suoni della foresta, ancora ricca di misteri e magia. All’improvviso lei si schiarì la voce. «Adesso dovremmo rientrare.»
Jim fu d’accordo. Mentre il sole iniziava a calare oltre le cime degli alberi e la loro barchetta si lasciava alle spalle il bayou sospinta dalla magia, considerò che, in fin dei conti, la giornata non era stata un completo disastro.



 
  
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