Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Atharaxis    15/11/2021    3 recensioni
Kakyoin porta sempre con sé un taccuino: un diario di viaggio. Jotaro sa che è solo una mezza verità.
È più importante scoprire un segreto o il motivo per cui decidiamo di averlo?
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Jotaro Kujo, Noriaki Kakyoin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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“Cos’è quel quaderno che tiri fuori sempre, Kakyoin?”

Il ragazzo dai capelli rossi inclinò la testa distrattamente e strinse gli occhi. 

Era quanto bastava perché Jotaro capisse che avrebbe detto una bugia.

“Appunti di viaggio”

“Aaaaah-annnnh…”


Era ovvio che Polnareff avrebbe perso immediatamente interesse pensando a quanto potesse essere noioso un diario di viaggio fatto da Kakyoin – andiamo, a chi interessa qual è il piatto tipico di Varanasi? Era meno ovvio che quella menzogna destasse un’improvvisa curiosità in Jotaro, un ragazzo che solitamente non voleva essere coinvolto negli affari altrui.


Cominciò a notare i momenti in cui Kakyoin si tirava fuori dalla tasca quel taccuino.

Era piccolo, elegantemente rilegato in pelle e chiuso da un laccio di cuoio che girava tutto intorno alle pagine che avevano ormai preso il colore del deserto. Al suo interno molto probabilmente doveva avere uno spazio per poter riporre la matita, dal momento che Jotaro non lo vedeva mai tirar fuori niente per scrivere ma non ne era mai sprovvisto. 

Una matita, non una penna. Non scriveva mai a penna.

Ogni tanto vedeva Kakyoin fissare un punto lontano all’orizzonte, il taccuino stretto fra le mani, per poi iniziare a muovere la mano lentamente sulla carta. Non l’aveva mai notato, ma Kakyoin aveva le mani più belle che avesse mai visto. In realtà, non aveva mai notato le mani di nessuno ma Jotaro era sicuro che quelle di Kakyoin fossero le uniche su cui aveva soffermato il suo sguardo per un motivo. Così come i suoi occhi, color ametista, così particolari. Jotaro non avrebbe saputo dire di che colore aveva gli occhi Polnareff, e se gli avessero chiesto il colore degli occhi di suo nonno avrebbe risposto in maniera asciutta “chiari”, ma quella volta che avevano camminato fra le colorate bancarelle dei bazar di Bombay ricordò di aver pensato distintamente, presso la bancarella di un mercante di gemme “nessuna di queste ha il colore preciso degli occhi di Kakyoin”.


Non aveva molte occasioni di soffermarsi su quella sfumatura di viola, perché Kakyoin portava spesso la sciarpa, a schermargli il volto. Come se non bastasse, la sua espressione sembrava perennemente sfuggente, con quel sopracciglio appena alzato e gli angoli della bocca che si incurvavano naturalmente verso il basso. Eppure, Jotaro aveva incrociato il suo sguardo più di una volta. All’inizio pensò che fosse un caso, ma cominciò a notare che spesso quando i loro occhi si incontravano Kakyoin aveva fra le mani quel taccuino. Quando si era convinto che non potesse essere una coincidenza, d’improvviso non glielo vide più tirar fuori dalla tasca. Per diversi giorni, le mani di Kakyoin rimasero quiete e Jotaro ne sentì una specie di nostalgia.

La curiosità verso quell’oggetto cominciò a farsi morbosa. Probabilmente la noia dei lunghi viaggi nei noiosi panorami del deserto lasciava molto spazio all’immaginazione, e questo diede a Jotaro una ragionevole giustificazione per la sua piccola fissazione. Certo, avrebbe potuto sbirciarci dentro di nascosto con Star Platinum, ma in un certo senso sentiva che non sarebbe stato giusto giocare sporco. Non voleva scoprirlo furtivamente, voleva che Kakyoin fosse consapevole che lui sapeva.


È più importante scoprire un segreto o il motivo per cui decidiamo di averlo?


Dopo più di una settimana, Jotaro si era rassegnato a non sapere mai che cosa ci fosse in quei misteriosi appunti. Forse era davvero solo un diario di viaggio e Kakyoin si era stancato di scriverci sopra. Se non fosse che in una notte particolarmente calda, sulla via per Lahore, Jotaro si era ritrovato sveglio dopo un breve momento di sonno. Si era addormentato con il cappotto, come faceva di solito, ma l’umidità era davvero insopportabile tanto da interrompere forzatamente il suo riposo. Aveva aperto gli occhi nascosti dalla visiera del cappello, rivolgendo istintivamente lo sguardo verso il piccolo letto gemello alla propria destra.

Kakyoin era lì, che lo guardava, con il taccuino in mano.

Le sue mani scorrevano di nuovo veloci sulla carta, guidate solo dalla fioca luce di una candela, nascosta dietro la sua schiena per evitare che facesse troppa luce.

Le dita della mano destra che ripassavano più volte nello stesso punto, l’indice della sinistra si arricciava distrattamente il ciuffo scarlatto come in cerca d’ispirazione… 

Kakyoin stava disegnando?


“La luce non mi dà fastidio.”

Kakyoin sussultò e la matita si impuntò sulla carta. Un passo falso.

“Jotaro…! Mi hai spaventato.” balbettò, evidentemente in imbarazzo.

Jotaro rimase in silenzio, continuando a guardarlo di sbieco da sotto il cappello, e notò con dispiacere che a quanto pare, qualsiasi cosa stesse facendo, il suo intervento l’aveva rovinato. Kakyoin aveva una smorfia contrariata sul viso e aveva riposto la matita, tenendo il taccuino chiuso fra le mani ma senza legarlo.

“Ti ho detto che la luce non mi dà fastidio, continua pure a disegnare se vuoi.”

Kakyoin non rispose ma smise di giocherellare con il laccio che teneva strette le pagine.

“Tranquillo, inizio a essere stanco anche io. Dovrei dormire.”

“Allora è vero che stai disegnando.”

Il ragazzo dai capelli rossi si allontanò il ciuffo dal viso, arricciando appena il labbro. A quanto pare aveva involontariamente ammesso cosa conteneva davvero il suo prezioso quadernetto.

“Perché hai mentito a Polnareff? Sono disegni brutti?” Jotaro lo canzonò, cercando di farlo sbottonare ancora.

“Orrendi.” Kakyoin cominciò a girare il laccio intorno alla copertina, alzando il sopracciglio, con quella faccia che aveva sempre quando non voleva farti capire se stesse facendo del sarcasmo.

“Fammeli vedere, così posso dirti se sono davvero orrendi.” insistette Jotaro.

Kakyoin per un attimo sembrò valutare davvero quella possibilità ma poi scosse la testa con forza.

“Preferisco di no.”

“Come vuoi” Jotaro si tirò su a sedere e si sgranchì le spalle. “Allora buonanotte.”


Kakyoin sembrò farsi un attimo indietro quando il ragazzo moro fu di nuovo in piedi davanti a lui. Jotaro si tolse il cappotto e nonostante fosse di spalle ebbe la netta sensazione che quegli occhi ametista stessero continuando a seguirlo con lo sguardo, tenendo d’occhio i suoi movimenti.

Beh, perfetto. Almeno sarebbe stato distratto.

Sì, non era corretto usare Star Platinum, ma le cose cambiavano se non lo leggeva di nascosto. Sarebbe stato molto più divertente così, oltretutto.

Quando Jotaro si voltò, una volta appeso il cappotto, aveva fra le mani il taccuino ed ebbe la conferma che Kakyoin non aveva mai smesso di guardarlo. Subito il ragazzo si fece rosso in volto come la sua capigliatura, spalancando gli occhi, e stringendo d’improvviso il niente fra le mani.

“JOTARO!”


Il ragazzo moro scorse velocemente le pagine, alla velocità con cui un abile impiegato conterebbe delle banconote: una manciata di secondi appena, prima di sentire una delle flessuose estremità di Hierophant Green strapparglielo di nuovo via di mano e restituirlo al legittimo proprietario.

Le mani di Kakyoin strinsero con forza il quadernetto, ma nonostante il fastidio dipinto sul suo volto aveva dato le spalle a Jotaro anziché dare inizio a una di quelle scazzottate che Joseph amava chiamare “carezze da maschi”. Il bagliore verde di Hierophant circondava ancora la figura di Kakyoin, come una lieve aura. 

Era tutto piuttosto inusuale, ma a Jotaro venne in mente soltanto una domanda.

“Perché disegni solo me?”


Kakyoin si voltò, sgranando gli occhi: teneva il quaderno ancora fra le mani, semi aperto, il dito indice fermo fra le pagine aperte. Guardò Jotaro come a capire se lo stesse prendendo in giro, affilando lo sguardo con un sopracciglio alzato.

Jotaro lo fissò, con sguardo serio e concentrato, in attesa di una risposta ma rimase interdetto quando Kakyoin si portò una mano davanti alle bocca per nascondere una piccola risata.


“Scusami…” scoprì di nuovo il viso, le labbra ancora increspate da un sorriso.

“È una domanda divertente?” Jotaro si calcò il cappello sulla fronte, sedendosi di nuovo sulla sua branda singola.

“No, no, è che…” Kakyoin mosse in aria la mano, come per scacciare quel sorriso e si avvicinò a Jotaro, facendo scomparire l’aura di Hierophant Green. Ora che il ragazzo moro era seduto poteva guardarlo dall’alto in basso, il ciuffo rosso che gli cadeva elegante vicino alla curva del naso.


Sei così in gamba, Jotaro Kujo, eppure… Bisogna spiegarti proprio tutto, vero?


Jotaro notò che le guance di Kakyoin si erano appena colorate di rosso, anche se non pareva essere ancora arrabbiato. Puntò i suoi occhi verde mare su quelle iridi viola e pensò che avrebbe voluto davvero trovare un nome a quel colore, ma forse bastava chiamarlo come lui perché in fondo, che bisogno c’era di cercarlo altrove?

Rimasero qualche istante con il fiato sospeso, a una spanna l’uno dall’altro, prima che Kakyoin aggiungesse in un sussurro.

“... te l’avevo detto che erano davvero orrendi”

“Mpf… Ma pensa te.”

Jotaro si calò la visiera sulla fronte, spingendolo via con un palmo aperto.

Kakyoin si fece indietro, non prima di avergli assestato con precisione millimetrica un calcio sullo stinco.


“Buonanotte Jotaro.”

“Buonanotte, Kakyoin.”



***

Ho realizzato di non aver mai pubblicato questa one-shot, in cui mi sono cimentata spinta dal grandissimo amore di Macabromantic per la JotaKak. Nonostante non sia assolutamente in grado di scrivere le dinamiche di questa ship, ho avuto questo flashback in mente per un po' e pensavo valesse la pena di metterlo giù. Per il resto, ho mille progetti, almeno cinque fic iniziate e niente di compiuto, ma tornerò con i miei bambini di Vento Aureo, non temete.


  
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