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Autore: Enchalott    15/11/2021    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il tempio di Valarde
 
Il santuario della dea della Montagna era spartano. I blocchi squadrati di arenaria gialla creavano un parallelepipedo eroso dal vento, la facciata meridionale era preceduta da un doppio porticato di colonne tarchiate e da un modesto cortile esterno, dal quale si elevava un breve crepidoma. Gli altri lati erano abbracciati da un peribolo, tra i cui pilastri sostava una patina di sabbia. La copertura era piatta, dotata di terrazzamenti a scalare. Il simbolo di Valarde, un rilievo a tre cime irregolari, campeggiava sulla nuda pietra del frontone.
Yozora si domandò se fosse abitato: il silenzio era contrastato dal flagellare della rena e nessuno era uscito ad accoglierli.
Rhenn la affiancò senza smontare, il cappuccio sollevato a celare il volto imbronciato.
«Avete dato fondo al colpo di testa, spero ne siate appagata. Le vestali non usciranno, nutrono un ignobile timore per ciò che non conoscono.»
«Ciò non impedisce a noi di entrare. O c’è qualcosa che vi turba?» lo provocò lei.
«Un Khai non teme! Il sangue ribolle per lo sdegno, sono costretto a calcare la terra da cui shitai e hanran invocano i Superiori contro di me!»
«Rimanete in arcione con l’irragionevolezza. Ci rivediamo domattina.»
Rhenn fece schioccare la lingua.
«Vi pianterei qui a tempo indeterminato, se non avessi giurato a Mahati di assistervi!»
«Il viaggio è parte della seconda prova?»
«No.»
«In tal caso non manchereste alla parola data e non cadreste nel disonore.»
Il principe sbarrò gli occhi all’ineccepibile argomentazione. Se Mahati avesse scoperto che l’aveva trascinata in mezzo al deserto per rappresaglia, gli avrebbe staccato la testa. Lei lo stava sfidando di proposito, tirarsi indietro sarebbe stato peggio che trascorrere la notte al tempio.
Dannazione! Mi sono cacciato nel ginepraio con le mie mani!
«Disonore!? L’erede al trono Khai, sommo officiante del dio della Battaglia, in visita a un santuario di second’ordine, sul quale cade più di un sospetto di tradimento! Quanto pensate gioverebbe alla mia reputazione?»
«Se il vostro fine è non attirare l’attenzione, alzare la voce non è d’aiuto. Vi hanno udito anche i sassi! Quanto al resto, raccontate la verità. Dite che la straniera che vi ho trascinato per i capelli.»
«Possedete scarso raziocinio se pensate che io dichiari di essere stato “costretto”! Da una ragazzina capricciosa poi!»
«E qui torniamo alla soluzione precedente. Non scortatemi! O c’è altro dietro la vostra riottosità?»
Rhenn vide rosso. Imprecò e saltò giù di sella. La agguantò per la vita e se la caricò in spalla con un gesto collaudato.
«Sì, la vostra continua disobbedienza! Va guarita con metodi più rigorosi di quelli prospettati da Mahati. Mi ringrazierà nel notarvi collaborativa!»
«Lasciatemi! Siete un despota che si fa valere con la forza bruta! È questo che dovrete paventare quando sarete re!»
«Quale regola m’impedirebbe di sfruttare il vantaggio fisico? Un principe Khai ottiene sempre il rispetto dovuto! Provate a contrastarmi con le chiacchiere, sono la vostra specialità!»
«Ardite parlare d’onore e non distinguete al di là del vostro naso! Temete che la vostra presenza tra gli sfortunati devoti alla celeste Valarde sia un’onta, non considerate che potrebbero rallegrarsi nello scorgere in questo luogo sacro il futuro sovrano! Potrebbero addirittura rassegnarsi a venire guidati da uno come voi!»
L’Ojikumaar si irrigidì. Quelle che aveva definito chiacchiere funzionavano più del previsto. Avvertì la rabbia mischiarsi a sensazioni sconosciute: si fermò in mezzo allo spiazzo con la giovane aggrappata alle vesti. Strinse forte, finché non udì il gemito che gli annunciò di averle fatto male, come lei con lui. Placò il respiro e si perse nel battito incontrollato del suo cuore, che raggiungeva l’udito attraverso la pressione del braccio contro il seno. Portò le dita alle labbra, ma non emise il fischio che lo avrebbe sganciato dalla situazione spinosa: era troppo tardi.
Le sacerdotesse di Valarde, schierate lungo il portico, erano intente alla scena, le lunghe vesti nocciola fluttuanti nella corrente. Una di esse, che portava al collo un medaglione d’argilla, vinse l’incertezza e scese i gradini.
«Frenatavi, giovane uomo! Guardatevi dal mancare di rispetto a una donna sotto lo sguardo della dea che ne protegge il principio.»
Rhenn masticò tra le zanne un colorito insulto, ma si decise ad appoggiare a terra la principessa, trattenendola comunque per un polso.
«Vi ringrazio, mia signora» mormorò Yozora «Il mio accompagnatore teme per la mia vita, ha solo scelto un modo energico per dimostrarlo.»
Le dita del principe divennero una morsa, inviandole un ammonimento tattile. La collera era palpabile e lei si domandò quanto sarebbe stato letale per quelle persone indifese, se sfidato.
«Chiamatemi Themin, non usiamo onorifici. Siamo tutti figli della dea madre.»
La principessa fece per restituire le presentazioni, ma l’Ojikumaar la incenerì: il benvenuto della vestale non era stato di suo gradimento e non pareva intenzionato a rivelare le loro identità.
«Qui non celiamo il volto» riprese la donna «Siate gentile e mostratevi, iwadar
Yozora intravide le labbra di Rhenn contrarsi in un sorriso feroce: “fratello” risultava la peggiore delle ingiurie e la misura della sua sopportazione era colma. Gli prese la mano nel tentativo di placarlo, frapponendosi tra lui e l’inconsapevole sacerdotessa.
«Perdonate, ma il mio amico non può…»
«Perché no? Le regole vanno rispettate, kalhar
La voce carica di sarcasmo risuonò per il portico spazzato dai refoli caldi. Il principe abbassò il cappuccio e sfilò il fermaglio dai capelli, sciogliendoli sulle spalle in un meraviglioso riflesso lunare. Allentò il mantello: le fiamme del thyr ruggirono scarlatte dallo scollo sollecitato del vento.
Themin raggelò. S’inginocchiò nella polvere imitata dalle compagne, posando la fronte a terra in un omaggio carico di terrore e riguardo.
«Era proprio necessario?» borbottò Yozora.
«Non è colpa mia se sono famoso.»
«Intendete tenerle così per molto?»
«Certo che sì. Metterò alla prova l’ospitalità hanran
«Come fate a definirle ribelli? Mostrano deferenza, quasi non respirano! In caso contrario avrebbero chiamato i rinforzi e ci avrebbero catturati.»
«Avete molto da imparare.»
«Fortuna che ho un insegnante come voi a mettermi in guardia da tali cospirazioni!»
«Già. Ma non fate caso a quanto vi dico, alla fine dimostro di aver torto, no?»
Lei avvampò nel considerare l’esatto contrario. Anche in quell’occasione era uscita malconcia per non avergli prestato ascolto e per averlo trascinato in una situazione sgradevole, dalla quale Rhenn si stava affrancando a suo modo.
«Dite che siamo in pericolo?» domandò intimidita.
«Ci daranno cibo, acqua e un letto. Tuttalpiù eleveranno una preghiera alla loro dea.»
«E dove sarebbe la minaccia?»
«Nel modo in cui lo faranno.»
Yozora sollevò gli occhi nei suoi e vi lesse una sincerità disarmante. Come tutti i Khai, non provava paura e si offriva a quella che giudicava una sfida. Ma non riusciva a occultare il disgusto per le convinzioni egualitarie di quelle donne e l’idea che avrebbero provato a intaccare le sue lo riempiva di rabbia.
«Oh, vi difenderò io!» esclamò decisa.
Il principe la fissò esterrefatto e scoppiò a ridere.
 
La figura ammantata d’organza nocciola osservò lo scambio dal terrazzo più alto, con la cura di rimanere sottovento per non destare l’attenzione. Quando il principe entrò nell’edificio si sporse a seguirlo con lo sguardo. Trattenne la veste e rimase appoggiata alla balaustra. Sul suo viso si alternarono turbamento e trasporto.
«Somma sacerdotessa?»
Chinò appena il capo, acconsentendo alla domanda sottintesa: avrebbero accolto l’erede al trono e la straniera, di cui aveva sentito parlare in svariate circostanze.
Quella che è stata in grado di strappargli un sorriso.
Sollevò il velo sui riccioli ramati, l’ultimo sole illuminò l’incarnato eburneo, mettendo in luce il portamento elegante.
«Desiderate incontrare gli ospiti?» domandò un’altra novizia.
«Diamo loro il tempo di ambientarsi e vediamo quanto apprezzano la nostra compagnia. Rischio di apparire malinconica, non è ciò che desidero.»
«Il principe sa che siete qui, mia signora?»
«Da sempre.»
La tirocinante non celò lo stupore e la più anziana sorrise indulgente: era complicato per lei, cresciuta tra le pareti consacrate a una dea benevola, comprendere il modo di pensare di un guerriero.
«Io sono la ragione per cui non è mai venuto, neppure quando sua moglie ci ha fatto visita. Nemmeno per sterminarci tutti. Ma oggi non è qui per questo.»
 
Yozora si sentì rinascere appena sfiorò la preziosa acqua che le avevano offerto. Si ripulì con un panno per non sprecarla e indossò la veste pulita, notando che le maniche erano sigillate da nastri incrociati per evitare che la sabbia s’infiltrasse. Era corredata di una stola da cingere in vita affinché non si gonfiasse, esattamente come la casacca di Rhenn. Si sentì ancora più ingenua.
Contrariamente alle aspettative lui l’attendeva alla stregua di un guardiano fedele. Non sembrava stanco e l’aspetto era impeccabile. La veste bruna ornata da semplici ricami dorati gli donava, operando un piacevole contrasto con il colorito. I pantaloni erano infilati in un paio di stivali avorio, che gli stringevano le gambe fino al ginocchio e avevano le punte arricciate per agevolare la camminata sul terreno cedevole del deserto. Sembrava il protagonista di un antica leggenda, sebbene privo di spade. Una stranezza, ma gli artigli erano più che sufficienti a strappare una vita.
«Fatevi guardare» le ordinò staccando le spalle dal muro.
Le girò intorno e Yozora si sentì nuda sotto l’esame meticoloso.
«Piantatela! Sembrate un mercante di cavalli indeciso sull’acquisto!»
«Vi state dando della puledra? Suona interessante.»
Lei avvampò e fece per piantarlo in asso, ma fu una mossa inutile: Rhenn le sbarrò il passo e la squadrò con la solita ironia.
«Rifiuto di presentarmi in pubblico con una donna che si agghinda da popolana.»
Disfece la treccia e le sistemò sulle spalle le ciocche castane, districandole con le dita. Il tocco la fece rabbrividire.
«I vostri capelli hanno un colore meraviglioso, è un delitto soffocarli. È il primo particolare che ho notato di voi.»
«D-davvero?»
Lui la guardò negli occhi. Parlare di quelli sarebbe stato ammettere influenzabilità.
«Certo. Eravate talmente imbacuccata che ho dovuto arrangiarmi.»
«Muovetevi, ci attendono!» sbuffò lei alla presa in giro camuffata da complimento.
Rhenn si lasciò trascinare, felice che lo stomaco della ragazza fosse più vuoto del suo: non si sarebbe abbassato a domandare il cibo e sarebbe stato costretto a cacciare. Puntare i piedi era una tattica per evitare seccature, convincendo tutti di aver concesso un’eccezione per risparmiare il disagio alla compagna.
Le vestali di Valarde avevano apparecchiato il desco con quanto a disposizione, ma appariva povero rispetto alle mense lussuose di Mardan. Le stoviglie di coccio e le tovaglie di lino grezzo non erano paragonabili a quelle preziose del palazzo reale, così i cibi modesti e il semplice akacha: quando Rhenn rifiutò di sedersi, Yozora si indispettì.
«Le state offendendo. Non possiedono altro.»
«Loro insultano me.»
«Come?»
«La tavola è rotonda!»
Lei lo fissò senza capire.
«Un modo per affermare l’uguaglianza. Nessuno a capotavola, tutti equidistanti dal centro. Non mi sottoporrò all’oltraggio!»
«Davvero credete sia voluto!?»
L’erede al trono incrociò le braccia sul petto, oppositivo. Poi abbandonò la sala, seguito dagli sguardi spauriti dei presenti.
Yozora si impose di non seguirlo per rovesciargli addosso ciò che pensava della sua dannata arroganza. Si accomodò, indirizzando un sorriso gentile ai commensali. Nei loro sguardi, assunti i motivi dell’Ojikumaar, fluttuava la disillusione. Come avessero ottenuto conferma che non avrebbe cambiato il loro status.
«Il principe della corona ha fatto voto di digiuno al divino Belker» dichiarò candida «È adirato perché ho preso l’impegno opposto con il sommo Kalemi. Se mi è consentito, prenderò una porzione di questo delizioso per la preghiera notturna.»
 
Lo trovò nel cortile interno, seduto a gambe incrociate sul tamburo mutilato di una colonna, immerso nella meditazione nella luce velata della luna. Ebbe l’istinto di non disturbarlo, ma il pizzicore della stizza prevalse.
«Vi sforzate di ignorare i morsi della fame?»
Rhenn interruppe il raccoglimento interiore.
«Invoco su di me la purificazione del dio della Battaglia.»
«L’aria è pulita e il celeste Belker non farà caso se mangiate o meno. A lui interessa il sangue.»
«Tenete a freno la lingua, giocate con un fuoco pericoloso.»
Yozora dipanò l’involto che reggeva tra le mani.
«Scendete dal piedistallo.»
«Perché dovrei?» ringhiò lui alla doppia valenza della richiesta.
«È circolare, vi renderebbe uguale a voi stesso. Un inconveniente da cui rifuggire.»
Il principe incassò l’arguzia e il profumo delle spezie infierì sullo stomaco vuoto.
«Non temete, ho detto che era per me e ho scomodato l’eccelso Kalemi, perciò non adombratevi se ne rubo un boccone per non insultarlo con una bugia.»
Gli parlava come con un bambino capriccioso e la cosa lo urtò, aggravando lo scontro tra l’orgoglio e l’appetito.
«Chi vi dice che ne abbia voglia?»
«Nessuno. Mangerete senza discussioni.»
«E come mi obblighereste? Sullo scontro fisico non andate forte e l’ostinazione non costituisce un deterrente.»
«Posso imboccarvi, se preferite. Dite “ah”, altezza reale.»
«Mi chiedo quale fallo abbia compiuto nella vita precedente per meritare tale supplizio! Mio fratello vi consente un simile atteggiamento?»
«A differenza vostra non si lamenta. È stato così garbato da assaggiare il piatto che gli ho preparato.»
Il principe strabuzzò gli occhi incredulo.
È uno scherzo? O un gioco erotico?
«Ovvio, è assuefatto alla robaccia che gli propinano all’accampamento.»
Lei tenne a mezz’aria il cucchiaio. Rhenn sospirò, appoggiando la schiena al masso scolpito. I disegni erano erosi, ma il mito della dea della Montagna come protettrice del principio femminile e della procreazione era riconoscibile.
«Si sta raffreddando» insisté lei.
«Con questo gelo…» finalmente prese il pane e lo sistemò nello stufato «Quando ero un moccioso, gli istitutori non me lo permettevano. Sulla tavola reale non c’è nulla di derivato dalla farina, roba da pezzenti. È chiaro che un divieto mette addosso il desiderio di infrangerlo e una zuppa del genere è un insulto al nome del re.»
«Voi non siete re.»
«Appunto. Alla faccia di Kaniša e degli hanran
Yozora sorrise, osservandolo ingurgitare vorace.
«Vi occorre una scusa per ogni presunta violazione? Trasgredite e basta, quando l’orgoglio vi suggerisce di agire con troppa presunzione.»
«Avete più fantasia di me con le attenuanti. Vi prenderò come consigliera al posto di uno di quegli ossequiosi imbecilli che attorniano mio padre. Quanto al suggerimento, obbedisco» girò il cucchiaio «Dite “ah”, altezza. Non vorrete indispettire il vostro Immortale prediletto?»
Gli occhi della principessa si bloccarono nei suoi: ipnotici abissi di malizia, che contenevano secolare esperienza e indomabile ferocia, pericolose incognite e sensuali promesse. Gelidi ma riscaldati dalla luce divertita che lo trasformava da demone in uomo.
«Quale interdetto infrangiamo nello spartire il cibo?»
«Quello che impedisce a me di abbassarmi a servire e a voi di entrare in familiarità con un uomo che non è vostro marito.»
«Quindi per le asheat sì e per un semplice boccone no?»
«Per le prime ho il permesso di Mahati.»
«E per la seconda?»
«Siamo lontani da Mardan.»
Il tempio era all’interno dei confini, ma Yozora comprese che Rhenn non si riferiva alla geografia. Era uno stato dell’anima e ne appariva sollevato. Gli sorrise.
«Approfittiamone.»
Lui inarcò un sopracciglio. La mente produsse un’immagine indecente di loro: si sforzò di scacciarla, ma vi indugiò con insolita compiacenza. Evitò di domandare se nel cibo fosse stato sciolto un allucinogeno. La seguì sin davanti all’altare di Valarde.
«Che significa?»
«Pregheremo la dea affinché vi conceda discendenza.»
Rhenn la fissò come se fosse impazzita. Forse la droga c’era davvero.
«Non mi inginocchierò davanti alla protettrice degli schiavi!»
«Invocatela in piedi, ascolterà comunque. Per voi è importante, no?»
«Non degraderò me stesso, dalle mie labbra non uscirà alcuna supplica! Se pensate che confidi nel potere di una divinità insignificante, siete fuori strada!»
«E se invece vi esaudisse? Sacrifichereste la continuità dinastica all’incapacità di ammettere il torto?»
«No. È il mio intelletto che mi salva dalla superstizione.»
Lo disse senza enfasi e senza alterigia. A frenarlo non era il disprezzo per quella dea: non credeva in nessuno, nemmeno in Belker, del quale era rappresentante tra i mortali. Forse non prestava fede all’esistenza divina e si limitava a recitare la parte indispensabile che gli veniva richiesta.
«Va bene» mormorò Yozora «Rispetto la vostra scelta, perciò accettate la mia. Eleverò io l’orazione, abbiate la pazienza di restare.»
Rhenn inalò l’aria con estrema insofferenza, ma assentì. Allentò la stretta, ma lei la trasformò in un intreccio di dita prima che si esaurisse.
«Celeste Valarde, se è vero che l’altruismo è per voi somma virtù, ascoltate l’umile preghiera di chi invoca la vostra benignità su una coppia di sposi. Concedete loro la gioia di diventare un padre e una madre, di distinguere la magnificenza del futuro negli occhi dei loro figli, di provare la fierezza di chi scorge il seme divenire frutto e trasformarsi in speranza. Realizzate il desiderio di Rhenn, che mi ha permesso di dare voce ai suoi sogni: fate in modo che renda felice sua moglie, che la stimi come il più prezioso dei doni e che la loro unione sia feconda. All’uomo che, accantonando l’orgoglio, stringe la mia mano nel vostro sacro tempio concedete il privilegio di generare un erede.»
L’Ojikumaar seguì turbato. Il cuore aveva accelerato i battiti, il respiro si era fatto veloce. Non si era mai rivolto a Belker con tanta intensità, neppure le volte in cui lo aveva pregato con una parvenza di aspettativa. Yozora credeva nelle parole che aveva pronunciato, tanto da coinvolgerlo: il nodo di commozione che sentiva nel profondo ne era la conseguenza. Era riuscita a spingerlo a desiderare con ardore qualcosa che non fosse frutto del dovere. A formulare un’aspirazione umana, come un qualsiasi essere vivente.
Se potessi permettermelo.
«Perché non due?» borbottò per dissipare il rimescolamento.
«Oh, avete ragione. Sareste più sereno.»
La principessa riformulò la richiesta e per un istante Rhenn ebbe la sensazione che Valarde l’avesse presa in considerazione, osservando la fiamma della candela piegarsi a un alito invisibile. Un duplice smacco generare dopo quell’invocazione.
«Possiamo andare?» fremette «Sono stanco.»
«Intendete partire domattina?»
«Il prima possibile. Riposatevi sotto un tetto finché ne avete l’occasione.»
«Anche voi. La vostra stanza è dalla parte opposta.»
«Vi accompagno.»
«Temete un rapimento?»
«No. Preparatemi un akacha come risarcimento. Sono costretto a dormire in questo tugurio per colpa vostra.»
Yozora alzò gli occhi al cielo, ma non obiettò.
   
 
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