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Autore: Zobeyde    30/11/2021    7 recensioni
New Orleans, 1933.
In un mondo sempre più arido di magia, il Fenomenale Spettacolo Errante di Maurice O’Malley si sposta attraverso l’America colpita dalla Grande Depressione con il suo baraccone di prodigi e mostri. Tra loro c’è Jim Doherty, l’unico a possedere capacità straordinarie: è giovane, irrequieto e vorrebbe spingere i propri numeri oltre i limiti imposti dal burbero direttore.
La sua vita cambia quando incontra Solomon Blake, che gli propone di diventare suo apprendista: egli è l’Arcistregone dell’Ovest e proviene da un mondo in cui la magia non ha mai smesso di esistere, ma viene custodita gelosamente tra pochi a scapito di molti.
Ma chi è davvero Mr. Blake? Cosa nasconde dietro i modi raffinati, l’immensa cultura e la spropositata ricchezza? E soprattutto, cosa ha visto realmente in Jim?
Nell’epoca del Proibizionismo, dei gangster e del jazz, il giovane allievo dovrà imparare a sopravvivere in una nuova realtà dove tutto sembra possibile ma niente è come appare, per salvare ciò che ama da un nemico che lo osserva da anni dietro agli specchi...
Genere: Azione, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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OMBRE DAL PASSATO

 




Le settimane che seguirono furono un vero e proprio inferno per Jim.
Ogni mattina, mentre montava in bici diretto alla magione, O’Malley lo inseguiva minacciandolo perché facesse ritorno per l’ora di pranzo per prendere parte alle prove: prove inutili e noiose, che duravano anche tutto il pomeriggio, in cui Jim doveva lavorare sull’entrata e sull’uscita di scena, coordinarsi con l’orchestra e con gli effetti speciali, risultare spettacolare ma non dare troppo nell’occhio. In questo modo no, non andava bene. In quell’altro neanche: troppo rischioso. O’Malley non era mai soddisfatto e ogni giorno dovevano ricominciare daccapo.
Blake, dal canto suo, non si dimostrò molto indulgente, visto che proprio in quei giorni aveva deciso di iniziare con gli incantesimi di guarigione e autorigenerazione. Il che comportava, oltre allo studio di enciclopedici manuali di anatomia, anche la pratica. E Jim lo scoprì nel modo più traumatico quando, una mattina, entrato nel laboratorio per la lezione, trovò un cadavere disteso sul tavolo.
«E questo chi cazzo è?!»
Si trattava di un robusto signore di mezza età, con radi capelli biondi incrostati di sangue. Ed era completamente nudo, tranne per un panno a coprirgli i genitali, la pelle flaccida di un pallore tendente all’azzurro. Legato con uno spago sull’alluce destro, vi era un cartellino.
«Il signor Harry T. Jackson» rispose Solomon Blake, in piedi dietro il cadavere. «Un manovale di cinquantasette anni, defunto questa mattina al porto a causa di un gancio di ferro che lo ha colpito alla nuca. Trauma cranico, morte istantanea.»
«M-ma…» balbettò il ragazzo. «Dove lo ha preso?»
«All’obitorio, naturalmente. Sta’ tranquillo, si tratta solo di un prestito: il buon signor Jackson tornerà ai suoi cari in tempo per il funerale e tutto intero al termine della nostra lezione. È fresco di decesso e suoi organi non hanno riportato lesioni, il che lo rende perfetto per esercitarci.»
«Io non metterò le mani su un morto!» protestò Jim, indignato. «È totalmente irrispettoso!»
«Potrei lanciarti un’illusione che ti faccia credere di non provare dolore e vivisezionare te» ribatté Blake, il sopracciglio sollevato. «Ti sembra una soluzione più rispettosa? Di sicuro sarebbe più istruttiva.»
Poi, con un’indifferenza che solo i serial killer e gli scienziati pazzi del cinema potevano dimostrare, infilò dei guanti da chirurgo e si armò di bisturi. «Cominciamo?»
 
 
Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma tra O’Malley che lo tartassava per le prove e Blake che gli faceva aprire cadaveri come fossero borsette da donna, Jim si ritrovò a supplicare Alycia di poter trascorrere con lei più tempo possibile.
«Disgustose, eh?» gli chiese divertita una mattina, quando Jim la raggiunse nella serra. «Le lezioni di anatomia, intendo.»
«Terribili» esalò lui, lasciandosi cadere su uno sgabello; aveva maneggiato interiora per tutta la mattina, riuscendo a non vomitare per miracolo. Inspirò l’odore del terriccio, del verde e dei fiori che lo circondavano, sperando che gli desse sollievo. Invece peggiorò solo la situazione. «Non credo che mi ci abituerò mai.»
«Ci siamo passati tutti» commentò lei, intenta a recidere alcune foglioline secche dalla piantina di Anthea Ingannatrice che faceva oscillare piano i suoi tentacoli. «Quando uno dei tuoi amici si fratturerà un braccio o sarà sul punto di perdere una gamba, ringrazierai di essere un mago. Diciamocelo, la medicina Mancante ha ancora molta strada da fare.»
Blake gli aveva detto più o meno la stessa cosa qualche giorno prima, indignato che negli ospedali si utilizzassero tecniche e strumenti da Medioevo e che nessuno fosse ancora a conoscenza di una roba chiamata penicillina: “I Mancanti ci impiegano un sacco di tempo a scoprire le cose” aveva concluso con un sospiro. “Pensa se non avessi convinto il signor Fleming a guardare quella muffa sul vetrino! Sono come bambini che vanno imbeccati.”
Alycia gli passò una boccettina con del liquido rosato. «Una pozione che annulla completamente la nausea: è a base di bacche di Tirillio, ma devi fartela bastare perché crescono solo nelle notti di luna crescente. Ci ho aggiunto menta piperita per migliorarne il sapore.»
Jim prese la boccetta, spiazzato da quel gesto. Era sul serio stata in piedi tutta la notte per prepararla?
«L’hai fatta per me?»
Lei sistemò gli occhiali. «Ovvio, ormai ti ho continuamente tra i piedi. Non voglio mica vederti vomitare mentre lavoro.»
«Grazie.»
Alycia si limitò a fare spallucce e tornò a concentrarsi sulla sua pianta. Jim stappò la fiaschetta e bevve un sorsetto parsimonioso e in effetti subito dopo la nausea passò.
«Pare che l’Anthea abbia attecchito bene, comunque» disse Alycia. «Sono già spuntate le prime gemme, vedi?»
«Sei a buon punto con la tua tesi, allora.»
«Non proprio.» Alycia sospirò con rassegnazione. «Non riesco ancora a capire come stimolare la sua crescita: ho consultato dozzine di testi, ma nessuno ne parla in maniera chiara. Fanno solo riferimento a delle celebrazioni che avvenivano nel bayou: danze intorno a fuoco, tamburi, canti, cose così.»
«Magari è solo un po’ timida.»
«O magari ho scelto un soggetto troppo difficile da studiare. Probabilmente è per questo che nessun alchimista è riuscito a portarla ad Arcanta.»
«Se c’è qualcuno che può riuscirci quella sei tu.»
Lei si volse a guardarlo, una scintilla di stupore misto a curiosità ad animare i suoi occhi scuri e Jim provò una sensazione insolita, come se avvertisse di colpo caldo e freddo contemporaneamente.
«Sì, be’…» Si rigirò tra le mani la boccetta, temendo di essere arrossito. «È che non sei il tipo che si dà vinto facilmente.»
«Non mi conosci, come fai a dire che tipo sono?»
«Ti saresti fatta ammazzare da quella pianta solo per dimostrare di avere ragione. Più determinati di così.»
«Lo dici solo perché non vuoi che ti rimandi a fare anatomia con mio padre.»
«Forse un pochino» ammise lui, facendola ridere.
Mentre la osservava dedicarsi all’Anthea, Jim disse: «Ci pensi mai a come la vita delle persone potrebbe migliorare se la magia tornasse a essere accettata come un tempo?»
«Vuoi dire, se i maghi non la nascondessero ad Arcanta?»
«Be’, sì.» Jim ripensò alla storia che Blake gli aveva raccontato, su Merlino, Artù e il sogno di vivere in un mondo dove maghi e Mancanti fossero in pace. «Potrebbe risolvere un sacco di problemi…»
«Era quello che sosteneva anche mio padre.»
Alycia rimosse gli occhiali, sollevandoli alla luce. «So che quando era più giovane provò a convincere i Decani che la magia dovesse tornare nel Mondo Esterno, che non aveva più senso custodirla tra pochi. Fu a tanto così dall’entrare lui stesso nel Decanato, lo sapevi?»
«No» disse Jim, colpito. «Non me l’ha detto.»
«Lo supponevo. Dicono fosse pieno di idee su come cambiare la società di Arcanta. Visionarie, secondo i più. In realtà penso che le regole imposte dai Decani gli siano sempre state strette.»
«È per questo che ha deciso di andarsene?» domandò Jim.
«Non solo» fece lei, molto piano. Prese un fazzoletto e pulì le lenti spolverate di polline. «Penso lo abbia deciso dopo la morte della mamma.»
Jim riuscì a trattenere a malapena un sussulto. Era la prima volta che le sentiva tirare fuori l’argomento. Alycia prese un profondo respiro e rinforcò gli occhiali. «È accaduto durante la battaglia contro la Strega Eretica. Mia madre era un’alchimista di talento, si offrì di prestare le sue abilità sul campo, di seguire mio padre…e rimase uccisa.»
«Mi dispiace.»
L’angolo della bocca di lei si piegò in un sorriso senza allegria. «Già, me lo sento ripetere di continuo. Parole di cordoglio per la coraggiosa Isabel Alicante, così devota a suo marito e ad Arcanta.»
«Per questo ti sei dedicata all’alchimia, non è così?» disse Jim con voce sommessa. «Hai scelto di seguire le sue orme.»
«Sì» mormorò lei, lo sguardo basso, schermato dalle lenti. «A sette anni, mentre esploravo casa, scoprii una stanza murata. Mi intrufolai da un passaggio nascosto, e lì trovai il laboratorio di mia madre, i suoi libri, i suoi appunti e progetti. Avevo appena un anno quando morì, non ricordo neppure che volto avesse, mio padre ha fatto rimuovere ogni suo ritratto o fotografia. Ma grazie al suo lavoro ho imparato a conoscerla. Era una mente davvero brillante.»
La voce le si incrinò appena e Alycia tacque per un momento.
«Secondo il mio maestro meritava un maggiore riconoscimento da parte del Decanato» proseguì. «E invece tutti ad Arcanta la ricordano per essere stata la moglie del grande Solomon Blake, il mago che ha ucciso l’Eretica e poi se l’è svignata come un codardo.»
«Forse lo ha fatto perché si sente in colpa» mormorò Jim. «Voglio dire, era sua moglie ed è morta nel tentativo di aiutarlo…»
«Se n’è andato quando avevo bisogno di lui» rispose lei con asprezza. «Ha tagliato la corda, senza curarsi di ciò che si è lasciato dietro. E anche adesso non gli importa di cosa accade ad Arcanta, delle voci che girano sul suo conto e che io in quanto sua figlia sono costretta a sopportare.»
«Di che voci parli?»
Alycia sollevò lo sguardo. «Cosa ti ha detto di preciso sull’Eretica?»
«Niente.»
«Strano, non trovi? Avrebbe dovuto parlarti di lei, dopotutto ha lasciato un segno profondo su Arcanta e sulle nostre vite.» Lo sguardo di Alycia si fece duro. «L’Eretica era convinta che i maghi non dovessero più nascondersi, che siano predestinati a dominare sul Creato e sui Mancanti: cercò di convincere il Decanato a riportare la magia nel mondo, e quando loro si rifiutarono, minacciò di farlo da sola, sprigionando il potere del Vuoto. Era dell’idea che solo grazie a esso i Mancanti sarebbero tornati a temere la magia. E le sue dottrine avevano molti seguaci.»
Jim aprì la bocca, frastornato. Gli tornarono in mente le parole pronunciate da Blake solo poche sere prima: “Ci hanno illusi che il mondo non meritasse la magia, che fosse meglio custodirla tra pochi. Ma non si può tenere in gabbia qualcosa di così potente.”
«Stai dicendo che il signor Blake in realtà fosse d’accordo con lei?»
«A mio padre il Decanato non piace e non gli piace sottostare alle regole. Sai cosa gli è sempre piaciuto, invece? Il potere. I fedeli dell’Eretica si stanno riorganizzando e lo stanno facendo rapidamente. Ma lui continua a restare in disparte e questi misteriosi viaggi che fa…non so te, ma io non me la bevo la storia del “Ora sono in pensione e voglio girare il mondo in libertà.”»
«Questa cosa non ha senso» protestò Jim. «Sai che non ha senso, vero? Ha combattuto per Arcanta, è una specie di eroe laggiù.»
«Non ci sono eroi tra gli stregoni, Jim.»
«Va bene e allora perché avrebbe dovuto farlo? Perché l’ha uccisa se stava dalla sua parte?»
«Il corpo non fu mai ritrovato, per quanto ne sappiamo potrebbe trattarsi benissimo di un bluff.» Alycia scosse mestamente il capo. «Mio padre è il maestro dell’inganno, si è costruito una carriera ad Arcanta grazie ai suoi sotterfugi. Tra gli Zeloti pare circoli una specie di profezia, secondo cui l’Eretica tornerà al potere più forte di prima con l’aiuto di qualcuno a lei molto vicino.»
«E tu pensi possa trattarsi di tuo padre.»
«Ha le conoscenze, l’astuzia e il potere per poter compiere praticamente qualunque cosa. E onestamente non so più cosa pensare di lui. Forse non l’ho mai saputo.»
«Allora ti dico cosa penso io» disse Jim. «Chi fa il mio mestiere sa osservare la gente e io l’ho osservato bene: penso che tu abbia ragione, che si è comportato da vigliacco, ma penso anche che abbia sofferto molto. Che una parte di lui non si sia mai perdonata per quanto accaduto a tua madre.»
Alycia ricambiò lo sguardo con la mascella contratta e gli occhi lucidi, ma non lo interruppe.
«Ti ha scritto delle lettere» proseguì Jim. «Lettere a cui non hai mai risposto, ma ha continuato a scrivertele, ogni giorno. Non sto giustificando quello che ha fatto, ma credo che ci stia provando a rimettere le cose a posto. E forse, prendendo come apprendista un patetico mago da fiera che nella vita non ha concluso un cazzo, vuole dimostrare il fatto che tutti possono cambiare, se gli viene data l’occasione.»
«Quindi, secondo te dovrei perdonarlo e basta? Fare finta che non sia successo niente…?»
«No, secondo me dovreste parlarvi» disse Jim, convinto, e dopo un attimo, aggiunse: «Almeno, tu l'opportunità di farlo ce l’hai ancora.»
Questa volta fu lei a non sapere cosa dire e Jim si pentì di aver scoperchiato quel rospo, quel mostro brutto, cattivo e schifoso che dimorava dentro di lui da anni. Ma non era ancora pronto a estirparlo, non adesso, non con Alycia. E poi, erano seduti molto vicini…
Si batté le mani sulle ginocchia e scattò in piedi, nascondendo quell’improvviso turbamento dietro un sorriso solare. «Oppure, puoi continuare a sfogarti scagliandomi contro incantesimi o usandomi per il tiro al bersaglio!» Fece una risatina nervosa. «Pare che sia terapeutico, sai?»
«Jim…» cominciò Alycia, ma lui non le diede tempo di continuare.
«È ora che vada alle prove» disse, affrettandosi a raggiungere la porta. «Prima che il Folletto venga a cercarmi col fucile!»
 

«No no no! Non ci siamo per niente!»
«Oh, ma dai!» Jim allargò le braccia, e una decina di canarini gialli gli uscirono cinguettando dalle maniche. «Si può sapere che cos’è che non ti piace ancora?»
Il direttore, seduto di fronte al palco, alzò gli occhi sugli uccelli che avevano preso a svolazzare per il tendone, la grossa faccia poggiata sulla mano come un bambino che si annoia: erano ore ormai che Jim e Vanja provavano lo spettacolo di chiusura, arrovellandosi il cervello per riuscire a conciliare i numeri classici con le migliorie proposte dal giovane mago, e ancora il Folletto non era soddisfatto. 
«Troppo rischioso, non mi convince. Riproviamo un’altra volta come avevamo stabilito ieri!»
Jim cercò con lo sguardo l’aiuto di Margot, che se ne stava in disparte seduta sugli spalti, consultando le sue carte.
«Maurice, caro» disse la donna, con voce carezzevole. «Non essere duro, i ragazzi stanno facendo del loro meglio…»
«Lo spettacolo sarà la settimana prossima!» tuonò O’Malley. «E non abbiamo ancora uno straccio di numero di punta! Se il tuo maghetto da strapazzo si degnasse di partecipare attivamente…»
«Ehi, io sto partecipando!» esclamò Jim. «E te lo avevo già scritto il numero di punta, se solo la piantassi di bocciare tutte le mie idee...!»
«Oh, intendi quella degli animali di carta che si animano e trotterellano per il tendone? Oppure quella dove fai volare i bambini dentro bolle di sapone giganti? O magari quella del golem di sabbia che balla il liscio con le signore in prima fila?»
«Quello non era male» dovette convenire Vanja.
«Ti rendi conto, spero, che non possiamo permetterci di far scappare tutti a gambe levate!?» sbraitò O’Malley, così arrabbiato da non accorgersi che uno dei canarini gli aveva fatto la cacca sul cappello. «Sono numeri folli!»
«Ma è quello che il pubblico vuole!» ribatté Jim.
«No, il pubblico vuole uno spettacolo da circo! Vuole animali, giocolieri, acrobazie, giochi di prestigio! Non rischiare un infarto o di rompersi l’osso del collo!»
«E allora che senso ha tutto quello che sto imparando?»
«Lo sapevo che sarebbe andata a finire così.» Con un gesto teatrale, O’Malley cacciò fuori dalla manica un fazzoletto e si tamponò la tempia. «Già era difficile tenerti a bada, ci mancava pure quello sciroccato di stregone a farti venire voglia di spacconate! Dovevi continuare coi numeri di Khazam, ecco.»
«Be’, notizia dell’ultima ora» disse Jim, arrabbiato. «Khazam al pubblico faceva schifo. E sinceramente pure a me!»
«Penso sia arrivato il momento di fare una pausa» intervenne Margot, frapponendosi tra gli sguardi di fuoco che si lanciavano i due. «Siamo tutti stanchi e nervosi in vista dello spettacolo. Vieni, Jimmy, andiamo a prendere un po’ d’aria.»
Ma Jim non voleva prendere aria. Voleva trasformare O’Malley in un pallone areostatico e vederlo volare via dall’apertura in cima al tendone.
«Io ce la metto tutta» le disse, una volta fuori. «Perché non riuscite a capirlo?»
«Lo so, tesoro. E credimi lo sa anche Maurice.»
«È che sono stanco di tutto questo» replicò lui, amareggiato. «Vorrei essere me stesso per una volta: alla gente piace quello che faccio quando non mi nascondo, lo hai visto anche tu!»
Margot sospirò. «Maurice non ha torto, le persone hanno bisogno di essere rassicurate di questi tempi: hanno avuto fin troppe sorprese. Ma in fondo.» Gli rivolse un sorrisetto complice e ammiccò. «Se non desiderassero un po’ di magia nelle proprie vite, non verrebbero al circo.»
«È quello che sto cercando di fargli capire» disse Jim, lieto che almeno qualcuno laggiù lo sostenesse.
«Capirà.» Margot allungò una mano per accarezzargli i capelli. «Porta pazienza, il tempo del riscatto è quasi giunto.»
Lasciò morire la frase e allontanò la mano, mentre un’ombra attraversava il verde limpido dei suoi occhi.
«Margot» fece Jim, incerto. «Tutto bene?»
Lei scacciò via quell’ombra scuotendo piano la testa e tornò a sorridergli, ma il suo sguardo aveva perso vivacità. «Ma certo, ero solo sovrappensiero. Che ne dici di tornare dentro e provare a scendere a compromessi con Maurice per questa volta? Prima risolviamo la questione dello spettacolo, prima potrai dedicarti alla magia.»
Jim acconsentì di buon grado a tornare nel tendone e sopportare le terribili modifiche al suo numero, pur di levarsi di torno in fretta il direttore. Ritrovò Maurice che stava ancora urlando contro l’orchestra:
«Voglio più atmosfera, più ritmo!» continuava ad abbaiare contro il povero percussionista. «Siamo a New Orleans, la terra del vudù, riesci a capirlo, testa di rapa? Dà qua, ti faccio vedere!»
E, mentre il Folletto prendeva a percuotere i grossi sabar come un matto e Jim era costretto ad assistere all’ennesima scenata, fu colto da una folgorazione. «Il ritmo…ma certo!»
«Cosa hai detto, tesoro?» chiese Margot.
«Mi sono ricordato che devo fare una cosa» farfugliò lui, e prima che Maurice se ne accorgesse, sgattaiolò in fretta fuori dal tendone.
Corse al vagone di Arthur e si affacciò al portellone aperto, trovando l’amico che puliva la gabbia di Joel. Il leone sollevò di scatto la testa e lo puntò con i suoi occhi gialli, i baffi frementi. Passò la lingua sulle zanne e Jim si fermò a debita distanza; era sempre l’uomo che lo aveva visto crescere, ma alle volte non era sicuro che se lo ricordasse.
«Aspetta.» Arthur uscì in fretta e richiuse bene la porta. «Che succede? Hai già finito le prove?»
«No, per oggi ci ho dato un taglio. Senti, vecchio mio, mi chiedevo…»
«Sì?»
«Mi presteresti il tuo grammofono?»
L’espressione di Arthur si fece sospettosa. «Perché?»
«Solo per un’oretta, poi te lo restituisco. Devo provare una cosa.»
Arthur tentennò qualche altro istante, poi sospirò. «D’accordo. È nel baule, te lo prendo.»
Jim gli rivolse un enorme sorriso, mentre l’amico entrava nella sua cuccetta e rovistava tra i suoi averi. Tornò da lui con una valigetta azzurro scolorito chiusa da linguette metalliche. «Riportamelo tutto intero, ok?»
Jim lo ringraziò e si precipitò a recuperare la bicicletta.
 
Raggiunse la magione mentre il sole stava ormai calando, pennellando il cielo di violente lingue di rosso e inondando i campi di fitte ombre. Le lampade della serra, tuttavia, erano accese, segno che Alycia era ancora al lavoro.
«Sei tornato» appurò con stupore quando lo vide ricomparire. «E le prove?»
Riprendendo fiato Jim posò la valigetta sul tavolo, dove Alycia stava esaminando alcuni campioni di linfa al microscopio. «Credo di aver capito cosa stimola la crescita dell’Anthea: è la musica! Ecco come mai sul tuo libro si parla di balli e canti in suo onore. Guarda, facciamo una prova!»
Lei abbassò gli occhiali, stupefatta, ma Jim aveva già estratto dalla borsa alcuni vinili.
«Mhmm questo no, questo neanche…»
«Mi dici cos’è quell’affare?» chiese Alycia.
«Un giradischi.»
«E a cosa dovrebbe servire?»
«Ad ascoltare la musica! A cosa se no?» Jim la fissò incredulo. «Scusa, come accidenti fate ad Arcanta senza questi?»
«Non ne abbiamo bisogno: se vogliamo ascoltare della musica incantiamo degli strumenti musicali che la suonino per noi.»
«E quindi gli strumenti si suonano da soli?»
«Sai com’è, sono magici.»
«Perciò suppongo che non ci siano nemmeno musicisti ad Arcanta.» La cosa lo sconvolse non poco. «D’accordo, tutto questo è semplicemente scandaloso. Adesso ti faccio vedere io cos’è la vera musica!»
Scelse un 78 giri e lo posizionò con cura sul piatto. Alycia lo osservò incuriosita, mentre azionava il dispositivo girando una manovella.
«Pronta?» chiese alla fine, posizionando la testina. «Ora ha inizio la magia!»
Partì un ragtime al pianoforte dal virtuosismo trascinante e Jim rivolse un sorriso ad Alycia. «Che te ne pare?»
«Come fate a chiamarla musica? È tutto maledettamente scoordinato, non si riesce a seguire.»
«Certo: è jazz! Non lo devi seguire, lo devi ballare.»
Scettica, Alycia guardò l’Anthea Ingannatrice, che non aveva subito alcun effetto.
«Sembra che neanche a lei piaccia molto.»
«Eppure ero sicuro…ok, proviamo con qualcos’altro.»
«Jim, non credo proprio che si metterà a crescere a ritmo di musica.»
«Ultimo tentativo, promesso!»
Lei emise un piccolo sospiro, ma acconsentì, e il ragazzo posizionò un altro disco.
 
“Maybe it’s the moon, maybe it’s your eyes.
Maybe just the spell of the June night…”

Stavolta si trattava di una ballata, una melodia dolce adatta ai lenti. I due ragazzi rimasero in attesa, osservando attentamente la pianta per cogliere una qualsiasi reazione; i suoi tentacoli ondeggiarono e si intrecciarono tra loro, ma a parte questo non accadde nulla. Jim sbuffò, deluso.
«Ci abbiamo provato» commentò Alycia comprensiva. «Grazie lo stesso, non era male come intuizione.»
Restarono in silenzio ad ascoltare il resto della canzone, e lei commentò: «Però è bella.»
«La vuoi ballare?»
«Cosa?»
«Sì, ballare» disse Jim. «Insomma, l’esperimento è stato un fiasco, ma almeno stiamo sentendo buona musica.»
Si esibì in un profondo inchino, mentre Alycia gli indirizzava uno sguardo tra il critico e il divertito. «Scordatelo. Io non ballo.»
«Perché no? È divertente!»
«Davvero, non ho tempo per queste cose…»
Per tutta risposta, Jim la tirò a sé. Quando fece scivolare la mano lungo la sua schiena, lei si tese a quel contatto così inaspettato, e un lieve rossore si diffuse sulle sue guance. «N-non ne sono capace.»
«Ti insegno io. Non sarò Fred Astaire, ma non me la cavo male.»
«Finirò per pestarti i piedi.»
«Ho una soglia del dolore molto bassa.»
Alycia cedette a un timido sorriso. Presero a oscillare lentamente, mentre la melodia si diffondeva in tutta la serra.

 “Maybe it’s the tune sweethearts harmonise
Maybe, who can tell in the moonlight...”

«È così terribile?» domandò Jim al suo orecchio. I capelli ricci di lei gli solleticavano la guancia, morbidi come seta e profumati di gelsomino.
«No» mormorò Alycia, la cui tensione si era un po’ attenuata. «È solo…strano.»
Le fece compiere una piroetta, e la sua gonna si aprì e ruotò come la corolla di un fiore. Quando lei tornò tra le sue braccia, sorridente e con le guance ancora un po’ rosse, qualcosa nell’aria cambiò, come se un vortice avesse catturato improvvisamente la musica e il tempo, e il mondo avesse iniziato a ruotare più lentamente.
A dire il vero, Jim ne era solo vagamente consapevole, perché lui e Alycia erano occhi negli occhi adesso, e tutto il resto smise di esistere…
Un momento dopo, lei scostò lo sguardo verso qualcosa alle sue spalle.
«Jim» sussurrò piano. «Guarda.»
Lui sbatté le palpebre, mentre il mondo riprendeva a girare così bruscamente da dargli le vertigini. Alycia gli indicò il tavolo, dove la pianta di Anthea aveva iniziato a contorcersi e a vibrare, ondeggiando su se stessa a ritmo di musica.
«Non l’aveva mai fatto prima!» disse Alycia.
Dal singolo bocciolo se ne moltiplicarono altri, seguendo il crescendo delle note e piccole foglioline verde chiaro iniziarono a spuntare lungo il fusto.

“When you’re in my arms, what is it that charms me
Never ever get quite enough of
Maybe it’s the moon, blame it on the moon
But I think it’s love!”

Timidamente, i baccelli cominciarono a schiudersi, fino a rivelare la linguetta scarlatta del pistillo e poi i petali, di una delicata tonalità di lilla.
«Non ci posso credere!» esalò Alycia, portandosi le mani al viso. «Avevi ragione, era proprio la musica! Ecco perché nessuno ad Arcanta ha mai capito come farla crescere!»
«Sfido io» disse Jim. «Se le avete fatto ascoltare quella roba suonata con la magia e senza un briciolo di passione.»
Alycia raccolse il taccuino tra le mani tremanti e cominciò ad appuntarsi febbrilmente qualcosa. «Questo è.…è semplicemente rivoluzionario! È come se producesse endorfine sulla base di una precisa sequenza di note!»
La pianta, intanto, continuava a crescere, finché le sue foglie non traboccarono dal vaso e andarono a sfiorare il tavolo.
«Sarà meglio interrompere la musica, ora» esclamò Alycia. Non riusciva proprio a smettere di sorridere: era radiosa. «Prima che invada tutta la casa!»
  
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