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Autore: ValePeach_    21/11/2021    1 recensioni
Inghilterra, 1826
Quando la sorella maggiore ed il marito decidono di partire per una stravagante quanto inaspettata luna di miele in Italia e di mandare la giovane Camille al nord per tenere compagnia ad un suocero che odia qualsiasi tipo di contatto con la società ed una zia bisbetica molto più affezionata ai suoi amati gatti che alle persone, con grande sconforto inizierà a pensare che la sua vita sia finita.
Stare lontana da Londra e dal ton è quanto di peggio le potesse capitare e tutto ciò che spera è di tornare presto alla normalità. Ancora non sa, però, che anche la tranquilla e monotona vita di campagna può riservare svolte inaspettate… e fra l’arrivo dell’insopportabile quanto affascinante John Mortain e l’accadimento di un omicidio che la vedrà inaspettatamente coinvolta, inizierà a pensare che, forse, una vita anonima non era poi tanto male.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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CAPITOLO 3

 
 
 

Quella sera, prima di presentarsi per la cena, Camille consumò la sua immagine davanti allo specchio.
Naturalmente era perché le avevano insegnato che in vista di una cena con ospiti bisognava essere sempre in ordine ed eleganti, nulla c’entrava il fatto che John Mortain fosse uno degli uomini più affascinanti che avesse mai visto. E a Londra di uomini affascinanti e belli come un sogno ce n’erano parecchi… lui però non era paragonabile a nessuno di essi.
Il ritratto nel salone sul quale molte volte si era soffermata insieme a zio Vincent non gli rendeva affatto giustizia. Per prima cosa il pittore aveva disegnato il suo naso molto più dritto di quanto non fosse, la mascella più squadrata e le labbra sottili. Tutti tratti che lo facevano sembrare la copia esatta del vecchio Mortain, ma in realtà i lineamenti erano meno marcati e più piacevoli alla vista. Anche nei folti capelli neri non c’era traccia di striature bianche, né tantomeno di calvizie, e nonostante i suoi trentaquattro anni le uniche rughe che aveva erano quelle dovute alla fronte corrucciata.
Era rimasta stupita anche nel constatare che era perfettamente vestito secondo gli standard di moda del ton descritti minuziosamente nella rubrica mensile di Madame Latouche, la proprietaria esclusiva della boutique Latouche, il negozio nel quale ogni giovane donna che se lo poteva permettere faceva confezionare i nuovi abiti per la stagione. Era quella donna a dettare ogni anno le nuove regole riguardo la moda ed era tenuta in alta considerazione da tutta la buona società.
Comunque, non che si aspettasse di vedere arrivare un mezzo derelitto, ma visto lo scarso interesse del visconte per Londra e tutto ciò che da essa derivava, trovarsi il figlio vestito di tutto punto in un abito di satin blu e senza traccia di panciotto di lana l’aveva lasciata di stucco.
L’unica pecca che rovinava l’insieme era il bastone che si portava appresso e il suo leggero zoppicare. Zio Vincent le aveva detto che era accaduto durante la battaglia di Waterloo: una palla di cannone era esplosa sopra un carro vicino a lui e le schegge di legno gli si erano conficcate nella gamba e in particolare nel ginocchio. Era stato un miracolo che si fosse salvato e che fossero riusciti a salvargli la gamba, per cui si impose di non farci troppo caso. Sicuramente non amava che glie la si fissasse e inoltre lo riteneva un dettaglio di poco conto quando tutto il resto era pressoché perfetto.
Le era dispiaciuto solo il modo in cui le aveva parlato. Certo era consapevole che da un Mortain non ci fosse da aspettarsi cordialità e gentilezza. Dopo i mesi passati accanto al visconte e alla contessa, se John si fosse presentato tutto sorrisi e buona creanza avrebbe temuto di trovarsi di fronte ad un sosia… eppure iniziava ad essere stanca di tutta quella maleducazione. Che diamine, lei voleva solo essere gentile.
«Ecco fatto signorina, siete pronta» esclamò Jane, cercando inutilmente di rimettere un ricciolo ribelle nell’acconciatura.
Camille si rimirò ancora una volta allo specchio, osservando specialmente le guance piene e in un attimo ripensò di nuovo a John. Ecco un’altra cosa che l’aveva lasciata senza parole: il suo fisico asciutto e muscoloso. Probabilmente era tutto merito della vita nella piantagione ed esercizio, perché erano davvero in pochi quegli uomini che alla sua età potevano vantare un fisico del genere. Solo gli atleti lo avevano, pugili per lo più, mentre solitamente superati i trent’anni gli uomini di città essendosi per la maggior parte già sposati si lasciavano andare agli eccessi.
Anche lei si era lasciata andare eccome agli eccessi… maledetti dolcetti ai frutti di bosco della signora Jenkins.
Da domani si sarebbe messa a dieta, poco ma sicuro.
Non perse altro tempo.
Veloce attraversò il corridoio e scese la scalinata che dalle stanze private portava a quelle comuni, passò per il salottino e dopo aver fatto un respiro profondo, entrò nella sala da pranzo.
Padre, figlio e zia Shaw erano già seduti al tavolo e stavano parlando animatamente. Zio Vincent e zia Shaw si limitarono ad un cenno di saluto, troppo presi a raccontare gli avvenimenti degli ultimi undici anni, John invece la guardò… e come la guardò.
I suoi occhi percorsero tutta la sua figura e Camille pregò che non notasse troppo i suoi fianchi, doverosamente camuffati grazie alla vita alta dei vestiti che continuava a farla da padrona ad ogni nuova stagione. Ma si sentì comunque come una debuttante la sera del suo primo ballo… ci mancava solo che inciampasse e cadesse a terra. Grazie al cielo ciò non avvenne e sana e salva raggiunse il suo posto, proprio di fronte a John. Lui si alzò come era doveroso fare e prima che si sedesse, si inchinò allungando la mano verso di lei.
«Signorina Grey, finalmente possiamo presentarci come si deve» le disse, baciandole la mano. Maledetti guanti…
«Milord… è davvero un piacere fare la vostra conoscenza» rispose con cortesia, mentre entrambi si sedevano e i camerieri provvedevano a riempire i loro piatti con minestra di orzo, verza e broccoli. «Tutti mi hanno così tanto parlato di voi che sono davvero felice che abbiate deciso di tornare a Lodgewood.»
«Ognuno di noi lo è» intervenne zia Shaw. «Finalmente l’erede dei Mortain è tornato e mio fratello potrà riposarsi come si deve.»
«Non ho alcun bisogno di riposarmi, Olivia… sarò anche vecchio, ma sono più in forma di molti dei miei coetanei.»
«Ma se non fai altro che lamentarti dell’umidità e del freddo alle ossa.»
«E tu dei tuoi nervi e mal di testa!»
Camille sorrise nell’osservare quel divertente siparietto, spostando gli occhi su John. Lui però non sembrava divertirsi quanto lei, anzi… teneva la testa bassa e continuava a rigirare il cucchiaio nel piatto.
«Non vi piace, milord?» chiese e John alzò lo sguardo.
Camille si sentì mancare il fiato.
Aveva osservato sempre attentamente quegli occhi, erano la cosa che più l’avevano colpita del ritratto, ma trovarseli di fronte e a così breve distanza… così grigi, così profondi, così… così.
Quasi sicuramente era arrossita.
«Come dite?» chiese invece John.
«La zuppa» rispose imbarazzata. «Non è di vostro gradimento?»
«Oh… no, no assolutamente. Perdonatemi, ero solo distratto» disse sorridendo.
«Immagino sia un bel cambiamento… arrivare qui intendo, dopo aver passato tutti quegli anni in Jamaica.»
«Sì lo è… il clima soprattutto.»
«Mai quanto l’afa e la calura dell’India» intervenne Vincent. «Ci rimasi solo un anno, ma non ci tornerei mai… troppo umido e poi tutta quella pioggia, davvero insopportabile.»
«Non sapevo foste stato in India, zio.»
«La guerra purtroppo… anche io per un certo periodo feci la mia gavetta nell’esercito, ma presto capii che non era il mio mondo. Le agiatezze della vita aristocratica vinsero sui miei doveri nei confronti della patria. Mio padre comunque non poté che esserne felice: essendo l’unico figlio maschio, sarebbe stato alquanto problematico se fossi morto.»
«E la Jamaica invece com’era, milord?» chiese Camille curiosa, ma John si strinse nelle spalle. Forse non amava che gli si facessero tutte quelle domande… ma certo avrebbe dovuto aspettarsele.
«Polverosa, signorina Grey… la vita di una piantagione non è per niente entusiasmante.»
Bè se per quello nemmeno la vita a Lodgewood era entusiasmante, ma quanto meno sperava in qualche dettaglio in più.
Sospirò sconsolata, pensando che nonostante l’aspetto esteriore l’avesse colpita tanto, alla fine John si stava rivelando come tutti i Mortain che aveva conosciuto: schivo, probabilmente pieno di sé, per nulla incline alla conversazione e solitario.
«Ho sentito dire che negli ultimi cinquant’anni molti signori sono venuti in Jamaica in cerca di fortuna… il marito di Gwyneth ha dei cugini che si sono trasferiti là dopo aver perso tutto il danaro in inutili scommesse di cavalli. Pare siano riusciti a rifarsi di tutte le perdite ed ora vivano da veri signori… per quanto si possa vivere da signori in una terra circondati da schiavi e plebaglia simile.»
«E di rivolte ce ne sono più state?» domandò Vincent.
«Giusto cielo, rivolte? E di chi?»
«Degli schiavi neri, zia Shaw… in alcune famiglie sono trattati peggio degli animali. Ma per ora no, a quanto pare i francesi hanno smesso di istigare guerriglia.»
«Non hanno imparato proprio niente dopo la disfatta di quel guerrafondaio di Napoleone» disse Vincent. «E prima ancora la Rivoluzione… sono dei veri incapaci, non sanno gestire né il popolo né i sovrani. Mi domando che fine avremmo fatto se a Waterloo avessimo perso.»
«Sono sicura che Sua Maestà non avrebbe permesso a quel tiranno di invaderci e comunque ha avuto ciò che meritava» osservò zia Shaw.
«Troppo tardi purtroppo» disse John amaramente.
Camille provò compassione per lui, non riuscendo nemmeno ad immaginare che tipo di orrori doveva aver visto. Gli storici e i diplomatici definivano Waterloo come la più grande e sanguinosa battaglia mai esistita, poteva comprendere i suoi turbamenti. Era stato lontano da casa undici anni per colpa di quella guerra.
«Oh, mio caro nipote» esclamò zia Shaw con fare melodrammatico e prendendogli la mano. «Non sai quanto mi dispiace.»
«Tranquilla zia, ormai è passato tanto tempo» disse con un sorriso forzato. «E voi invece, signorina Grey» fece poi, tornando a guardarla. A Camille per poco non andò la zuppa per traverso nel sentirsi interpellata. «Vi trovate bene qui a Lodgewood?»
«Molto, milord» mentì spudoratamente. «Sono contenta che zio Vincent abbia acconsentito a farmi da tutore nel mentre mia sorella e Jamie sono via, gli sono molto grata. Inoltre, molto meglio essere qui che non con mio cugino e famiglia o, peggio, in uno dei posti che avete menzionato poco fa… piantagioni, luoghi desolati, afosi e pieni di strani insetti.»
«Parole saggie mia cara» disse zia Shaw. «Provo pena per tutte le gentildonne che hanno sposato uno di quei possidenti terrieri.»
«Proprio per questo la contessa di Delaford ci mise in guardia la sera del nostro debutto in società: non sposate mai, disse, a meno che non abbiate altre prospettive, né un ufficiale né tantomeno un possidente terriero d’oltreoceano.»
«E perché mai?» chiese John. «Ufficiali e possidenti non sono forse ottimi partiti per qualsiasi giovane che si rispetti?»
«Assolutamente… a meno che nel primo caso non si voglia diventare vedove prima del tempo e nel secondo finire in angoli di mondo come quello in cui siete stato.»
A lei purtroppo era successo ugualmente di finire in un angolo di mondo e non era né sposata né fidanzata. Quando si diceva la sfortuna.
«Non credo che la Jamaica possa realmente definirsi “angolo di mondo”» rispose John. «Ci sono molte famiglie per bene e anche benestanti, inoltre feste e balli non mancano… o forse era questo a preoccuparvi tanto: l’assenza di eventi mondani?»
«No certo, ma siete stato voi stesso poco fa a definirlo per nulla entusiasmante» rispose Camille con stizza. Non amava quando le mettevano in bocca parole non vere. «O forse era solo un modo per evitare l’argomento?» gli chiese e voleva solo essere una domanda a risposta della sua, invece lo vide sgranare gli occhi, come se avesse indovinato. Fu solo un istante e forse né zia Shaw né Vincent lo notarono, ma lei sì.
Dunque era così? Non ne voleva parlare?
«Suvvia mia cara non mi sembra il caso di prendersela in questo modo» intervenne zia Shaw, troncando sul nascere quello che quasi sicuramente sarebbe diventato un battibecco. «John ha fatto un lungo viaggio e sono sicura che non appena si sarà riposato a dovere ci racconterà tutto della Jamaica… non è vero, caro nipote?»
«Come desiderate, zia» disse lui, tornando a mangiare.
Camille invece evitò di rispondere.
Odiava quando la rimproveravano durante gli eventi ufficiali e se anche in quel momento c’erano solo loro, la servitù era presente e non avrebbero fatto altro che spettegolare e andarlo a raccontare in giro. Sembrava non avessero altro da fare, come se tutte le faccende non bastassero. Magari per ripicca il giorno seguente avrebbe potuto far lavare tutti i suoi abiti con la scusa che erano chiusi nei bauli da settimane.
Sì, avrebbe fatto senz’altro così.
E comunque non aveva fatto nulla di male… anzi era stato John a scaldarsi per primo, dunque perché il rimbrotto di zia Shaw se l’era dovuto sorbire lei? Solo perché era un futuro visconte e perché era un uomo non significava che non potesse essere ripreso sul suo comportamento.
Così passò il resto della cena a limitarsi a sorridere e annuire, ormai troppo arrabbiata per poter fare amabili conversazioni, mentre venivano toccati argomenti quali l’amministrazione delle terre, la vita felice dei figli di zia Shaw, la vite felice dei gatti di zia Shaw, il matrimonio di Jamie, definito dal ton come il matrimonio dell’anno, la gravidanza di Heather e gli impegni mondani ai quali John avrebbe dovuto partecipare a Windermere. 
«Padre, sapete bene che non sono tornato per partecipare agli incontri della società» aveva detto e Camille non ne rimase affatto stupita. Avrebbe anche voluto rispondergli per le rime, ma di essere rimproverata di nuovo non ne aveva voglia e di certo non ne valeva lo sforzo. Vincent comunque era convinto che dall’indomani avrebbero iniziato ad arrivare una marea di inviti ed essendo loro una delle famiglie nobili più importanti di Cumbria ed essendo John l’erede appena tornato per prendere in mano le redini del viscontado, non poteva esimersi dal parteciparvi.
Naturalmente si guardò bene dal dire che in realtà non vedeva l’ora che arrivassero quegli inviti. Finalmente non ci sarebbero più state scuse come mal di testa, umidità e rischio di prendere il raffreddore ed era già pronta a dare sfoggio di sé e delle sue migliori doti ai balli di Windermere. Dopotutto aprile era ormai alle porte e anche se in molti si sarebbero trasferiti a Londra, almeno avrebbe avuto qualche momento di svago per distrarsi e a non pensare alla sua misera fine da zitella e all’inverno desolato che aveva appena trascorso. Avrebbe ballato, conversato con le signore e, perché no, civettato con i pochi scapoli presenti.
Dopo la cena si trasferirono tutti quanti nel salotto. Agli uomini venne servito del brandy, mentre a loro una tazza di tè. C’erano anche i favolosi dolcetti ai frutti di bosco della signora Jenkins, ma li evitò prontamente.
«Camille, cara, perché non ci suoni qualcosa?» domandò zia Shaw.
«Non so, zia… quest’oggi zio Vincent lamentava un mal di testa, non credo sia il caso» e poi non aveva molta voglia di suonare. La cena le era quasi andata indigesta.
«Tranquilla Camille, vi lascio volentieri ad intrattenervi. Sono molto stanco e credo mi farà bene qualche ora in più di riposo.»
«Sicuro di star bene, padre?»
«Certo figliolo, non preoccuparti… ho solo bisogno di dormire un po’, ci vedremo domani mattina a colazione. Buonanotte e tutti.»
«Buonanotte» dissero e una volta che il visconte si ritirò, Camille fu costretta a posizionarsi al pianoforte.
In realtà anche lei era molto stanca. Aveva aspettato tutto il giorno fuori al freddo l’arrivo di John, rischiando anche di prendersi un malanno, ma zia Shaw non sembrava avere alcuna intenzione di andare e così iniziò a suonare uno dei suoi pezzi preferiti: il preludio in do maggiore di Bach. E nonostante non volesse farlo, alzò solo per un momento gli occhi su John. Cercò di non rimanerci troppo male quando vide che non la stava guardando e quindi, probabilmente, nemmeno ascoltando. Teneva lo sguardo fisso sul fuoco del caminetto, una mano stringeva il bicchiere di brandy e l’altra era appoggiata alla tempia.
Chissà a cosa stava pensando. Forse quella musica un po’ malinconica gli faceva ricordare brutti momenti?
Purtroppo la sua esecuzione e i suoi pensieri vennero interrotta a metà dal signor Montgomery.
«Perdonate signorina, contessa, milord.»
«Qualcosa non va?» chiese John.
«Nulla di grave è solo che ha iniziato a nevicare da circa un’ora.»
«A nevicare!» esclamò zia Shaw. «Ma se siamo a fine marzo e oggi pomeriggio c’era un sole stupendo!»
«Purtroppo è così…. i prati e le strade hanno iniziato ad imbiancarsi e il cocchiere ha suggerito di rimettersi subito in viaggio verso Claystone. A meno che Sua Signoria non desideri restare, in quel caso farò preparare subito una camera per voi e per il cocchiere.»
«Non stiate a scomodarvi Montgomery, faremo come il signor Hamilton suggerisce. In più domani ho invitato alcune amiche per un tè e non posso rischiare di rimanere bloccata qui.»
«Molto bene.»
«Oh bè, pare che la serata sia ufficialmente finita» disse zia Shaw alzandosi. Anche John lo fece, pronto ad accompagnarla all’uscita. «No nipote caro, non ti scomodare… il signor Montgomery mi accompagnerà alla porta. Camille, voi invece mi aspetto di vedervi venerdì per la nostra solita lettura.»
«Certo zia, come sempre.»
«Potresti venire anche tu, John… mi farà piacere stare un po’ in tua compagnia. Ho già scritto a Gwyneth e a Richard e non dubito che ci saranno anche loro.»
«Rivedrò i miei cugini con piacere, ma non posso promettervi che ci sarò. Sicuramente mio padre vorrà che lo accompagni quanto prima per la tenuta.»
«Capisco… allora non appena arriveranno vi inviterò tutti per una cena. Sarà bello avere la famiglia riunita.»
«Volentieri zia Shaw… fate attenzione.»
«Arrivederci caro. Ah è così bello che tu sia finalmente tornato!» e con quell’ultima esclamazione anche zia Shaw se ne andò.
Rimasero solo lei, John e un cameriere.
«Bene, sarà meglio che mi ritiri anche io» disse Camille, felice di poter andare finalmente a dormire.
«Buonanotte, signorina Grey» rispose lui semplicemente. Non un cenno di saluto, non si alzò nemmeno per accompagnarla alla porta. Rimase seduto sulla poltrona accanto al caminetto, le gambe muscolose distese e le caviglie incrociate.
Camille cercò senza successo di non guardare più del dovuto la sua figura, ma non ci riuscì. E per quello si maledisse da sola.
«Buonanotte» asserì, ritirandosi nella sua camera più arrabbiata che mai.
Diamine… possibile che un uomo tanto maleducato potesse anche essere così bello? Non era affatto giusto.
Ma non si sarebbe lasciata destabilizzare oltre. Non era più una timida debuttante e in quanto tale non avrebbe ceduto al fascino di un futuro visconte dagli occhi di ghiaccio.
   
 
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