Macchia.

Lo sentivo rimbalzare nello stomaco, aveva iniziato con uno strillo, acuto, ardente. Poi fuori è iniziato a piovere,
e si era per un po' rannicchiato, era diventato una poltiglia.
Non riuscivo a dargli la giusta importanza, mi sforzavo di guardarlo ma ne avevo paura. I suoi occhi erano d'un rosso scarlatto, il corpo pareva una grossa macchia nera, come un cancro esteso.
Mi supplicava, anzi, pretendeva di essere osservato, sicchè mi decisi e fu lì, in quell'esatto momento, che iniziai a vacillare.

Le mie lacrime calde, ne conoscevo il sapore, le avevo deglutite tante volte, eppure erano sempre così pesanti e fragorose che mi pareva fosse la prima volta che germogliavano dai miei occhi.
Una forza disumana che mi pareva un tronco robusto sbucare fuori dal terreno, mi ricordò di chi ero, di cosa stava succedendo, di tutto ciò che avevo già vissuto prima di quel momento.

"E va bene, lo farò, lascerò che tu mi passi attraverso. Ti guarderò."

Non provavo pena per me, non provavo pena o rabbia per nessuno. Dovevo costringermi a rinsavire, ponderare su ció che era giusto.

Il mio dolore - il cancro - sapevo si sarebbe potuto ripresentare, stavolta ne ero miracolosamente consapevole, ma non abbastanza. Non ancora.
Non si è mai pronti al dolore.

Ora avevo un nuovo macigno, che forse si sarebbe sgretolato in fretta, tuttavia era lì, ideato, imbellettato per me, non aspettava altro. Non potevo ignorarlo.