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Autore: Imperfectworld01    19/11/2021    1 recensioni
Corre l'anno 1983 quando la quindicenne Nina Colombo ritorna nella sua città natale, Milano, dopo aver vissuto per otto anni a Torino.
Sebbene non abbia avuto una infanzia che tutti considererebbero felice, ciò non le ha impedito di essere una ragazza solare, ricca di passioni, sogni e aspettative.
Nonostante la giovane età, sembra sapere molte cose ed essere un passo avanti alle sue coetanee, ma c'è qualcosa che non ha ancora avuto modo di conoscere: l'amore.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Scolastico, Storico
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Venticinque.

«Sono passati quarantacinque giorni dal mio ultimo ciclo, ed è sempre stato super regolare, non mi ha mai ritardato per più di tre giorni. E poi guarda, sono tutta gonfia, secondo me ho preso almeno tre chili» spiegò Benedetta, una volta essersi calmata e aver smesso di delirare. Si sollevò la maglia per mostrarmi il ventre ed effettivamente non aveva più la pancia piatta che molte delle sue coetanee le invidiavano. Era sempre stata abbastanza fissata con il cibo e le diete, stava molto attenta a mangiare il giusto e mangiare sano, perciò quell'improvviso gonfiore pareva fuori luogo su di lei.

Eppure ciò non combaciava con quello che si ostinava ad affermare, vale a dire che lei e Maurizio non avevano fatto l'amore, ma io non ci credevo e, anzi, mi sentivo quasi tradita da lei, perché pensavo che si fidasse di me al punto da dirmi la verità e invece mi aveva mentito deliberatamente tempo prima e continuava a farlo tutt'ora. Ma in quel momento non era il caso di infierire, perciò lo tenni per me.

«Benni, capisci che non è possibile? Qualcosa dev'essere successo, ed è inutile che continui a negarlo. Lo sai che non ti giudicherò, a me puoi parlare di tutto» cercai di convincerla, dandole una carezza sul braccio.

Si prese qualche secondo per riflettere sulle mie parole, prima di parlare, sebbene ancora un po' titubante: «D'accordo... la verità è che... che quando sono andata da lui a Torino abbiamo fatto... abbiamo fatto i preliminari, e basta. Poi io non me la sono sentita di continuare e ci siamo fermati» raccontò, e io aggrottai le sopracciglia e mi grattai il capo, un po' disorientata.

«Preliminari?» ripetei, senza avere idea di che cosa significasse.

«Sì, tipo sesso orale, e...»

«Allora avete fatto sesso» la interruppi. L'aveva appena ammesso, perciò non mi era chiaro che cosa intendesse con "preliminari e basta".

«Ma no, Nina, si vede che non capisci niente! Sesso orale non è davvero sesso, insomma, è come... be', inutile che stia qui a spiegartelo» fece spazientita, prima di alzarsi dal suo letto e dirigersi verso il comodino per cercare qualcosa.

Ero già pronta a ribattere, sia perché volevo sapere a che si riferisse, sia per il tono scontroso con cui mi aveva risposto, ma non ne ebbi il tempo poiché tornò a sedersi davanti a me sul letto e mi piazzò davanti tre particolari termometri. Due di essi avevano nel riquadro bianco due strisce rosse, mentre l'altro ne aveva solo una. «Che cosa sono?» chiesi, sempre più confusa.

«Test di gravidanza. Ne ho fatti due qualche settimane fa, uno è risultato positivo e l'altro negativo. Ne ho rifatto un altro qualche giorno fa ed è risultato anch'esso positivo» rispose, prima di portarsi le mani alla testa, disperata.

Rimasi in silenzio, ancora sconvolta per ciò che mi si stava presentando davanti agli occhi. Era surreale. Mia sorella era incinta. E a quanto si ostinava ad affermare con insistenza, senza aver fatto l'amore con Maurizio? Com'era possibile?

Se era per caso stata scelta come colei che avrebbe portato in grembo il nuovo Messia, forse il Signore aveva fatto qualche errore di calcolo nel sceglierla, visto che considerando chi era la madre, avrebbe assomigliato più al figlio di Satana.

Mi insultai mentalmente da sola dopo aver fatto quelle considerazioni così stupide e futili, anche perché non era il momento adatto. E poi era del mio nipotino o della mia nipotina che si stava parlando. Diamine, che roba strana.

«Vuoi parlarne con la mamma? Lei saprà come aiutar...» Non riuscii a fare in tempo a finire la frase perché Benedetta mi interruppe: «No, Nina, non ci penso proprio! Come posso dirglielo? Mi farà fuori! La mia vita è finita, e anche la mia storia con Maurizio, con ogni probabilità. Tempo fa, quando mi sono accorta che le mestruazioni erano in ritardo, gli avevo accennato quest'ipotesi e lui solo per questo non mi ha risposto al telefono per giorni. L'unica cosa che ho potuto fare è stata dirgli che era un falso allarme e che mi era arrivato il ciclo» raccontò, fra un singhiozzo e l'altro.

«Ma che comportamento è? Ti pare normale che Maurizio ti abbia trattata così?» sbottai, non riuscendo a credere alle mie orecchie.

«Be', io... io lo capisco, avrà avuto paura, così come ce l'ho io» tentò di giustificarlo, e io alzai gli occhi al cielo.

«Guarda che se è davvero come credi, vuol dire che sarà vostro figlio, e non soltanto tuo! Per avere diciannove anni il tuo ragazzo mi sembra un po' un irresponsabile oltre che insensibile. Perché non apri un po' gli occhi?»

Mia sorella si portò le mani davanti al viso per coprirsi. «Ma Nina perché devi sempre essere così crudele? Non riesci ad avere un po' di tatto? Sai solo urlarmi addosso e farmi sentire ancora peggio di come sto già...» Mi accorsi, a giudicare dalla sua voce rotta, che aveva ricominciato a piangere a dirotto.

Ed era solo colpa mia. A volte non sapevo proprio darmi un contegno. Il tutto poi dopo essermi comportata da vera egoista: per tutti quei giorni avevo pensato solo a me stessa e ai miei problemi, senza accorgermi dell'inferno che stava attraversando Benedetta. Mi venne anche in mente di quella volta che stava per confessarmi un segreto, con ogni probabilità quello, e io l'avevo eclissata per andare a vedere un film con Vittorio e Filippo.

Se solo avessi saputo ciò che stava passando...

Ma comunque non era ancora finita. Non le sono stata vicino in questo periodo difficile, ma d'ora in poi lo farò senz'altro, mi ripromisi. La abbracciai e la strinsi forte a me, aspettando che si tranquillizzasse. «Scusami. Davvero, perdonami. E vedrai che troveremo insieme una soluzione, io e te insieme» la rassicurai.

*

Uscii dalla mia stanza e mi diressi fuori in balcone per prendere un po' d'aria, dopo quella notizia che mi aveva scombussolata non poco. Stando attenta a non farmi vedere, presi una delle sigarette del pacchetto che mi aveva dato Filippo e la accesi. Era la prima che fumavo dal giorno precedente, quando me le aveva date, e direi che me la meritavo eccome.

Mi ricordai del discorso che avevo fatto con Angelica e le altre quella mattina riguardante Filippo e pensai che forse il biondino mi sarebbe potuto tornare utile: se davvero ha già esperienza sul campo, allora sarà informato sull'argomento, constatai.

Avevo urgenza di parlargli.

Così decisi di aspettare pazientemente che Vittorio tornasse a casa. Non tornò per pranzo e nemmeno nel primo pomeriggio. Inutile dire che la mia pazienza si stava già esaurendo, non riuscivo a pensare ad altro che al momento in cui l'avrei visto entrare dalla porta di casa.

Finalmente, alle cinque spaccate del pomeriggio sentii il rumore delle chiavi che venivano girate nella serratura. Mi alzai dal divano sul quale mi ero appisolata per una ventina di minuti e accorsi alla porta.

Aveva una faccia distrutta, era pallido e stanco, privo di energie, dava l'impressione di uno che non aveva mangiato nulla da quella mattina, sempre che avesse fatto colazione. Non avendolo visto quando mi ero svegliata, non potevo saperlo.

«Ehi, tutto a posto?» chiesi preoccupata, mentre lui entrò in casa quasi barcollando.

Gli presi lo zaino dalle spalle per aiutarlo, e constatai fin da subito che era piuttosto leggero per essere lo zaino di uno studente delle superiori. Non pareva ci fossero dei libri dentro.

Si esibì in un sorriso alquanto forzato e non disse nulla, quasi come se non avesse le forze per parlare. Comunque sia andai a lasciare lo zaino in camera sua senza fare altre domande.

Qualsiasi cosa avesse fatto in quella giornata, non era andato a scuola, ma nemmeno aveva bigiato per andare a divertirsi in giro per la città, considerando la sua espressione scolorita e abbattuta.

«Dove sei stato fino ad ora?» domandai tornando in salotto, non riuscendo proprio a trattenere la curiosità. In fondo non capivo perché non potesse essere sincero con me. A pensarci bene, non era neanche la prima volta: era successo più volte che una mattina, all'incirca ogni due settimane, io mi svegliassi e lui non ci fosse, tornando a pomeriggio inoltrato come quel giorno.

«A scuola» rispose evasivo, senza neanche preoccuparsi che quella bugia risultasse credibile.

Normalmente avrei insistito fino a fargli vuotare il sacco, ma al momento avevo altro per la mente, così lasciai stare e andai al punto: «E Filippo come sta?».

«Sei tu che sei stata con lui fino alle dieci di sera, dovresti saperlo meglio di me» rispose secco, prima di togliersi le scarpe e andare a sbattersi sul divano come un peso morto, afferrando il telecomando e accendendo il televisore.

Non ci parlavamo dalla sera precedente, perché subito dopo aver litigato con mia madre mi ero chiusa in camera e avevo provato a mettermi a dormire. Anche se non me l'aveva detto a voce, era chiaro che Vittorio ce l'avesse con me per via di ciò che era successo. In fondo era solo stata colpa mia se suo padre si era infuriato con lui e l'aveva messo in castigo. Lui si era fidato a lasciarmi tornare insieme a Filippo, e poi si era ritrovato nei guai a causa mia.

Comunque preso com'era dal volermi a tutti i costi lanciare una frecciatina che in effetti mi meritavo, non si era neanche reso conto di essersi tirato la zappa sui piedi. Spostai le sue gambe e mi sedetti al suo fianco. «Scusa ma non l'hai mica visto oggi a scuola?» feci sospettosa.

«S-sì, ovvio» replicò, sebbene neanche lui fosse così convinto. «Ma non abbiamo parlato granché. Perché ti interessa?»

«Devo chiedergli una cosa. Stasera viene a cena?» chiesi.

«Non lo so, non ci siamo accordati, magari poi viene» rispose sbrigativo, mentre continuava a girare tutti i canali alla ricerca di qualcosa che potesse interessargli.

«Non puoi chiamarlo e invitarlo?» insistetti e Vittorio mi iniziò a fissare in modo sospettoso: «Perché tutta quest'urgenza? Non è che vi siete baciati di nuovo?» chiese e io sentii le mie guance avvampare.

«Sei fuori di testa? Che schifo! Una volta è stata più che sufficiente.» Incrociai le braccia al petto e arricciai il naso solo al pensiero.

«Quanto sei falsa, guarda, ti sta già crescendo il naso!» esclamò con un mezzo sorriso, di certo più spontaneo di quello di prima. «Che bugiarda, se quando io e gli altri alla festa di Monica vi abbiamo sorpresi mentre stavate per farlo anco...»

«Comunque domani mattina faccio il tragitto per andare a scuola insieme a voi, va bene?» lo interruppi, riportando l'attenzione sul discorso principale. Almeno avrei avuto l'occasione di parlare con Filippo al più presto se l'avessi visto la mattina seguente. «Ah, e viene anche Irene» aggiunsi poi.

Mi aspettavo che Vittorio avrebbe storto il naso come suo solito, invece rimase tranquillo e annuì. «Sì, va bene» disse soltanto.

Mi alzai in piedi dal divano, soddisfatta per aver ottenuto quello che volevo, ma mi fermai non appena sentii Vittorio dire qualcos'altro. «Sai, ieri mentre tornavo a casa dal Sempione, stavo riflettendo, e... ecco, non lo so, penso che forse dovrei smetterla di privilegiare così tanto Monica e iniziare a guardarmi un po' intorno.»

Mi immobilizzai un attimo, prima di tornare a sedermi sul divano al suo fianco. «Veramente?» chiesi incredula.

Vittorio si passò una mano fra i capelli per spostarseli dalla fronte e lasciare scoperto il suo viso, così caratteristico e insolito. Spense il televisore, rinunciando a guardare qualcosa, e tornò a fissarmi. «La verità è che sono stufo. Lo so che niente nella vita è facile, e ci ho provato per mesi a fare in modo che cambiasse qualcosa... ma è inutile, non mi vedrà mai nel modo in cui la vedo io. Anzi, credo che non mi veda proprio, in nessun modo.»

Aprii la bocca per rispondere, ma fui interrotta da Vittorio che riprese di nuovo la parola: «Tu credi che io sia noioso?» domandò.

Mi si formò spontaneo un sorriso sul volto, ripensando alle parole che avevo speso su di lui quando ero insieme a Filippo. Non l'avrei mai ammesso davanti a lui neanche sotto tortura, ma era quello che pensavo.

Scossi la testa. «No, per nulla. Credo solo che la paura di fare una brutta figura davanti ai suoi occhi ti impedisca di far uscire il tuo potenziale, sei sempre così goffo e impacciato quando c'è lei, è già tanto se riesci a formulare una frase di senso compiuto... se ti conoscesse per come sei davvero, fidati che sarebbe lei quella a sentirsi da meno. Cavoli suoi, non ha idea di cosa significhi avere un ragazzo per bene come te al suo fianco» risposi per rincuorarlo.

Lui sorrise e mi avvolse un braccio attorno alle spalle e mi strinse a lui, nonostante io cercassi in ogni modo di divincolarmi. «Grazie, peperoncino» mi bisbigliò nell'orecchio e io gli tirai un calcio nello stinco: «Non iniziare anche tu con questo stupido soprannome» lo ammonii.

«Perché? È carino» affermò, prima di prendere a ridere sguaiatamente, evitando di prendermi sul serio.

Allora gli tirai una gomitata sull'addome per farlo smettere, ma lui prese a ridere ancora più forte e ad agitarsi finché non cadde a terra dal divano.

«Ben ti sta» dissi, mettendomi a ridere a mia volta.

Vittorio mi prese per un braccio e cominciò a tirare per farmi cadere dal divano. Cercai di tenermi ancorata allo schienale del divano con la mano libera, impiegando tutte le mie forze, ma non fu sufficiente perché finii col cadere rovinosamente a terra accanto al ragazzo. «Perché non cresci un po'?» lo rimproverai, mentre lui si scompisciava dalle risate, faticando a stare seduto e finendo col sdraiarsi supino.

Rimasi a fissarlo con il broncio e le braccia conserte finché non smise di ridere, e stando a quanto segnava l'orologio a cucù appeso alla parete trascorsero circa sette minuti. Infatti, ogni qualvolta era sul punto di tornare serio, gli bastava incrociare il mio sguardo per riprendere a sghignazzare.

Aveva il volto rosso come il naso di un pagliaccio e si teneva entrambe le mani sull'addome, il quale doveva fargli molto male per via di quelle grasse risate. Ero quasi tentata di tirargli un calcio in mezzo alle gambe per fare in modo che la facesse finita, ma alla fine riuscii a trattenermi.

Quando si calmò prese una serie di respiri profondi e poi si alzò, mi lasciò un bacio sui capelli e poi si rintanò in camera sua per andare a studiare.

 

   
 
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