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Autore: Ksyl    17/11/2021    4 recensioni
Dopo l'attentato di cui Beckett è vittima a fine della puntata 3x24 – e dopo aver trascorso alcune ore al distretto per tentare di capire chi fosse il responsabile – Castle torna al loft. Ho immaginato le sue riflessioni e il suo stato d'animo dopo gli eventi terribili che avevano appena avuto luogo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Terza stagione
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Dopo l'attentato di cui Beckett è vittima a fine della puntata 3x24 – e dopo aver trascorso alcune ore al distretto per tentare di capire chi fosse il responsabile – Castle torna al loft. Ho immaginato le sue riflessioni e il suo stato d'animo dopo gli eventi terribili che avevano appena avuto luogo.

Non sapeva da dove fosse scaturito l'impulso che l'aveva spronato a lanciarsi verso di lei. Le coordinate esatte all'interno del suo cervello primitivo che avevano lasciato che quella spinta si generasse e aggirasse la sua parte razionale, quella che avrebbe posto domande, e l'avevano fatto agire.
Ricordava vagamente una voce imperiosa martellargli nella mente che doveva salvarla, che non poteva lasciarla morire. Tutte le sue cellule avevano obbedito ciecamente a ordini che lui non aveva dato, a decisioni che non aveva preso.
Se fosse stato una persona più spirituale, avrebbe giurato di essere stato mosso da qualcosa di molto più grande di lui.

"Non lasciarmi. Rimani con me", aveva mormorato disperato, implorandola, quando l'aveva raggiunta ed erano crollati entrambi a terra.
Che cosa avrebbe fatto senza di lei? Che mondo sarebbe stato quello privato per sempre della sua luminosa presenza? Dei suoi sorrisi?
No, non poteva pensarci. Era un'ipotesi così mostruosa da far mancare al suo cuore martoriato più di un battito.

Non l'aveva salvata. Nonostante si fosse avventato su di lei non appena aveva compreso che il bagliore che l'aveva accecato da dietro gli alberi del camposanto proveniva dal fucile da cui era poi partito colpo, era stato comunque troppo tardi perché potesse allontanarla dalla traiettoria del proiettile che le era stato destinato.
Si rimproverava, e l'avrebbe fatto a lungo, per non aver prestato più attenzione – non era questo ciò che si supponeva dovessero fare i partner? Guardarsi le spalle a vicenda? Bel partner era stato.
Il suo corpo, irrigidito e dolente, conservava ancora, dopo ore, il terrore che era esploso al suo interno quando si era accorto che era stata ferita, nonostante il suo intervento. Era immagazzinato in un punto segreto e vulnerabile che, temeva, non si sarebbe mai rimarginato.

Quel mattino, il giorno del funerale di Montgomery, si era svegliato oppresso da un'inspiegabile inquietudine. Qualcosa gli diceva che non era finita.
Sì, Montgomery si era sacrificato, trascinando Loockwood con sé, affinché Beckett avesse salva la vita ed era morto da eroe. Lo sarebbe sempre stato, per lui.
Quando Montgomery lo aveva chiamato per intimargli di presentarsi all'hangar per portare Beckett al sicuro a qualsiasi costo – erano state le sue parole – gli aveva spiegato tutto, il suo ruolo nella vicenda, i peccati che aveva commesso e il patto stretto con la persona che gestiva le fila di ogni crimine e che continuava a rimanere ignota. Montgomery si era portato il nome nella tomba.

Ma c'era qualcosa che ancora gli sfuggiva, che non tornava, aveva pensato confusamente, mentre si era allacciato la cravatta con le mani intorpidite che avevano faticato a compiere i gesti abituali.
Era una strada pericolosa, quella che Beckett aveva imboccato. Molto più che pericolosa. E lui era colpevole di avercela spinta allegramente sopra, nonostante lei gli avesse intimato di starne fuori, spiegandogli con chiarezza il motivo per cui non poteva permettersi di riaprire il caso della madre. O anche solo sentirlo nominare.
Ma lui aveva insistito e agito alle sue spalle, convinto di essere nel giusto, esaltato dalle proprie buone intenzioni e da un'autostima malriposta, attratto dall'idea di aiutarla a chiudere il caso più importante della sua vita.
Aveva sbagliato.
L'aveva ridotta in fin di vita.

Era naturale che Josh gli si fosse scaraventato contro, per quanto odiasse dar ragione a un uomo che non sopportava, non perché contasse qualcosa, ma proprio perché non contava niente. Eppure aveva più diritto di lui a starle vicino e a differenza sua – era la parte più dura da accettare – aveva i mezzi per occuparsi concretamente di lei e impedirle di lasciare il mondo dei vivi.
All'inizio era rimasto sconvolto dalla sua violenta reazione, quando Josh era uscito dalla sala operatoria per venire a cercarlo – solo a quel punto aveva realizzato che l'ambulanza li aveva condotti all'ospedale dove prestava servizio, senza che nessuno avesse pensato ad avvisarlo. A nessuno importava di Josh e Kate non era solita condividere con altri particolari intimi della propria vita. Non avrebbero saputo come rintracciarlo, in effetti, anche se suonava come una patetica giustificazione. Doveva essere stato uno shock trovarsela davanti insanguinata e priva di conoscenza.
Riusciva a comprendere la sua collera, però. Anche lui se la sarebbe presa con la persona che aveva contribuito a farla diventare un bersaglio, anche se di fatto non aveva premuto il grilletto. Non era lui il cecchino. Cambiava forse qualcosa?
Era stato zitto.

Le parole che lei gli aveva detto quando erano stati testimoni dell'omicidio di Raglan – il detective che si era occupato del caso di sua madre e che l'aveva chiamata per liberarsi la coscienza, quattro mesi prima - erano riaffiorate e continuavano a vorticare nella sua mente, tormentandolo.
"È diverso quando ti capita davanti, quando sei abbastanza vicino da vedere le luci svanire".
L'aveva colto alla sprovvista, di Raglan non gli era importato nulla da vivo e non era rimasto scosso dal fatto di aver assistito alla sua morte. Aveva solo temuto che il sangue di cui era ricoperta fosse il suo, che fosse stata colpita. Aveva provato sollievo quando aveva appurato che lei era invece incolume.
Non riusciva a dirsi che questa volta non era andata così. Che quelle luci le aveva viste spegnersi.

Si costrinse a pensare ad altro. Sorrise amaramente, guardando la città sotto di lui. Beckett sarebbe rimasta sorpresa nello scoprire quante cose avesse memorizzato e conservato gelosamente tra quelle che lei gli aveva detto nel tempo. E non perché gli erano servite per costruire il suo alter ego narrativo, Nikki, nel modo più fedele possibile. Le aveva tenute per sé, se ne era preso cura, aveva lasciato che maturassero in lui. Lei avrebbe sbuffato senza credergli e lo avrebbe accusato – divertendosi, segretamente - di non aver perso il vizio di infastidirla, e lui avrebbe sorriso, perché era vero. Niente gli piaceva di più.

Si sedette e si prese la testa tra le mani. Chissà se le cose sarebbero mai tornate come prima. Strano come ciò che si dà per scontato sia quello che manca di più, una volta perduto. Ricevere la sua chiamata, correre al distretto, portarle un caffè – tanti caffè-, sedersi accanto a lei, risolvere i casi insieme.
Niente sarebbe rimasto com'era, si riscosse dai suoi sogni a occhi aperti. Come avrebbe potuto essere diversamente, con Montgomery morto e Beckett vittima di un tentato omicidio su commissione il giorno del suo funerale ? Si irritò con se stesso per la banalità delle sue riflessioni e per il suo atteggiamento puerile.
Beckett era quasi morta dissanguata ed era sopravvissuta solo grazie alla determinazione dei medici – di fatto la prognosi non era ancora sciolta- e lui piagnucolava perché la loro routine sarebbe cambiata.

Si versò un bicchiere della prima bottiglia che trovò aperta, senza badare all'etichetta. Fece una smorfia di disgusto quando il liquido acre gli arrivò alle labbra.
Sarebbe dovuto rimanere al distretto a continuare le indagini a oltranza, proprio come lei gli aveva insegnato a fare. Glielo doveva. Era lì che era andato, insieme a Ryan ed Esposito, decisi quanto lui a trovare il cecchino e altrettanto smarriti, lo aveva capito dagli ordini caotici e febbrili che avevano sbraitato rabbiosamente al telefono, quando il medico li aveva invitati a tornare a casa, sostenendo che avessero bisogno di riposare. Lì non sarebbero stati di nessuna utilità, aveva aggiunto, anche se lui non era stato d'accordo.

Dopo ore di ricerche che non avevano portato a niente, aveva alzato la testa dalla scrivania di lei e aveva detto che dovevano fermarsi. Dovevano essere lucidi per poter proseguire, di quel passo avrebbero solo commesso errori, si sarebbero fatti sfuggire qualcosa, avrebbero tralasciato dettagli preziosi. Era stata una giornata infernale, aveva aggiunto. Eufemismo.
Aveva incontrato i loro occhi spiritati, vi aveva letto l'intenzione di andare avanti fino a crollare ed era stato convinto che avrebbero opposto resistenza, ma alla fine gli avevano dato retta. Era notte fonda, ormai. Ogni pista era stata battuta e non era servito a niente. Forse era stato uno sbaglio, Beckett non avrebbe mai rinunciato, li avrebbe spronati a controllare ogni indizio un'altra volta e poi ancora, fino a trovare qualcosa, riusciva a immaginarsela benissimo in piedi vicino alla lavagna e, sospettava, lo stesso riuscivano a fare anche loro.

Li aveva salutati, dando appuntamento all'indomani, era barcollato dentro un taxi e si era accasciato sul sedile mormorando l'indirizzo del loft. Aveva pregato di trovarlo silenzioso. Sapeva di essere ingiusto, sua madre e sua figlia dovevano essere atterrite e bisognose di conforto che solo lui sarebbe stato in grado di offrire. Ma non sapeva come avrebbe potuto essere d'aiuto a qualcuno, quando non era riuscito a ricomporre le proprie emozioni deflagrate. Aveva esaurito ogni energia a cui avesse attinto nelle ultime ore per rimanere in piedi.

Si era assopito. Un colpo di clacson l'aveva fatto trasalire con violenza e solo allora aveva ricordato. Le aveva detto che l'amava. Lo aveva fatto davvero.
Quando se l'era trovata tra le braccia senza sapere come fosse successo, adagiata sull'erba compatta del cimitero, ed era annegato negli occhi spalancati di lei, increduli e sgomenti, che gli chiedevano aiuto, con le mani sporche di sangue, - questa volta era proprio il suo -, aveva voluto tenerla con sé a qualsiasi costo. Che il Signore lo perdonasse, aveva avuto l'audacia di barattare il proprio amore in cambio della sua vita. L'amava così tanto che perfino la morte sarebbe dovuta arretrare. Giusto?
Kate aveva abbassato le palpebre e aveva perso conoscenza, mentre lui aveva continuato a chiamare il suo nome. L'avevano strappato da lei. Lanie aveva preso il suo posto, aveva iniziato il massaggio cardiaco, erano arrivate le ambulanze. Lui era rimasto seduto come una marionetta, inebetito e a pezzi. Si era riscosso solo quando l'avevano issata sulla lettiga, portandola via da lui.

Era così ovvio, adesso che aveva detto quelle parole ad alta voce. L'aveva sempre amata. Anche quando non lo sapeva, anche quando aveva trovato scuse per starle vicino e non confessarsi la verità. Si accarezzò la barba troppo lunga. Era stanco. Disorientato, intontito.
La parte saggia del suo cervello gli avrebbe consigliato di andare a letto, di trovare conforto in qualche ora di sonno, in attesa di ricominciare presto, all'alba, a tentare di scoprire quello che era successo. Voleva offrirle indizi reali, una volta che si fosse svegliata. Non poteva presentarsi a mani vuote.
Ma non poteva semplicemente abbassare le palpebre e spegnere la mente sovreccitata. Per quanto apparisse irrazionale, doveva – voleva - rimanere di guardia, nel caso in cui la Morte fosse tornata a riprendersela. O magari il cecchino.
Gli si mozzò il respiro, quando il pensiero si fece strada dentro di lui come una coltellata che gli sventrò i sensi accartocciati. Chi gli garantiva che il cecchino non sarebbe tornato a concludere la sua missione? D'accordo, la sua stanza in ospedale era piantonata da alcuni agenti di polizia e suo padre era con lei. Sarebbe bastato? Contro chi si erano messi?
Forse stava diventando paranoico. Beckett era al sicuro anche senza di lui. Doveva accettare il suo ruolo, rispettare le distanze, fidarsi di chi si stava prendendo cura di lei.

Amarla non bastava. Non bastava a proteggerla, a salvarla, a darle la felicità che lui sapeva si meritasse. Non era bastato a fermarla. Erano stati tutti molto chiari. Montgomery. Suo padre. Fermala, Castle. Fermala prima che butti via la sua vita per scoprire la verità su sua madre. Solo tu sei in grado di farlo.
Gli avevano affidato un compito che non era stato in grado di portare a termine, una promessa che non aveva onorato. Per un soffio non l'avevano persa.
Era stato convinto che bastasse presentarle la ragionevolezza delle sue idee, quando era entrato nel suo appartamento, per farla rinunciare alla cosa che più contava per lei. Era stato un pazzo a crederlo. La conosceva davvero così poco? Lei sembrava credere che lui non la conoscesse affatto. In realtà era stata la sua vigliaccheria ad aver scelto la strada più semplice, quella meno coraggiosa.
Pensa a Josh, l'aveva incalzata. Pensa a tuo padre. Pensa a me, avrebbe voluto gridare, ma se ne era stato zitto. Lei aveva percepito perfettamente la sua omissione. Lo aveva capito dal tono sprezzante con cui gli aveva chiesto "È questo che siamo, Rick? Partner, amici?"
Che cosa erano? Era mancato poco che non lo scoprisse mai. L'aveva cacciato da casa sua, infuriata, delusa.

Erano tutti convinti che lui potesse arrivare dove altri non avrebbero mai osato avventurarsi con lei, ma non era così. La verità era che si sentiva impotente, che non sapeva come agire, che si era sempre trovato di fronte al labirinto inaccessibile della sua anima e non aveva mai saputo fare la differenza. Nemmeno quando si era trattato di farle da scudo. Nemmeno a quel punto.
Smaniava dalla voglia di rivederla. Di accertarsi che stesse bene, farsi promettere che non sarebbe morta, starle accanto come aveva sempre fatto. Niente di tutto questo era alla sua portata, ma ci avrebbe almeno provato.

Avrebbe atteso che si svegliasse e sarebbe corso da lei, decise. Ma prima sarebbe tornato al distretto, lo avrebbe fatto subito, senza avvisare gli altri. Doveva esserci un modo di scoprire il colpevole, la persona in cima alla piramide che la voleva morta con tanta perseveranza. Qualcuno doveva aver visto, aver sentito. Una sciocchezza, un indizio. Non vedeva l'ora di farlo. Di guardarla negli occhi e non scorgere più la vita che se ne andava. Di dirle ancora che l'amava. Di vedere che cosa avrebbe risposto.

   
 
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