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Autore: Mnemosine__    23/11/2021    2 recensioni
“Ti prego-“ iniziò May stringendo lo strofinaccio che aveva in mano “Ti prego-… dimmi che devi andare ad un Cosplay con Ned.” Si lasciò sfuggire una risata nervosa “Perché se… se è così quello è il costume meglio riuscito che tu abbia mai fatto.”
Ma lo leggeva, negli occhi di Peter, il terrore. Aprì la bocca un paio di volte, torturando la maschera – la maschera di Spider-man – che teneva ancora in mano tra le dita.
“Io… May- Tu… non sono io, cioè-“ balbettò. May vide il labbro tremare, gli occhi farsi lucidi.
“Peter ma che cazzo!” si ritrovò a gridare la donna, correndo nella stanza del nipote per chiudere la finestra e le tende.
“May…” Peter lanciò la maschera sul letto, cercando poi visibilmente di nasconderla sotto il cuscino.
“Sei Spider-man!" gridò in preda alla furia.
“Non è vero!” rispose lui con vocina flebile, la stessa che usava quando lei e Ben lo coglievano in flagrante durante qualche marachella.
Veloce, Peter schiacciò il piccolo ragno che aveva sul petto, e il costume gli scivolò giù dal corpo, lasciandolo in mutande. Peter raccolse il costume e lo lanciò sotto il letto, in evidente blackout.
[Ambientata tra Spiederman Homecoming ed Infinity War]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Peter Parker/Spider-Man, Tony Stark/Iron Man
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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What the F*ck

Ben avrebbe saputo cosa fare.

Aveva questo modo innato di relazionarsi con Peter che faceva aprire il ragazzo come non ha mai fatto con lei. Avrebbe saputo cosa dire adesso. Sicuramente non se ne sarebbe stato lì, in piedi, a fissare il nipote – Spider-man – con addosso il costume e la maschera appena sfilata ancora in mano, con un’espressione terrorizzata sul volto. Sicuramente lui si sarebbe riscosso, sarebbe rimasto calmo e avrebbe parlato con Peter. Non avrebbe dato di matto.
“Ti prego-“ iniziò May stringendo lo strofinaccio che aveva in mano “Ti prego-… dimmi che devi andare ad un Cosplay con Ned.” Si lasciò sfuggire una risata nervosa “Perché se… se è così quello è il costume meglio riuscito che tu abbia mai fatto.”
Ma lo leggeva, negli occhi di Peter, il terrore. Aprì la bocca un paio di volte, torturando la maschera – la maschera di Spider-man – che teneva ancora in mano tra le dita.

“Io… May- Tu… non sono io, cioè-“ balbettò. May vide il labbro tremare, gli occhi farsi lucidi.
“Peter ma che cazzo!” si ritrovò a gridare la donna, correndo nella stanza del nipote per chiudere la finestra e le tende.

“May…” Peter lanciò la maschera sul letto, cercando poi visibilmente di nasconderla sotto il cuscino.
“Sei Spider-man! Ma che cazzo, Peter!” ripetè in preda alla furia.
“Non è vero!” rispose lui con vocina flebile, la stessa che usava quando lei e Ben lo coglievano in flagrante durante qualche marachella.
Veloce, Peter schiacciò il piccolo ragno che aveva sul petto, e il costume gli scivolò giù dal corpo, lasciandolo in mutande. Peter raccolse il costume – il costume! – e lo lanciò sotto il letto, in evidente blackout.

“Non è vero? Cristo, Peter!” May corse sotto il letto a recuperare l’inequivocabile costume dell’uomo ragno, completo di maschera sfilata da sotto il cuscino, e se lo rigirò tra le mani.
“E questo?” disse stendendo la stoffa, sempre che di stoffa si potesse parlare, sul letto.
“Anzi, no, non è nemmeno la mia prima domanda.” Lo bloccò alzando una mano. “Ti avevo detto di correre nella direzione opposta rispetto ai guai! E tu? Peter, che cavolo!”

Peter, che se ne stava in mutande al centro della stanza, con la testa china, gli occhi lucidi, impietrito, non seppe come rispondere. “Io…”
“Ti rendi conto di quanto sia pericoloso? Peter, ma che cazzo pensi di fare?” gridò May mettendosi nervosamente i capelli dietro le orecchie e guardandosi intorno nella stanza alla ricerca di qualunque altra cosa spiderosa.  
“May, mi dispiace.” Peter scosse la testa, affranto.
“Vestiti.” Lo bloccò di nuovo. Lasciando il costume sul letto e lanciandogli la maglietta che aveva piegato sulla sedia. Si sedette sul bordo del letto, facendo segno a Peter di prendere la sedia e mettersi davanti a lei.
“Parla.”

Peter si guardò le mani, senza alzare lo sguardo, quando sistemò sulla sedia. “È… è successo un anno fa, ormai. Dopo che zio Ben…” si bloccò. Contemporaneamente a lui, May si lasciò sfuggire un respiro tremolante.
“Un ragno mi ha morso. E potevo fare queste cose pazzesche, sai?” disse aprendo le mani, cercando di ampliare il concetto. “Ero… ero forte, sentivo tutto amplificato, potevo arrampicarmi ovunque… Quindi – sai, avevo visto molte foto di criminali quando siamo stati dalla polizia – ho iniziato a cercare di catturare i cattivi, ad aiutare le persone per – beh, non volevo che ci fossero altri zio Ben.” Si lasciò sfuggire dalle labbra.

“Ero bravo. Ho aiutato molte persone. Tengo il quartiere al sicuro, capisci?” alzò lo sguardo, gli occhi lucenti di orgoglio. “Aiuto il prossimo come mi avete insegnato.”
“Quello che stai dicendo non ha senso… nessuno ti ha detto di andare in mezzo alle sparatorie!” May scosse la testa, cercando di non far tremare la voce, se di rabbia o paura, non lo sapeva.
“Peter, non puoi andare in giro – eri tu quello al telegiornale? Cristo, Peter!”

“Zia May, io posso aiutare, voglio aiutare. Le persone ne hanno bisogno, hanno bisogno di me.”
“E le sparatorie, gli scontri tra bande, quell’uccello di ferro!”
“Zia May, se succedono cose brutte e non ho fatto niente per impedirle, succedono a causa mia.” Tentò di spiegare con voce disperatamente seria. La guardava con quegli occhi impauriti ma, allo stesso tempo, traboccanti di responsabilità. Aveva stretto i pugni, Peter, mentre abbassava lo sguardo con espressione affranta. “Solo mia.”

May scosse la testa, cercando di non tremare. “C’è la polizia, per questo! Loro sanno cosa fare!”
“Anche io!” scattò Peter. “Anche io so cosa fare! E se loro non arrivano in tempo, May? Se loro non ci sono, e io non faccio niente, le persone muoiono per colpa mia!” gridò, alzandosi in piedi.
“Peter, hai quindici anni!” gridò lei di rimando, scattando in piedi a sua volta. “Quindici!”
“Ma ho i superpoteri! Il Signor Stark ha detto…”

“Il Signor Stark? Cosa c’entra –Cristo, Peter, non dirmi che essere Spider-man è lo stage della Stark!”
Peter non rispose, con evidente espressione colpevole.
May strinse i pugni, per poi piegarsi verso di lui con occhi furenti – e terrorizzati – per poi dire: “Tu hai chiuso.”
“Cosa?”
“Tu hai chiuso. Basta! Fine della storia!” gridò facendo un’X con le braccia. “Basta stage, basta Spider-man, basta tutto!”
“Stai scherzando?”
May alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, cercando di non torturarsi l’interno della guancia con i denti. “Ora chiamo il Signor Stark. Questa storia finisce qui.”

“Non puoi farlo!” scattò Peter verso di lei con velocità disarmante, strappandole il telefono dalle mani. May lo guardò, interdetta dalla velocità con cui il nipote si era mosso, alternando lo sguardo tra lui e il telefono.
“Sono io l’adulto, Peter.” May cercò di nascondere il tremolio della propria voce. Guardando la mano di Peter stretta sul suo cellulare. “Non puoi andare in giro in calzamaglia tra i criminali! Non è un gioco!” disse lei allungando la mano e riprendendosi il cellulare. Peter non si mosse, questa volta, spaventato dalla reazione della donna. Si limitò a scuotere la testa. “Non è un gioco, so quello che faccio.” Disse a bassa voce. “Tu non capisci.” Sputò fuori dalle labbra.

“Non capisco? Peter, vai al liceo! È pericoloso, potresti morire!” May si appoggiò al muro, cercando di non guardare il costume steso sul letto.
“È per questo che il Signor Stark ha fatto quel costume! Mi sta insegnando.” Peter indicò con un braccio alle sue spalle.
May scosse la testa, chiudendo gli occhi. Ci era addirittura andata a cena, con Tony Stark, che si era complimentato con la bravura di Peter in tutto quello che faceva, orgoglioso dei suoi progressi. Come… come poteva pensare di mandare un bambino a combattere il crimine? Come aveva– anzi, come avevano tutti e due – osato tenerle nascosta una cosa del genere.

A cosa serviva la polizia? A combattere il crimine. Non c’era assolutamente bisogno che Peter Parker corresse pericoli del genere. Nemmeno se fosse stato munito di un’armatura in vibranio. Era solo un ragazzino.
“Insegn- Cazzo, Peter!” gridò di nuovo, uscendo dalla stanza e sbattendo la porta.
Veloce, digitò il numero di Iron Man sul cellulare, portandoselo all’orecchio.

“Signora Parker” sentì la voce di Tony dall’altro capo del telefono “Potrebbe richiamare più tardi, sto finendo un progetto che…”
“Le ha dato di volta il cervello?” si ritrovò a gridare anche contro l’uomo di ferro.
“Come?” la voce perplessa di Tony.
“Aveva detto che si trattava di uno stage! Peter ha quindici anni e lei lo manda per le strade di New York a fare il giustiziere? E la gita in Germania? Come ha potuto portarlo in Germania e farlo combattere contro gli Avengers?”

Dietro di lei, sentì che Peter aveva aperto la porta, per ascoltare la conversazione.
“Uh, Friday, metti in pausa qui, ti va?” Sentì dire Tony fuori campo, per poi riavvicinare il viso al telefono “Signora Parker, le giuro che Peter è controllato 24 ore su 24, il costume mi trasmette la posizione e i parametri vitali, ho dieci armature che interverrebbero in qualunque momento di difficoltà…”
“Non mi interessa! Peter era sotto la sua responsabilità e lei lo ha messo in pericolo! Ha solo quindici anni, non può gestire una cosa del genere!”
“So bene che Peter è sotto la mia responsabilità, signora. Per questo gli sto insegnando…”
“Insegnando a rischiare la vita? Non mi interessa se lei è Iron Man, mio nipote non è un Avenger o un poliziotto, è un ragazzino!”
“Signora Parker, Peter è un potenziato, nessuno dei criminali che affronta potrebbe davvero rappresentare un pericolo per lui…”

May si girò, furente, verso il nipote, che stava assistendo mogio a metà tra la propria stanza e il corridoio.
“C’è la polizia, che si occupa dei criminali. Peter ha chiuso.” Disse May, secca, per poi chiudere la telefonata.
“Hai chiuso il telefono in faccia a Tony Stark?” chiese Peter con un filo di voce, guardandola, disperato.
“Sì. E ora dammi il tuo. Sei in punizione.” Disse lei porgendo il palmo all’insù.

“Ma-“ protestò Peter, mettendo la mano in tasca, dove aveva messo il proprio cellulare.
“Ora, signorino. E niente Ned. O lego. O qualunque cosa tu faccia quando non sei a scuola.” Decretò May aprendo e chiudendo il pugno, facendogli segno di sbrigarsi.
“Niente Ned?”
“Niente Ned.” Confermò la zia.
Peter socchiuse gli occhi, sconfitto, poggiando il telefono sul palmo della zia. Poi alzò lo sguardo, irato e ferito. “Tu non capisci.” Soffiò.
“Capisco benissimo, invece.” Chiuse lei il discorso stringendo il cellulare del nipote e girando le spalle. “E non abbiamo finito.” Disse dirigendosi verso la cucina, per farsi una tisana calda – oppure cercare un calmante.

Mentre riflette sul da farsi, aprendo la credenza e cercando il bollitore; cosa dovrebbe fare, ora? Peter ha detto che ha iniziato per Ben, per quello che loro due gli avevano insegnato. Ma lei intendeva di aiutare il prossimo con la beneficenza, il volontariato, le associazioni benefiche… non aveva mai inteso che aiutare il prossimo significasse aiutare le sfortunate vittime di scippi o qualunque altro guaio avesse coinvolto Peter nell’ultimo anno.
Un anno, Cristo. Un anno da quando Ben li aveva lasciati. Si ricorda lo stato catatonico in cui era caduta lei, e come si fosse sorpresa di come Peter fosse riuscito a gestirla. Certo, stava fuori di casa tutto il giorno, ma lei credeva fosse chiuso in casa di Ned, al sicuro, a costruire lego. Ora, invece, a conti fatti, May sospettava che Peter avesse gestito il dolore scorrazzando per le strade a caccia di criminali. È angosciante pensare a Peter che combatte il crimine per le strade di New York indossando solo una tuta di felpa e un paio di occhialetti per mesi.

“Ho iniziato per zio Ben. Ma anche per me stesso.” Disse Peter alle sue spalle, non sapeva se stesse parlando da solo o si stesse rivolgendo a lei, ma chiuse gli occhi cercando di regolarizzare il respiro.
May scosse la testa, gli occhi che bruciavano. Sì, dopo aver visto il costume di Spiderman addosso a Peter era andata fuori di testa, e ancor di più quando aveva intuito la complicità di Stark nella faccenda. Lui era l’adulto, non un altro bambino a cui dover badare. Lui doveva preoccuparsi di tenere Peter al sicuro, durante lo stage.

Certo, Tony gli aveva probabilmente salvato la vita grazie alla nuova tuta potenziata. In fondo, May era grata che l’avesse tenuto d’occhio. Ma questa non era una scusante per averlo messo in pericolo in quella maniera.
Preparò e bevve il tè in silenzio, mentre Peter, come un’ombra, la guardava sempre da una distanza di sicurezza, non sapendo come cominciare il proprio discorso.
“Spiderman mi ha impedito di crollare.” Aggiunse il nipote dopo un paio di minuti, con voce tremolante. Tirò su con il naso. “Mi ha dato scopo”.

Fu in quel momento che la situazione con Peter le era sfuggì di mano.
A quel commento seguirono molti rimproveri, discussioni infinite, battibecchi, liti, panicolui aveva quindici anni, non aveva alcuna idea di quello in cui si era cacciato, poteva morire – e lei invece non capiva, non aveva idea del perché fosse diventato Spider-Man, e lo sottovalutava, perché lui sapeva ciò che stava facendo. Sapeva come agire e sapeva di poter aiutare le persone.
Per giorni si erano rivoltati in quell’inferno di litigi inconcludenti come mai era accaduto prima. Mai, nella loro vita, avevano discusso in quella maniera per qualcosa.
Alla fine, Peter si era messo il suo costume ed era uscito di casa per “schiarirsi le idee”. May lo aveva fissato indossarlo con naturalezza, fino a quando non aveva coperto il volto con la maschera e si era lanciato fuori dalla finestra in modo così naturale, così esperto, come me se non avesse fatto altro in vita sua.
E, in quel momento, May l’aveva lasciato andare d’impulso e senza scenate per pura esasperazione. Peter non si era fatto vivo per due giorni di fila, e May aveva passato quel tempo a incolparsi per non aver tentato di fermarlo, con la netta sensazione che il suo mondo avesse iniziato a sgretolarsi nel momento in cui Peter aveva aperto la finestra. Forse per non tornare, proprio come Ben. E anche allora, era riemerso il pensiero che suo marito avrebbe saputo cosa fare per impedire a Peter di andarsene. Avrebbero solamente discusso, loro due, magari davanti ad una cioccolata calda, e Peter sarebbe rimasto con loro, a casa, al sicuro.


Fu il terzo giorno da quando Peter era uscito, che May, in preda alla disperazione, aveva deciso di chiamare al telefono Tony Stark. Bastarono due squilli, e May sentì la voce di Tony, più preoccupato di quanto voleva dare a vedere, risponderle che Peter era riuscito a disattivare il GPS e i sistemi di comunicazione.
“Il ragazzo è in gamba.” Aveva commentato l’uomo di ferro “Forse non avremmo dovuto aggiustare Karen insieme.”
“Ma i parametri vitali sono stabili.” Aveva assicurato. “Friday, sveglia!” Aveva detto Tony con calma, dopo che lei aveva ebbe spiegato la situazione, cercando di non sembrare più disperata di quanto già non fosse.  

“Cristo, ragazzino…” Si bloccò di colpo, mentre May si sedeva sul divano, cercando di tranquillizzarsi.
“È qui.” Si premurò di farle sapere l’uomo, prima di allontanare leggermente il telefono dall’orecchio. “Sta bene, credo.”
May si lasciò andare ad un sospiro di sollievo, cercando di regolarizzare il proprio battito cardiaco.
“Certo che puoi stare qui, Pete -Pep, sì grazie.” Sentì dire dall’altro lato del telefono, un po’ ovattato.
“Andiamo, caro, ti accompagno in camera.” Disse la voce di Pepper in lontananza.

“Sta bene.” Ripetè Tony con tono fermo, rivolgendosi a lei. “Un po’ ammaccato, forse. Ma sta bene.”
“Grazie a Dio.” Si lasciò sfuggire dalle labbra in un sospiro.
“So che sei arrabbiata, May.”
“Con entrambi. Ma arrabbiata è una semplificazione.” Aggiunse la donna.
“Ti giuro che adoro Peter, non lascerei mai che gli succedesse qualcosa… io- è un bravo ragazzo, gli voglio un bene dell’anima e se non fossi sicuro al cento per cento che possa gestire due bulletti di città non lo farei nemmeno uscire di casa in armatura.” Sentì dire da Tony. “Figuriamoci dentro quella tuta.”
“Voglio solo che sia al sicuro non – non posso perdere anche lui.” sussurrò la donna dopo un po’.

“Non ho nessuna intenzione di perderlo nemmeno io, May. Farei qualunque cosa per quel ragazzino. E non scherzo.” Disse Tony.
Tony si era sicuramente sentito preso tra due fuochi, quella mattina. Ma aveva comunque giostrato in scioltezza l’intera situazione, ospitando Peter senza battere ciglio e tenendola contemporaneamente aggiornata sugli sviluppi in corso. In qualche modo, era riuscito a convincerlo a tornare a casa in un paio di giorni, e May aveva avuto l’impressione che Peter avesse ricevuto la sua buona dose di ramanzine anche su quel fronte. A dispetto del suo modo di fare flemmatico, Tony sapeva essere inflessibile, quando voleva. Ne avevano avuto prova quando Peter aveva perso lo stage – stage un cazzo – a causa dell’incidente sulla nave, ora May ne era al corrente.
 
Peter le era sembrato molto più pacato nel momento stesso in cui aveva rimesso piede nel loro appartamento, con gli occhi fissi sulle scarpe e il costume rosso e blu che faceva capolino con naturalezza da sotto la felpa – probabilmente di Tony – su cui troneggiava il logo degli AC/DC, la maschera che spuntava dalla tasca.
L’aveva abbracciata con impeto e si era scusato per tutto. Poi erano arrivate di nuovo le parole, le spiegazioni che si era rifiutata di ascoltare fino ad allora, i perché e i percome, le ragioni per cui aveva scelto di intraprendere quella strada. E lei non era più riuscita a trovare alcuna obiezione.

La consapevolezza l’aveva sommersa come una valanga: non poteva fare nulla per fermarlo. Essere Spider-man, aiutare gli altri, era la sua scelta, la sua responsabilità, come l’aveva chiamata lui, con un tono solenne che le aveva ricordato quello di Ben. È quello che in fondo ha sempre pensato anche lei: Peter è la sua responsabilità, l’unico motivo per cui è andata avanti dopo aver perso Ben.
Non può rinchiuderlo in una campana di vetro solo perché ha paura di perderlo.
Così alla fine aveva deciso di lasciargli fare ciò che voleva… con l’aggiunta di alcune regole ferree e la stretta sorveglianza di Tony. May si era abituata a vivere con un connubio di orgoglio, angoscia e senso di colpa ogni volta che vedeva Spider-man uscire dalla finestra per andare a fare il proprio dovere.
E Ben, Ben sarebbe stato fiero di chi Peter era diventato.


Buona sera :)
Ho provato a immaginare come May abbia inizialmente gestito l'iniziale situazione Spider-man, visto che non ce lo hanno mostrato nei film. Io mi immagino che all'inizio abbia opposto resistenza: Ben è morto cercando di aiutare il prossimo ed è quello che sta facendo anche Peter. Credo che May sia potuta essere giustamente terrorizzata dall'intera situazione. 
Spero sia venuto fuori qualcosa di vostro gradimento.
Grazie per essere arrivati fin qui 
   
 
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