Anime & Manga > Haikyu!!
Ricorda la storia  |      
Autore: Kodama_    01/12/2021    2 recensioni
[Sugawara/Shimizu | Hogwarts!AU]
Sugawara guarda lo Specchio, e dall'altra parte non vede la fine della guerra.
Vede Shimizu.
(Storia partecipante alle seguenti iniziative: 'regali di inchiostro fra i tavoli del pub', organizzata dal gruppo facebook 'L'angolo di Madama Rosmerta', e 'il calendario dell'avvento' organizzata da Coraline sul forum di Feriscelapenna.)
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kiyoko Shimizu, Koushi Sugawara
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Storia partecipante alle seguenti iniziative: 'regali di inchiostro fra i tavoli del pub', organizzata dal gruppo facebook 'L'angolo di Madama Rosmerta', e 'il calendario dell'avvento' organizzata da Coraline sul forum di Feriscelapenna, con il prompt 'dall’altra arte dello specchio'.

A Gaia Bessie.

Altrove


Erouc li amotlov li ottelfirnon


Dieci minuti al giorno.
È il tempo che si concedono Sugawara e Daichi davanti allo Specchio delle Brame celato nella Stanza delle Necessità, una parentesi fittizia in cui guardano la felicità senza viverla davvero. Ma quel desiderio recondito, quella chimera che è miraggio, disperazione e speranza, li aiuta a ricordare perché combattono, perché ogni giorno si svegliano e impugnano la bacchetta invece di ingollare una fiala di distillato di morte vivente, o di lanciarsi direttamente dalla torre dei Grifondoro al settimo piano. Loro si ritrovano, nel loro riflesso. Si riconoscono, in quei contorni, in quella sagoma di corpi, nella curva delle iridi iniettate di sangue e stanchezza e dolore - quanto, quanto dolore.
È un monito che dice: esistete, bramate, perciò siete. E allora stringete i denti e resistete.
Un giorno Sugawara domanda a Daichi che cosa vede, dall'altra parte.
''La fine della guerra,'' risponde lui, senza esitare. ''E tu?''
''Pure,'' risponde Sugawara con la medesima immediatezza, il medesimo sorriso amaro, la medesima voce priva di tremito, una bugia che gli sfugge dalle labbra come aria arroventata.
È una bugia inutile, comunque. Sugawara mente, Daichi lo sa. Sugawara sa che Daichi lo sa, si conoscono da quando hanno undici anni, hanno comprato la loro bacchetta insieme, non ricordano più neanche cosa significhi avere dei segreti. Ma tanto che importa? La guerra dovranno combatterla comunque, bugie o no. Perciò Sugawara mente per il gusto di mentire, mente per abitudine, mente perché tanto Daichi capirà sempre la verità, pure se Sugawara smettesse di parlare.
Daichi gli accarezza la testa. ''Non rimanerci troppo, qui davanti.''
Sugawara annuisce. Lo sa, certo che lo sa, altrimenti giungerebbe la follia, rovinerebbe su di lui come una valanga, verrebbe risucchiato da un’utopia impalpabile e velata - ma d’altronde oramai tutto è velato, velato di lacrime, velato di sangue, velato di morte. E in fondo quelli sono solo dieci minuti, dieci minuti anche quando di ore ne passano tre, quattro, cinque, tutta la notte. Dieci minuti che Sugawara sottrae alla realtà torbida e cupa, dieci minuti al giorno che sanno di miele sulle labbra, miele che è anche un po’ veleno, il distillato che non ha il coraggio di bere, dieci minuti al giorno di scorci azzurri e sereni dell’anima che però sono impalpabili.
Sugawara guarda lo Specchio, e dall'altra parte non vede la fine della guerra.
Vede la neve.
Vede Shimizu.

*

A Shimizu l'argento piaceva. Shimizu aveva sempre detto che preferiva i colori della sua casa, i colori dei Serpeverde, a quelli rosso e oro dei Grifondoro. Sugawara rideva e allora le prestava la sua sciarpa, l'avvolgeva intorno al suo collo sottile e le labbra di Shimizu si incurvavano in un sorriso grato. Poi se la tirava su fino al naso, socchiudeva gli occhi contenta e mormorava grazie. Quel grazie rimaneva a scaldarsi nelle pieghe delicate della lana, acciambellato come un gatto fra cuscini.
Poi andavano a lezione, al campo da Quidditch, a prendere una Burrobirra ai Tre manici di scopa con Daichi e Asahi, sgattaiolavano la notte fra scale e corridoi incantati, la torre di Astronomia su cui potevano ammirare un cielo punteggiato di stelle che prometteva una libertà in cui Shimizu non credeva, e un’amore che Sugawara percepiva alla sua destra.
A Shimizu piacevano il verde e l'argento, ma Sugawara la trovava splendida con i colori caldi. Sugawara in realtà la trovava splendida sempre, e l'avrebbe trovata splendida con indosso qualunque cosa.  
Non con il marchio nero, però. Quello non le stava bene. Quello era sbagliato.
Eppure c'era. Era lì, un serpente che si contorceva famelico e minaccioso sul suo avambraccio delicato, verso il polso esile, un sibilo e un attorcigliarsi di inchiostro indelebile, oscuro, lancinante. Sembrava che glielo avessero appiccicato addosso, cucito con forza, perché era innaturale, era impossibile, era…
''È uno scherzo,'' le aveva detto Sugawara ridendo. ''Stai scherzando. È un incantesimo di Illusione, mi hai messo qualcosa nel succo di zucca. O forse sto sognando.''
Shimizu aveva scosso la testa, in diniego. Sugawara lo sapeva, che Shimizu non scherzava mai. Non che non avesse senso dell’umorismo, semplicemente le sue labbra erano incapaci di pronunciare falsità, non trovava un senso nel dire bugie. Perché sprecare fiato? Meglio il silenzio, a quel punto.
''No,'' aveva risposto infatti. ''È tutto vero. E tu non lo dirai a nessuno.''
Non era una domanda, la sua. Né un’implorazione, non lo stava supplicando di mantenere il segreto. Il suo era un ordine. No, neanche, più che un ordine si trattava di una semplice constatazione, un dato di fatto.
E così era stato. Sugawara non aveva aperto bocca. Se Shimizu non era in grado di pronunciare falsità, Sugawara non aveva fatto altro che mentire, agli altri e a se stesso.
''Eri sotto la maledizione Imperius,'' gli spiegherà Asahi dopo, tentando di giustificarlo - tentando di tranquillizzare se stesso. ''Ti ha tappato la bocca così. Con la magia. Non hai colpe.''
Sugawara annuiva. Doveva annuire per forza, non poteva mica ammettere che no, lui sotto l’influenza della Maledizione Imperius non c’era mai stato, lui era stato zitto, muto, perché Shimizu era splendida, perché gli orli della sua divisa erano impreziositi di cuciture rosse e dorate, perché Sugawara non ci aveva mai creduto, non fino in fondo, come se si fosse trattato di un incubo a occhi aperti.
E adesso, Sugawara guarda lo Specchio. Dall’altra parte c’è Shimizu che accenna un sorriso, Shimizu con l'avambraccio immacolato, Shimizu che è una bambina, ha undici anni, è appena giunta con gli occhioni spalancati in una scuola che diventerà la sua seconda casa, e indossa un cappello troppo grande che le copre il naso.
Sugawara si domanda quando sia cominciato. Quando, esattamente, Shimizu abbia iniziato a cambiare, a volgere la testa verso un futuro diverso, verso il buio. Quando, esattamente, il filo limpido di cui era fatta la sua anima abbia iniziato a corrodersi, a sfilacciarsi, una corda che si tende troppo e che sta per spezzarsi. Quand’è che Shimizu, Shimizu che era luce eterea e vera, abbia iniziato a tramutare in ombra.

*

Quando Daichi muore in missione per conto dell’Ordine, Sugawara non ci crede. Così come non crede al fatto che sia stata lei, a ucciderlo. Due bugie che si aggiungono alla lunga lista di quelle che si racconta, così come ancora non crede che lei abbia davvero il marchio impresso nel braccio - nel cuore.
Davanti allo Specchio, adesso ci va da solo. Sugawara ha smesso di contare i minuti e le ore, incurante della follia che si intensifica, che progredisce e si dipana come una ragnatela sotto la pelle, nella carne. Anzi, in un certo senso, ora le è grato.
Inizia a domandarsi se la vera realtà non sia quella dall’altra parte della superficie riflettente. Si domanda se non sia lui stesso, a essere intrappolato al suo interno
Mentre guarda lo Specchio, si domanda se vedrà Daichi. Dovrebbe vederlo perché gli manca, perché era il suo migliore amico, perché la sua morte è stato il trauma più grande che abbia mai vissuto.
E invece no. C’è sempre lei, dall’altra parte. Shimizu che era rosso e oro, ma che voleva essere verde e argento. Shimizu che è Shimizu, braccia e pelle ricoperte dalla neve delicata e soffice che Sugawara vorrebbe sfiorare, mangiare.
Sugawara, nel riflesso, vede lei e vede se stesso passeggiarle accanto, due corpi poco distanti e due ombre unite, un inverno che pare eterno sotto le suole delle scarpe.
Sugawara poggia una mano sul vetro e si domanda se non ci sia un modo per attraversarlo. Si domanda se, continuando a spingere, a premere forte, il vetro gli permetterà di passare, inglobandolo in quel ricordo, in quel sogno luminoso che custodisce al suo interno, che riflette misericordioso e al contempo spietato. Lui sarebbe disposto a pagare qualunque prezzo.
Sugawara prega, prega, prega che il vetro si ammorbidisca, che diventi liquido, fammi entrare, fammi entrare, fammi entrare, ti prego, ti prego.
Ma il vetro, come ogni verità inesorabile, rimane gelido e indifferente e muto mentre gli mostra bagliori intangibili e inodori di un passato che Sugawara non potrà più rivivere.

*

Quando la battaglia arriva, Sugawara non vede più nulla. Non vede la scuola crollare, le armature implodere, non vede i corpi - no, i cadaveri - dei compagni e degli insegnanti accasciarsi sotto lampi di luce verde, gridi interrotti sulle labbra, espressioni congelate di terrore e di rabbia, le ultime proteste contro una morte ingiusta, improvvisa, sbagliata. Non ode gli strilli straziati, l’isteria malata, le maledizioni Senza Perdono scagliate a raffica, le finestre che si spaccano, i quadri e i libri che bruciano, i Lupi Mannari che sbranano, il vuoto assordante e perenne di quando il tuo migliore amico ti muore davanti.  
Sugawara non sente e non vede niente di tutto questo. Sugawara vede solo lei dall’altra parte. Lei che cammina nella neve, lei che dietro di sé lascia impronte minute e leggere, la sua sciarpa verde e argentata che brilla anche nella nebbia, quella rossa e dorata appallottolata nella tasca come fosse un difetto da nascondere, una vergogna. Lei che è neve, eppure gli ricorda la primavera più florida, una gioia incontenibile a cui Sugawara si aggrappa, come i barattoli che preparava Asahi, quelli che all’interno custodivano piccole fiammelle calde che loro si nascondevano sotto la veste larga, per sopportare meglio il freddo che riecheggiava fra le mura di pietra e i soffitti alti durante le lezioni di Trasfigurazione - se soltanto avessero saputo che il gelo dell’inverno non è neanche lontanamente paragonabile al gelo vero.
Shimizu cammina nella neve ovattata, fra fiocchi che fluttuano, che volteggiano sulle note del silenzio, e Sugawara ode solo il rumore dei suoi passi, gli occhi poggiati sul suo collo sottile, sulla guancia che vuole accarezzare, sul suo portamento regale, fatato.
Infine Sugawara la vede per davvero. Elegante, dritta, avanza muta irradiando una potenza terrifica, gli occhi sgranati e inquieti, feroci. Il suo mantello ora non è né rosso oro, né verde argento, ma scuro come il suo marchio. Shimizu lo guarda, lo vede, si avvicina.
''Va’ via,'' gli ordina, profonda e disumana come l’oceano. ''Va’ via, Sugawara.''
Sugawara si ferma. Ode la sua voce e torna a respirare.
Shimizu sfodera la bacchetta. Gliela punta al petto.
''Va’ via,'' ripete per la terza volta. E qui emerge una flebile incrinatura di supplica, di dolore represso, un bagliore di debolezza che le storce le labbra, che le tende le sopracciglia, una linea di ferro dritta e implacabile che tutt'a un tratto si spezza, si spacca come il suo cuore.
Ma Sugawara non va via, perché lui oramai vede esclusivamente dall’altra parte. E questa volta non c’è nessun vetro, questa volta è libero di avanzare, un equilibrista folle che procede sospeso sul vuoto, sotto i piedi una corda fatta di illusione e di amore che si sfalda, si sgretola e si sbriciola perché amore e illusione sono i due concetti più sbagliati su cui basare le fondamenta del benessere della propria anima.
Sugawara vuole prenderle la mano, cancellare via il marchio, smaterializzarsi in montagna, nel bianco più docile. Shimizu sgrana gli occhi, implorante, poi raddrizza il busto e giunge l’indifferenza, una folata spietata che le scroscia sul viso portandosi via ogni traccia di emozione.
Sugawara la vede: è un’oscurità argentata, non più neve bensì valanga.
Shimizu schiude la bocca. Mormora. Fruscio di foglie e lame ghiacciate. Poi un lampo di luce verde.
Sugawara spera, prega, che almeno la morte valga abbastanza come pedaggio per permettergli di attraversare lo Specchio, e giungere finalmente dall’altra parte.


Note di Cora:
A Gaia, l’unica persona sulla faccia della terra che per Natale ha chiesto l’angst. Cioè, non l’angst con il finale felice, nonono, proprio l’angst e basta, tragedia della tragedia, morte tortura depressione senza alcuna speranza di salvezza.
Vabbè, ma le vogliamo bene anche per questo. Comunque! Io spero che ti sia piaciuta questa cagat-cosina, l’ho scritta in poco tempo ed è venuta più lunga delle mie intenzioni originali, quindi perdona eventuali porcate grammaticali/lessicali ecc ecc ma sono del tutto incapace di scrivere roba al volo, però ci tenevo proprio a regalarti qualcosa! Spero che la caratterizzazione sia risultata decente, visto che è la prima volta che scrivo su di loro e insomma, BUONE FESTE.
E grazie ovviamente a tutt* voi per essere arrivati sin qui! See ya! ♥
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Haikyu!! / Vai alla pagina dell'autore: Kodama_