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Autore: MaxB    30/11/2021    4 recensioni
Questa è una storia che ho iniziato a scrivere dopo aver finito di leggere il secondo volume, quando ancora doveva uscire il terzo.
La considero una prosecuzione della storia originale come se il terzo libro non esistesse, e narra quindi delle vicende familiari che si sono succedute dopo la fine de Gli scomparsi di Chiardiluna, con leggere modifiche alla trama.
Sostanzialmente, Thorn e Ofelia saranno alle prese con la vita quotidiana da coppia sposata, cercando di capirsi, vivere insieme e prendere confidenza l'uno con l'altra.
E con un inaspettato desiderio di Ofelia...
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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So che sono fuori tempo massimo, ma per farmi perdonare cercherò di postare entro martedì prossimo il capitolo successivo (che per contro sarà non proprio lunghissimo...).
Questo è un capitolo un po' di passaggio, di stallo alla fin fine, di adattamento, ma dal prossimo e da quelli a venire ci saranno delle altre novità/sorprese ecc.
Grazie mille come sempre per la pazienza che portate!


Capitolo 44

Con il passare del tempo il pensiero fisso della perdita di Lisbeth si affievolì, e divenne solo un dolore di fondo nelle vite di tutti, un dolore che c'era, ma non precludeva la felicità che si respirava quotidianamente e non impediva di vivere appieno la vita che tutti, in vari modi, si erano costruiti.
Tornarono alla normalità, con Renard che insegnava a Serena e Balder che continuava a copiare quello che era scritto alla lavagna, questa volta riuscendo a distinguere parole e figure; Berenilde presentò Vittoria a corte, iniziandola alle chiacchiere e ai salotti mondani, pieni di fumo e gente poco raccomandabile; la zia Roseline faceva spesso da scorta, per controllare che Berenilde non finisse più "ubriaca di un dolcetto di marzapane durante la Festa del vino" o "più incosciente di un vaso da fiori appeso al muro". In realtà, le uniche a doversi preoccupare erano proprio Berenilde e Vittoria; anzi, solo Berenilde. Vittoria più che altro si estraniava, disegnando sui suoi immancabili fogli bianchi ritratti più o meno lusinghieri delle signore imbellettate che inorridivano nel rendersi conto che Vittoria le vedeva per ciò che erano veramente, cosa che riempiva Berenilde di orgoglio. Quando parlava, se la mamma la invitava a farlo, chiacchierava di cose che non interessavano a nessuno perché esulavano dai soliti pettegolezzi, per cui per lo più si isolava, o disegnava, e quando si incontrava con Faruk scambiavano due parole in croce prima di mettersi a scarabocchiare insieme. I due sembravano avere un'intesa tutta loro. La zia Roseline invece, nel tentativo di proteggerle, si metteva a parlare con le persone sbagliate, a guardare dove non doveva, a inalare fumi da cui tutti si tenevano alla larga o a entrare in camere che sarebbe stato meglio lasciare chiuse. Il suo zelo nel voler proteggere Berenilde e la figlia erano ammirevoli, ma sarebbe servito qualcuno che proteggesse lei. Quante volte era toccato a Renard e Archibald riportare a casa la zia semisvenuta o in preda alle visioni perché incapace di camminare da sola!
Il prozio invece aveva trovato un proprio equilibrio: la mattina si riposava in salotto leggendo i giornali che Thorn aveva già letto all'alba fumandosi la sua pipa, oppure teneva un paio d'ore di lezione a Serena sulla storia di Anima, che conosceva meglio di Renard; di pomeriggio si faceva accompagnare in biblioteca da Renard, ansioso di conoscere di più circa la storia che il prozio raccontava a Serena, o sui viaggi che aveva fatto quando era giovane, altrimenti, specialmente quando faceva più freddo, spulciava i volumi della loro biblioteca di casa o giocava a carte con Ofelia, la zia Roseline, con la quale bisticciava sempre, e il primo malcapitato di turno. Abituata a vederlo tutto il giorno rintanato presso la sua casetta limitrofa agli archivi, Ofelia non aveva mai notato il lato avventuriero del prozio. La curiosità che lo aveva spinto a diventare l'Archivista e studiare tutto lo scibile possibile e immaginabile si era concretizzato, in più giovane età, in uno spirito avventuriero che si era recato su almeno una decina di arche diverse per apprendere sul campo le nozioni che aveva studiato sulla carta.
Ogni tanto proponeva qualche gita a Chiardiluna o a Cittàcielo per studiare il funzionamento del Polo, con le sue illusioni e i contributi di Madre Ildegarda all'architettura bizzarra e senza correlazione tra spazio esterno e interno, ma la maggior parte delle volte, per un motivo o per un altro, si concludevano in un nulla di fatto. Ofelia gli aveva mostrato una volta il suo studio di lettura, che attendeva solo che lei lo riaprisse. Quando erano andati Tyr aveva iniziato a gattonare ovunque toccando tutto e rendendo chiaro ad Ofelia che ancora non avrebbe potuto riaprirlo, sicuramente non nell'immediato, ma il fatto che fosse ancora lì, pulito e mantenuto, le permetteva di credere che un giorno avrebbe potuto ricominciare a lavorarci. Il prozio non aveva fatto molti complimenti, aveva osservato tutto attentamente e poi era uscito, facendo capire agli altri che era ora di tornare. Ofelia aveva scambiato il suo silenzio per delusione, ma quando il prozio le aveva detto che si dispiaceva per essersi fatto un'idea così sbagliata di Thorn e che era orgoglioso del progetto di Ofelia, aveva capito che in realtà la sua era solo commozione.
Quanto a lei e Thorn, avevano trovato la routine di sempre, i loro momenti rubati, a volte interrotti, travolgenti e ogni tanto nostalgici. Ofelia era sollevata ogni giorno di più quando si rendeva conto che quello che era successo non aveva allontanato lei e Thorn, anzi, se possibile li aveva avvicinati. Prima di mettersi a letto apriva sempre il ciondolo che portava costantemente al collo, leggendo i nomi che Thorn vi aveva fatto incidere, i nomi delle persone a lei più care. Lui udiva sempre il clic del pendente, e le depositava un bacio di comprensione sui capelli prima di spegnere la luce.
Ofelia capì che, qualsiasi cosa fosse accaduta, se l'affrontavano insieme sarebbe sempre andato tutto bene.
 
Con il passare dei mesi il caratterino di Tyr non migliorò, con rammarico dei genitori. E quello di Ilda non fu da meno. I due sembravano fatti della stessa pasta, agguerriti e pronti a scalpitare finché non ottenevano ciò che volevano. Raramente però l'avevano vinta, con due caratteri forti come quelli di Thorn e Gaela, che si imponevano e non cedevano per dei capricci.
Tra lo spuntare dei primi dentini, l'imparare a camminare da soli e le prime parole, a casa non c'era un attimo di silenzio: o i genitori che cercavano i figli scappati, o i figli che giocavano e urlavano quasi di proposito quando c'era un po' di quiete, o la zia Roseline che borbottava che quattro sculacciate rabbonivano sempre i bambini, da cui partiva poi il battibecco tra lei e il prozio.
Ofelia dormiva ogni volta che poteva, e portava Serena e Balder con sé di pomeriggio, ma Tyr non voleva saperne di dormire quando era il momento e faceva il nottambulo. Ofelia si chiedeva dove trovasse tutta quell'energia, che pareva sottrarre a Thorn stesso a giudicare dalle occhiaie sempre più profonde che aveva.
Stava tranquillo solo in braccio al prozio, stranamente, a cui si divertiva a tirare i baffi, o quando giocava con i fratelli. Come Balder emulava Serena in tutto, così Tyr ammirava Balder, copiando ciò che faceva e cercando sempre la sua attenzione. Ad Ofelia ricordava tantissimo Hector: anche lui da piccolo era dipendente da lei, che però non cercava spesso la compagnia di Agata. Si divertivano sempre però, anche se avevano giocato insieme poco tempo prima che Agata diventasse grande e cominciasse a comportarsi come una donna in cerca di marito.
Balder era dolce e gentile tanto quanto Tyr era prepotente e irrequieto, ma una parola del fratello era legge per lui. Bastava che gli facesse segno di fare silenzio con il dito davanti alla bocca perché le urla di Tyr scemassero fino a spegnersi del tutto. E solo quando Balder gli proponeva di stare insieme sul divano Tyr si addormentava.
- Perché obbedisce più a suo fratello maggiore che a noi? - le chiese una sera Thorn, dopo che Balder ebbe cominciato a sistemare i giochi, imitato da Tyr.
- Perché è un bambino come lui, però più grande. Lo vede come un modello.
Thorn aggrottò la fronte. - Dici che gli faccio paura?
Ofelia si bloccò mentre piegava un vestito e lo riponeva nell'armadio. - Perché dovresti fargli paura?
Thorn si grattò la testa, evitando il suo sguardo. - Si acciglia sempre quando mi vede. Non sembra contento.
In effetti, rispetto ai fratelli che quando lo vedevano tornare dal lavoro correvano ad abbracciargli le gambe, Tyr metteva il broncio. Però non aveva alcun motivo di temerlo, né di sfidarlo.
- Ha solo un carattere più difficile dei suoi fratelli, tutto lì. Io, Hector e Agata siamo agli antipodi.
- Deve aver preso dai Draghi - ipotizzò allora Thorn, chiudendo il discorso e prendendo la pipa, dirigendosi in salotto.
Ofelia abbozzò un sorriso mentre mormorava: - Broncio, scortesia e durezza non li ha presi di certo da me.
- L'abilità di fare confusione e disobbedire sì però - gli giunse la risposta di Thorn dal corridoio.
Ofelia sussultò, stupita che Thorn l'avesse sentita. Poi soffocò una risata nel guanto invece che risentirsi. In fondo, anche quel botta e risposta era un tentativo di Thorn di fare dell'umorismo.
 
Un freddo e piovoso pomeriggio, mentre erano in salotto vicino al fuoco, a parte Berenilde e Vittoria, Archibald, Renard e Gaela, il prozio si avvicinò a Serena e le porse una scatolina di legno.
- Che cos'è? - domandò la bambina con gli occhioni sgranati, prendendola con attenzione.
- Ormai hai quasi sette anni Serena, giusto? - le chiese l'anziano senza risponderle.
Serena annuì in silenzio.
- Tua madre aveva esattamente la tua stessa età quando diede vita al suo primo golem, quella sciarpaccia brutta, vecchia e con un pessimo carattere.
La zia Roseline, intenta a sferruzzare con gli aghi da cucito, aggiunse qualcosa a proposito della sua maleducazione. In risposta, offesa, la sciarpa si mise ad agitare le code in aria, spettinando Ofelia, rischiando di strozzarla e facendole rovesciare il tè. Thorn guardò la scena con un'occhiata di gelida disapprovazione.
- Cos'è un golem, zio? - chiese candidamente Serena.
- Un golem è qualcosa, un oggetto, con caratteristiche e sembianze umane. Nel nostro caso, noi animisti insuffliamo vita e caratteristiche umane un po' a tutto, giusto?
Serena annuì solennemente, imitata da Balder che stava ascoltando con attenzione come la sorella. Tyr si mise sull'attenti in silenzio, più per copiare i fratelli maggiori che per comprensione di ciò che stava accadendo. Infatti si distrasse subito, ma almeno rimase tranquillo.
- Non tutti gli oggetti che prendono vita però sono golem. Se io ora animo una tazzina da tè, quella tazzina prenderà un po' del mio carattere, di quello che provo in questo momento, ma quando mi allontanerò tornerà la solita tazzina inanimata. Un golem, invece, non è qualcosa che animiamo, è qualcosa a cui diamo vita. Qualcosa che costruiamo noi, pezzo per pezzo, e in ogni pezzo c'è un po' di noi stessi. Apri la scatola.
Serena obbedì... e aggrottò la fronte come Thorn. - Che cos'è?
- Sono i pezzi di una nuova invenzione chiamata penna. Al contrario di quelle che usiamo noi, che vanno intinte nel calamaio con l'inchiostro, come fa tuo padre, questa contiene già dentro l'inchiostro. Quando la penna viene premuta esce, permettendoti di scrivere. Quando l'inchiostro finisce lo puoi aggiungere, così non dovrai mai cambiarla.
Serena continuava a fissare quei pezzi sparsi con scetticismo, il naso quasi dentro la scatola. Thorn aveva la stessa identica espressione dipinta in volto, ma quando si chinò in avanti mettendo da parte il giornale e la pipa, con i gomiti sulle gambe, Ofelia notò una certa curiosità brillare nei suoi occhi di metallo.
Serena prese un piccolo pezzo nero lucido con inserti dorati e lo fissò con estrema disapprovazione.
- Come fa a scrivere questa cosa, zio?
- Penna, non cosa - la ripreso il prozio. - Bisogna costruirla, prima.
- Tutte le cose costruite a mano sono golem?
Lo zio si massaggiò i baffi. - Solo se tu lo vuoi. Ad Anima c'è una sarta con un pessimo carattere che confezione abiti e cappotti scorbutici e ben poco collaborativi. Quelli sono stati costruiti, per così dire, ma per essere venduti, dunque non sono i golem della proprietaria. E addosso al nuovo possessore potranno magari rabbonirsi un po', ma non diventeranno mai il suo oggetto speciale. Conserveranno sempre le attitudini della sarta.
Serena annuì, come se finalmente avesse capito.
- Posso aiutarla? - chiese timidamente Balder, allungando una manina per toccare i pezzi di penna.
- No - lo ammonì subito il prozio, alzando un dito nodoso. - Il proprio oggetto personale va costruito senza aiuti esterni. E tu, figliola, faresti bene a toglierti quel broncio dal viso. Quando crei i tuoi golem è consigliabile essere ben disposti, tranquilli e ottimisti, così da insufflare in essi solo caratteristiche e sentimenti positivi. Se costruisci la tua penna quando sei arrabbiata o indispettita, se ne andrà in giro a vita a schizzare inchiostro in faccia alle persone.
- Non sarebbe neanche male, con certi individui... - borbottò la zia Roseline.
Serena invece distese la fronte, regalando un piccolo sorriso al prozio. - Grazie. Ora la costruisco subito.
- Ci vuole pazienza, non affrettare le cose.
Nel raddrizzare la schiena, il prozio si sentì scricchiolare tutte le giunture e venne colto da colpi di tosse terribili. Ofelia fece per andargli in aiuto, ma l'anziano la bloccò. - Nulla che un po' di grappa non possa risolvere.
Il resto del pomeriggio trascorse in silenzio, con Ofelia che leggeva un libro seduta accanto a Thorn, i corpi a contatto, lui che analizzava delle relazioni o si studiava i giornali, la zia che sferruzzava e il prozio appisolato. Balder se ne rimase immobile di fianco a Serena, osservandola da vicino ma senza disturbarla per paura di interferire con tutta quella cosa difficile che il prozio aveva descritto. Tyr invece se ne stufò ben presto e iniziò ad andare in giro barcollando sulle gambe grassocce, senza però infastidire nessuno, per una volta.
Serena impiegò tre giorni a completare la penna. Non era stato facile costruirla pezzo per pezzo, soprattutto in mancanza di istruzioni e dato che era la prima volta che vedeva un oggetto simile. Non si era mai spazientita, e Ofelia aveva sempre notato la cura che impiegava e gli sforzi che faceva per non arrabbiarsi quando non riusciva ad incastrare un pezzo e, nel tentativo, se ne staccavano altri due. Anzi, la vide studiare ogni piccolo meccanismo della penna, valutarlo, accarezzarlo persino, sorridendo di fronte a quella superficie scura, liscia e fredda.
- Non è bellissima, mamma? - le chiese quando era a metà dell'opera e già si potevano vedere gli intarsi dorati che accarezzavano il metallo nero in voluttuosi ricami.
- Molto. Ti piace?
- Sì, è un regalo speciale - ammise Serena, rimettendosi al lavoro.
Quando incastrò l'ultimo pezzo lanciò un urletto di gioia, ridacchiando da sola. Era seduta al tavolo del salotto, in compagnia solo della mamma.
- Hai fini...?
- Cosa accade in questa stanza senza che io lo venga a sapere? Oh! - esclamò Archibald, mentre con la sua esuberanza faceva rimpicciolire Serena. - Sarà mica una penna quella? Una novità assoluta che proviene direttamente da Babel. Chi te l'ha data, adorabile figlia di Thorn?
- Il prozio - mormorò Serena, timida.
- L'hai provata?
- Non ancora, ho appena...
- Aspetta qui - la interruppe lui, dileguandosi.
Ofelia voleva alzarsi per andare ad ammirare l'opera finita, consapevole soprattutto del fatto che le attese che Archibald imponeva potevano durare ore, se non giorni. Invece Archibald tornò subito con diversi fogli di carta. Si sedette accanto a Serena e glieli porse.
- Ecco a te, scrivimi una bella poesia.
Serena abbassò lo sguardo sui fogli. - Va bene signore.
Archibald batté più volte le palpebre, e un sorriso finto quanto il sole del Polo gli sbocciò sulle labbra. - Signore?! Signorinella, nessuno mi ha mai dato del signore. Che fine ha fatto lo zietto?
Serena guardò la mamma, chiedendole con lo sguardo come fare. Con Thorn stava cercando di insegnarle che, ora che era più grandicella, era importante mostrare rispetto alle persone più grandi. A malincuore le stavano facendo capire che doveva dare del voi sia ai suoi genitori che alle zie e a chiunque bazzicasse casa loro.
Ofelia le fece cenno con la testa, verso Archibald, suggerendole di parlare direttamente con lui.
Come sua madre, Serena si morse la cucitura di un guanto prima di rispondere. - Volete che vi chiami ancora zietto?
Per una frazione di secondo Ofelia vide lo sbigottimento dipinto sul volto di Archibald, che però si riprese subito, cominciando a scherzare. - E come altro dovresti chiamarmi? Sono o non sono il tuo zietto?
Serena aprì la bocca per ribattere, poi la richiuse. Si fissò i guanti prima di iniziare a giocherellare con il suo ciondolo. - Veramente il mio zietto è Hector, il fratello della mia mamma. Non siamo davvero parenti noi - aggiunse bisbigliando, come se stesse rivelando un segreto ad Archibald.
Quest'ultimo si toccò il cuore nell'esagerazione di un'offesa. - Così mi ferisci. Be', chiamami come vuoi, figlia di Thorn, basta che non mi chiami signore.
Serena recuperò il sorriso poco a poco, sollevata. - Zietto va bene.
Archibald le scompigliò i capelli biondi e sottili. - Fammi vedere come funziona questa nuova invenzione.
Serena prese con reverenza un foglio, tolse una specie di cappuccio protettivo alla penna e ne posò una punta dorata ed elegante, molto sottile, sul foglio. Esercitò una leggera pressione, e la penna sputò fuori una grossa quantità d'inchiostro che si espanse, nera, macchiando la pagina candida.
Serena aggrottò la fronte. - Devo ancora imparare a dosarla.
- Aiutati con l'animismo. Forse hai trasmesso alla penna un po' delle tue insicurezze. Credi in ciò che sai fare, nella tua costruzione della penna, e nella penna stessa. In fondo, è nata da poco anche lei - la istruì Ofelia dirigendosi verso il tavolo, di fronte a Serena e Archibald.
Serena annuì, concentrata, e ci riprovò.
Al quarto tentativo, dopo aver chiuso gli occhi e tenuto la penna aperta sul suo palmo, riuscì a tracciare una linea pulita, morbida ed elegante sul foglio. L'inchiostro si espandeva ai lati dando al tratto un'area da lettera miniata.
Alla settima prova, Ofelia si rese conto che la mano di Serena tremava leggermente per lo sforzo, ma la penna cominciava a correggere da sola la sua traiettoria. Sorrise di fronte all'ottimo lavoro della figlia.
Come leggendole nel pensiero, Serena sospirò, chiuse la penna con quello che doveva essere il suo tappo, e la posò sul foglio quasi interamente asciutto. Mise la mano aperta sul bordo del tavolo, e attese che la penna, obbediente, le rotolasse sul palmo. Soddisfatta, con gli occhi luccicanti, la incastrò in una tasca che aveva sul petto del vestito che le era già diventato troppo corto. Ofelia si augurava che non diventasse troppo alta, anche se era certa che tutti i suoi figli l'avrebbero superata in altezza.
Archibald si massaggiò le guance, ricoperte da una barba bionda selvatica e irregolare che gli dava un'aria ancora più sciatta e attraente, purtroppo. - Gran bella invenzione questa. Non bisogna portarsi il calamaio ovunque. Figlia dell'intendente, mi attendo che tu diventi un'artista in grado di ritrarmi con precisione pedissequa. La mia bellezza deve essere celebrata negli anni avvenire, non credi?
Serena lo guardò con gli occhioni scuri sgranati. - Non sono capace di fare ritratti.
- Mi accontenterò di un qualsiasi schizzo, anche se astratto. Va molto di moda questa nuova corrente. La chiamano arte, quando sono solo guazzabugli caotici che persino un bambino disegnerebbe meglio. Senza offesa, mia dolce Serena.
Archibald le scoccò un'occhiata furbetta da ragazzino. Con quegli occhi color cielo, quell'aria giovanile nonostante fossero praticamente coetanei e il sorriso accattivante, Archibald era indubbiamente affascinante, forse l'uomo più bello che Ofelia avesse mai visto. Eppure, quel cielo era sbiadito, la giovinezza era spenta, il sorriso era vuoto. Ad Ofelia sembrava che Archibald fosse davvero se stesso solo in compagnia dei suoi figli, bambini che regalavano il più puro e incondizionato tipo di affetto. Un amore e una fiducia che guarivano ogni cosa, bastava vedere l'effetto che avevano avuto su Thorn.
Balder entrò in salotto in quel momento, mano nella mano con Tyr che, appena varcata la soglia, gliela lasciò per scagliarsi contro il divano. Ci rimbalzò contro e cadde, ma con testardaggine e il cipiglio degno del padre continuò a provare ad arrampicarvisi sopra. Ofelia era arrivata al punto che gli lasciava fare qualsiasi cosa volesse, purché non urlasse e non si facesse male. Mobili appuntiti non ce n'erano, quindi che provasse pure a fare lo scalatore.
Balder si avvicinò ad Archibald allungando le braccia, e l'ex ambasciatore lo prese in braccio, facendoselo sedere sulle gambe. Erano un bel quadretto, tutti e tre chini sul foglio ad osservare le varie funzioni della penna e le sue prime mosse, il suo approccio con la padrona. Ofelia si ricordava ancora come all'inizio, nel prendere confidenza con lei, la sciarpa si fosse comportata come un cane o un gatto, prima chiedendo attenzioni e poi standosene per i fatti suoi, finché non erano diventate inseparabili. Più o meno. In quel momento la sciarpa le si era attorcigliata ai piedi, imprigionandola su quella sedia. Ad ogni tentativo di recupero da parte di Ofelia conseguiva uno schiaffo di lana sulla mano, segno inequivocabile che la sciarpa era di cattivo umore e non voleva essere disturbata. O probabilmente, più che arrabbiata, era stanca. Era così vecchia ormai...
Ofelia si rese conto della presenza silenziosa di Thorn sulla porta solo per via del suo sguardo tagliente che faceva a pezzi Archibald. Vederlo con i suoi figli lo rendeva sempre nervoso.
Fortunatamente Serena si accorse di lui e si aprì in un sorriso.
- Papà! Guardate che bella la mia penna! - esclamò, felice.
La penna si spaventò e si affrettò a rifugiarsi nella manica di Serena, facendola ridere.
Rigido, Thorn continuò a fissare trucemente Archibald, che rispose con il solito ghigno impertinente e superiore, ma si avvicinò lo stesso e con movimenti poco pratici, piegando il lungo corpo, si sedette accanto ad Ofelia, di fronte a Serena.
La bambina mostrò al papà come funzionava la penna, come scriveva bene, e quando Thorn chiese se poteva provarla Serena gliela cedette quasi a malincuore. Doveva aver preso anche la gelosia dal padre...
La penna si fece maneggiare agevolmente da Thorn, probabilmente perché riconosceva già i sentimenti di Serena verso di lui, e Thorn prese un foglio bianco. Lo intestò, lo datò, lo scrisse e lo firmò come fosse un documento ufficiale e, arrivato alla fine, fece per riporre la penna nel calamaio, che non c’era. Aggrottò le sopracciglia mentre i bambini, Archibald e Ofelia lo osservavano attoniti.
Thorn si schiarì la voce. – È maneggevole. Anche un po' di più. Invenzione utile.
Continuò a stringerla, come per provare diverse posizioni e capire quale fosse la migliore, ma quando Serena porse la manina per riaverla indietro la penna si agitò, sgusciandogli via dalle lunghe dita per andare da quelle della padrona.
- Mi piace. Mi piace tanto - ammise la bambina. - Posso ringraziare ancora lo zio, mamma?
- Ne sarebbe felice. Penso che sia...
Dalla biblioteca provennero dei colpi di tosse che non potevano che appartenere all'archivista, così Serena scese giù dalla sedia senza che ci fosse bisogno di concludere la frase.
- Venite anche voi, z... - cominciò a chiedere la bambina, interrompendosi quando si accorse che Thorn la fissava. - Archibald?
- Ah! Questi padri protettivi! - si lamentò ironicamente l'ex ambasciatore, lanciando in aria Balder che rise per la sorpresa. - Niente di cui preoccuparsi, intendente, baderò io alla vostra adorabile prole! Per fortuna assomigliano più alla madre che a voi!
- Io assomiglio al papà - lo contraddisse invece Serena, che non vedeva nulla di male nell'essere come Thorn.
Quando uscirono, Ofelia continuò ad osservarlo, con quella fronte increspata mentre pensava e l'aria tormentata. Voleva prendergli la mano, ma quando allungò la propria Tyr urlò e si mise a tirare cuscini alla rinfusa, rischiando di cadere dal divano. Thorn fu da lui in due falcate, impedendogli di farsi male con il tavolino basso.
Ofelia osservò la calligrafia appuntita e spigolosa, precisa come lui, e sentì l'urgenza di fare qualcosa per Thorn. Avvicinandosi silenziosamente alle sue spalle, lui prese il foglio e fece per tornare nel suo studio, anche se in quel momento doveva essere più simile a una camera dei giochi che ad un luogo di lavoro, viste le risate che ne provenivano.
Ofelia sgranò gli occhi. - È veramente una relazione di lavoro quella che hai redatto?
Thorn le lanciò un'occhiata fugace mentre si allontanava con Tyr in braccio che litigava con le spalline della sua giacca. - Io non perdo mai tempo.
Ofelia si mise a ridere e li seguì: aveva bisogno di chiedere alcune informazioni al prozio.
 
Pochi giorni dopo, in piena notte, Ofelia raggiunse lo studio e si appoggiò alla scrivania di fronte a Thorn, intento a correggere, anzi, ricoprire di correzioni una relazione che evidentemente non aveva scritto lui.
- Non vieni a letto?
- Devo concludere qui, è urgente per domani.
Ofelia attese che la guardasse prima di porgergli una scatolina allungata ricoperta di velluto, cosa che Thorn fece dopo diversi secondi.
- Cos'è? - la interrogò, diffidente, senza nemmeno spostare i fogli o allungare la mano.
Trattenendo un sospiro esasperato, Ofelia mise la scatolina sopra la relazione. - Aprila e scoprilo.
Thorn prese l'orologio e lo consultò prima di decidersi a toccarla. - Ho poco tempo...
Assottigliò gli occhi tanto che Ofelia si chiese se non li avesse direttamente chiusi, quando ne vide il contenuto. Thorn continuò a rimanere immobile, senza nemmeno parlare, e Ofelia cominciò a preoccuparsi.
E a confondere le parole. - Un regalo per me. Da me, cioè. Mi ho fatto un regalo.
Sistemandosi gli occhiali sul naso, anche se non ce n'era bisogno, e dopo uno schiaffo amichevole da parte della sciarpa, ci riprovò.
- Con questa puoi lavorare anche a letto. Così non devo sempre preoccuparmi se... non ti vedo.
Thorn finalmente allungò le lunghe braccia magre per prendere tra le dita la penna che Ofelia aveva fatto importare. La girò, osservandola da tutte le parti, togliendole il tappo per esaminarla in ogni dettaglio. Quando la provò, però, non uscì inchiostro.
- Manca la cartuccia, così hanno detto che si chiama - lo avvisò, allungandosi per cercare di togliere il doppio fondo della scatola. - Qui sotto ci sono una decina di ricariche, così... oh, scusami...
Maldestramente, Ofelia aveva sì rivelato lo scomparto delle cartucce d'inchiostro... rovesciandole però tutte per terra.
- Per lo meno non sono come il calamaio, niente macchie. Queste vengono bucate dalla penna, quindi sono innocue finché non...
Thorn, che si era chinato con lei per raccoglierle, la zittì con un bacio. Lasciando perdere tutto quello che c'era per terra, tanto non avrebbe macchiato nulla, le infilò le mani tra i capelli. Ofelia provò a protestare, ma quando percepì l'urgenza di Thorn non poté far altro che arrendersi, cercare di prendere fiato e lasciarsi adagiare sui tappeti della biblioteca.
- Hai preso quella penna per me? - le domandò quando scese a baciarle il collo.
- Sì - ansimò lei, affannata.
- Perché? - domandò Thorn mentre le slacciava la camicia da notte.
Con un grugnito decise che non importava e gliela alzò semplicemente sulle gambe.
- Per farti un regalo. Pensavo ti potesse piacere, mi era parso così quando hai usato quella di Serena. Io...
Ofelia dovette interrompersi, mordendosi le labbra, mentre Thorn la toccava ovunque con quelle mani grandi, calde e...
- Ofelia? - la richiamò Thorn. 
Spalancando gli occhi, Ofelia se lo ritrovò di fronte, impaziente e preoccupato.
- Stavi dormendo?
Ofelia batté le palpebre più volte, come per mettere a fuoco, ma aveva gli occhiali. Che si tinsero di rosa... come poteva dirgli che era andata in estasi solo per le sue carezze? Non avevano nemmeno iniziato a fare sul serio.
- Ho sbagliato? - gli chiese, distraendolo. - Il regalo. Non ti piace?
Thorn rimase fermo sopra di lei, muovendo gli occhi dappertutto e senza riuscire a soffermarsi su qualcosa. Ofelia si chiese cosa gli stesse frullando in testa per essere così confuso.
- Io... grazie. È... la sorpresa più bella che abbia mai ricevuto.
Ofelia si rilassò sotto di lui, commossa da quella risposta. - Più dell'orologio di tua zia?
Thorn se lo tirò fuori dalla tasca, lo osservò come se fosse la prima volta che lo vedeva, e lo mise sulla scrivania di fianco alla penna.
- Sono due cose diverse - spiegò con il solito tono da intendente, così diverso dalla voce roca e sommessa che aveva usato poco prima. - Quello di mia zia è un regalo che non sapevo di volere. Il tuo invece è stato fatto di proposito, in base ad una mia reazione. Tu sapevi che mi sarebbe servita quella penna. No, non servita, piaciuta.
Ofelia sorrise apertamente, baciandogli il mento ispido di barba pallida. Poi passò alle sue labbra e non servì aggiungere nulla, Thorn le fece capire bene quanto avesse apprezzato quel regalo.
Andò a dormire, molto tardi, correggendo un centinaio di pagine inadeguate e riscrivendo appunti sostitutivi.
Però lo fece a letto, con la luce soffusa della lampada da comodino, e con sua moglie placidamente addormentata accanto a lui.
  
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