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Autore: Fanny Jumping Sparrow    13/11/2021    5 recensioni
Com'è germogliato e si è evoluto il profondo sentimento di affetto, attrazione, fiducia, stima, amore che lega i nostri due sweeper preferiti? Hojo ha lasciato molti punti in sospeso, sia sull'inizio, sia sul durante che sul dopo la loro convivenza. Con questa raccolta di one-shot mi propongo di trattare alcuni missing moments, ispirati dalle tavole del manga o da episodi dell'anime, oppure di mia spontanea invenzione.
Commenti e opinioni sono sempre graditi :D
Buona lettura!)
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kaori Makimura, Ryo Saeba
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: City Hunter
Capitoli:
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Sospetto cosa starete pensando ... Chi non muore si rivede, vero? ^^"

Beh, dopo una incommentabile spaventosa pausa di oltre un anno, in cui impegni, impedimenti, scocciature, distrazioni e pensieri di ogni sorta mi avevano fatta allontanare da questi personaggi, finalmente sono riuscita a ritrovare l'ispirazione e a decidermi a concludere questa shot che avevo lasciato sedimentare nella memoria del Pc mesi e mesi.

Chiedo umilmente scusa ad eventuali lettori che sono rimasti delusi da questa lunghissima interruzione.

Spero solo di essere riuscita a rientrare in maniera credibile nelle atmosfere e nei caratteri e di riuscire a regalarvi, se vorrete, qualche minuto di leggera evasione.

Ringrazio sentitamente quanti, nonostante l'ampissima scelta di questo prolifico fandom, hanno continuato ad incrementare il numero di visualizzazioni e chi ha inserito questa raccolta tra le seguite/ricordate/preferite <3
Piccola anticipazione: la shot è ambientata qualche giorno dopo la ripartenza di Bloody Mary e, come sempre, per alcuni dettagli mi sono ispirata sia al manga sia all'anime.
Ulteriori note a fine capitolo.

Alla prossima!)
X – Qualcosa è cambiato?

Schiacciò l’interruttore e strofinò il dorso della mano sulla superficie lucida appannata dal vapore della doccia, ripulendola quel tanto che bastava a potersi specchiare.

L’aitante uomo catturato dal riflesso lo salutò serio e riflessivo, una piccola ruga tra le folte sopracciglia a testimoniare il suo momentaneo cruccio. Vi passò subito un pollice sopra per spianarla, ripetendo quel gesto stizzito sulle altre invisibili linee di espressione attorno alle labbra e alle palpebre e su quelle che segnavano la fronte alta e spaziosa, di solito nascosta da un fluente ciuffo di capelli corvini.
Appiccicandosi allo specchio sparigliò con le dita le ciocche gocciolanti, spulciandosi il cuoio capelluto, controllando minuziosamente che fossero davvero ancora tutte colorate di quell’intensa tonalità picea.

Poteva senz’altro affidarsi alla sua ottima vista e alle sue eccellenti doti da contorsionista, sebbene il fatto di avere una capigliatura così fitta avrebbe reso quella missione alquanto lunga e impegnativa.

Senza contare l’inconveniente di non poter controllare per bene come fosse la situazione sul retro della testa … Agghiacciò … Gli serviva subito un altro specchietto con cui poter sopperire a quell’impedimento! Già immaginava quanto gli avrebbero sparlato dietro i nemici e conoscenti, se solo si fossero accorti prima di lui di quell’ingiurioso segno del tempo. Cominciò a rovistare velocemente tra stipetti e cassetti e dopo un paio di minuti rimediò finalmente una piccola lastra rotonda, riprendendo ad osservarsi dettagliatamente e con maggiore agio anche la nuca.

Avendo già un principio di torcicollo e non avendo riscontrato alcun disonorante filo grigio, o peggio ancora bianco, al termine di quell’accurata analisi decise di fermarsi. Per il momento non aveva nulla da temere. La sua gioventù rifulgeva ancora.

Si frizionò energicamente un panno di spugna in testa e accennò un sorriso soddisfatto, gonfiando i possenti pettorali. Alcune stille d’acqua gli scorrevano lungo il collo e il torace muscoloso, altre rigavano la schiena scolpita, fermandosi sull’orlo dell’asciugamano attorto ai fianchi stretti e robusti. Mimò alcune pose da body builder, compiacendosi della perfetta forma fisica che poteva vantare e sfoggiare con orgoglio e senza pudore.

A discapito dall’aver ricevuto in dono una data di nascita e quindi un compleanno, per un altro bel po’ di anni l’assillo di invecchiare non sarebbe rientrato nelle sue principali preoccupazioni. In fondo, si disse, non avrebbe mai avuto alcuna certezza assoluta sulla sua vera età. Anche se di lì a qualche settimana avrebbe compiuto, per la prima volta, trent’anni. Forse la sua benevola socia era stata sin troppo generosa.

Ryo si sfregò le guance, avvertendo la ruvidezza della barba in ricrescita. In un’altra vita non avrebbe prestato tanta attenzione a quella blanda peluria ispida, ma da che era tornato a vivere nella civiltà ci aveva sempre tenuto molto ad avere un aspetto curato, Non riusciva più a stare neanche un giorno senza radersi. Forse irrazionalmente aveva creduto che così avrebbe potuto mescolarsi meglio alla gente comune ed essere accettato.

Invece per anni aveva continuato a fare terra bruciata attorno a sé, a vivere ai margini, nella più completa solitudine e nel più rigoroso anonimato, come un fantasma.

Lo specchio si era velato di nuovo. O forse era successo ai suoi occhi? Colpa della saponata che gli era finita dentro o più probabilmente dell’insufficiente ricambio dell’aria. Quel vecchio aggeggio andava sostituito.

Ripassò il palmo sulla superficie riflettente e frugò in un cassetto in cerca di un rasoio usa e getta, per rimediare alla rasatura cui non aveva potuto dedicarsi meticolosamente quella frenetica mattina, dovendo sgominare l’ennesima banda di balordi allettati dal patrimonio di una ricca e sprovveduta ereditiera.

Quell’incarico di guardia del corpo per una graziosa signorina d’alta classe non era stato molto difficoltoso, anzi era stato una manna dal cielo, allentando la palpabile tensione che si era insinuata tra lui e la sua umorale partner ogni qual volta che si sfioravano, anche solo con lo sguardo, dopo l’arrivo imprevisto dell’intrigante Bloody Mary, con il suo carico strabordante di vendicativa sensualità e le sue indebite rivelazioni sul suo conto.

Su quel passato impregnato di sangue, morte, abomini e ingiustizie che aveva relegato a lungo nella parte più recondita di sé, come una cicatrice purulenta e sfigurante da non dover mostrare mai a nessuno. Guardandosi indietro e sovrapponendo per uno stupido gioco della mente l’innocua lametta di quell’aggeggio di plastica a quella ben più arrotata del coltellaccio scheggiato con cui era solito sbarbarsi quando combatteva insieme ad un manipolo di guerriglieri reietti ed efferati in una impervia e torrida giungla, non sapeva se provava più vergogna, disgusto o tristezza per quei tempi tetri, scanditi unicamente dall’impulso atavico di sopravvivere, in qualunque modo, a qualunque prezzo.

Si domandò se Kaori, nonostante si fosse mostrata incredibilmente comprensiva e tranquilla, potesse aver modificato l’opinione che aveva su di lui. Gli era sembrata alquanto sfuggente negli ultimi giorni, perfino più discreta ed elettrica del solito, ma non aveva indagato oltre, né lo aveva importunato con altre scomode domande. Ed era stato meglio così. Le bastava conoscere lo stretto necessario del suo vissuto ignobile e marcio.

Eppure lei avrebbe saputo confortarlo. Nonostante tutto, nei suoi caldi occhi limpidi e sinceri non aveva colto orrore, né paura o disprezzo, bensì compassione, ammirazione, affetto. E una volta di più aveva pensato di non meritare il suo bene puro e incondizionato. Col suo modo di fare così apparentemente allegro, spensierato e concreto, quella sorprendente ragazza lo trattava come fosse un uomo normale, e allo stesso tempo riusciva a farlo sentire speciale.

Arricciando la bocca in una smorfia schifata per quello svenevole pensiero, picchiettò la testina del rasoio contro il lavabo e, quasi innescando una reazione a catena, l’applique collocata sopra il mobiletto del bagno cominciò a funzionare a intermittenza e l’aeratore ingolfandosi si spense. Finendo di radersi praticamente alla cieca mentre lo specchio tornava gradualmente ad appannarsi, rimuginò spazientito che avrebbe dovuto ricordare alla sua coinquilina di provvedere quanto prima alle necessarie riparazioni, ma in quello stesso istante l’irrompere improvviso di un gran baccano di spari, urla ed esplosioni gli fece perdere la salda presa sull’impugnatura e la lampadina con un piccolo scoppio si fulminò, lasciandolo nel buio e nella confusione più totali.

Non curandosi di essersi probabilmente autoinferto un bel taglio trasversale sotto il labbro e di essere mezzo nudo e disarmato, si lanciò fuori dal bagno con i muscoli pronti a scattare in posizione di autodifesa e attacco, spostandosi radente alle pareti e fiondandosi con un’agile capriola nella stanza da cui aveva udito provenire quell’immane e inaspettato fracasso che gli aveva rimescolato le budella.

Le sue acute pupille indugiarono tra scintille e fumo, inquadrandosi poi sulla figura esagitata della sua socia che, martellone in pugno e fiato grosso, stava accanendosi contro un non meglio identificato rottame, riducendolo in mille pezzi.

«Kaori! Si può sapere che accidenti stai combinando?», la aggredì interdetto, urlando impanicato dalla probabilità che, svestito com’era, se avesse attirato la sua piena attenzione, avrebbe ricevuto lo stesso trattamento di quel mucchietto di circuiti e plastica.

La voce della ragazza, le guance rosse e gonfie, i capelli arruffati e la camicetta affumicata, fuoriuscì flebile e strozzata: «Il televisore si è rotto», farfugliò con un tono che trapelava quanto lei stessa non credesse a ciò che aveva appena pronunciato.

Ryo avanzò di un altro passo, pur mantenendosi ad una opportuna distanza di sicurezza: «Lo vedo», mormorò perplesso, aggiustandosi prontamente l’asciugamano che nel frattempo gli si era allentato, rischiando di mostrare più del dovuto, anche se lei non pareva averlo notato. A dirla tutta non l’aveva neanche guardato da che era arrivato. Sembrava quasi caduta in uno stato confusionale: «Stai bene?», la richiamò sventolandole una mano davanti alla faccia, seriamente impensierito.

Kaori annuì, portando finalmente gli occhi sbarrati su di lui e appuntando l’indice verso il suo mento sbucciato: «Ma tu sanguini …»

Lo sweeper si toccò il punto indicato, rimuovendo col polpastrello una flebile strisciolina rossa: «Oh, non è niente. Questo catorcio sta messo molto peggio di me!», sdrammatizzò pur con una punta di accusa nei confronti della socia, valutando i danni inferti dalla sua inesplicabile foga sul povero oggetto inanimato.

Mentre la sua stravagante assistente, ridacchiando e balbettando, raffazzonava confusamente i retroscena di quell’assurdo trambusto, Ryo la guardava ancora frastornato e stranito. Era abituato alle sue intemperanze, scaturite soprattutto dai loro frequenti screzi, che spesso lui per primo si divertiva a provocare, ma forse per la prima volta non capiva neanche un po’ cosa diavolo le stesse succedendo. Che cosa l’avesse mandata fuori di testa, senza un’apparente ragione. Era sempre piuttosto esplicita nel dichiarare ciò che non tollerava del suo modo di fare o quanto di esasperante accadeva attorno a lei.

In quel momento sulle sue strampalate giustificazioni ascoltate distrattamente – che includevano l’avvistamento di un calabrone, un telecomando impazzito e un improvviso corto circuito – non volle soffermarsi più di tanto. Anche perché poi lei di sicuro avrebbe trovato o riesumato qualche malefatta di cui incolpare lui.

«Ah, a proposito di roba fuori uso …. C’è da cambiare la lampadina sopra lo specchio del lavello e bisogna dare una controllata anche all’aeratore del bagno», sviò perciò il discorso su qualcosa del loro quotidiano di più immediato e meno accidentato. «Kaori? Hai sentito quello che ho detto?», la riprese già oltremodo spazientito dalla sua antipatica sfuggevolezza.

Kaori tornò dallo sgabuzzino con tutto il necessario per dare una sistemata e ripulire il pavimento: «Eh? Sì, lo so. Lo scarico è otturato. Non potresti occupartene tu, una buona volta? Non fai mai niente tutto il giorno … », borbottò scocciata, spazzando via nervosamente i frammenti di metallo, legno, plastica e vetro disseminati per tutta la stanza.

«Scherzi? Sono rimasto rinchiuso qui dentro per tre giorni! Ho lavorato sodo, ho portato a casa la pagnotta, adesso posso avere il permesso di uscire un po’ per divertirmi?», Ryo la inseguì camminando ginocchioni e implorando la sua clemenza.

La socia interruppe il suo nervoso affaccendarsi e gli volse un sorriso accondiscendente: «Certamente ... Dopo che avrai fatto le dovute riparazioni di cui sei capacissimo!»

«No! Non mi va! Le farò domani!» tentò ancora di sottrarsi a quella noiosa mansione casalinga lui, piantandosi per terra a gambe e braccia incrociate.

Lei gli girò alla larga, ignorando bellamente le sue lamentele: «Prima cominci, prima finisci. E vestiti, porca miseria! Che non siamo a Chiba!1», esclamò poi strizzando gli occhi e allontanandosi precipitosamente da lui e dalle sue nudità così sfacciatamente in mostra.


Gettato l’ingombrante sacco nero dell’immondizia sul pianerottolo, così che il suo coinquilino se lo portasse via una volta uscito, Kaori pensò che quel tardo pomeriggio, essendosi già fatto quasi buio fuori e non avendo particolari incombenze, si sarebbe immersa nella lettura di uno dei tanti libri acquistati e poi dimenticati a prendere polvere sul comodino.

Aveva ancora un po’ di stanchezza postuma da smaltire derivante dall’ultimo caso che avevano seguito e che, immancabilmente, aveva richiesto una buona dose di azione, per lei anche doppia, anche se, stranamente, quel marpione del suo socio era sembrato contenere i suoi bassi istinti durante la permanenza nel loro appartamento della bella cliente di turno, rinunciando più presto del solito a perpetrare i suoi indecenti assalti a suo danno.

Tra i vari volumi ammonticchiati, scelse un tantei shōsetsu2 di piccole dimensioni, lanciò negligentemente le pantofole e si tuffò sul letto. Sistemò il cuscino contro la spalliera e vi si adagiò, tentando di trovare una seduta comoda per avere luce sufficiente, evitare formicolii o crampi e concentrarsi al meglio, senza la continua necessità di cambiare posizione e magari farsi distogliere da qualcosa fuori posto nella stanza che l’avrebbe indotta a rialzarsi e quindi distrarsi dalle righe inchiostrate.

I romanzi d’investigazione le erano sempre piaciuti, eppure, per un motivo o per un altro, anche quello lo aveva lasciato a metà e, scorrendo la prima pagina indicata dal segnalibro, si rese conto di non ricordare già più nulla della trama.
Sbuffò contrariata, tornando indietro di qualche altro paragrafo, sperando di potersi ricollegare a qualche frase o riferimento che le schiarisse la memoria, ma fu del tutto vano: ogni parola, ogni nome, si perdeva nel vuoto, col risultato di confonderla ancora di più.

In maniera arbitraria e del tutto ingiustificata, la sua mente le suggerì che era proprio quel che accadeva ogni volta che scopriva, casualmente, un altro pezzetto del passato di Ryo Saeba. Più andava a ritroso, meno le sembrava di capire, più tutto le appariva lacunoso, disorientandola. Più passava il tempo, più dal suo passato continuavano a spuntare fuori vecchie conoscenze che rimescolavano tutto ciò che credeva di sapere sul suo conto.

Dopo quattro anni di vita condivisa conosceva ancora poco e niente sulla vera identità di quell’uomo pieno di ardore e di oscuri segreti.

Sin dalla prima volta che lo aveva incontrato, diventando testimone in prima persona delle sue stupefacenti abilità, aveva tanto fantasticato sui suoi trascorsi, immaginava nascondessero qualcosa di travagliato, drammatico, non convenzionale, a tal punto dal frenarlo dal volerglielo accennare, ma non era mai stata troppo pedante o invadente, notando la sua mal disposizione a confidarsi.

I suoi cupi silenzi e i suoi sguardi distanti quando sporadicamente provava ad introdurre l’argomento nelle loro confidenziali conversazioni avevano dato credito alla sua teoria, facendola desistere. “Se ne vergogna?”, si era chiesta più volte. Pensava che se gli fosse rimasta accanto, un giorno, forse, lui le avrebbe raccontato tutto. Mai però avrebbe ipotizzato che nel suo passato potesse esserci qualcosa di così atroce, raccapricciante, ingiusto come una guerra civile, combattuta tra l’altro in un Paese straniero e in tenera età.

Perciò, quando nel suo svogliato zapping si era imbattuta casualmente in quelle violente e sanguinose scene di battaglia e il telecomando aveva deciso di smettere di funzionare, si era sentita così in colpa e a disagio che impulsivamente, o forse sospinta da un’assurda volontà di discrezione, non riuscendo a cambiare canale, né a spegnere, aveva sfoderato uno dei suoi martelli e aveva fracassato il televisore.
 

Ora, ripensando a quel gesto eccessivo, si sentiva terribilmente stupida. Se il suo partner l’avesse saputo, di sicuro avrebbe riso a crepapelle di lei, giudicandola immatura e inadatta a restargli accanto, proprio come aveva inizialmente malignato quella Mary.

Lei invece si era riscatta ai suoi occhi, durante la missione punitiva contro David Clive, ed era sempre più motivata a smentire chiunque la pensasse inadeguata, a dimostrare a tutti di essere tagliata per quel lavoro, di essere la degna spalla City Hunter.

Perciò, se voleva continuare su quella strada, doveva accettarlo, la dura verità era quella. Ryo era stato un orfano e un bambino soldato. Un’esperienza traumatica che avrebbe dovuto segnarlo per sempre, qualcosa di orribile da cui molti non si riprendevano, neanche dopo annose e costose sedute di psicoterapia. Anzi, molti si trasformavano in relitti umani o, peggio, in mostri senza cuore.

Eppure per lui sembrava che non fosse stato così. Non era diventato crudele, cinico, egoista, bensì un uomo completamente diverso, non corrotto dal male, dall’odio e dalla solitudine in mezzo a cui era cresciuto, ma giusto, eroico, altruista e scanzonato.
E lei, se possibile, se ne era scoperta ancora più profondamente colpita e ammirata. E, era inutile girarci ancora intorno, innamorata. Sì, ne era innamorata persa.

E lui? Lui si sarebbe mai accorto di ciò che lei provava?

Soltanto una settimana addietro le aveva esternato il suo affetto sincero e disinteressato per lei, avvicinandola a sé e depositandole un bacio sulla fronte, per ringraziarla della sua amicizia. Se solo ripensava a quei brevi attimi, tornava a sentirsi invadere ogni cellula da una sconvolgente ondata di calore. La sua mano forte intrecciata alla sua, le sue dita callose che le carezzavano i capelli, il suo odore maschio così vicino, quel timbro sussurrato con cui aveva pronunciato il suo nome, esprimendole riconoscenza.

Era stato un bacio casto, fugace, innocente, fraterno … così intenso e inaspettato da averla lasciata febbricitante.

Beh, forse a quello aveva contribuito anche l’essere rimasta per parecchi minuti imbalsamata come un’ebete sotto un’inclemente e scrosciante pioggia invernale.

Con un sospiro tra lo struggimento e l’imbarazzo, Kaori abbandonò definitivamente il libro che stava tentando di leggere sottosopra, scompaginandolo, le ginocchia al petto e l’unghia di un mignolo sotto i denti.

Ryo l’avrebbe mai ricambiata?

Malgrado tentasse costantemente di scacciarlo, non poteva fare a meno di arrovellarsi su quel martellante interrogativo e quel mascalzone, con quel suo comportamento contraddittorio e infantile, non faceva altro che sgretolare una delle poche certezze che aveva a riguardo, ovvero di non piacergli, di non essergli gradita; almeno non come ipotetica compagna di vita, oltre al lavoro.

A metterle la pulce nell’orecchio, poi, c’era stata anche l’affermazione sibillina di Umibozu. “Lui ti considera più partner di una partner qualsiasi”, aveva declamato ermetico, accendendo la sua timida, fiduciosa speranza di scoprire quali fossero i reali sentimenti di Ryo. Avrebbe voluto possedere la sfrontatezza e il coraggio per fargli altre domande e sollecitarlo a rivelarle qualcosa di più, ma l’ex burbero mercenario era stato come sempre parco di parole, lapidario nel liquidare la questione. E lei era rimasta troppo spiazzata da tutta quella storia per chiedergli ulteriori delucidazioni.

Chissà se il suo enigmatico collega le nascondeva altri scottanti e ingombranti segreti …

Dopo lo scampato modesto pericolo rappresentato da quella banda di squattrinati rapitori che miravano al patrimonio della malcapitata ereditiera che li aveva ingaggiati a pochi giorni dalla conclusione della vicenda Rosemary Moon, il suo partner era diventato più indecifrabile, indisponente e solitario di prima, insinuandole il ricorrente e sconfortante dubbio che non volesse più averla attorno.

La ragazza si gettò all’indietro, sprofondando sconsolatamente sul cuscino la testa fumante per quelle mille congetture. Forse era soltanto lei a farsi suggestionare da stupide paranoie. Ryo era sempre … Ryo. Sbruffone, immaturo, scapestrato, beffardo e molto riservato, quando si trattava delle sue emozioni più intime e delle sue vicende più personali.

E neanche lei riusciva a considerarlo in maniera differente, dopotutto. Aveva continuato a comportarsi allo stesso modo con lui, o no? Significava che in concreto non era rimasta tanto condizionata da quanto aveva scoperto sui suoi precedenti. Sapeva già che le sue mani dovevano essersi spesso macchiate di sangue, ma anche il suo cuore in quegli anni difficili doveva aver sanguinato, senza nessuno che lo tamponasse. Avrebbe rimediato lei a quella mancanza, come gli aveva promesso quella sera sul terrazzo.

Rincuorata dalle sue stesse considerazioni, Kaori si rialzò con un sorriso dipinto sul bel volto nuovamente rilassato. La sveglietta posizionata sul comodino le notificò che, leggiucchiando e rimuginando, si era fatta ora di cena. Perciò, ritrovando l’entusiasmo di potersi rendere utile, anche se al momento solo come “cibassistente”, rimise le gambe giù dal letto, rinfilò le pattine e si avviò verso la sala da pranzo.

Nel percorrere il tratto di corridoio dalla sua camera alla cucina, richiamò più volte il coinquilino, tuttavia lui non rispose alle sue chiamate, tra le pareti regnava un raro e desolante silenzio. Allora capì e la sua espressione dolce, timida e indulgente si tramutò in un cipiglio colmo di rassegnazione, irritazione e amarezza.

Quell’irrefrenabile animale notturno era uscito da casa alla chetichella, senza degnarsi di avvertirla!


«Ryo! Vecchio pelandrone che non sei altro! La colazione è pronta!»
 

L’indomani mattina, alla solita ora tarda in cui il resto degli abitanti della città era già alle prese con i propri affari e i propri problemi, una voce femminile, vispa e diretta ridestò l’impavido giustiziere di Shinjuku dalle sue impalpabili visioni oniriche, venate di rimorsi mai sopiti e desideri inespressi.
Bussando e vociando brusca da dietro la porta, la sua socia si allontanò a passo sostenuto, continuando a borbottare altri improperi. E Ryo, immancabilmente infastidito, si rigirò bofonchiando sotto la calda coperta, accoccolandosi al guanciale e ritardando ancora qualche minuto prima di decidersi a lasciare quel confortevole giaciglio, consapevole che lei sarebbe tornata a rimproverarlo e avrebbe ripetuto il suo nome tra svariate ingiurie finché non l’avesse buttato giù con tutto il materasso.

Invece, trascorsero altri cinque minuti buoni e ciò non accadde.

Perché non entra? Che avrà da fare? Non mi vuole incrociare?”, si domandò un po’ allarmato e un po’ contrito, mettendosi supino e fissando pigramente alcuni preoccupanti aloni di umidità che stavano ingrandendosi sul soffitto.
Impossibile”, si rispose. Neppure la fortuita scoperta che fosse un reduce di guerra sembrava l’avesse turbata più di tanto. Anche dopo il passaggio di quella tempesta imprevista impersonificata dalla sensuale Bloody Mary avevano ritrovato il loro equilibrio quotidiano, tuttavia il suo istinto gli diceva che quella birbante testolina rossa stesse escogitando qualcosa e che avrebbe fatto meglio a prepararsi ad ogni eventualità.

Sperava solo non gli rifilasse qualche altra seccante riparazione domestica …

Sgusciò fuori malvolentieri dal piacevole teporino del letto, indossò una leggera maglia di cotone grigio e un paio di comodi pantaloni blu in pile, e, stiracchiandosi e sbadigliando rumorosamente, scese al piano inferiore.

Kaori era in biblioteca, mezza allungata sul tavolo, intenta a sfogliare giornali e riviste, ondeggiando lievemente i fianchi fasciati da jeans chiari al ritmo della hit radiofonica del momento le cui note si riverberavano a volume moderato per tutta la stanza.

«Non dirmi che abbiamo già un nuovo caso?», bofonchiò strascicando svogliatamente le ciabatte verso di lei, contrariato dall’idea di non potersi godere un altro po’ di ozio e di doversi già rimettere a rincorrere qualche vile malfattore.

La socia curvò un’occhiata distratta su di lui, passandosi una mano sul retro del collo: «No, purtroppo. Stavo giusto approfittando della mancanza di lavoro per mettere un po’ d’ordine nel nostro archivio», rispose con tranquillità, poggiando un braccio sulla pagina che stava consultando e sovrapponendovi una copia del Tokyo Shinbun di quella mattina.

Ryo la guardò di sottecchi, domandandosi per quale ragione stesse mentendo, dato che era sempre stata metodica nel catalogare ogni nuovo acquisto della loro fornitissima libreria ed era praticamente impensabile, da quando c’era lei ad occuparsene, che potesse esserci qualcosa fuori posto. Piuttosto aveva tutta l’aria di stare indagando o comunque di essere alle prese con un qualche tipo di ricerca, di cui, chissà perché, non voleva parlargli.

Fingendo indifferenza e decidendo di soddisfare prima lo stomaco della sua curiosità, si spostò con calma in cucina, dove trovò una tavola imbandita con un’abbondante e sostanziosa colazione tradizionale giapponese. Mentre, dimentico di quel tarlo che gli aveva turbato il risveglio, ingolosito dagli odori, indugiava nello scegliere cosa addentare prima, tra tamagoyaki, zuppa di miso, salmone al vapore e tsukemono, la voce di Kaori si ripalesò alle sue orecchie dall’open space.

«Senti, visto che al momento siamo senza tv, stasera ti andrebbe di andare al cinema?», domandò con una sfumatura neutra e al contempo speranzosa.

Lo sweeper si mozzicò la lingua e ingoiò in un’unica deglutizione fagioli di soia fermentati che aveva in bocca senza neanche masticarli: «Che cos’è che mi stai chiedendo? Un appuntamento?»

La ragazza ringraziò di essere ancora in un’altra stanza, così che lui non potesse accorgersi del rossore che si era impossessato delle sue guance a quella impertinente e offensiva insinuazione: «No! Lo dicevo così … tanto per … fare qualcosa di diverso. Tra amici. Potremmo andarci con Umi e Miki … », si affrettò a puntualizzare innocente, ridando una veloce letta alla sezione spettacoli, per comunicargli quale film avrebbe voluto proporgli di andare a vedere. Era da tantissimo tempo che non si concedeva un’uscita scacciapensieri. Non ci sarebbe stato niente di male a rompere la solita routine.

«Un’uscita a quattro?! Ma come ti viene in mente un’assurdità del genere?!», ribatté di contro ancora più impermalito il destinatario, parlando tra una masticazione e un rutto.

Kaori decise di affrontare a quattr’occhi quel cavernicolo menagramo che si ritrovava come socio, raggiungendolo a passo di carica: «Dai! Non fare il rompipalle! Per una volta che ti chiedo una cosa!», lo esortò con tutta la capacità di persuasione che purtroppo sapeva di non possedere. 
Con le buone maniere non era mai stata particolarmente brava a convincere qualcuno ad appoggiare una sua pensata, men che meno sarebbe stata capace di intenerire un uomo ottuso e testardo come Ryo, soprattutto quando ci si metteva con tutto se stesso a volerla contestare per puro puntiglio.

«Ma scusa, se ci tieni tanto, vacci con loro. Perché devi coinvolgere anche me? Non mi va di fare il reggimoccolo per il lucciolone e la sua bella», continuò, di fatto, a controbattere insolente e irremovibile, finendo di sbafarsi ogni ciotola e terrina preparata amorevolmente da lei e messa a sua disposizione.

Un basso ringhio collerico risalì dal petto della giovane sweeper; dopo tutto quello che avevano passato, dopo quanto aveva appreso, credeva che non sarebbe più riuscita ad arrabbiarsi con la stessa furia accresciuta dall’imbarazzo, dall’incomprensione e dalla disapprovazione dei primi tempi. Invece dovette ricredersi: Ryo era un caso perso!

E forse lei lo era ancora di più, per essersene innamorata così scioccamente.

«Sei proprio impossibile!», gli urlò contro isterica, i pugni chiusi lungo i fianchi, i piedi che battevano a terra, trattenendosi a stento dall’impeto di rompergli qualcosa su quella faccia da schiaffi.
Sentendo il bisogno di prendere aria e di lavare via i cattivi pensieri, corse su a rifugiarsi sulla terrazza panoramica del piano superiore.


 

«Kaori! Sono a casa!»

Un giocondo Ryo annunciò il suo rientro, destreggiandosi tra il mazzo di chiavi e il peso che reggeva tra le braccia, tentando di arrivare in soggiorno senza inciampare nella sua coinquilina.

Lei, nonostante fosse pomeriggio inoltrato, non stava ancora affaccendandosi in cucina e la trovò proprio lì, nel suo morbido e sgargiante completo di tuta, accomodata sul divano, tra le mani una patinata rivista di moda dalla quale non distolse le pupille. Ancora gli portava il broncio per il consueto bisticcio di poco conto che avevano avuto ore prima!

«Guarda cos’ho qui …», la riscosse da quell’apatia che non le si addiceva, posando con cautela sul pavimento l’ingombrante scatolo di un grande televisore di ultima generazione.

Kaori, che fino a quel momento fingeva di non vederlo né sentirlo, sussultò a quella presentazione: «Ma … Ryo! Abbiamo già le spese del meccanico da affrontare questo mese …», lo rimbrottò col suo tipico senso pratico, esitando ad accettare la sua apparente, pretenziosa e soprattutto dispendiosa, offerta di pace.

Il socio raccattò delle forbici per spacchettare l’imballaggio: «Ah, tranquilla! È stato praticamente regalato. La commessa del negozio di elettronica mi doveva un grosso favore», la rassicurò vago mentre, recuperato anche un metro, prendeva le misure per installarlo sul mobile predisposto.

Un sopracciglio s’inarcò giudicante: «Ah sì? Che tipo di favore?», lo incalzò subito la ragazza, accavallando le gambe, sorreggendosi il mento con le nocche di una mano e scrutando attentamente ogni sua movenza ed espressione facciale.

Ryo la sbirciò reprimendo uno sbuffo. Quando esternava la sua inconfessabile gelosia non sapeva più se temerla o sentirsi imbrogliato. Nessuno si era mai interessato a lui con tanta cocciutaggine e perseveranza quanto quella mina vagante. E senza alcuna ragione. Erano unicamente compagni di lavoro, dopotutto.
«Qualche anno fa l’ho aiutata a liberarsi di un corteggiatore particolarmente assillante», le rivelò senza lasciar trasparire alcuna doppiezza. Ironico detto da lui, ma stavolta era la pura verità. Poco gli importava che quella malfidata la pensasse diversamente.

«Beh, comunque potevamo starcene anche senza tv per un po’. Non sarebbe crollato il mondo», concluse con ineccepibile razionalità Kaori, risparmiando ulteriori commenti. Non voleva dargli la soddisfazione di vantarsi per quell’acquisto, anche perché in fondo si sentiva ancora un po’ in colpa per esserne stata la causa scatenante.

«Scherzi? L’altro ieri avevo appena raggiunto l’ultimo livello di Sweeper game33! E stavo anche battendo il mio stesso record!», ribatté accanito il collega, armeggiando con cavi e telecomandi per assicurarsi che fosse tutto funzionante per riprendere la sfida videoludica. «Wow! Guarda che colori! Con questo schermo la risoluzione grafica è molto più definita!», esultò entusiasta, sedendosi a poche spanne dall’apparecchio.

La rossa si massaggiò le tempie, scoraggiata e snervata. Aveva voluto proporre a quel debosciato di fare qualcosa di diverso per svagarsi, per trascorrere un po’ di tempo insieme in un contesto estraneo rispetto alle loro mura domestiche, anche per fargli capire che non si era soffermata a rimuginare su ciò che aveva scoperto. In quei giorni si era detta che stava anche a lei cambiare atteggiamento, mostrarsi più disinvolta e propositiva.
Ma non c’era proprio verso di spuntarla contro la sua attitudine a schivarla.

«Quindi deduco che per stasera non se ne farà niente», mormorò imbronciata, alzandosi e mettendoglisi di fronte, i gomiti poggiati contro il ripiano su cui aveva trovato spazio il nuovo elettrodomestico.

«Uh?», mugugnò sbadatamente lui, continuando a pigiare freneticamente i comandi del controller per non perdersi neppure un obiettivo di quel combattimento virtuale.

«La nostra uscita, il cinema …», gli rammentò con disillusione Kaori, avvertendo un pizzicore alla gola. Non l’avrebbe certo pregato.

Il socio mise in pausa il videogame e si alzò lesto dal cuscinone su cui si era piazzato: «Magari un’altra volta», ammiccò laconico, piegandosi sulle ginocchia e cercando qualcosa in un sacchetto lasciato sul parquet.

«Uffa! Porca miseria! Non ti va mai di fare niente con me!», sbottò a quel punto la giovane complice con accaloramento, raggiungendo con quell’urlo tonalità acute e inopportunamente, quanto inconsapevolmente, stimolanti per qualcuno lì in basso.

Fortuna che lui ci si era assuefatto. Ryo espirò lentamente, la fronte solleticata da una gocciolina di sudore. Kaori e la sua ignara provocante dolcezza. Forse Mary ci aveva visto giusto. Non era ancora pronto a separarsi da lei. Stava bene in sua compagnia, senza nessuno squallido doppio fine.

Terminò di collegare i fili e si voltò verso di lei, porgendole un altro joypad con un buffetto canzonatorio sul naso: «Guarda che qui non potrai usare la tua tecnica del proiettile rimbalzante».

Gli occhi nocciola della ragazza ebbero un attimo di titubanza, prima di sciogliersi in un amabile sorriso di resa: «Non è detto. È una tecnica molto efficace, sai?»



1Chiba: è una città ad un'ora di treno circa da Tokyo, famosa per le belle spiagge.
2 Tantei shōsetsu: espressione con cui si indicano i romanzi polizieschi in Giappone.
3Sweeper game: si può vedere Ryo giochare a questo videogame sia nell'anime sia nel manga nella prima tavola della storia "Una luce tra i grattacieli".
* Con mio stupore, dopo aver pensato a questa sciocchezzuola per la trama, mi sono accorta che effettivamente il televisore disegnato da Hojo visibile nel soggiorno dell'appartamento cambia tra l'episodio di Mary e quello successivo che si apre con l'arrivo della pilota Shoko O,o
   
 
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