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Autore: Evali    20/11/2021    0 recensioni
Un villaggio isolato, un popolo spezzato in due in seguito ad una terribile calamità, due divinità da servire, adorare e rispettare in egual modo: Dio e il Diavolo.
"- Io amo gli uomini.
- E perché mai io sono andato nella foresta e nel deserto? - replica il santo. – Non fu forse perché amavo troppo gli uomini? Adesso io amo Iddio: gli uomini io non li amo. L’uomo è per me una cosa troppo imperfetta.
- È mai possibile! Questo santo vegliardo non ha ancora sentito dire nella sua foresta che Dio è morto!"
Genere: Fantasy, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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GLI OTTO VIZI CAPITALI (parte 1)
 
ACCIDIA
 
- Voi siete totalmente uscita di senno! – esclamò padre Petrit, cercando di tenere il passo deciso di Judith a grandi falcate.
I monaci del Creatore erano tutti estremamente attoniti e contrariati dalla decisione presa dalla loro pupilla.
Da sempre Judith non si era mai conformata alle regole e alle leggi in maniera standard, ma aveva sempre messo un pizzico di pepe, del proprio temperamento ed estro in ogni azione che faceva o che le veniva detto di fare.
- Oh, suvvia, state esagerando, tutti quanti – rispose con naturalezza ella, inamovibile, continuando a camminare per la propria strada, diretta verso il salone principale.
- Vi rendete conto di quanto destabilizzamento potrebbe destare la loro presenza nella nostra cattedrale?! La cattedrale del nostro Creatore!
- È l’alba, padre, non c’è nessuno nel salone principale. Inoltre, si tratta solo per questa mattina, poi non capiterà più, e terrò sempre le mie lezioni nella cattedrale del Diavolo, per non urtare la vostra sacra sensibilità. E poi ... – proseguì ella arrestando le sue falcate e volgendo lo sguardo verso uno dei monaci. - Sono bambini. Semplici bambini. Non sono demoni in miniatura con un paio di piccole corna che spuntano sulle loro testoline.
- Non è questo il punto!
- Allora dovreste cessare di fare tante storie a mio parere – disse a gran voce lei, rivolgendosi a tutti loro. – Vi siete sempre fidati di me, del mio giudizio e della mia sensibilità, giusto, padri?
I monaci si videro costretti ad annuire.
- Ordunque, mi sembra assurdo che non riusciate ad approvare proprio ora la mia decisione, per una sciocchezza come questa.
Tutto quel trambusto era nato semplicemente perchè quella mattina Judith avrebbe dovuto tenere la prima lezione ai bambini servi del Diavolo che intendevano partecipare allo spettacolino teatrale annuale.
Solitamente, il compito di istruire i bambini, scrivere il copione e assegnare loro le parti spettava ai monaci del Diavolo stessi. Ma, oramai, essendo questi ultimi tutti morti, il compito era stato affidato a Judith, per la prima volta. Era sembrata la scelta più saggia, dato che un tale compito andava affidato ad un uomo o una donna di culto, e che non avrebbero potuto occuparsene i monaci dell’altro culto, in quanto si sarebbe incappati in un problematico dilemma etico. Nessun monaco del Creatore poteva insegnare qualcosa ad un servo del Diavolo e viceversa, pur trattandosi di bambini. Dunque, Judith era la giusta via di mezzo: essendo la protetta dei monaci del Creatore era oramai considerata da tutti alla pari di una donna di culto, e, inoltre, era anche serva del Diavolo. Oltre al fatto che fosse ben acculturata.
Quella prima mattina di lezione avrebbero dovuta tenerla, ovviamente, nella cattedrale del Diavolo.
Tuttavia, quest’ultima era attualmente occupata dalla veglia e dalla preghiera per la prematura tragedia e scomparsa della piccola Bonnie, che aveva riunito un grandissimo numero di servi del Diavolo e che sarebbe perdurata per l’intera giornata.
Dunque, avrebbero dovuto trovare un altro luogo, ugualmente comodo, spazioso e agevole, per fare lezione ai piccoli servi del Diavolo cui i genitori avevano dato il permesso di partecipare allo spettacolo.
E quale luogo migliore della cattedrale del Creatore, totalmente libera alle prime luci dell’alba?
A Judith era sembrata una soluzione ovvia.
Ma i monaci del Creatore che la abitavano con lei non erano dello stesso parere.
Chissà, forse avevano paura che la presenza di quei bambini avrebbe contaminato la sacralità di un luogo dedicato unicamente all’adorazione del Creatore.
Eppure, ai servi del Diavolo non era vietato entrare nella cattedrale del Creatore, e così viceversa.
L’importante era che non compissero atti di adorazione all’altro Signore lì dentro, ma non era quello che avevano intenzione di fare, ovviamente.
Si trattava di una semplice e innocua lezione di teatro.
Perciò Judith trovava davvero inappropriate tutte quelle lamentele e opposizioni da parte dei monaci  che l’avevano cresciuta.
- Sono una serva del Diavolo anche io, vorrei ricordarvelo e sottolinearvelo. Loro sono esattamente come ero io anni fa. Che problema vi è nell’accoglierli qui, dunque? – ribadì. – Vi invito a venire a conoscerli se ne avete voglia, inoltre. Sicuramente si sentiranno più accolti se vedranno anche voi.
Ma ovviamente nessuno di loro fiatò minimamente di fronte a tale proposta.
Già era una conquista averli convinti a farli rimanere lì per la mattinata, pensò amaramente Judith.
Un passo alla volta.
L’unico che decise di seguirla e di assistere a parte della lezione con i piccoli servi del Diavolo, fu padre Cliamon, il quale aveva appoggiato la sua decisione fin da subito, con un sorriso ad ornargli il volto.
Il monaco cieco affiancò Judith nel momento in cui entrarono nella sala principale, trovando gli otto bambini già seduti composti nella navata di destra, intenti a guardarsi intorno incuriositi e in attesa.
- Sono già qui? – domandò Cliamon, non potendo vederli.
- Sì – rispose lei sorridendo intenerita nel guardarli. – Alcuni sembrano davvero piccoli. Avranno massimo nove o dieci anni. Sono curiosi.
- È normale che lo siano. Probabilmente molti di loro è la prima volta che entrano nella cattedrale del Creatore – rispose bonariamente l’uomo.
- Grazie per il sostegno, padre. Come al solito, sei l’unica spalla su cui posso affidarmi, sempre – lo ringraziò lei stringendogli una mano nelle sue, per fargli sentire il proprio calore.
- Non dirlo neanche, cara. Per qualsiasi cosa, sarò sempre al tuo fianco e ti appoggerò.
Non badare agli altri – le disse riferendosi agli altri monaci. – Loro ci tengono molto a te, ma sono ottusi e annebbiati.
- Sì, lo so.
- Inoltre, lo sai che cosa pensano riguardo allo spettacolo annuale per bambini: credono che sia solo una trovata dei servi del Diavolo per mettersi in mostra, per esporsi. Non vogliono che i bambini del loro culto facciano lo stesso. La ritengono una mancanza di umiltà, quasi un eccesso di vanità – disse sconsolato, mostrando chiaramente di non essere d’accordo con la loro opinione. – A mio parere... se avessimo dato sin da subito la possibilità di partecipare allo spettacolo anche ai bambini servi del Creatore, insieme ai servi del Diavolo, avremmo fatto un grande passo avanti verso l’unificazione dei fedeli dei due credi, evitandoci tante sfiducie e diffidenze che vi sono ora. 
- Non potrei essere più d’accordo.
Padre Cliamon voltò lo sguardo verso la direzione che sapeva essere quella in cui si trovava la sala principale. - Dici che si spaventerebbero se mi vedessero? Se vedessero un vecchio mostro seduto accanto a loro? - domandò sorridendo, facendo sorridere anche la ragazza.
- Sono certa che in molti si avvicineranno a voi di loro sponte.
E così fu: quando Cliamon si sedette su un posto della navata di destra, Judith dovette richiamare l’attenzione dei bambini, i quali avevano raggiunto padre Cliamon per riempirlo di domande di qualsiasi sorta.
- Dunque ... eccoci qui. Mi presento: io mi chiamo Arley Judith, sono una serva del Diavolo come voi come vedete, e quest’anno sarò io ad essere la vostra insegnante nello spettacolo teatrale che realizzeremo. Immagino sappiate come mai vi ho detto che ci saremmo incontrati nella cattedrale del Creatore, invece che nella nostra cattedrale, questa mattina.
I bambini annuirono, attenti.
- Vi sembra strano, trovarci qui dentro? – domandò la ragazza, guardandoli con un sorriso furbo, ognuno di loro.
Una bambina alzò la mano per parlare e Judith le diede la parola.
- Questa cattedrale non è tanto diversa dalla nostra. Sono uguali – osservò la fanciullina con un voluminoso cespuglio di ricci color carota, e tante lentiggini ad ornarle il bellissimo visino.
- Hai ragione. Qual è il tuo nome?
- Sorie. Zarah Sorie.
- Bene, Sorie. D’ora in avanti, ognuno di voi mi dirà il suo nome quando vorrà prendere la parola, in modo da imparare molto facilmente i nomi di tutti – disse la ragazza, proprio nel momento in cui il suo sguardo si posò su una nuova figura che era appena entrata nella cattedrale.
La serva del Creatore che Judith oramai aveva imparato a riconoscere, si fece strada nel corridoio intermezzo, osservando incuriosita la scena, a distanza, non aspettandosi affatto di trovare ciò che si stava trovando dinnanzi agli occhi.
Nonostante fosse mattina presto, Judith non aveva fatto i conti con gli orari assurdi in cui Hinedia era solita andare a pregare; memore della prima volta in cui l’aveva incontrata, sempre intenta a pregare di prima mattina, quando gli unici rumori che si udivano nella cattedrale appartenevano solamente allo zampettìo degli insettini che si infilavano sotto i candelabri.
Judith le rivolse un saluto a distanza, che la ragazza ricambiò gentilmente.
Quel gesto di Judith attirò l’attenzione di tutti i bambini, che improvvisamente si voltarono a guardare la nuova presenza entrata.
Subito la ragazza ricatalizzò il loro sguardo su di sè, riprendendo a parlare.
- Prima di iniziare voglio sapere da tutti voi se i vostri genitori vi hanno dato il permesso di partecipare. Se qualcuno di voi è venuto qui senza ottenere il loro consenso, dovrò chiedergli di andarsene e di tornare dalla sua famiglia – dicendo ciò, la giovane donna visualizzò una faccia familiare tra quegli otto bambini, osservandola sorpresa e sorridendogli. – Ioan? Ci sei anche tu? – domandò al fratellino di Blake.
Il fanciullino ricambiò il sorriso in risposta e alzò le spalle.
Intanto Hinedia li guardava interessata, non riuscendo a trovare la concentrazione per pregare, troppo incuriosita da quel gruppetto poco distante da lei.
- Hai il permesso di Blake e dei tuoi genitori di partecipare allo spettacolo? – domandò Judith al fanciullo, considerando che Blake non le avesse accennato nulla della presenza del fratello allo spettacolo.
Ioan annuì con convinzione. – L’ho chiesto sia a mio padre, che a Blake e loro hanno detto di sì. Se vuoi posso ridomandarlo a mio padre. Tanto lui è qui vicino, proprio nella nostra cattedrale, a partecipare alla veglia per Bonnie – le rispose.
- Non serve, ti credo in pieno – gli rispose lei, gioendosi anche della sua presenza. – Ora vi esporrò in breve di cosa tratterà lo spettacolo di quest’anno – iniziò la ragazza. – Ho pensato molto a cosa farvi portare, al copione che avreste potuto interpretare, alla trama, ai personaggi, al testo da cui trarre spunto.
- Lo avete scritto tutto voi?? – le domandò incuriosito un altro bambino, dalla pelle color cacao e i capelli di pece, senza alzare la mano.
- Quasi – gli rispose lei accennandogli un sorriso dolce. – Ho deciso che lo spettacolo che porterete in scena quest’anno sarà sui vizi capitali.
Si udì un verso di esclamazione da parte di tutti i bambini dinnanzi a quella rivelazione.
Rinunciando ai suoi tentativi di concentrarsi, Hinedia prese posto accanto a padre Cliamon, ascoltando interessata a sua volta.
- Come ben sapete, i vizi capitali non sono considerati dei peccati dal nostro credo, il credo del Diavolo. I vizi capitali sono dei vizi insiti in noi, che ogni essere umano possiede, chi più e chi meno, un elemento che ci rende tutti uguali.
Ci tengo a sottolineare, che non esiste un vizio peggiore, migliore, più degenerante o meno. Tutti i vizi capitali hanno la stessa importanza.
Ora vi starete chiedendo dove sono le differenze, dunque.
La diversità sta nella maniera e nella portata con cui ogni uomo e donna vivono, affrontano, subiscono e provano questi vizi. La differenza sta nelle azioni, negli effetti di questi vizi, di tutti, di alcuni, o solo di uno di loro.
I vizi capitali sono dannosi solo quando sommergono la nostra anima, prendendo il sopravvento su di noi.
Come ogni cosa, se dosati bene, non provocheranno alcun male; ma se esagerati e portati all’eccesso, saranno fonte di catastrofi.
Tuttavia, anche reprirmerli completamente, negando la loro esistenza, è altrettanto dannoso.
Bisogna conoscerli e imparare ad accettarli, a domarli, ma anche a lasciarsi domare da loro, nel giusto equilibrio, senza vergogna, nè alcun senso di colpa.
Solo in questo modo riusciremo a conoscerci e a capirci davvero: non negando noi stessi e la nostra natura.
Quelle parole di Judith lasciarono Hinedia totalmente attonita.
- Ora che vi ho illustrato la base dalla quale partiremo, vi spiegherò come avevo pensato di articolare le varie fasi dello spettacolo, la trama e i ruoli.
Sappiate, in ogni caso, che per riuscire ad immergerci completamente in questo spettacolo, in questo periodo di lezioni con me, indagheremo insieme ogni aspetto dei vizi capitali: impareremo a riconoscerli nelle persone intorno a noi, impararemo ad individuarne i rischi, i vantaggi, i lati nascosti, gli effetti inaspettati, come convergono tra loro, come vengono domati ...
Ogni aspetto che li riguarda.
Impareremo anche a riconoscerli in noi.
E non avremo paura di dirlo ad alta voce, di legittimizzarli, senza reprimerli.
Ognuno di voi interpreterà un vizio capitale.
Con mia grande fortuna, siete proprio del numero giusto.
Se foste stati di più o di meno avrei dovuto inventarmi qualcosa per colmare il disequilibrio, ma non sarebbe stato un grande problema.
- Che cosa vuol dire che siamo del numero giusto? – domandò un’altra fanciullina, dubbiosa. – I vizi capitali sono sette e noi siamo otto. C’è una persona in più – osservò la bambina dal capelli corti e neri, in contrasto con la pelle perlacea.
- Ottima osservazione. Forse non ne siete a conoscenza, perchè i testi sacri non lo riconoscono come un vero e proprio vizio capitale. Eppure c’è un ottavo vizio, al pari di tutti gli altri legittimati, di cui dobbiamo prendere coscienza e che dovremmo rappresentare. Non è così inusuale come pensate. Tuttavia, è raro che questo vizio sovrasti gli altri, che sia presente in eccesso in noi.
- Qual è? – domandò incuriosito Ioan.
- Il peccato di Tracotanza, meglio riconosciuto come Hybris.
Gli ascoltatori erano sempre più interessati.
- Il peccato di Hybris è simile e spesso avvicinabile alla superbia, ma non è assolutamente da confondere con quest’ultimo, poichè si tratta di qualcosa di totalmente diverso: nell’antichità si riferiva a un'azione ingiusta che produce conseguenze disastrose su persone ed eventi. Si tratta della brama di andare oltre, di prevaricazione rispetto alla natura, a ciò che ci è umanamente concesso, senza badare alle conseguenze.
Ora, elenchiamoli tutti insieme, per capire se ognuno di noi conosce bene la natura di ogni vizio capitale: dite i vostri nomi ed elencate un vizio a testa, spiegandolo in due parole.
Non servì altro da aggiungere da parte della ragazza, in quanto la sua era una platea di bambini svegli e reattivi: il primo bambino si fece avanti quasi subito.
- Gabe Jogger. Invidia: desiderare ardentemente qualcosa che ha qualcun altro.
- Jydaline Gwen. Accidia: indifferenza, negligenza nell'esercizio della virtù.
- Myreah Dionne. Lussuria: voglia incontrollabile e ricerca del piacere sessuale.
- Lucinda May. Gola: eccessiva fame e ingordigia.
- Christopher Ioan. Ira: rabbia vendicativa che si trasforma in ferocia e violenza.
- Ruben Kilian. Avarizia: morboso attaccamento verso le proprie cose, possessività pericolosa.
- Belinet Edith. Superbia: convinzione della propria superiorità sugli altri, orgoglio e vanità.
- Zarah Sorie. Hybris o Tracotanza: ribellione catastrofica all’ordine delle cose, sfidare la natura.
Judith rivolse loro un sorriso di pura fierezza.
- Bene. Ora possiamo cominciare.
Terminata la prima lezione incentrata sull’illustrazione dell’idea dello spettacolo in sè e sugli otto peccati, i bambini si fermarono un po’ a parlare tra loro, seduti, mentre Hinedia si avvicinò a Judith.
- Allora? Vedo che vi è piaciuta la mia spiegazione, tanto da aver rinunciato a pregare per udire ciò che faremo – la stuzzicò Judith, vedendola sorridere con una rinnovata sicurezza in se stessa che non le aveva visto prima. Doveva esserle accaduto qualcosa, nel corso di quei giorni, per ritrovarla così stranamente più ... solare.
- Mi avete davvero sorpreso - le rivelò Hinedia, guardando i bambini che discutevano e chiacchiaravano tra loro. – Non avevo mai provato a vedere le cose sotto questo punto di vista, che ho trovato decisamente illuminante. Nel nostro credo, per noi fedeli del Creatore, i vizi capitali sono visti in modo totalmente diverso. Vengono condannati aspramente, in qualsiasi forma essi si presentino. Sono considerati il male in terra.
- Lo so bene. Dimenticate che io, talvolta, mi ritrovo a confessare i fedeli del Creatore, sostituendo i vostri monaci – le fece notare Judith.
- Non riesco a spiegarmi come possiate fare.
- A fare cosa?
- A stare da entrambe le parti.
- Io non sto da entrambe le parti, Hinedia. Io servo il Diavolo.
- Lo so.. mi sono spiegata male, non intendevo dire quello – si corresse Hinedia, mortificata. – Intendevo che.. io ho sempre voluto entrare in contatto anche con l’altro Signore, il Diavolo. Non mi fraintendete, io amo il Creatore, e lo voglio servire con tutto il mio cuore. Eppure, ritengo che sia giusto e doveroso da parte nostra rispettare e conoscere nel dettaglio entrambi i credi. Mi sento vicina a entrambi i signori in una maniera inspiegabile, ecco tutto.
Judith si sorprese notevolemente nell’udire quelle parole. Un’idea inusuale le balenò in mente. – Se la tematica desta il vostro interesse, perchè non mi assistete nella realizzazione dello spettacolo? Potremmo insegnare ai bambini insieme.
A quella proposta, Judith vide palesemente mille domande e dubbi affollarsi nella mente della ragazza.
- Ma... ma... io non saprei.
Insomma, io? Ad insegnare a dei bambini servi del Diavolo?
Inoltre... io non so leggere.
E poi... gli insegnamenti di voi servitori del Diavolo sui vizi capitali sono molto diversi dai nostri ...
- La scelta sta a voi – le disse Judith senza metterle pressione. – Io non vi forzerei in nessun modo. Ve l’ho chiesto solo nel caso vi facesse piacere. Ad ogni modo, non preoccupatevi, ho già padre Craig che mi ha offerto il suo aiuto con i bambini, nel caso ne avessi bisogno.
- Padre Craig vi aiuterà e non Blake? Blake non vi assisterà?
Giusto. Oramai tutti erano convinti che lei e Blake fossero una coppia, e Judith doveva ancora abituarsi in pieno a quella consapevolezza.
Non le dispiaceva essere associata a lui spesso e volentieri, data la stima, l’ammirazione e l’affetto che nutriva nei confronti di quel ragazzo pieno di ingegno e di tante altre qualità e caratteristiche che l’attiravano a lui inevitabilmente. Tuttavia, voleva anche mantenere la sua indipendenza in quanto persona.
Non potè fare a meno di chiedersi cosa provasse Hinedia, nel profondo, alla consapevolezza che lei e Blake fossero legati in tal modo, e che egli fosse il padre del figlio che portava in grembo; nonostante la ragazza avesse avuto il sospetto di ciò sin dall’inizio.
Si domandò anche se Hinedia avrebbe risposto e reagito diversamente alla sua proposta di partecipare con lei alla realizzazione dello spettacolo, se solo anche Blake ne avesse fatto parte.
In ogni caso, preferì non stuzzicare il can che dorme, e cercare di non urtare la sua elevata sensibilità.
- No, Blake non mi aiuterà. Ho cercato di convincerlo ad aiutarmi con lo spettacolo, ma se ne è tirato fuori immediatamente – rispose sinceramente, sorridendo al ricordo del ragazzo, il quale non voleva avere nulla a che vedere con quella piccola mandria di bambini.
A ciò, Hinedia pensò nel profondo a quel che avrebbe comportato la richiesta di Judith: assisterla in quello spettacolo avrebbe significato andare contro agli insegnamenti del proprio culto, anche se indirettamente; avrebbe significato mettere in pericolo il suo legame con il Creatore; mentire ai suoi genitori, e probabilmente anche a Naren, che ultimamente le stava chiedendo sempre più spesso di passare del tempo insieme a lui, nonostante lei non sapesse ancora cosa provasse nei suoi confronti.
Di una cosa era certa: non lo amava. E non sapeva se mai lo avrebbe amato.
Non vi era qualcosa di male in lui, tutt’altro, si era mostrato premuroso, gentile, accorto e tavolta romantico.
Eppure, Van Naren in lei suscitava qualcosa che la ragazza aveva paura a nominare ad alta voce, per paura di essere sbagliata: indifferenza.
La stessa emozione che Hinedia stava provando in quel momento, all’idea che i monaci, la sua famiglia, Naren, e chiunque altro avrebbe potuto giudicarla male per la scelta di insegnare a dei piccoli servi del Diavolo che i vizi capitali non hanno nulla di sbagliato.
Era consapevole di star camminando sulle braci ardenti.
Eppure ... stranamente... non le importava.
Geenie Hinedia era indifferente all’idea di innalzare la sua anime e la sua relazione col Creatore, in quanto, per la prima volta, sentiva di poter approfondire quella col Diavolo, che credeva di non potersi mai permettere di avere.
Dunque, non se ne curò.
Non se ne curò di farlo sapere ai suoi genitori, nè a Naren, nè ai monaci del proprio culto.
Se lo avessero scoperto, poco le sarebbe importato.
Lei avrebbe proseguito per la sua strada.
Perchè quell’indifferenza, quella strana negligenza le stava piacendo.
- Sì. Realizzerò lo spettacolo con voi, istruendo i bambini – rispose di getto la ragazza, lasciando Judith attonita, positivamente sorpresa.
- Bene, ne sono felice allora – le rispose lei sorridendole, per poi riportare lo sguardo sui bambini. Alcuni di loro sembravano non poter fare a meno di bisticciare scherzosamente, altri parlavano seri di chissà cosa, mentre altri ancora si limitavano a rimanere in silenzio e ad osservare.
Judith fu felice di notare che Ioan aveva già fatto praticamente amicizia con tutti.
- Avete partecipato anche voi ad uno di questi spettacoli da bambina? – le domandò Hinedia.
- No, in quanto protetta dei monaci del Creatore, essendo loro i miei tutori, non me lo hanno permesso. Non so neanche se Blake abbia mai partecipato da bambino. Non gliel’ho mai chiesto.
Rimasero a guardarli in pace, fin quando qualcosa attirò inevitabilmente l’attenzione di Judith, catapultando il suo sguardo sulla porta d’entrata della cattedrale.
Dei ciuffi di capelli color miele sbucarono da dietro il legno scuro, facendo capolino e illuminando l’intero luogo.
“È ora” mimarono le labbra di Maroine facendole quasi fermare il cuore, di colpo.
Era ora.
Judith puntò lo sguardo su padre Cliamon, ancora seduto, anche se lui non poteva vederla, così come non avrebbe potuto vedere neanche, per l’ultima volta prima di salutarli, i volti delle sue due preziose gemme.
- Perdonami, Hinedia, devo assentarmi.
Devo fare una cosa importante ora.
 
La nebbia era gelida, motivo per cui Judith fece fare un altro giro di sciarpa intorno al collo di Maringlen.
Il ragazzino sbuffò sorridendo, provando debolmente a ribellarsi.
Le sarebbe mancato. Le sarebbero mancati da morire quei ghigni furbetti, quei nasi arricciati e quegli occhi luminosi quanto i raggi del sole.
- Potevate trattenervi un altro po’ e posticipare ancora la partenza – fece un ultimo tentativo Judith, con un sorriso forzato che trattaneva un mare di lacrime. – Ora stiamo organizzando lo spettacolo con gli altri bambini servi del Diavolo. Voi due saresti stati perfetti per questo spettacolo. Ci saremmo divertiti un mondo.
A ciò, Maringlen le sorrise dolcemente. Le tolse delicatamente i guanti e le strinse la mani nelle sue. – Sai che non sarebbe stato così. Noi due non siamo mai andati d’accordo con gli altri. Non sarebbe stato il posto per noi. Avrebbero continuato a trattarci e ad etichettarci come gli orfani figli di stregoni quali siamo – le disse, vedendola vacillare.
- Maringlen ... non siete più costretti ad andarvene da Bliaint. Oramai nessuno vi vuole più morti. Siete al sicuro qui. Molto più che in qualsiasi altro luogo. Io e padre Cliamon vi proteggeremmo..
- Siamo stanchi di vivere come abbiamo vissuto sinora, Judith. Abbiamo bisogno di cambiare, di cambiare luogo, di conoscerci davvero. Non possiamo restare a Bliaint.
Di nuovo un colpo al cuore fece avvertire una lunga vertigine alla ragazza.
- Avete preso tutto per il viaggio? – gli domandò come una madre apprensiva.
- Cibo, acqua, coperte, erbe medicinali... tu e padre Cliamon ci avete rimpinzato le sacche! Ci potremmo sopravvivere per un intero inverno dispersi con tutta quella roba – scherzò il ragazzino.
Ad un tratto, anche Maroine si unì a loro, dopo aver salutato accuratamente padre Cliamon, il quale era ancora in lacrime.
Judith mise una mano anche sulla guancia di lei.
- Vi troverete bene a cavalcare quella creatura bestiale? – domandò la ragazza rivolgendo il suo sguardo sprezzante al cavallo che li avrebbe portati fino al porto.
- È stata una fortuna che il mercante sia venuto qui con quel cavallo! Altrimenti ci avremmo impiegato il doppio del tempo ad arrivare – disse Maringlen.
- E poi, questi giorni di riposo, oltre ad averli passati a riprenderci, a visitare Beitris nelle segrete e a trascorrere il tempo rimanente con te e padre Cliamon, li abbiamo impiegati anche ad imparare a cavalcare. Dovresti vedere Maringlen! È bravissimo a farlo! – esclamò Maroine.
- Siete sicuri che non vi manchi nulla, quindi? Sapete, oggi fa freddo, è inverno, e nel pomeriggio potrebbe-
- Sì, Judith – risposero in coro i due gemelli interrompendola e sorridendo semiesasperati.
La ragazza non lasciò ancora le mani dei due, e impiegò ancora qualche secondo a decidersi a farlo.
Prima di vederli allontanarsi, Maringlen si avvicinò a lei con il volto e le sussurrò qualcosa all’orecchio: - Fatti valere per ciò che sei, Judith. Fallo per noi. Hai un animo molto più buono e luminoso di quello che pensi. Grazie. Grazie per tutto ciò che hai fatto per me e per avermi fatto scoprire me stesso – terminò lasciandole un lievissimo bacio sulla guancia, come una carezza del vento.
Judith lo guardò voltarsi e raggiungere sua sorella, che lo aspettava ai piedi del cavallo.
Improvvisamente, comparve quasi dal nulla anche Myriam, sorprendendoli tutti.
Judith non seppe come potessero reagire i due gemelli alla presenza della strega.
La donna si avvicinò a loro lentamente, per poi fermarsi dinnanzi a loro e osservarli, con quel suo sguardo indefinibile.
- Vi porgo le mie più sentite e sincere scuse.
Non pretendo il vostro perdono, non ambisco a tanto.
Spero solamente che non vi succeda nulla, mai, neanche quando saremo distanti.
Voglio che sappiate che veglierò su di voi a distanza – disse loro porgendo ai fanciulli due anelli, sui quali era incastonata una pietra dal colore magnetico e quasi ipnotico.
Padre Cliamon si chiese ardentemente cosa Myriam stesse facendo.
I gemelli presero ciascuno il proprio anello dalle mani della strega.
- È incantato.
Infilatevelo e indossatelo sempre.
Nel caso doveste avere bisogno di me in futuro, vi basterà sbatterlo violentemente contro una superficie, come se voleste romperlo. Ma non si romperà, e al posto di rompersi riuscirete a mettervi in comunicazione con me e a farmi sapere dove siete – spiegò, per poi vederli infilarseli e salire sul cavallo, uno dietro l’altra.
Li guardò dal basso e i due fecero altrettanto.
- Addio, per ora, faccini d’angelo. Fate buon viaggio.
- Addio, Myriam – le rispose Maringlen.
Dopo di che, i due partirono al galoppo, diringendosi verso le colline, sparendo tra la nebbia.
Judith si avviò quasi immediatamente di nuovo verso la cattedrale, trattenendo le lacrime, ma proprio quando anche padre Cliamon stava per fare lo stesso e raggiungerla, venne fermato dalla voce della strega che lo aveva condannato a quella maledizione.
- Aspetta, monaco.
 
INVIDIA
 
Quella voce.
Che gli ricordava terribilmente la voce di lei. Della sua condanna nella gioventù.
Si erano ritrovati dentro le stanze di padre Cliamon, senza alcuna ragione apparente.
Myriam lo aveva aiutato a salire le scale e ora erano lì dentro. Con la strega che curiosava ovunque.
Aveva avuto modo di osservarla bene, Myriam, prima che questa gli togliesse la vista.
Ed era tanto simile a lei da spaventarlo quasi.
Aveva il suo nome inciso a fuoco nelle sue tempie: Henni Adaira.
La pelle scura, liscissima, gli occhi color carbone intenso, l’ovale del viso che sembrava disegnato da un artista più che perfezionista.
Nonostante avesse avuto tutto il tempo per prepararsi mentalmente all’addio dei gemelli, era ancora scosso tremendamente dalla loro partenza, dall’orrida prospettiva di non vederli più.
Eppure.. eppure ora quella strega era riuscita a catapultarlo completamente verso il suo primo e unico peccato commesso in tutta la sua vita.
Che gli pesava addosso come un macigno, ricordandogli le radici tanto odiate della sua deturpazione.
Myriam gli ricordava di essere sbagliato, di essere peccatore, di non valere nulla, solamente non dicendo nulla, con la sua sola esistenza e l’odio che provava nei suoi confronti.
- Non ti è bastato togliermi la vista per sempre ...? Cosa vuoi ancora da me?
- Oh, non parlare come se ti dispiacesse, monaco – rispose ella, fermandosi dinnanzi allo specchio.
- Cosa intendi ...?
- Non parlare come se ti dispiacesse non essere più costretto alla condanna di guardare costantemente, ogni giorno, tutta la bellezza che ti circonda. Mentre tu sei ...
Cliamon ammutolì, boccheggiando.
L’unico modo per cui Myriam sapesse, era che che fosse presente quel giorno, nella cella, anni prima, quando aveva condannato sua madre, ma era impossibile. Allora come..?
- Sai, monaco, sono brava a leggere le persone. Molti pensano sia dovuto solo alle mie capacità esoteriche, ma non è solo quello. È una dote che mi ha tramandato mia madre – gli disse avvicinandoglisi con calma. – Ti ho fatto un favore privandoti della possibilità di assecondare l’ossessione che ti costringe a guardarti allo specchio ogni sera, e a struggerti per non possedere la bellezza che tanto agogni.
- Smettila.
- Mia madre credeva che la bellezza non fosse solo una dote superflua e “dannata”, come credono tutti. Ella credeva che fosse un dono estramente importante, e che andasse sfruttato sempre,  in tutte le sue sfaccettature, in quanto avrebbe potuto farci guadagnare il mondo. Con un battito di ciglia – ora era talmente vicina a lui da fargli sentire il proprio respiro sulle sue labbra.
- Non puoi vedermi, monaco, ma immagini come sono, vero ...? E sei divorato, divorato ... dall’invidia. Di nuovo. Come lo sei sempre.
I belli si buttano tra le fiamme senza preoccuparsi di venire sfregiati, mentre i mostri hanno l’ardire di guardarsi allo specchio, senza curarsi del dolore che deriverà da ciò.
Ognuno ha il suo giogo da portare – gli soffiò sulle labbra, rivolgendogli quella frase in modo completamente differente da come l’aveva detta a Blake anni prima.
- Cosa vuoi da me...?
- Voglio che pensi alle persone più belle che tu abbia mai visto con i tuoi occhi, da vicino, e che hai potuto ammirare e invidiare più di quanto pensavi ti fosse concesso.
Voglio che pensi a loro, a cosa ti piace di loro, a tutto ciò che invidi di loro, voglio che materializzi i loro visi nella tua mente al minimo dettaglio.
Voglio che pensi a quanto ti piace guardarli ... per immaginarti avere il loro stesso aspetto.
Questo è l’unico sentimento che provi quando parli con loro.
- Non è assolutamente vero! Io provo anche amore per alcuni di loro! Un amore sincero e puro!
- Un amore non dettato solo dal desiderio di continuare a guardarli?
- No, no! Un amore REALE!
- Voglio sapere i loro nomi.
Tutti quanti.
O, almeno, quelli che ricordi distintamente, e che ti sono rimasti così impressi da restare nella tua memoria indelebili, anche ora che la tua vista ti è stata sottratta.
I nomi! – esclamò lei crudelmente.
- Maringlen! Maroine! Judith!
- Questi sono coloro che ti sono più vicini. Voglio i nomi di tutti quanti!
- Blake! Beitris! Myriam! – si bloccò, prima di pronunciare anche quel nome.
- Avanti... dillo. Voglio sentirlo da te.
- Adaira – l’accontentò, tremando nel pronunciarlo.
A ciò, Myriam serrò la mascella, allontanandosi dal suo volto.
Cliamon per un attimo pensò che finalmente avesse deciso di lasciarlo in pace, di smettere di tormentarlo, che fosse soddisfatta.
Si illuse.
- Ho scoperto il tuo vero nervo scoperto, monaco.
I gemelli lo erano, ma lo erano solo in apparenza.
Il tuo vero punto debole è questo – disse la strega con trionfante fierezza.
- Cosa ... cosa vuoi farmi ancora?
- Oh nulla. Ho già deciso di risparmiare le vite dei gemelli, più per egoismo che per pietà nei tuoi confronti.
Sono stata così buona con te che ti ho persino privato della vista della tua immagine riflessa allo specchio, per l’eternità – gli disse sedendosi accanto a lui sul giaciglio. – Ho deciso di metterti alla prova, monaco. La tua personalità mi intriga molto – gli confessò, sorprendendolo non poco.
Quella strega voleva giocare con lui?
D’accordo, si sarebbe sottoposto al suo gioco, non si sarebbe tirato indietro.
- Che tipo di prova?
- Ti farò un dono.
Puoi chiedermi tutto quello che vuoi. Tutto ciò che desideri e io te lo darò con l’uso della magia. Ovviamente nei limiti che la magia mi permettono. Posso garantirti che il campo d’azione è molto esteso, quindi sbizzarrisciti.
- Che cosa...?
- Mi hai sentito bene. Chiedimi qualsiasi cosa.
A ciò, il monaco le chiese la prima cosa che gli venne in mente nel momento in cui la sua lista di desideri si palesò nella sua testa. Una lista molto corta.
- Voglio rivedere Maroine e Maringlen! Li rivoglio qui a Bliant con me. Vorrei averli convinti a restare e che ora fossero qui – disse con convinzione estrema, senza neanche pensare alle implicazioni etiche che avrebbe avuto sulla sua anima sottoporsi alla magia nera.
Oramai la sua anima era già corrotta, il suo rapporto con il Creatore freddo e distante.
A ciò, Myriam sorrise quasi teneramente. – L’unica clausula che ti pongo, è che non avvererò richieste che riguardano i faccini d’angelo.
- Come sarebbe..?! Cosa significa?? Allora farai meglio ad andartene di qui, non voglio null’altro da te!
- Oh, invece c’è qualcosa che vuoi e lo sai bene.
- Cosa vuoi portarmi a dire, Myriam..?
- Sai, io sono in grado di replicare alla perfezione uno degli incantesimi più ambiti – lo informò. – Hai presente il famoso gioco dello specchio? Quello che caratterizza i festeggiamenti di matrimonio dei servi del Diavolo in particolare? Tu non eri ovviamente presente la notte in cui è avvenuto lo scambio di corpi collettivo nel bosco, dopo il gioco dello specchio e i festeggiamenti. Tuttavia, Judith deve avertelo narrato.  Io ho ricevuto un racconto molto confuso e caotico da Beitris a riguardo.
Cliamon riflettè, la testa gli andò in pallone.
Poi, comprese.
- Lo specchio ... lo scambio.. tu puoi ...?
- Sì.
- Tu puoi farmi entrare nel corpo di qualcun altro..? A mia scelta? E quella persona, al contempo ..
- .. Entrerà nel tuo. Oh, non temere, non farai del male a nessuno in tal modo.
Prendilo come un favore che ti faccio, per allietare il tuo animo da un tormento che dura una vita: per un giorno solo, potrai avere l’aspetto che desideri avere da una vita intera.
Giovane, bellissimo, apprezzato, ammirato, venerato dagli sguardi altrui.
Un giorno solo che vale una vita intera.
Inoltre, potrai vedere ancora. Quando sarai nel corpo del prescelto annullerò l’incantesimo che ti rende cieco.
Potrai anche rimanere tutto il giorno a fissarti allo specchio.
Cliamon non credette alle sue orecchie.
La sua mente si svuotò e la brama, una brama che non provava da una vita, iniziò a farsi strada dentro di lui come una malattia.
- Accetto. Mi sottoporrò all’incantesimo dello specchio.
Per un solo giorno – disse in tutta fretta. – Se mi garantirai che non verrà fatto alcun male alla persona che abiterà il mio corpo nel frattempo.
- L’unico male che avrà, sarà quello di ritrovarsi nel tuo corpo, monaco. Hai la mia parola.
- Allora fallo.
- Il malcapitato in questione verrà scelto da me.
- Mi va bene. Qualsiasi servitore del Diavolo andrà bene.
- Bene. Abbiamo raggiunto un accordo – concluse la strega rialzandosi dal letto. – Domani mattina, all’alba, sarai un’altra persona, padre. Riposa bene.
 
 
Quaglia era pensieroso quella mattina, sin troppo.
Solitamente aveva la testa talmente vuota da ogni preoccupazione, che passava il tempo a riempirlo di domande e a commentare ogni cosa.
Erano entrambi seduti sul tavolo della cucina quella mattina, intenti a fare colazione, mentre Blake sfogliava gli appunti del nonno di Quaglia di tanto in tanto, beandosi della sorprendente calma di quest’ultimo.
Non gli domandò se andasse tutto bene o cosa gli stesse passando per la testa di tanto destabilizzante da averlo zittito. Preferì che fosse lui a parlargliene, perciò rimanse in silenzio.
Ad un tratto, Quaglia rivolse lo sguardo su Blake, iniziando ad osservarlo.
- Sapete, in realtà non sono spaventato da voi – se ne uscì con quella frase all’improvviso, alla quale Blake non seppe come reagire. Il ragazzo alzò lo sguardo a sua volta dalle carte e lo guardò incerto, aspettando che continuasse.
- Non sempre, almeno – aggiunse Quaglia accennandogli un sorriso impacciato. – Ad esempio adesso non sono sono spaventato da voi. Sembrate tranquillo e rilassato.
Blake accennò un sorriso divertito a quelle parole.
Quell’uomo era senza speranza. – È normale essere spaventati da qualcuno se la persona in questione è arrabbiata, Quaglia. Soprattutto se qualcuno l’ha fatta irritare particolarmente – gli rispose lanciandogli quella frecciatina con tranquillità, mentre continuava a sfogliare le carte.
- Trovo che siate molto piacevole quando non siete irritato.
- Presto dovrò reimpararvi a leggere e a scrivere – commentò Blake troncando quell’argomento inutile.
- Credo di saperlo già fare – gli rispose come se nulla fosse, provocando un’immensa sorpresa nel viso del ragazzo, il quale si voltò immediatamente verso di lui, sgranando gli occhi.
- Che cosa?? Vi siete ricordato come si fa?? Vi siete ricordato qualcosa?? – gli domandò rivolgendogli un accecante sorriso che non gli aveva mai rivolto prima.
- Sì, ho ricordato ... un episodio. Credo fosse il mio primo incontro con Selma, ma non sono riuscito a ricordare molto altro, purtroppo.
- Ma è fantastico, Quaglia! È un grande passo avanti!
- Davvero..?
- Certo! – confermò Blake continuando a sorridere, contagiando anche l’altro.
Blake gli pose davanti agli occhi gli appunti di suo nonno. – Dunque riuscite anche a leggere cosa vi è scritto qui, giusto?
- Sì, ma ... ci ho già provato, li ho letti, ma non riesco comunque a capire cosa vogliano dire, esattamente come voi – disse sconsolato.
- Non importa! Ci lavoreremo. L’importante è che stiate iniziando a ricordare. Mi sembra quasi impossibile crederci – disse nuovamente il ragazzo, sorridendo ancora trionfante.
- Quando sorridete sembrate un’altra persona, sapete? È molto piacevole guardarvi sorridere.
A quelle parole innocenti di Quaglia, che a quanto sembrava, quel giorno aveva voglia di esplorare la propria emotività, Blake ritornò serio improvvisamente, quasi per smacco.
Ma si sorprese ancora di più quando Quaglia si allungò verso di lui dalla sua sedia, allargando le braccia nella sua direzione.
- Che state facendo..? – domandò il ragazzo ritirandosi indietro e alzandosi dalla sedia come scottato.
- Beh, non è ovvio? Vi sto per abbracciare. Ioan questa mattina mi ha abbracciato prima di uscire di casa, per salutarmi; dunque grazie a lui ho scoperto che le persone si abbracciano quando sono felici, si salutano e fanno pace tra loro. E noi ora abbiamo ristabilito la pace tra noi, Blake. La nostra amicizia merita un abbraccio.
- Cos’è, adesso pensate di sapere tutto riguardo le relazioni umane solo perchè mio fratello vi ha abbracciato? Ioan abbraccia sempre tutti, non per questo dovete farlo anche voi – gli rispose scorbutico, vedendolo poi alzarsi in piedi anche lui e ignorare le sue parole, avvicinandosi ancora con l’imperterrito intento di abbracciarlo.
- Non avete sentito cosa ho appena detto, Quaglia?? Cos’è, devo scappare da voi tutto il giorno ora..? E non mi toccate! – esclamò allontanandosi ancora, frapponendo il tavolo tra loro.
Quella situazione aveva un che di comico e paradossale.
- Avete paura dei contatti fisici? – gli domandò l’uomo.
- Non ho paura dei contatti fisici, Quaglia.
- Allora perchè non mi volete abbracciare? È una dimostrazione di affetto, per farmi capire che anche voi tenete a me.
- Ma non ve ne è alcun bisogno! Non ho paura dei contatti fisici, semplicemente non sono abituato ad abbracciare persone casuali. Soprattutto dal nulla e senza motivo.
- Ma io non sono una persona casuale.
- Quaglia. Se vi avvicinate ancora vi taglio la mano. Sono stato chiaro? – lo minacciò facendolo finalmente desistere dal suo intento di abbracciarlo.
A ciò, i due vennero interrotti, per fortuna di Blake, dal bussare della porta di casa.
Il ragazzo si recò ad aprire, strabuzzando gli occhi nel trovarsi dinnanzi la figura che era davanti al suo uscio.
Il giovane stregone gli rivolse un piccolo ghigno nel rivederlo a sua volta, e si tolse il cappuccio.
Non si vedevano da giorni oramai, da quando erano tornati insieme dal loro eterno viaggio fuori da Bliaint.
- Ephram..? Cosa ci fai qui? – gli domandò sorpreso.
- Caspita, che bella accoglienza! – si lamentò scherzosamente l’altro, entrando in casa prima che Blake lo invitasse a farlo. - Quindi questa è casa tua. Molto carina devo dire. Nel classico stile di tutte le case del villaggio – disse guardandosi intorno e togliendosi il mantello.
- Immagino la tua dimora sia molto più accogliente di questa casa – gli rispose Blake per le rime, reggendogli il gioco. – Come sta procedendo la ripresa della compagnia e il cambio di dimora?
- Non c’è male. Ci siamo stabiliti definitivamente e stiamo cercando di raccogliere i cocci del disastro che Beitris si è lasciata dietro dopo la rivolta.
- I cocci del disastro causato anche dalla tua scomparsa.
Ma prima che Ephram potesse replicare, venne travolto dal caloroso abbraccio di Quaglia, che lo lasciò basito.
- Buon ... giorno anche a te, Quaglia – lo salutò incerto, ma ricambiando comunque l’abbraccio, guardando Blake con espressione interrogativa.
- Sembra una vita intera che non ci vediamo! Sono felice di vederti, Ephram! – esclamò l’uomo staccandosi da lui, facendogli quasi scaldare il cuore.
- Beh, sono anche io felice di vederti, Quaglia. Vedi, Blake? Queste sono le vere accoglienze da riservare ai tuoi ospiti. Prendi esempio! – gli disse punzecchiandolo.
- Oh, lascia stare. Oggi Blake non è dell’umore.
- La volete smettere, voi e la vostra rinnovata sete di affetto, Quaglia? Tutto questo soltanto perchè avete ricevuto un unico abbraccio da un bambino!
- Oh, hai cominciato a rivolgerti a lui in maniera formale, Blake? Avverto della tensione – peggiorò le cose Ephram.
- Beh, è naturale, dato che Blake mi odia.
- Oh, dio! Io non ti odio ... Quaglia. Oggi sei insopportabile.
- Sono felice di vedere che andate d’accordo, da quando vi ho lasciati – disse Ephram ridendo di gusto, mentre Blake avrebbe voluto tagliarsi i polsi per porre fine alle sue sofferenze.
- Dunque, perchè sei qui? – gli domandò il ragazzo arrivando al punto.
- Giusto – si ricompose lo stregone accingendosi a tirare fuori dalla sua sacca un biglietto che porse a Blake. - Myriam mi ha riferito di consegnarti questo – gli disse.
A ciò, Blake lo prese in mano, sorpreso. – È stata Myriam a dirvi di venire qui..?
Ephram annuì in risposta, vedendolo aprire il biglietto e leggerlo.
“Dato che questo è il tuo desiderio, ho acconsentito alla tua richiesta, nonostante mi sia costato molto.
L’ho portato da te, come volevi. Spero che egli possa darti le risposte che cerchi, come speri.
L’ho fatto solo perchè si tratta di te, e per te farei di tutto, voglio che lo tieni a mente.
                                                                                                                              Tua, Myriam”
Blake lo lesse mentalmente e sorrise di sottecchi.
- Che nostalgia! Siamo di nuovo tutti e tre insieme, come ai vecchi tempi. Dunque? – domandò Ephram sedendosi su una delle sedie e addentando un pagnotta che era sulla tavola, avanzata dalla loro colazione, proprio come fosse a casa sua. – Per quale motivo hai voluto vedermi?
Il ragazzo si avvicinò alla tavola. – Alla galleria, la scorsa mattina, quando è avvenuto il crollo e la tragedia della morte di Bonnie ... mi è accaduto qualcosa. Qualcosa di inspiegabile, al quale, forse, tu puoi darmi una risposta – disse diretto, attirando lo sguardo attonito di Quaglia.
- Non me lo avevi detto.. – commentò l’uomo.
- Ve lo sto dicendo ora. A entrambi.
- Dal modo in cui parli sembri allarmato. Se ciò che ti è accaduto è stato in grado di scuoterti sino a tal punto, proprio tu che hai affrontato di tutto là fuori ... allora devo davvero preoccuparmi – commentò lo stregone serio.
- Inoltre ... questa mattina ho anche appreso che Quaglia sta iniziando a ricordare – rivelò, facendo sgranare nuovamente gli occhi di Ephram.
- Davvero ..??
- Solo un episodio sporadico e senza importanza per ora.
- Beh, sembra che abbiamo molte cose di cui parlare.
- Ma non lo faremo qui – li ragguardò Blake. – Mia madre è di là, nella sua camera, e per quanto sia fuori dal mondo e di sè, vorrei evitare che ficchi il naso nelle nostre faccende. Inoltre, Ioan potrebbe tornare da un momento all’altro.
- Non vi è alcun problema. C’è solamente un luogo in cui potremmo andare a parlare di qualsiasi cosa volessimo, senza venire disturbati – commentò lo stregone alzandosi in piedi, già pronto per uscire di casa, per poi rivolgere uno sguardo sornione verso Quaglia. – Ora ti mostreremo la vera classe dei nostri luoghi di svago a Bliaint, Quaglia, molto meglio di quello squallore di locanda in cui siamo stati costretti a fermarci nel viaggio di ritorno. Andremo alla Taverna.
 
IRA
 
Padre Craig camminò sovrappensiero tra la nebbia.
Quella notte aveva fatto un altro di quegli strani sogni, sicuramente appartenenti a quella notte dannata.
Aveva sognato se stesso, visto da fuori, ma che non sembrava affatto lui.
Il non sapere lo stava portando ad impazzire, sempre più.
Continuò a camminare, senza una meta precisa.
Aveva solo bisogno di schiarirsi le idee, per poi recarsi a pregare.
Improvvisamente, scorse una figura familiare camminare placidamente, con in volto un’espressione serena e per nulla turbata, a dispetto di quella che avrebbe dovuto avere.
Provò una rabbia cieca montargli dentro, al solo vederlo camminare allegramente, senza preoccupazioni.
Si rese conto di non aver mai visto Naren dopo ciò che Judith gli aveva rivelato, sui peccati che quello squallido, indecente e impunito ragazzo aveva compiuto quella notte.
Provò un violento fastidio e una sensazione di schifo solo nel guardarlo.
Decise di seguirlo, involontariamente, per capire dove stesse andando.
Lo seguì a grandi falcate, ma senza farsi notare.
D’altronde, grazie al freddo erano incappucciati entrambi, così come ogni abitante per la strada, tanto da non riuscire a distinguire subito i loro volti.
Improvvisamente, si ritrovò davanti all’entrata della Taverna.
Naren entrò dentro e si tolse il cappuccio, prendendo posto su uno dei pochi tavoli rimasti vuoti.
A quell’ora, la Taverna era particolarmente piena.
Padre Craig entrò a sua volta, non sapendo bene come agire.
Era solamente guidato da quella cieca rabbia.
Si tolse il mantello a sua volta, e rimase in piedi, a fissarlo, sull’entrata.
Quell’uomo aveva stuprato Judith, e anche il corpo di qualcun altro, di colui che lei stava abitando quella notte.
Quell’uomo l’aveva ingravidata, mettendola indicibilmente in pericolo, dissacrando la sua dignità in quanto donna, il suo volere, il suo onore. E ora se ne stava alla Taverna, a bere vino e ad ammirare le bellissime locandiere con un sorriso stampato  in faccia.
Quel maniaco,
oltraggiatore,
perverso,
buono a nulla,
inutile,
inetto,
dissacrante,
violentatore,
depravato,
mascalzone.
Improvvisamente, si immaginò intento a strozzarlo nel più violento dei modi, e provò piacere nel visualizzare quell’immagine nella sua mente.
La forza della sua furia, dell’affetto che nutriva per Judith, della volontà di proteggerla e di proteggere altre donne che avrebbero potuto subire il suo stesso destino a causa di quell’essere immondo, lo spinsero a muovere i piedi velocemente verso l’inconsapevole Naren seduto al suo tavolo, intento a bere dal suo boccale.
Si mosse verso di lui velocemente, con le mani che fremevano per stringersi intorno alla sua gola proprio lì, in mezzo a tutti, per mostrare al mondo quanto quel ragazzo fosse putrido.
Neanche la sua ferma razionalità riuscì a fermarlo stavolta.
Ma giusto un secondo prima che compisse il misfatto di cui si sarebbe pentito a vita,  una voce salvifica lo bloccò inconsapevolmente, ponendo la sua anima ai ripari, richiamandolo a sè.
- Padre..? Siete voi? Cosa ci fate qui anche voi? – gli domandò Blake, seduto su uno dei tavoli a qualche metro da lui, avendolo notato di sfuggita e ora guardandolo con un’espressione confusa in volto, ma lieta di vederlo lì.
Improvvisamente, tutta la rabbia che muoveva ogni muscolo del giovane prete scemò, liberandolo da quella presa artigliante, facendolo voltare immediatamente verso Blake, e sorridergli, ringraziandolo internamente di aver bloccato lo scempio che stava per commettere.
 
Padre Craig aveva preso posto sul tavolo in cui sedeva la combriccola di Blake, Quaglia ed Ephram, nonchè lo stregone a capo della famosa compagnia.
Le maggior parte delle cose che sapeva su quest’ultimo provenivano dai racconti di Blake sul loro viaggio fuori da Bliaint. Ad un primo approccio, a padre Craig parve un giovane uomo eccentrico, ambiguo e a tratti presuntuoso.
Non era giunto lì per un motivo preciso il giovane prete, a parte seguire Naren assecondando quella rabbia sconfinata, dunque poteva tranquillamente rimanere lì con loro, nonostante non fosse certo di essere completamente gradito a tutti e tre.
- Dunque la tua voce se ne è andata non appena Bonnie è morta là sotto e la terra ha smesso di tremare.
- Non ricordo con precisione, ero molto confuso in quel momento.
Ephram parve riflettervi su. – Non credo che si tratti di una donna della mia compagnia, dalla descrizione fisica che ne hai fatto. Non so chi possa essere. Ad ogni modo, non è da escludere che abbia ragione: il nostro Signore potrebbe aver deciso di lanciarti un avvertimento.
A tale ipotesi, Blake pose le braccia conserte e alzò un sopracciglio, rivolgendogli uno sguardo a metà tra il divertito e lo sprezzante.
- Non farmi quella faccia. Sei tu che hai voluto il mio aiuto e io te lo sto dando.
- Confermandomi i vaneggiamenti di quella pazza? Sì, sei di grande aiuto.
- Dimmi cosa vuoi sentirti dire e io te lo dirò, Blake – gli disse lo stregone sporgendosi verso di lui sul tavolo, questa volta utilizzando un tono intimo che padre Craig non si aspettava, e che lo lasciò attonito.
- Non sto utilizzando la magia nera. Non l’ho mai fatto e non inizierò a farlo ora. Dunque, il nostro Signore non ha nulla di cui essere in collera con me – gli rispose fermamente il ragazzo.
- Ne sei sicuro? Quali sono i tuoi sentimenti nei Suoi confronti?
Blake non rispose, facendo calare il silenzio, contornato dai forti rumori di sottofondo della locanda affollata.
- Io continuerò con quello che ho sempre fatto sinora.
Non saranno le Sue minacce a fermarmi.
E se tu non hai le risposte che cerco, significa che farò ricadere la faccenda e me ne dimenticherò – disse Blake con determinazione di ferro.
Ephram restò a osservarlo con sguardo indifinibile.
- Non mi sarei aspettato nulla di diverso da te.
Padre Craig si limitò a non commentare, in quanto sapeva che palesare le sue preoccupazioni avrebbe fatto innervosire Blake.
- Inoltre, ora che Quaglia sta iniziando a ricordare il suo passato, la scoperta della formula della polvere nera è sempre più vicina. Nessuno potrà farmi desistere dal trovarla – aggiunse Blake, sorprendendo padre Craig.
- Avete iniziato a ricordare...? – domandò il giovane prete al diretto interessato.
- Giusto qualche sciocchezza – rispose Quaglia. – Ma ho scoperto di sapere ancora leggere e scrivere!
- C’è un modo per facilitare il ritorno della sua memoria riguardo la polvere nera? – domandò Blake a Ephram.
- Non mi viene in mente nulla – rispose lo stregone. – Tuttavia, qualcosa potrebbe esserci.
- Che cosa?? – domandò Quaglia incuriosito.
- Un incantesimo di evocazione.
- Evocazione...?
- Per evocare i tuoi antenati, Quaglia. Forse loro sono a conoscenza delle informazioni che ci servono. E, magari, riusciremo a metterci in contatto anche con tuo nonno, chissà.
L’uomo raggelò in risposta, e così anche padre Craig.
- Potrebbe essere una buona idea. Possiamo farlo già oggi? – disse Blake con infinita naturalezza, facendo impietrire ancor di più i due.
- Certo, non mi servirà molto, sono esperto in questo tipo di incantesimo
- E... questo incantesimo ha mai portato a risultati concreti? – si azzerdò a chiedere padre Craig, quasi balbettando alla sola idea.
- Talvolta. Ma è un processo lungo e difficoltoso. Ci serviranno altre sedute, oltre quella di oggi. L’arte sciamanica della divinazione e dell’evocazione di antenati non è priva di rischi e di vicoli ciechi – rispose Ephram con solennità. - Ci serve un luogo isolato e all’aperto.
- Quale luogo migliore dell’infinita porzione di terreno deserta che sovrasta la galleria di mia proprietà? - propose Blake.
Quella storia stava piacendo sempre meno a padre Craig, che percepì degli spiacevoli brividi risalirgli lungo la schiena. Ephram era uno stregone ed era una persona pericolosa, priva di qualsiasi scrupolo. D’altro canto, il giovane prete posò lo sguardo su Blake, il quale aveva una determinazione di ferro dipinta nei lineamenti del volto, decisi, fermi e risoluti. Ciò lo convinse a prenderne parte, sapendo già che se ne sarebbe pentito prima della fine della giornata.
Voleva stare accanto a Blake in una situazione così pericolosa e cercare di salvare il salvabile, considerando che raramente riusciva a farlo, dato che il ragazzo si cacciava spesso in circostanze scomode e molto rischiose, quasi come se ne fosse dipendente, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
Tuttavia, fece un ultimo tentativo. – Non è sin troppo rischioso..? – osò chiedere, attirando l’attenzione degli altri tre.
Come temeva, Ephram gli rise in faccia platealmente dinnanzi a tali parole. – Sentite il prete straniero! Come ogni straniero, è terrorizzato dalla magia, tanto da tremare sulla sedia – lo provocò avvicinandoglisi. – Beitris mi ha parlato di voi, sapete? Non capirò mai per quale motivo avete destato la sua attenzione. Ad ogni modo, non temete: sono esperto in queste pratiche e posso garantirvi che non brucerete tra le fiamme dell’Inferno se mi guarderete evocare degli spiriti defunti. Ma siete sempre in tempo a tagliare la corda e a tornarvene a casa se non vi sentite a vostro agio.
- Vengo con voi.
- Bene.
 
Appena giunti tra gli immensi ettari di terreno che sovrastavano la galleria di Bliaint, Ephram iniziò a tirare fuori tutto l’occorrente per compiere il rito di evocazione.
Padre Craig lo osservò entrare completamente nel suo mondo, nel suo habitat naturale: il ragazzo si spogliò del mantello, rimanendo con le braccia nude, scoprendo alcune porzioni di pelle colme dei segni neri tracciati con l’inchiostro che il giovane prete non aveva notato prima. Era imponente, impetuoso e ipnotico mentre, con le sue dita affusolate colme di anelli, si accingeva a prendere un cespuglietto di erbe strane dall’odore acre legato da un laccio, e a dargli fuoco, spargendo i fumi che emanava nell’aria fredda, con eleganza e maestria.
Dopo di che, Ephram infilò due dita in un liquido rosso che aveva pronto dentro un piccolo recipiente di legno, e tracciò sei strisce di quel liquido sulla pelle delle proprie guance, con i polpastrelli.
- Per evocare gli antenati non dovrebbe servire un cimelio di famiglia? Qualcosa appartenuto a loro in passato? – domandò Blake, che li osservava da parte, come padre Craig, ma molto meno sorpreso di quel che il giovane prete pensasse. Era come se il ragazzo avesse già assistito numerose volte a rituali simili a quello, e possedesse ancora alcune delle conoscenze acquisite a riguardo.
- Non è necessario – rispose con calma lo stregone, iniziando a tracciare delle forme strane sul terreno, con un bastone. Delle forme talmente estese da inglobarli.
- Rimanete fuori dal mio tracciamento – esortò verso Blake e padre Craig, i quali fecero qualche passo indietro.
Quaglia, invece, rimase tutto il tempo seduto all’interno delle forme e dei simboli tracciati sul terreno, a gambe incrociate, in attesa.
Non sembrava particolarmente turbato o spaventato da quello che stava per avvenire, evidentemente si fidava ciecamente del giudizio di Ephram e di Blake, nonostante fosse un’esperienza totalmente nuova per lui.
Il giovane stregone gettò il bastone all’esterno non appena ebbe finito di fare il complesso tracciato, e si infilò qualcosa in bocca che padre Craig non riuscì a distinguere, iniziando a masticare.
Attorno a loro, vi era il silenzio, il nulla più totalizzante.
Era come se non vi fosse anima viva per chilometri e chilometri, e loro quattro fossero dispersi in una parte del mondo dimenticata dalle creature vive, morte, e da qualsiasi entità divina.
Ephram si pose di fronte a Quaglia, ma rimanendo in piedi, guardandolo dall’alto.
- Mi serve il tuo nome, interamente.
Fortunatamente, quello lo aveva letto negli appunti di suo nonno, ed era riuscito a memorizzarlo, perciò lo pronunciò ad alta voce, come gli era stato chiesto: -  Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus – Lo stesso nome, per ogni singolo discendente delle famiglia, per generazioni e generazioni.
A ciò, Ephram chiuse gli occhi, parlando ancora. – Affinchè il rito funzioni non vi deve essere paura nel tuo animo. Fin quando il tuo animo sarà infetto dalla paura della morte, non riuscirai mai a incontrare i tuoi antenati – disse Ephram in tono solenne, concentrandosi.
- Non posso garantirtelo – rispose sinceramente Quaglia, e in quel singolo momento, padre Craig lo trovò la reincarnazione della concretezza, anche più di Blake.
- Ci sarà tempo – esalò la voce rimbombante dello stregone, iniziando a pronunciare delle parole in una lingua sconosciuta che spaventò notevolemente padre Craig.
Gli sembrò quasi di assistere ad un esorcismo, mentre osservava rapito e spaventato insieme, lo stregone allargare le braccia e quasi urlare quelle parole arzigogolate e impossibili da pronunciare per chiunque, mentre uno strano potere prendeva possesso del suo corpo e della sua mente, lo faceva sembrare più forte, sovrumano e onnipotente.
Si chiese se ogni stregone di Bliaint apparisse in tal modo mentre compiva un rito o un incantesimo.
Il giovane stregone aumentò la velocità di pronuncia di quella formula, che divenne quasi inumana, mentre alzò il volto al cielo e si sedette improvvisamente, quasi contro la sua volontà, quasi come se una forza esterna avesse artigliato il suo corpo e lo avesse trascinato giù, a contatto col terreno.
Una ventata gelida li colpì inaspettatamente, facendo socchiudere gli occhi infastiditi di padre Craig.
Quando Ephram smise di pronunciare le parole che avrebbero portato a termine il rito, come di consuetudine e d’obbligo, ringraziò il proprio Signore della forza donatagli facendosi il segno della croce al contrario.
A ciò, padre Craig, guardò di sottecchi e cautamente l’espressione di Blake accanto a lui, trovandolo totalmente concentrato sulla scena, ma per nulla intimorito o stralunato, bensì serio e distaccato.
Sembrava non stesse succedendo nulla, quando, ad un tratto, Quaglia sembrò avvertire un tremendo mal di testa, che lo spinge a stringersi i capelli convulsamente.
- Non riesco ... non riesco a raggiungerli ... – sussurrò.
- Devi provarci. Sei solo tu a poterli vedere – gli ordinò Ephram con la stessa voce che avrebbe usato un dio nell’esortarlo.
- Non ce la faccio! Fa male!
- Non devi avere paura della morte.
Non devi avere paura dei morti.
Loro non possono farti nulla, non sono più nel mondo terreno al quale tu appartieni.
Devi cessare di vedere la morte come una digrazia e accoglierla in te come un evento naturale del corso della vita.
Non aver paura.
Non aver paura, Quaglia.
Loro non possono nuocerti – pronunciò solenne Ephram.
Quaglia iniziò a piangere disperato, una visione raccapricciante agli occhi di padre Craig, che lo guardava impietosito senza poter fare nulla per aiutarlo.
Era addirittura peggio di un esorcismo. Per lo meno di quelli a cui lui aveva assistito ad Armelle.
Ma Bliaint non era Armelle, per nulla.
A Bliaint un “banale” rituale di evocazione riusciva a risvegliare i venti e far crollare i cieli.
- Basta, ti prego!! Loro non mi vogliono, non mi vogliono!! – esclamò ancora l’uomo piangendo, in preda al mal di testa.
Padre Craig si voltò immediatamente verso Blake, cercando qualche sorta di aiuto in lui, sperando in un suo intervento.
Il giovane prete lo trovò quasi impassibile. Ma, tutt’un tratto, vide il suo sguardo svuotarsi e i suoi occhi blu piantarsi istantaneamente sull’entrata della galleria semicrollata, sgranandosi.
C’era qualcosa che aveva immediatamente attirato il ragazzo, tanto che spinse padre Craig a guardare l’entrata a sua volta, non trovandovi nulla, tuttavia.
Ora l’attenzione del giovane prete era tutta su Blake.
- Blake ... Blake! Cosa vi prende? – cercò di riscuoterlo afferrandogli un polso, ma il ragazzo si liberò immediatamente dalla sua presa, fiondandosi verso l’entrata come ipnotizzato.
- Blake!!
I suoni e i rumori esterni iniziarono a divenire ovattati alle orecchie del giovane.
Era come se una voce lo stesse richiamando da dentro la galleria.
Una voce tremendamente simile a quella di Bonnie:
- “Oh Vergine grande e potente,
Liberaci,
Salvaci,
Da tutto ciò che è male,
Da tutto ciò che è torbido,
Da tutto ciò che è vermiglio,
Dall’ira di Dio,
Dall’ira del Demonio,
Di un nemico o una nemica,
Di chiunque voglia farci
Ciò che è maligno.” – la voce inconsistente e assordante della bambina stava intonando la litania che avevano utilizzato i sacerdoti e il Giudice mentre lo torturavano con il metodo della vasca di acqua gelida e dei massi, prima che venisse condannato.
Poi, tornò anche la voce dell’urlo della Mandragora che aveva trovato lì sotto, dal nulla:
“La vita non è dei viventi
La vita non è dei viventi
La vita non è dei viventi”
- La vita è solo dei viventi!! – rispose energicamente Blake, avvertendo un tremendo mal di testa scuoterlo e farlo cadere a terra, proprio a pochi passi dall’entrata crollata.
Era estraniato da tutto e da tutti.
Esistevano solo lui e quel buco nero.
- “Il Mostro è dietro di te
Il Mostro è dietro di te
Il Mostro è dietro di te
Ha cercato tutti i suoi pezzi e li ha rimessi per bene insieme
Hanno iniziato a muoversi da soli
Guarda!
Lui è già qui!”
- Blake!! – all’ennesima esclamazione di Quaglia e padre Craig messi insieme, il ragazzo sembrò risvegliarsi dal suo stato di trance.
La canzone intonata da Bonnie era terminata.
Improvvisamente non udiva più alcuna voce attirarlo nella galleria, e aveva ricominciato ad udire i rumori del mondo esterno.
Il ragazzo, ancora seduto a terra, voltò lo sguardo sui tre.
I due stranieri erano mortalmente preoccupati, mentre Ephram lo fissava con un’epressione indefinibile ad adombrargli il volto.
Lo stregone gli porse la mano per aiutarlo ad alzarsi, e Blake l’afferrò dopo qualche istante, tirandosi in piedi, avvertendo ancora diversi capogiri alla testa.
- Il rito di evocazione ... è terminato? – domandò il ragazzo.
- Non ha funzionato. Andrà meglio nelle prossime sessioni che faremo, grazie a molto esercizio. Rimarrò qui per qualche giorno, mi farò ospitare da un vecchio cliente che mi deve un favore, in modo che prossimamente potremo portare avanti le evocazioni – lo informò Ephram, continuando a guardarlo.
- Tu ... non devi più mettere piede qui nella galleria.
Almeno finchè non avremo indagato sulla faccenda.
Sono stato chiaro? – si raccomandò il giovane stregone facendo emergere un velo di preoccupazione nel suo tono di voce.
Era evento alquanto raro e straordinario vedere Ephram preoccupato.
Blake non gli rispose, puntando nuovamente gli occhi sull’entrata della galleria.
- Ho bisogno di schiarirmi le idee. Da solo. Voi due tornate a casa, Quaglia e padre Craig – disse il ragazzo prendendo a camminare senza una meta definita, allontanandosi dai tre.
 
LUSSURIA
 
Padre Craig non riusciva a smettere di pensare a cosa avesse assistito quel pomeriggio, alla galleria, durante il rituale.
Era divenuto il suo nuovo chiodo fisso.
Oramai era notte fonda e Blake non era ancora tornato.
Il giovane prete cominciò a preoccuparsi, dato ciò che era accaduto al ragazzo, che aveva un che di totalmente inspiegabile e terrificante ai suoi occhi.
Si alzò dal letto, incapace di chiudere occhio, con l’intenzione di andare a prendere un bicchiere d’acqua.
Per raggiungere la cucina, passò davanti alla camera di Ioan, trovandolo beatamente addormentato. Sorrise nel guardarlo, e accostò la porta, riprendendo per la sua strada, cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare nessuno.
In casa vi erano solamente lui, Ioan, Quaglia ed Heloisa, in quanto anche Rolland era assente, ancora impegnato a portare avanti la veglia per la piccola Bonnie nella cattedrale, insieme agli altri familiari e amici.
Forse anche Blake aveva deciso di prendere parte alla veglia con suo padre, sperò padre Craig.
Si verso un po’ d’acqua con la caraffa e iniziò a sorseggiare assorto, sin quando degli strani rumori non attirarono la sua attenzione.
Si autoconvinse che non fosse ciò che pensava, fin quando quei suoni non divennero inequivocabilmente palesi, facendolo inorridire: sospiri spezzati alternati a gemiti e a qualche verso roco, uno strusciare di abiti, bocche bagnate che entravano in contatto e schioccavano, voci trattenute e attenuate dalle labbra premute sulla stoffa dei vestiti per camuffarne l’intensità.
Il corpo di padre Craig venne invaso da brividi di varia natura, e si mosse da solo, sfuggendo al suo controllo, dirigendosi verso la fonte di quei rumori.
Cautamente, serrò la mano sulla maniglia che dava alla camera dei due coniugi, schiudendo la porta giusto quel poco per osservare la scena che si stagliò davanti ai suoi occhi costernati.
Il formoso e peccaminoso corpo nudo di Heloisa era steso sulle lenzuola bianche, bagnato di sudore e sottomesso ad un altro corpo, maschile.
Un corpo che non era quello di suo marito.
Egli la stringeva possessivamente a sè, gustandone e saggiandone le carni con foga e vigore, come un affamato, senza alcun pudore nè ritegno.
Heloisa si muoveva nella maniera più disinibita e seducente che avesse mai visto, con le sue membra da dea, e il volto cosparso di ricci, sconvolto dal più proibito piacere materiale e terreno.
Lei gli morse una spalla quasi con ferocia, mentre lui spingeva il suo sesso più in profondità dentro di lei, affondando tra le sue cosce spalancate nella maniera più dissoluta possibile, pronte ad accoglierlo in lei con gioia e clamore.
Sospiravano, sospiravano e ansimavano impazienti, famelici e ingordi del corpo l’uno dell’altra e del piacere in grado di donarsi.
Il ritmo era veloce e cadenzato, le stoccate secche, il rumore di bagnato ciò che di più perverso il giovane prete ebbe mai udito.
Improvvisamente, dei ricordi sfocati piombarono nella sua mente nell’osservare quella scena, ricordi di quella nottata maledetta.
Sospiri profondi, molto diversi da quelli di Heloisa, di un corpo sopra e sotto di lui, ma di cui non riusciva a visualizzare nè le forme nè i contorni.
Qualcosa che fu in grado di risvegliare anche i suoi, di bollenti spiriti, facendolgli avvertire il tremendo senso di colpa risalirgli le viscere.
Tornando con gli occhi sulla scena dinnanzi a sè, rimase schifato dall’atteggiamento senza vergogna di quella donna, moglie e madre di famiglia, che compiva tali atti mentre suo marito era fuori casa, col rischio che suo figlio tornasse da un momento all’altro.
Le unghie di Heloisa si conficcarono bisognose sulla schiena ampia e ben formata dell’uomo sopra di lei, fino a quando le sue iridi spiritate non si posarono con terrore sulla figura di padre Craig che li spiava dall’uscio.
La donna urlò, tappandosi la bocca immediatamente, nel ricordarsi che Ioan stesse dormendo qualche stanza più in là.
A ciò, anche il volto dell’uomo che stava commettendo l’atto degradante con lei, colto in flagrante, si voltò verso la porta, mostrandosi, dando finalmente modo a padre Craig di visualizzare anche i suoi lineamenti, nonostante avesse già immaginato chi fosse: Quaglia puntò le sue iridi chiare colme della più travolgente lussuria su di lui, spegnendosi quasi immediatamente.
L’uomo si spostò dal corpo della donna, indietreggiando sul letto, tentando invano di coprire le proprie grazie esposte; mentre Heloisa sembrava troppo sconvolta per possedere la lucidità di afferrare un lembo di coperta e usarlo per coprirsi i gonfi seni e l’inguine umido.
Quegli istanti di silenzio, in cui padre Craig spalancò completamente la porta, come per sottolineare maggiormente il loro peccato, trascorsero eterni.
Il giovane prete li fissò come un crudele giudice senza pietà avrebbe fissato il più sporco dei condannati, schifato, arrabbiato, incredulo, deluso, accusatore.
Ma, sorprendentemente, non geloso.
Un tempo, era convinto di provare qualcosa per Heloisa, che fosse mera attrazione fisica, o persino qualcosa di più. Motivo per cui si era infinitamente autoflagellato per i sensi di colpa, per aver solo lontanamente pensato ad uno scenario simile con lei, che non avrebbe mai e poi mai messo in atto.
Ne era anche uscita quella conversazione ambigua e imbarazzante con Blake, proprio perchè il ragazzo aveva intuito che tra lui e sua madre vi fosse dell’attrazione.
Anche padre Craig stesso se ne era convinto.
Tuttavia, ultimamente, molte delle sue certezze si stavano sgretolando sotto le sue dita, e altre, forse ancor più nefaste e pericolose, stavano prendendo il loro posto.
Il giovane prete si rese conto di non sentire nulla per Heloisa.
Nè alcuna gelosia, nè alcun rimpianto per non essere stato lui stesso a sfruttare le gioie che avrebbe potuto donargli quel corpo quando ne aveva avuto l’occasione.
Non era lei che desiderava.
- Vi prego ... – ruppe il suo flusso di pensieri e il macigno di silenzio creatosi la voce spezzata di Heloisa, che gli rivolse uno degli sguardi più supplichevoli e persuasori che avesse mai visto. – Vi prego, padre ... non dite nulla a Rolland, nè a Blake, o a Ioan.
Vi supplico ...
Sarei disposta a fare qualsiasi cosa per evitare che riveliate ciò che avete visto questa sera.
- Non ve ne sarà bisogno – rispose freddo e serafico il giovane prete, non concedendo loro uno sguardo in più e chiudendosi la porta dietro di sè, tornando nella propria stanza in silenzio.
Avrebbe fatto finta di non aver visto nulla.
Per la quiete, la pace e la già precaria stabilità di quella casa.
 
 
   
 
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