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Autore: TheSlavicShadow    24/11/2021    0 recensioni
C'era un'idea. Stark ne è informato. Si chiamava "Progetto Avengers". La nostra idea era di mettere insieme un gruppo di persone eccezionali sperando che lo diventassero ancor di più. E che lavorassero insieme quando ne avremmo avuto bisogno per combattere quelle battaglie per noi insostenibili. [Nick Fury]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Wherever you will go'
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Aprile 2009

 

Se ne stava seduta sul divano, ormai rovinato da qualsiasi furia si fosse scatenata nel suo salotto, con del ghiaccio che le copriva occhi e fronte. In mano aveva un bicchiere pieno di whisky ma non lo stava effettivamente bevendo. Non lo aveva neppure assaggiato, ma le serviva come salvagente per non lasciarsi andare in pensieri che in quel momento non voleva affrontare. Prevedeva già molte notti insonni con quel whisky come unico compagno.

Avevano combattuto contro degli alieni ed erano sopravvissuti. Non solo erano sopravvissuti ma addirittura avevano vinto. Non voleva sapere quante perdite in vite umane c’erano state. Non in quel momento in realtà. Ci avrebbe pensato più avanti conoscendosi e avrebbe cercato di fare qualcosa. Un fondo per chi aveva perso tutto. Aiuti concreti per ricostruire le case distrutte. Qualcosa avrebbe fatto.

Solo non riusciva a pensare lucidamente in quel momento. Il suo salotto era troppo affollato. C’erano troppi agenti S.H.I.E.L.D. che si aggiravano per il piano. Sentiva i loro stivali che stridevano sul pavimento, nei punti in cui non c’erano macerie. Sentiva il rumore del vetro rotto sotto gli stivali di tutti quelli che si trovavano nel raggio di pochi metri. Nelle sue orecchie arrivavano mormorii e non riusciva a concentrarsi su nulla, non riusciva a cogliere i suoni, ma solo perché la sua testa non riusciva a concentrarsi su nulla.

Non capiva sinceramente nemmeno come potesse davvero essere ancora lì. Ricordava benissimo il freddo gelido che era penetrato nella sua armatura e che le aveva avvolto perfino le ossa. Non sapeva più se era una sensazione reale o se era solo il suo cervello ad essere andato sotto shock e aveva deciso di farle sentire freddo. Perché sul suo corpo non c’erano segni di congelamento da nessuna parte. Ricordava nitidamente l’esplosione dell’astronave dei Chitauri. Sembravano mille fuochi d’artificio nello spazio aperto, con uno sfondo così scuro che sembrava inglobarla e non lasciarle alcuna via di fuga. 

Il buio ed il freddo erano le uniche cose che ricordava e non riusciva ancora a credere di essere nuovamente a Manhattan, nel suo attico, sul suo divano. Le sembrava così surreale perché credeva davvero che sarebbe morta questa volta, che finalmente la sua lenta danza con la morte avrebbe avuto fine e la signora vestita di nero se la sarebbe presa.

Ma non era stato così nemmeno questa volta. Doveva davvero avere una fortuna sfacciata o qualche santo che la proteggeva, perché non riusciva a spiegarsi come era riuscita a cavarsela contro gli alieni nello spazio aperto.

“Stark, se ti alzi ti porto al quartier generale dello S.H.I.E.L.D. e ti diamo una sistemata.”

Aveva spostato il ghiaccio da un occhio e aveva guardato Nick Fury di fronte a sé. Ovviamente era lì. Era arrivato subito dopo che lei aveva spedito la bomba del portale. 

“No, grazie. Mi basta avervi qui adesso per farmi venire la nausea. Se ti seguo morirò sicuramente stavolta.” Con la coda dell'occhio aveva notato Steve vicino a quelle che erano state le sue vetrate panoramiche che parlava con un uomo incravattato. Quello doveva essere il famoso Alexander Pierce, il gran capo di tutta la baracca. “Appena sloggiate me ne torno a Long Island e potrai mandarmi lì tutte le scartoffie. Per posta, grazie. Non voglio vedervi per qualche tempo.”

“Sai che questo non sarà possibile. Non questa volta con un evento di questa portata. Forse dovrò davvero mettere in piedi la boy band di cui ti parlavo.”

“Quando fai il simpatico mi fai venire i brividi.” Aveva spostato totalmente il ghiaccio dal proprio viso, e aveva finalmente bevuto un po’ di whisky. Il suo bellissimo attico nuovo era distrutto. Si era impegnata tanto per renderlo accogliente e cercare di sentirlo come casa. Non era facile. Malibu era casa. Quello era il posto in cui desiderava tornare in quel preciso istante nonostante fosse pieno di ricordi. O forse proprio perché era così pieno di ricordi. “Prendete il cubo, lo scettro, Loki, anche tutti gli altri se vuoi, ma fammi andare via di qui.”

Si era alzata in piedi e aveva visto Steve muovere subito qualche passo verso di lei. L’aveva tenuta sotto controllo tutto il tempo, e non aveva avuto dubbi su quello.

Anche se sperava con tutta sé stessa che l’avrebbe ignorata fino alla fine dei suoi giorni. 

Perché Steve “Mister Correttezza” Rogers aveva messo entrambi in una posizione scomoda, molto scomoda, e per una volta in vita sua voleva evitare qualsiasi scandalo.

“Stark, dovresti riposare.”

“Parla con la mano, Rogers.” Aveva alzato un palmo nella sua direzione e non lo aveva guardato. Non voleva guardarlo. Per una volta aveva delle remore morali verso una terza persona. 

Steve “Dannato Deficiente” Rogers aveva deciso arbitrariamente che doveva manifestare la sua presunta gioia nel vederla ancora viva dandole un bacio, che qualche maledetto reporter o un semplice cretino curioso a caccia del filmato perfetto da passare al telegiornale aveva giusto ripreso.

Sarebbe stato lo scoop dell’anno. Trasmesso e ritrasmesso ovunque, e sarebbe così arrivato agli occhi poco gentili della nuova compagna di Steve. E lei non poteva neppure darle torto questa volta. Aveva sempre odiato Sharon Carter, ma questa volta si sentiva quasi in colpa. E non era neppure colpa sua. Lei era solo quasi morta, il resto lo aveva fatto Steve da solo. 

Anche Fury aveva osservato Steve con il suo occhio buono, e non sembrava per nulla contento. Probabilmente anche allo S.H.I.E.L.D. c’era la regola che sul posto di lavoro non dovessero esserci storie d’amore tra colleghi. Con molta probabilità aveva anche chiuso un’occhio perché si trattava di Steve Rogers e la nipote di Margareth “Ti Spacco Il Culo” Carter, e ora non voleva trovarsi nel fuoco incrociato.

“Signorina Stark, è un piacere conoscerla finalmente, anche se le circostanze non sono delle migliori. Alexander Pierce, sottosegretario del Consiglio Mondiale della Sicurezza.” L’uomo le aveva porto la mano, sorridendo affabile, come per cercare di risolvere quella situazione di stallo. Peggio di un qualsiasi film romantico, ecco come stava vivendo quella sensazione.

“Natasha Stark.” Gli aveva stretto la mano e aveva sfoggiato il suo miglior sorriso. Falso come una moneta da 10 dollari, ma di questo nessuno si stupiva più. “E vorrei che tutti voi sloggiaste dal mio appartamento e anche dalla mia torre.”

Alexander Pierce le aveva rivolto un sorriso ancora più grande, e non sembrava affatto stupito dalla sua richiesta.

“Ora ce ne andiamo. Abbiamo preso quello che ci serviva e togliamo il disturbo.” L’uomo non le aveva dato modo di rispondere e aveva subito dato ordini di scortare fuori Loki, lo scettro e il Tesseract. Aveva notato solo allora che Bruce Banner era seduto in un angolo e sembrava terrorizzato dalla presenza di tutti quei agenti. Era stata nuovamente Natashacentrica e non aveva pensato a come il suo nuovo amico dovesse sentirsi in quella situazione. Il rapporto di Bruce Banner con militari e affini era molto molto molto peggiore di qualsiasi rapporto potesse avere lei. E voleva evitare di vedere Hulk nuovamente nel suo appartamento. O in quello che ormai ne restava.

“Bruciebear, non hai dimenticato che andiamo a mangiarci un po’ di sano shawarma adesso, vero?” Gli occhi di Banner erano su di lei in una frazione di secondo e aveva annuito quasi con un movimento impercettibile della testa. “Vengono anche gli altri, non ti preoccupare, che lo vogliano o no.”

“Se troviamo un posto aperto!” Clint Barton le aveva sorriso e in un istante le era accanto mettendole un braccio attorno alle spalle. “Mi stupisci, Stark. Ah, e piacere di conoscerti ufficialmente.” 

Aveva inarcato un sopracciglio guardando l’arciere, e poi aveva semplicemente scosso la testa sorridendo. Ci voleva leggerezza in quel momento, e quell’uomo lo sapeva visto come si stava comportando da quando avevano chiuso il portale. Aveva fatto qualche battuta già da quando Steve aveva combinato il danno. Esplicitamente gli aveva detto di non tornare a casa ma di scappare in Messico e diventare Capitan Mexico. Gli aveva dato anche qualche consiglio sul suo nuovo costume e come fingere un accento messicano. Gli aveva consigliato di farsi crescere i baffi e tingere subito i capelli.

“Non credo sia il caso di farci vedere troppo in giro in questo momento. Dovremmo andare tutti quanti al quartier generale e riprenderci lì.”

Aveva massaggiato gli occhi e sbuffato. Non aveva davvero alcuna voglia di starlo ad ascoltare. Non in quel momento in cui sperava che il video non fosse già online, ma ne dubitava caldamente. 

“Tu fai quello che vuoi, non sei il nostro capo. E io non rispondo a nessuno qui presente ma solo e soltanto a me stessa.” Si era voltata e lo aveva guardato negli occhi, seria come forse poche volte lo era stata in passato con lui. “Io e i miei nuovi amici ce ne andiamo a mangiare. Tu e la Romanoff potete seguire Fury se preferite.”

“Veramente, vengo a mangiare anch’io con voi stavolta.” Con la coda dell’occhio aveva notato la Vedova Nera alzare un braccio e subito dopo Clint Barton le batteva il cinque. Erano tutti contro Steve in quel momento. Sicuramente anche Thor, che in quel momento era troppo impegnato a controllare che le manette del fratello fossero ben chiuse.

Steve aveva sostenuto il suo sguardo. Aveva corrugato le sopracciglia ed era in modalità Capitan America in quel momento, non semplicemente Steve Rogers. Cercava di intimorirla con la sua aura da maschio alpha solo che con lei quelle cose avevano smesso di funzionare da molto tempo. 

“Mangiamo e poi torniamo a casa. Non è saggio restare troppo in giro.” L’aveva guardata ancora per un istante e poi le aveva dato la schiena. La tentazione di alzare una mano e fargli il medio era enorme. E non sapeva cosa la stesse fermando dal farlo davvero. Forse solo la voglia di avere una parvenza di buon senso.

Steve si era avvicinato a Fury. Gli aveva detto qualcosa a bassa voce perché non aveva sentito alcun mormorio. E l’aveva guardata ancora. 

Sapeva bene che le cose non erano finite così. Ci sarebbe stato il round #2 e non era pronta per parlare seriamente. Lo era stata sull’Hellicarrier quando era convinta che sarebbero morti tutti entro poche ore e non aveva quindi nulla da perdere. Ora invece non lo era più. Non voleva più affrontare discorsi seri con Steve. Soprattutto certi. 

“A me sembra che la cotta di Rogers non sia ancora passata.” Clint aveva guardato la Romanoff, continuando però a tenere un braccio attorno alle sue spalle.

“Steve deve fare pace col cervello stavolta. Si è cacciato in una situazione pessima.” 

“E per una volta non è colpa mia.”

“Non direttamente.” La Romanoff le aveva sorriso ed era un sorriso caldo, aveva notato stranamente. “Ma è sempre un po’ colpa tua quando si tratta di Steve, almeno di questo dovresti essere conscia.”

“No no, stavolta è colpa di Fury che mi ha portata sull’Hellicarrier su cui c’era anche Steve ed era impossibile evitarlo anche se avrei voluto tantissimo. E poi è colpa di Steve che non so che diavolo gli abbia detto il cervello sul serio.”

“Non puoi essere davvero così ingenua. So che non ti conosco, ma sei Natasha Stark. La sua Tasha di cui parlava fino a farci venire il vomito. Davvero non immagini perché ti abbia baciata?” Clint Barton aveva ridacchiato e scosso la testa, e poi si era allontanato di qualche passo per richiamare l’attenzione di Thor. Non le aveva dato neppure il tempo di ribattere qualcosa. Avrebbe tanto voluto dire che non era così. Steve se ne era andato. Steve aveva le scatole piene di lei e dei suoi problemi. 

“Non pensarci troppo.” Natasha Romanoff le aveva messo una mano sulla spalla, stringendo lievemente, come per darle conforto. “Pensa piuttosto a trovare un posto aperto adesso.”

 

✭✮✭

 

Non aveva mai visto il salotto della casa dei suoi genitori così affollato da gente svaccata ovunque si potesse appoggiare il proprio fondoschiena stanco. Non aveva trovato altra soluzione che trascinarseli tutti con sé fino a Long Island. Avevano mangiato shawarma nel primo posto che avevano trovato aperto, per modo di dire, subito fuori dalla torre. Ma non prima di aver assistito ad una penosa telefonata da parte di Sharon Carter. 

Non poteva neppure incolpare la donna. Lei probabilmente avrebbe fatto molto peggio di una semplice telefonata se fosse stata al suo posto. Si sarebbe precipitata a New York alla velocità della luce e avrebbe fatto una piazzata degna di tale nome.

Nessuno era riuscito a bloccare la pubblicazione del video su YouTube, ed era ovviamente diventato virale in men che non si dica. E naturalmente Sharon Carter lo aveva visto subito. 

Steve Rogers aveva mangiato il suo shawarma con la faccia di un cane bastonato e lei ne era infastidita. Infastidita perché odiava vederlo così. E infastidita perché si sentiva in colpa per qualcosa che stavolta non aveva potuto neppure evitare. 

Aveva cercato il video non appena erano arrivati alla Stark Mansion di Long Island. E se fosse stato un momento diverso della sua complicata e burrascosa relazione personale con Steve, con molta probabilità lo avrebbe trovato in qualche modo dolce, romantico, e forse un po’ disperato. 

Hulk l’aveva presa al volo mentre stava precipitando dal portale ormai chiuso mentre lei era priva di coscienza e cadeva a peso morto. Se Banner non l’avesse presa al volo sarebbe sicuramente morta con l’impatto con l’asfalto. Adagiata in malo modo a terra dall’omone verde, Steve le era subito addosso per controllare i suoi parametri vitali, dopo aver strappato la visiera del suo casco. Chi aveva fatto il video doveva in realtà essere anche abbastanza vicino al gruppo di supereroi, perché era riuscita a vedere l’espressione di Steve nitidamente. Sembrava disperazione. Sembrava triste e distrutto come poche volte lo aveva visto. Ed era arrabbiata per quello che vedeva. Steve se ne era andato. Steve ne aveva le scatole piene di lei. Glielo aveva detto. Glielo aveva urlato mentre faceva i bagagli e lei se ne restava ferma ed immobile sulla soglia della porta di quella che era stata la loro stanza. Non era riuscita a dirgli nulla, perché non era nello stato mentale giusto per fermarlo, ma questo non lo avrebbe mai ammesso a nessuno. Andava bene in quel momento. Steve aveva preso una scelta e lei l’avrebbe rispettata perché non sapeva come aiutare sé stessa figuriamoci lui e la loro relazione.

C’era stato un capolinea ed entrambi erano scesi da quel treno per prendere strade diverse. Steve si era trasferito a Washington, glielo aveva comunicato lui stesso. Forse per tenerla informata, forse per darle una possibilità di fare qualcosa. Ma lei non si era mossa nella sua direzione. Gli aveva augurato buona fortuna e si era nascosta nelle cose che le davano conforto. I suoi robot, le sue armature, l’alcool. E infine era tornata a New York per costruire la Stark Tower e dominare Manhattan. 

Steve Rogers non avrebbe mai dovuto baciarla. E non solo perché aveva un’altra relazione, ma perché la loro relazione era finita. Per lei, vedere quel filmato era stato un colpo al cuore perché Steve era distrutto e quello per lui doveva essere un bacio d’addio visto che l’avevano creduta morta per qualche istante. 

E lei non lo voleva. C’erano state tante emozioni tra di loro. Una passione così ardente che si incontra forse una volta nella vita. Per lei poi Steve era il primo amore. Era l’uomo che nonostante tutto, nonostante tutti gli anni che avevano passato separati, aveva sempre amato.

Vederlo ora, seduto in quel salotto in cui avevano anche convissuto insieme, con una birra in mano, presente fisicamente ma non mentalmente, aveva un ché di sbagliato. Voleva tornare a quando aveva 20 anni e bastava abbracciarlo per sistemare le cose. Perché ora, in quella situazione, non avrebbe potuto dire o fare nulla. Qualsiasi cosa avrebbe peggiorato le cose.

“Stark, non riesco a capire perché ti sei costruita quell'immensa torre in città quando hai questa casetta niente male qui.” Clint Barton, seduto nella poltrona su cui aveva spesso visto suo padre quando era in vita, aveva alzato la birra in aria facendola roteare come a segnare tutta la stanza che li circondava.

“Perché puzza di naftalina.” Aveva bevuto un generoso sorso di birra e voleva così tanto distogliere la sua attenzione da Steve ma non ci riusciva proprio. “Preferisco il mio piccolo rifugio di Malibu.”

“Chiamalo piccolo.” Natasha Romanoff le aveva sorriso. Era seduta accanto a Clint, e si stava seriamente chiedendo che tipo di relazione potesse esserci tra loro due. Erano entrambi troppo coinvolti uno dall’altra, ma non riusciva a capirli. “La tua cabina armadio è più grande del mio appartamento.”

“Questo perché dovresti chiedere un aumento a Fury. L’ho sempre detto anche a Steve che venite pagati troppo poco per il lavoro che fate.” Come aveva pronunciato il nome dell’uomo lo aveva visto subito spostare lo sguardo su di lei, come se fino a quel momento non fosse lì con loro. E con molta probabilità non lo era. Era sicuramente perso nei propri pensieri che dovevano essere tutt’altro che piacevoli. Era riuscita a rivolgergli un piccolo, timido sorriso e Steve aveva sospirato.

“Scusatemi, ho bisogno di una boccata d’aria.” Si era alzato senza aspettare che qualcuno dicesse qualcosa ed era uscito dalla stanza. Natasha era sicura fosse andato in giardino.

“Noto che Rogers si muove con una certa dimestichezza in questa casa.” Clint lo aveva seguito con lo sguardo, prima di scolarsi la birra in un solo sorso. 

“Ha vissuto anche lui qui per un periodo. Non abbiamo convissuto solo a Malibu.” Aveva alzato le spalle.

“Stark, tu hai una relazione con Rogers? Per questo ti ha baciata?” Thor, il possente dio del tuono, la guardava come un bambino che non capiva la matematica. 

“Se avessero una relazione sarebbero in camera da letto adesso, non qui con noi.” Aveva guardato male Clint Barton che si prendeva troppe libertà, ma sapeva anche che in realtà aveva ragione.

“Hanno avuto la love story del secolo, ma poi di punto in bianco sono scoppiati come una bolla di sapone e stranamente sono riusciti a tenere nascosto il motivo alla stampa.” Natasha Romanoff aveva sorriso lievemente in direzione di Thor.

“Tanto sono sicura al 100% che a te Steve ha raccontato tutto.” Si era alzata dal pavimento su cui era stata seduta fino a quel momento, e aveva fatto un lungo e stanco sospiro. “Vado a vedere cos’ha e vi prego, che nessuno informi Carter che siamo rimasti di nuovo da soli. Vorrei evitare uno scontro diretto con lei.”

Era uscita anche lei dal salotto e come aveva previsto Steve era in giardino. Era in realtà molto indecisa sul da farsi. Avvicinarsi ora a lui avrebbe voluto dire che dovevano parlare. Parlare seriamente e di cose di cui non voleva più parlare. 

Steve Rogers era appoggiato sul bordo della ringhiera che separava il portico dal giardino. Con le dita di una mano si massaggiava gli occhi e qualcosa le diceva anche che sapeva quali fossero il suoi pensieri. Odiava il fatto che a distanza di anni ancora conoscesse così bene quell'uomo. 

“Steve, se devi avere quel muso lungo non faresti meglio a tornare a Washington?” Si era appoggiata al muro dopo essere uscita e aver chiuso la porta. Voleva lasciare dello spazio tra di loro, come a dirgli ci sono, sono qui, ma non come una volta. Voleva mantenere distanza tra di loro, come tutta quella che avevano avuto negli ultimi due anni. 

“Mi ha detto di non tornare.” Aveva sospirato e l’aveva guardata. “Farà recapitare tutte le mie cose al quartier generale di Washington. Ho provato a telefonarle più volte, ma non risponde. Addirittura mi ha telefonato Peggy e non è stata una conversazione per nulla piacevole.”

“Lo sapevo che non era il caso che noi due ci incontrassimo ancora. Non pensavo ad un finale simile, ma sapevo che non era una buona idea.” Non riusciva a smettere di guardarlo e c’era una minuscola parte del suo cervello che le ripeteva che Steve era di nuovo single, che ora non aveva nulla di cui sentirsi in colpa. Ma non era così. Vederlo così turbato e sapere di esserne la causa la faceva sentire in colpa, anche se effettivamente non lo era.

“Era necessario stavolta.” La guardava ancora e avere una conversazione civile e pacifica era davvero strano. Sull’Hellicarrier, subito dopo Stoccarda, non era stato così benevolo alla sua presenza. “Come stai?”

“Bene, sto sempre bene.” Lo aveva visto inarcare un sopracciglio e sapeva che con lui non poteva bluffare. “Non lo so in realtà. Mi sembra strano essere qui in questo momento. Quando ero lassù mi sembrava di essere inghiottita dal buio e credo che stanotte dormirò con tutte le luci accese.”

“Credevo di averti persa per sempre.” 

Steve aveva parlato a bassa voce, ma era riuscita a sentirlo. E non voleva. Non voleva nuovamente ripercorrere tutte quelle emozioni che Steve le faceva provare facendola sentire ancora una ragazzina di 16 anni alla sua prima cotta. 

“Te ne sei andato tu l’ultima volta.” In quella frase era tutto sbagliato. In una coppia non era normale andarsene, come invece loro facevano in continuazione. Non c’era nulla di sano in tutto quello. E ancora meno sano era il fatto che continuavano a gravitare uno nell’orbita dell’altro e quando finivano per collidere era sempre un disastro per entrambi. Solo che non riusciva a definirla una relazione tossica. Non era sana, non era normale, ma non era tossica. Insieme non erano mai stati tossici uno per l’altra. Steve l'aveva sempre fatta sentire migliore. L'aveva spronata a dare sempre il meglio di sé. Tutte le altre sue “relazioni” erano tossiche, ma non quella con Steve Rogers. 

“Non riuscivo più a vederti in quello stato. Non ti facevi aiutare da nessuno, e non sapevo più cosa fare.” 

Lo sapeva. Non aveva bisogno che Steve glielo dicesse per sapere che la colpa era stata sua e non aveva scusanti per quello che era successo. Lei si era rinchiusa nel suo dolore e non aveva permesso a nessuno di penetrarvi. Tanto meno a Steve. 

“Non voglio parlarne.”

“Vedi? Hai fatto la stessa cosa all'epoca.” Steve aveva sorriso, ma era un sorriso triste, pieno di amarezza e rimorso. “Tu non vuoi mai parlarne, e finiamo inevitabilmente a litigare, a lasciarci, a ritornare insieme, e lasciarci ancora. E ogni volta senza uno straccio di chiarimento.”

“Anche parlando non possiamo cambiare quello che è stato.” Aveva spostato lo sguardo dal suo perché si sentiva a pezzi. C’era stato un momento sull’Hellicarrier in cui aveva voluto parlare, ma forse solo perché era mossa dalla disperazione, dalla sicurezza di non avere una seconda possibilità di chiedergli scusa. Voleva il perdono per potersene andare con la coscienza leggera. 

“No, cambiare il passato non si può, chi meglio di me lo può sapere questo.” Si era mosso dalla ringhiera e le si era avvicinato. Avrebbe tanto voluto scappare, mettere altro spazio tra di loro, ma non riusciva a muoversi. Era come se i suoi piedi avessero messo radici in quel posto e non volevano nemmeno tentare di spostarsi. “Tu non mi hai mai permesso di aiutarti. Non so perché hai sempre avuto questo comportamento anche con me. Posso capire il voler tenere lontano tutti gli altri, ma me?”

“Non so chiedere aiuto, Steve. Risolvo le cose da me, con i miei modi per quanto siano discutibili e dannosi.”

“Ma io ero il tuo compagno, non uno sconosciuto qualsiasi.”

“Ho perso un bambino, Steve!” Senza rendersene conto aveva alzato la voce. E non voleva vedere quella espressione sul volto di quell’uomo. Non di nuovo. Non voleva rivivere tutto un’altra volta. Si era spezzato ancora una volta di fronte a lei ed era sempre straziante vederlo così a causa sua. 

“Era anche mio figlio.”

 
   
 
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