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Autore: FalbaLove    15/11/2021    1 recensioni
Raccolta di One shots con protagonisti Neji e Tenten e con la partecipazione di (quasi) tutti i personaggi del mondo di Naruto.
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[Dalla Prima Storia]
-Mi manca- e non ci fu bisogno di aggiungere altro perché Tenten sapeva benissimo di chi stesse parlando. Aumentò la stretta di quell’abbraccio, quasi cercasse di colmare le braccia muscolose del terzo componente del loro Team. Anche un semplice gesto non sarebbe più stato lo stesso, non dopo la sua morte.
-Anche a me- si lasciò sfuggire sentendosi egoista a condividere il suo dolore di fronte ad una persona che tanto, troppo stava soffrendo.
-Ma io ci sono ancora, Lee, e ti prometto che non ti lascerò mai- e Rock Lee sapeva che poteva fidarsi delle parole della castana. Oramai il loro Team era stato distrutto, la morte di Neji aveva causato un buco nei loro cuori che mai si sarebbe rimarginato, ma dovevano andare avanti e provare a vivere.
Ci avrebbero tentato insieme.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Neji Hyuuga, Rock Lee, Tenten | Coppie: Neji/TenTen
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Un’ennesima notte era calata sulle stanche macerie di Konoha. Il buio, che ne faceva da padrone, era avanzato silente impossessandosi di ogni cunicolo e strada. Ora, in un nero scuro quasi quanto la pece, solo la Luna sembrava resistere all’oscurità emanando una luce di un bianco brillante. Gli abitanti del Villaggio della Foglia, stremati, aveva cercato riparo dal gelo nei loro letti, coperti da spesse coperte. Una figura, in particolare, in un piccolo appartamentino dei palazzi residenziali, aveva trovato ristoro per il suo corpo estremamente martoriato su un logoro futon: la spessa trapunta gli solleticava il naso mentre il guanciale stava iniziando a riscaldarsi a contatto con le sue gote rosate.
Rock Lee sospirò lasciando che i suoi occhi, neri come la pece, si levassero in direzione dell’unica finestra presente: la Luna brillò nelle sue iridi. Si lasciò sfuggire un sospiro cercando di sistemarsi sul fianco, ma un mugolio flebile di dolore fuoriuscì dalle sue labbra strette. Ogni singolo muscolo del suo corpo si ribellava di fronte alla possibilità di cambiare posizione e le sue ferite, medicate non in maniera professionale, minacciavano di riaprirsi. Strinse le labbra con forza mentre il materasso si modellò sotto al peso del suo corpo: quel giorno, nonostante Sakura glielo avesse chiaramente vietato, si era allenato senza sosta ignorando le spesse bende che ricoprivano quasi ogni centimetro della sua epidermide. Il tono della Haruno era stato autoritario e irremovibile e la Bestia Verde era stata praticamente costretta a prometterle che per almeno una settimana sarebbe rimasto a riposo. In realtà le parole che le aveva rivolto erano state davvero sincere, forse dettate dalla meraviglia nel percepire che la preoccupazione e apprensione di Sakura erano genuine, ma le sue dita della mano sinistra si erano incrociate quasi autonomamente rendendo praticamente vane le sue promesse. E quindi, quella stessa mattina sul presto, aveva lasciato l’ospedale dirigendosi, senza neanche pensarci troppo, al campo dall’allenamento che per tanti, troppi anni aveva accolto il Team Gai. Un unico pensiero governava la sua mente: era troppo debole, doveva allenarsi per diventare più forte. E quindi, mentre veloci gocce di sudore scivolavano sulle sue tempie e i suoi muscoli si contraevano controvoglia ad ogni movimento, ben presto il Sole si era tinto di un arancione caldo e, prima che Rock Lee potesse rendersene conto, la Luna era rimasta l’unica spettatrice. Si era quindi trascinato nella sua abitazione, aveva cenato in fretta e furia e si era fatto una doccia veloce: il sangue scorreva ancora caldo nelle sue vene quando si era sfilato la tuta verde. E ora, neanche si ricordava di aver camminato dal bagno alla camera da letto, sembrava sentire per la prima volta dell’intera giornata la fatica e il dolore che scuotevano incessanti il suo corpo. Si lasciò sfuggire un secondo gemito, seguito da uno spasmo, quando permise al suo braccio destro di sottrarsi dal torpore che si era creato sotto le spesse coperte. La mano tastò a tentoni per alcuni secondi il pavimento prima che le sue dita si strinsero con forza attorno al freddo vetro di un bicchiere. L’acqua a contatto con le labbra lo fece rabbrividire, ma quando il suo capo ritornò a sfiorare il guanciale, si rese conto che il graffio sulla sua guancia destra aveva ripreso a sanguinare.
-Devo dormire- bisbigliò mentre i suoi occhi si fecero sempre più pesanti. I suoi polpastrelli sfiorarono con gentilezza la sua gota percependo un liquido caldo: il suo sangue, di un rosso vivo, brillò sulle sue dita illuminate dalla luce della Luna. Un brivido scosse con violenza il suo corpo mentre un ricordo, abbandonato, ma che aveva atteso silente nella sua mente, prese possesso dei suoi pensieri. Rock Lee scosse la testa con veemenza, quasi cercasse di scacciarlo: non gli avrebbe permesso di vincere, doveva liberare la mente e non pensare a niente. Chiuse gli occhi con forza mentre le sue dita afferrarono i lembi del lenzuolo chiudendosi a pugno. Il buio più totale lo avvolse completamente mentre il battito del suo cuore rimbombò, forte come un tamburo, nelle tempie. Immagini sfocate si fecero sempre più nitide nella sua mente, facendolo rabbrividire e turbare, e niente sembrava arrestare la loro corsa. I suoi occhi, chiusi con decisione, iniziarono a pizzicargli: non voleva ricordare, non voleva rivivere tutto quello che aveva già vissuto. Quello era il passato, tutto ciò era già successo. Il cuore sembrò come esplodergli mentre il sangue iniziò ad ardere nelle vene: le sue mani aumentare la presa sugli angoli di tessuto, quasi volessero aggrapparsi alla realtà. Poi, finalmente, tutto cambiò: lo scenario immaginario che lo circondava iniziò a svanire pian piano, a scomparire quasi non fosse mai esistito, e un senso di liberazione vibrò nel suo corpo. Il buio ritornò a fare da padrone nella sua mente e Rock Lee si dimenticò all’istante del puro terrore che fino a pochi secondi prima lo stava dilaniando.
Espirò mentre i suoi occhi si schiusero leggermente: il suo corpo, rigido, sembrava non essersi mosso. Incurvò un sopracciglio quasi sorpreso di vedere proprio davanti al suo viso la sua mano destra leggermente schiusa. Il sangue, che era fuoriuscito dal grosso squarcio sulla sua guancia, era colato leggermente dai suoi polpastrelli macchiandogli le dita. Incurvò le labbra notando solo in quell’istante che delle gocce, di un rosso vivo, scendevano veloci sulla sua mano fino a macchiare la manica del suo pigiama. Provò ad alzarsi, ma i suoi muscoli ignorarono i suoi ordini. Solo le sue dita si mossero armoniosamente nel buio mentre sempre più sangue, che sembrava avere origine dalla sua stessa pelle, continuò a cadere copioso celando sembra di più il rosa della sua epidermide. Provò a parlare, a muovere le labbra, ma le parole gli morirono in gola. Ad un certo punto si accorse che non era più sdraiato nel suo letto, ma era riverso a terra. Rocce spigolose e appuntite stavano graffiando le sue ginocchia mentre uno strano odore solleticò il suo naso. La sua mano, oramai completamente ricoperta di sangue, smise di muoversi e il ragazzo sembrò riacquistare il possesso del suo corpo. Un sorriso di sollievo si dipinse sulle sue labbra. Tentò di alzarsi, la contentezza era talmente tanta che il luogo estraneo dove si trovava non lo tangeva, ma qualcosa glielo impedì. Non era più colpa dei suoi muscoli, ma di oggetto esterno che ricadeva pesante sulle sue cosce ed era riverso sul suo petto. Ora entrambe le sue mani erano macchiate di sangue, questa volta molto più rosso e molto più caldo di quanto lo avesse percepito antecedentemente, e un senso di nausea creò una morsa nel suo petto. Cercò inutilmente di pulirsi sul tessuto delle sue ginocchia, ma le sue dita si strofinarono su qualcosa di strano. Dei sottilissimi fili marroni si attorcigliarono intorno alle sue mani, mischiandosi con il liquido rosso vermiglio. Le labbra si piegarono in una smorfia mentre il suo sguardo cercò di mettere a fuoco che cosa avesse appena toccato: sbatté con forza le palpebre domandandosi perché la sua vista fosse così annebbiata. Calde lacrime scivolarono veloci e silenti sulle sue guance lasciando la Bestia Verde interdetta. Il suo petto era scosso da forti singhiozzi e le ginocchia tremavano come foglie sostenendo appena il suo peso. Intorno a lui non vi era più silenzio, ma urla e grida gli rimbombarono nel cervello. Il dolore che provava in quel momento era diverso: i suoi muscoli gli dolevano, grossi squarci gli bruciavano eppure tutto ciò era niente in confronto alla strana sensazione che provava all’altezza del cuore. Un male soffocante quasi gli impediva di respirare, non avrebbe mai creduto che un essere umano sarebbe riuscito a sopportare un malessere tale senza morire. Si portò una mano al petto, per cercare di attenuare quel dolore lancinante, ma stranamente i suoi polpastrelli non toccarono mai i suoi pettorali fermandosi molto prima: sfiorò con cautela una superficie fredda, ma morbida al tatto. Tastò per alcuni secondi, cercando di capire che cosa fosse, troppo spaventato per abbassare lo sguardo. Le sue dita percorsero veloci dei lineamenti umani, estremamente familiari, e quando abbassò lo sguardo quasi esultò: la pelle diafana di Neji si rispecchiò nelle sue iridi nere come la pece mentre gli angoli delle sue labbra si alzarono autonomamente.
-Neji!- sussurrò felice di vedere finalmente una figura amica. L’eccitazione era talmente tanta che non badò neanche al freddo inumano che emanava il suo viso, né al pallore cadaverico che cozzava con il caldo castano dei suoi capelli. Il suo migliore amico, il suo rivale era lì con lui e non si trovava più solo.
-Neji!- esclamò una seconda volta, ancora carico di entusiasmo, ma improvvisamente gli occhi madreperla, che erano soliti giudicarlo con severità ogni qual volta che gli proponeva una sfida per chi fosse il migliore, si sovrapposero con quelli vuoti e spenti che aveva il volto tra le sue braccia. Il leggero sorriso accennato, che con il tempo aveva sempre più spesso visto sollevare gli angoli delle labbra del moro, non era presente e tutto di quel corpo sembrava estremamente... sbagliato.
-Neji- bisbigliò atterrito rendendosi conto che la vita sembrava aver completamente abbandonato lo Hyuga. Rigoli di sangue avevano smesso di scivolare dagli angoli della sua bocca e la fronte del ragazzo era di un bianco cadaverico. Il sigillo, che per tanto, troppo tempo il suo rivale aveva celato con vergogna, era scomparso regalando a Neji un aspetto quasi anonimo.
-Neji... ti prego, rispondimi- ma sapeva benissimo che non lo avrebbe mai fatto. Lo scosse con determinazione, ma il corpo esanime del ragazzo rimase freddo e molle.
No, non poteva essere, Neji non poteva essere morto: lui era il più forte del loro Team, lui era il Genio che era riuscito ad imparare le tecniche segrete del suo clan tramite la semplice osservazione, lui era il suo rivale che mai era riuscito a battere, lui era semplice il suo amico più caro. Le lacrime ripresero a scorrere copiose, ma a Rock Lee sembrò che non avessero mai smesso, mentre la battaglia che li circondava iniziò a risuonare con forza nella sua mente. Ma niente gli importava, le sue mani erano macchiate di sangue del suo migliore amico. Iniziò a strillare, urlare e chiamare quel nome che così tante volte aveva pronunciato. Continuò a pregarlo di resistere, che avrebbe chiamato qualcuno per farlo stare meglio, che non era troppo tardi: eppure, più pronunciava quelle frasi, più si rendeva conto di quanto fossero false di fronte agli occhi madreperla privi di vita. Era troppo tardi, Neji era morto e lui non aveva fatto niente per salvarlo. Si portò le mani al volto non facendo neanche caso all’odore nauseabondo del sangue: lui, Neji e Tenten avevano giurato che si sarebbero protetti le spalle a vicenda, avevano promesso che avrebbero dato la vita gli uni per gli altri. Ora quelle parole, che per lui avevano così tanto peso, gli sembravano una cantilena senza senso. Era stata tutta colpa sua se Neji era morto, l’aveva lasciato morire perché Rock Lee era troppo debole.
All’improvviso qualcosa di estraneo gli sfiorò le spalle, facendolo sussultare. Il suo corpo tremava come una foglia eppure smise all’istante. Gli occhi iniziarono a pizzicare e anche il dolore lancinante sembrò attenuarsi leggermente: si sentì come se respirasse per la prima volta, come se fosse rinato. Lasciò che i suoi occhi si schiudessero, senza paura, ma immediatamente perse un battito. Il volto di Neji non era cambiato di una virgola eppure ora gli sorrideva, un sorriso sereno, quasi allegro.
-Neji, sei vivo?- sussurrò domandandosi se la pelle del ragazzo non fosse sempre stata così pallida e se i rigoli di sangue non fossero delle semplici macchie. Il sangue gli si gelò nelle vene quando l’altro scosse la testa leggermente, senza smettere di sorrise.
-Sono morto, non lo vedi?- la voce era bassa e profonda, eppure così diversa da quella ricordava. I polpastrelli gelati dello Hyuga sfiorarono leggermente la mascella di Rock Lee, quasi volessero studiare i suoi lineamenti. Quel sorriso pacifico era estremamente sbagliato, eppure continuava ad essere un’ancora di salvezza per la Bestia Verde.
-E se sono morto è anche per colpa tua, Rock Lee. Tu mi hai lasciato morire, tu non hai fatto niente per salvarmi- il tono era incalzante e macchinoso, quasi come se ripetesse una semplice cantilena.
-Con quale coraggio osavi proclamarti il mio rivale? Tu come ninja non vali niente, sei sempre stato più debole di me e io ti ho sempre battuto. Non mi hai salvato, Rock Lee, ma la verità è che tu meritavi di morire, non io- le labbra sottili sembravano muoversi appena eppure urlava, a gran voce. Rock Lee annaspò, storse le labbra nell’inutile tentativo di parlare, ma neanche un flebile suono uscì: la consapevolezza che le parole pronunciate da Neji fossero vere gli fece più male di un kunai che squarciava la carne. Lui era un perdente, un fallito. Pensava davvero che con le sue insulse arti marziali sarebbe riuscito a fare la differenza in battaglia e a difendere i suoi amici?
Il sorriso di Neji si mosse veloce mentre la consapevolezza si fece strada nella mente della Bestia Verde: le labbra sottili dello Hyuga si contorsero con piacere assumendo la forma di un ghigno.
-Sei uno stupido scarafaggio, l’ho pensato la prima volta che ti ho incontrato. Ci è voluta la mia morte per fartelo capire- e, senza aggiungere altro, le mani del moro si mossero veloci chiudendosi all’altezza del collo di Rock Lee. Le dita fredde sfiorare la pelle della Bestia Verde stringendo con forza. Lui, però, non si mosse, né parlò: si limitò a specchiare i suoi occhi in quelli privi di vita dello Hyuga. Il fiato iniziò a venirgli meno mentre si sentì soffocare. Le sue mani si mossero veloci su quello di Neji, ma non per fermarlo, bensì si unirono alle sue. Meritava di morire, voleva morire. Osservò un’ultima volta gli occhi madreperla del suo migliore amico sentendosi onorato di vederli per un’ultima volta e poi il buio lo circondò.
-Rock Lee- una voce preoccupata risuonò come un ronzio nella sua mente. Per una decina di secondi tutto ritornò buio e silenzioso, ma ben presto la pace finì nuovamente.
-Rock Lee!-il suo nome rimbombò come un eco lontano, come se provenisse da un’altra stanza. Il ragazzo provò a seguirlo, ma il nero più oscuro lo circondava e neanche lui sapeva bene dove andare.
-Rock Lee- questa volta fu più attento e in lontananza individuò un flebile lampo di luce. Senza esitazione prese a correre verso il punto in cui l’aveva visto scomparire. Si sentiva perso, aveva paura.
-Rock Lee!- e finalmente la luce lo avvolse quasi come un abbraccio. Un secondo dopo, delle mani lo stavano scuotendo con forza mentre i suoi occhi presero a schiudersi leggermente. Le forme dei suoi mobili e della sua stanza si delinearono di fronte al suo sguardo e per un attimo si domandò se non fosse tutto un sogno. La mano, sudata e tremante, che si poggiò sulla sua guancia però lo strappò dai suoi pensieri.
-Finalmente ti sei svegliato- una figura era proprio a fianco a lui e lo stava fissando. Quegli occhi castani per un attimo divennero madreperla e un pallore cadaverico coprì la pelle abbronzata. Una espressione di puro terrore lo costrinse a sedersi all’istante cercando di indietreggiare: la figura priva di vita di Neji Hyuga sparì nello stesso istante in cui sbatté le palpebre.
-Lee, ti senti bene?- mormorò allarmata Tenten, ma il suo interlocutore non la udì minimamente. Con foga la Bestia Verde si guardò le mani trovandole ancora macchiate di sangue. La castana lo fissò rabbrividire di terrore mentre iniziò a balbettare qualcosa di incomprensibile. Subito afferrò un fazzoletto e lo passò tra le dita tremanti del ragazzo.
-Non è niente, Lee, è solo un po’ di sangue che hai perso dalla ferita sulla guancia- bisbigliò sentendosi impotente e spaventata di fronte a quel comportamento così assurdo del suo migliore amico. Lui rimase catatonico, ma si lasciò pulire le dita. Tenten fece del suo meglio per far sparire anche la più piccola goccia di sangue: i muscoli del ragazzo si fecero sempre più distesi e lei tirò un sospiro di sollievo.
-Ho fatto- affermò buttando il più lontano possibile il fazzoletto. Rock Lee ispezionò con attenzione le sue mani, come se cercasse di capire se quella fosse la realtà o meno.
-Stavi urlando nel sonno, Lee. È stato solo un incubo- le parole della maestra delle armi furono come un atteso risveglio per il cervello del ragazzo.
-Un incubo?- bisbigliò a labbra strette. La sua compagna di Team annuì con forza.
-Stai bene?- domandò accarezzandogli leggermente la spalla. Le labbra di Rock Lee si schiusero leggermente, ma non si mossero: lo sguardo della Bestia Verde si soffermò con attenzione sul volto della sua interlocutrice. Analizzò gli occhi castani che lo fissavano preoccupati e le labbra carnose chiuse con forza: si soffermò sul leggero taglio che aveva intorno alla bocca e al livido che spiccava sul collo abbronzato. Era la sua Tenten.
-No- si lasciò sfuggire mentre finalmente un enorme peso liberò il suo petto. L’immagine di Neji, morto e sanguinante, era ancora così nitida nella sua mente che ancora dubitava che quello fosse davvero il mondo reale. La ragazza non gli rispose, ma si limitò a ricercare la mano del suo migliore amico: le loro dita si intrecciarono quasi fosse un’abitudine e i muscoli del ragazzo si rilassarono istantaneamente.
-Ci sono qui io, Lee. Non sei solo- gli sussurrò mentre il suo solito sorriso si illuminò sul volto ambrato. Rock Lee ebbe finalmente la certezza che quella fosse la realtà e sorrise anche lui, ignorando gli occhi che sempre più insistentemente gli pizzicavano.
-Sdraiati- e il ragazzo fece ciò che la castana gli aveva ordinato, come un bambino con la sua mamma. Non fiatò mentre le calde coperte ritornarono ad avvolgere le sue membra e sorrise con ancora più gioia quando la sua migliore amica si mise a rimboccarle, in maniera poco materna e aggraziata, ma questo non gli importò affatto.
-Ora mettiti a riposare, sono solo le tre di notte- gli sussurrò incrociando le braccia al petto. Lui la studiò per ancora alcuni istanti, prima di annuire con veemenza. Questo gesto sembrò rasserenare Tenten che ammiccò compiaciuta: poi imitò il gesto del ragazzo di poco prima e la spalla calda della castana sfiorò leggermente quella di Rock Lee sotto le coperte.
-Spengo la luce- e il buio tornò a fare da sovrano nella camera della Bestia Verde. Le pupille dei due si abituarono per alcuni secondi a quella mancanza di luminosità mentre il silenzio più assoluto li circondò. Rock Lee percepì il corpo della ragazza girarsi sul fianco e rimase da solo a fissare il soffitto. I ricordi si fecero più chiari nella sua mente: era stata la castana che quella mattina era venuta a prenderlo all’ospedale e che aveva osservato in silenzio, senza intromettersi né fiatare, la Haruno ordinargli di non fare alcuno sforzo. Era stata lei che si era seduta su un ramo e lo aveva guardato allenarsi mentre le sue bende si inzuppavano del sangue che fuoriusciva dalle ferite riaperte. Era stata lei che, quando il sole stava scomparendo dietro alle montagne, lo aveva accompagnato a casa. Era stata lei che gli aveva preparato la cena e cambiato le bende: era sempre stata una frana con garze e cerotti, eppure aveva cercato di fare del suo meglio. Ed infine, era sempre stata lei che lo aveva accompagnato a letto distrutto per poi sdraiarsi accanto a lui. Tenten era sempre rimasta al suo fianco.
-Tenten?- bisbigliò non sicuro che la maestra delle armi fosse ancora sveglia. Lei emise un sospiro.
-Grazie- si lasciò sfuggire mentre calde lacrime iniziarono a scivolare veloci sulle sue guance. Non riuscì ad aggiungere altro che due braccia muscolose lo avvolsero nel buio stringendolo forte al petto. Il profumo agrumato della ragazza lo avvolse quasi come un abbraccio.
-Lee...- sussurrò lei senza sapere cosa dire. Non era mai stata brava con le parole, erano sempre bastate solo quelle della Bestia Verde, eppure desiderava dire anche solo la più piccola cosa per sollevare l’animo del suo migliore amico.
-Mi manca- e non ci fu bisogno di aggiungere altro perché Tenten sapeva benissimo di chi stesse parlando. Aumentò la stretta di quell’abbraccio, quasi cercasse di colmare le braccia muscolose del terzo componente del loro Team. Anche un semplice gesto non sarebbe più stato lo stesso, non dopo la sua morte.
-Anche a me- si lasciò sfuggire sentendosi egoista a condividere il suo dolore di fronte ad una persona che tanto, troppo stava soffrendo.
-Ma io ci sono ancora, Lee, e ti prometto che non ti lascerò mai- e Rock Lee seppe che poteva fidarsi delle parole della castana. Oramai il loro Team era stato distrutto, la morte di Neji aveva causato un buco nei loro cuori che mai si sarebbe rimarginato, ma dovevano andare avanti e provare a vivere. Ci avrebbero provato, insieme.
   
 
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