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Autore: Koa__    01/12/2021    4 recensioni
Harry Potter e Draco Malfoy vivono una relazione complicata ormai da diversi anni. Pur essendo innamorato dell’eroe del mondo magico, Draco stenta a lasciarsi andare poiché teme che Harry possa subire delle sgradite conseguenze dal frequentare un Malfoy. Il nome di una delle più antiche e blasonate famiglie del mondo magico non vale ormai più nulla, con suo padre prigioniero ad Azkaban e sua madre ritiratasi nel sud dell’Inghilterra, Draco si ritrova del tutto emarginato dalla società magica. Vive in segreto la propria relazione sentimentale, celando una parte di se stesso, ma nascondersi ha un peso enorme che entrambi non sono più disposti a portare. Harry, qualche giorno prima di Natale, propone di andare insieme alla festa organizzata quell’anno dal ministero della magia. Draco, pur accettando, ha paura delle conseguenze che potranno esserci per tutti e due loro.
Questa storia partecipa all’iniziativa: “Regali di inchiostro tra i tavoli del pub” del gruppo Facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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By My Side
(At Christmas Time)





 

Per VigilanzaCostante, perché ama questa coppia.

 


 


 



 

Prima dell’inizio della guerra, Draco Malfoy era certo di sapere chi fosse ovvero l’erede di una delle più nobili famiglie di maghi d’Inghilterra e se qualcuno avesse messo in dubbio la purezza del sangue della sua famiglia o avesse offeso uno qualunque dei suoi genitori, era certo che avrebbe ribattuto sfoderando la bacchetta. Tuttavia quando Voldemort aveva preso il potere, la sua indole malvagia lo aveva così sconvolto che aveva iniziato a dubitare del suo regno oscuro ancora prima che Harry Potter lo sconfiggesse. Dopo che la battaglia si era conclusa gli ci era voluto del tempo per rendersi conto che il sangue che gli scorreva nelle vene, non era tanto diverso da quello di chi aveva genitori babbani. Capirlo era stato un po’ come andare contro ai dettami che gli erano stati impartiti sin da bambino. Lucius e Narcissa sarebbero certamente inorriditi di fronte a simili affermazioni, ma Draco era andato troppo oltre con tutta quella faccenda della redenzione per non sentire l’obbligo morale di fermarsi a riflettere anche su questo aspetto. Col tempo aveva acquistato una consapevolezza in se stesso talmente profonda, da riuscire a stanare tutte le proprie fragilità. O almeno, questo era ciò che si era prefissato, ma le cose non erano mai state facili. La verità era che, pensando a quel ragazzino saccente di ormai molti anni prima, vedeva soltanto un bambino che faceva l’impossibile pur di nascondere la propria sensibilità. Non ci si poteva davvero mai permettere di mostrarsi deboli, tra i Malfoy, almeno fino a quando non aveva visto suo padre tremare davanti al Signore Oscuro. A quel punto un qualcosa aveva iniziato a cambiare dentro la tua testa e la maschera dei Malfoy era caduta una volta per tutte. Era certo che Draco avesse moltissime colpe, la sua non era una di quelle scuse che i maghi oscuri trovavano pur di giustificare le proprie azioni passate, riguardava più il fatto che per anni avesse portato un travestimento talmente ben fatto da esser riuscito a confondere persino se stesso. Per mesi, dopo la fine della battaglia di Hogwarts, si era interrogato su quale persona fosse e su chi volesse diventare. Nel farlo, però, si era perso al punto che il confine tra ciò che era sicuro di esser stato un tempo e quel che sapeva di essere oggi, era tanto labile che lui per primo ne confondeva i contorni. Nonostante fossero passati degli anni, c’erano mattine in cui il grigiore di quel marchio ormai appena percettibile sul braccio pareva ancora bruciare come quando il Signore Oscuro era in vita. Molto più spesso di quanto non volesse ammettere gli sembrava di sentire l’ombra di un formicolio solleticargli la pelle e allora un velo di terrore gli percorreva la schiena, quasi a ricordargli che agli occhi del mondo non sarebbe mai stato niente di diverso da un Mangiamorte. Probabilmente era davvero quella la sua unica essenza, pensava cadendo preda di un nero sconforto. Quindi mentiva di continuo, sostenendo che stesse andando tutto per il meglio e che lavorare coi babbani per le imprese di famiglia non era poi tanto male. Sebbene il nascondersi facesse male all’uomo che era diventato e ne faceva ancora di più alle sue relazioni. Dei vecchi compagni di Hogwarts vedeva soltanto Pansy, lei era praticamente diventata la sua unica confidente mentre dagli altri non riceveva nemmeno più gufi per gli auguri di Natale. E poi, ovviamente, c’era Harry Potter. Lui e Draco stavano insieme da tre anni, fra svariati tira e molla. Nessuno era a conoscenza della loro relazione, a parte Weasley, la Granger e naturalmente anche sua madre. Narcissa non aveva approvato, ma non si era nemmeno espressa con opinioni negative. Aveva semplicemente arcuato un sopracciglio, fissandolo di sbieco per un paio di istanti prima di riprendere a servire il tè. Reagendo a quel modo aveva mostrato tutto quel contegno decoroso dentro al quale era stata cresciuta e che Draco conosceva molto bene. Era lo stesso che da quando stava con Harry gli era scivolato via dalle dita, frantumandosi in mille pezzettini. Era stata davvero quella la sua vita fino ad allora? Trattenersi dal provare un qualunque tipo di sentimento, apparire freddo e distaccato? Non voleva più esserlo, eppure, in un imperfetto controsenso non riusciva a smettere di sembrare tale. Le bugie ormai erano diventate un’arte e sebbene quello stupido di un Potter facesse di tutto pur di non farglielo pesare, sapeva quanto l’idea di non dire a nessuno della loro relazione lo facesse soffrire. Anni prima avrebbe goduto nel causare un qualsiasi dolore al bambino che è sopravvissuto, ora invece i suoi mali erano una pugnalata in pieno petto.

 

Era del tutto assurdo preoccuparsi per un nemico e non soltanto perché lui e il suddetto si erano insultati per l’intera durata della loro adolescenza, ma perché in effetti Harry era molto più che un’amicizia. Lui, dello stupido Potter, ne era innamorato perso. Questa, poi, era la parte più ridicola della storia. D’altronde quel tizio con cui divideva spesso e volentieri il letto, era lo stesso acclamato eroe del mondo magico che tutti conoscevano. Un valoroso mago, ordine di Merlino seconda classe, che avrebbe dovuto detestarlo per essersi schierato dalla parte del Signore Oscuro e che invece non aveva fatto altro che aiutarlo. Harry aveva pazientemente sconvolto buona parte delle sue ottuse convinzioni, anche se averlo avuto vicino i primi tempi gli aveva fatto male. Era vero che in passato si erano aiutati a vicenda, ma averlo come amico era stato orribile. Lui con quel suo sguardo carico di compassione, fatto di quel perdono sincero che esibiva con altrettanto sinceri sorrisi, era quanto di più intollerabile avesse mai visto. Non sopportava la sua svenevole gentilezza, oltre che quell’orribile spirito cavalleresco che tirava fuori ogni volta che Draco si incolpava di qualcosa. Lo aveva odiato e quel sentimento non se n’era mai del tutto andato, perché con una forza straordinaria si era lasciato conquistare e infine aveva ceduto all’amore. Harry lo aveva aiutato in tutte le maniere possibili, nonostante non gli avesse mai domandato nulla in cambio. E forse era proprio questo l’aspetto che lo aveva attirato. La perseveranza che aveva nel tornare da lui, nonostante troppo spesso lo avesse cacciato intimandogli di non farsi più vedere, era un qualcosa di assolutamente straordinario. Mentre la pazienza, ben poca a dire il vero, che si era comunque sforzato di mostrare nei confronti di un reietto, era adorabile. Non era andata sempre bene, al contrario era stato più il tempo durante il quale avevano discusso, che quello in cui si erano rotolati tra le lenzuola. Una volta, Draco si era detto così furioso con lui che si era messo a rovistare tra i vecchi libri di difesa, in cerca di un incantesimo che issasse una barriera magica anti-Potter.
«Giuro che un giorno riuscirò a farne una che ti tenga lontano da me, stupido Grifondoro» aveva sbraitato, finendo comunque col trascorrere la notte suo fianco. Niente che sino a un certo periodo non fosse stato all’ordine del giorno, dato che la loro relazione era sempre stata un po’ così: allontanarsi per poi rincorrersi, fino a prender di nuovo strade diverse. Il problema era che in quell’uomo tutto occhiali e bei sorrisi, vedeva incarnato ogni suo fallimento e questo non riusciva a tollerarlo. Dal carcere di suo padre, alla depressione di sua madre, che non si era mai del tutto ripresa dalla guerra, Harry Potter in un certo senso rappresentava la caduta in disgrazia dei Malfoy. Non avevano subito gravi conseguenze economiche, le loro imprese avevano intrattenuto relazioni coi babbani sin da prima dell’ascesa di Voldemort, di conseguenza tali rapporti erano perdurati anche dopo la sua morte. La sola differenza era che non era più Lucius a occuparsene, ma Draco stesso. Avevano anche deciso, di comune accordo coi suoi genitori, di donare villa Malfoy a un’associazione benefica. Dopo quanto avevano passato là dentro, nessuno della famiglia ci avrebbe vissuto a proprio agio. E se Narcissa si era trasferita nel sud dell’Inghilterra, Draco occupava un appartamento a Diagon Alley. Purtroppo lo stare nel centro della Londra magica era servito a ben poco. Il disagio che aveva patito per tutti gli anni che erano seguiti alla caduta del Signore Oscuro, era un qualcosa di così radicato in lui, che a stento ricordava come fosse il vivere una vita felice.

 

I primi tempi dopo la guerra erano stati un susseguirsi di processi. L’indagine che il ministero aveva condotto aveva portato alla luce quelli che erano stati i reali sostenitori di Voldemort, stanando i bugiardi. I Mangiamorte più fedeli erano stati arrestati e c’era stato un frangente, durante il processo di suo padre, in cui aveva temuto di fare la sua stessa fine. In fondo gli avevano dato il compito di uccidere Silente e aveva sostenuto le idee del Signore Oscuro per anni; come avrebbe potuto scamparla? Era successo allora che Harry Potter lo aveva salvato. Per l’ennesima volta, l’eroe del mondo magico aveva fatto ciò che gli riusciva meglio: aiutare chi era in difficoltà. La sua testimonianza era durata ore ed era stata determinante perché tutti quanti sapessero cos’era realmente accaduto. Draco l’aveva letta per intero sulla Gazzetta del Profeta, senza riuscire a staccare gli occhi da quel racconto quasi si fosse trattato di un romanzo epico. Harry aveva trascorso un intero giorno di fronte al tribunale del Wizengamot, durante il quale aveva raccontato tutto quello che gli era accaduto dal primo anno a Hogwarts, fino alla sconfitta di Lord Voldemort. Ore, durante le quali aveva anche assolto sia lui che sua madre, sostenendo che lo avevano aiutato nei momenti cruciali della battaglia. Era bastato questo a far sì che venissero entrambi assolti e quando il processo era finito, Draco se n’era andato senza dirgli nemmeno grazie intanto che, nella mente, martellava la stessa insistente domanda: perché lo aveva aiutato? Da sciocco qual era, e nonostante ciò che avevano condiviso, non gliel’aveva mai domandato.

 

Harry Potter era un eroe, questa incontrovertibile convinzione si era talmente tanto diffusa nel mondo magico, che veniva considerato come una vera e propria divinità. La modestia che esibiva a chiunque gli facesse dei complimenti era sincera e non artefatta come invece per troppo tempo aveva creduto. Era un mago naturalmente molto dotato, ma da quando era diventato un auror le sue abilità erano cresciute in maniera esponenziale. Eppure, San Potter i miracoli ancora non li sapeva fare. Draco si era comunque convinto che fosse a un passo dalla santificazione e che fra qualche tempo sarebbe dovuto andarlo a recuperare al San Mungo, troppo occupato a fare guarigioni strabilianti per ricordarsi della cena. Ancora, però, Harry Potter non faceva miracoli. Sebbene avesse salvato lui e Narcissa dalla prigione, il nome dei Malfoy era ancora considerato feccia. Non erano più i confidenti del primo ministro, non al centro di ogni evento mondano né complici negli affari più danarosi d’Inghilterra. Ora, erano lui e mamma soli e con Lucius lontano, la loro famiglia era caduta nella solitudine più nera. Eppure in un qualche modo la vicinanza di Harry gli era servita, concedendogli l’opportunità di restare a galla e non affondare. Gli aveva permesso di sconfiggere i demoni che ancora lo tormentavano e, non ultimo, di perdonare se stesso per aver sostenuto un potente mago oscuro. Dopo, era arrivato il resto: prima i baci, poi il sesso… un accenno di vita insieme, finita malamente e poi ancora il ritrovarsi, un paio di anni dopo, finalmente decisi a fare le cose seriamente. E nonostante ciò il non vivere ancora insieme a Grimmauld Place, pur trascorrendoci tanto di quel tempo da considerarla ormai come casa propria. Il loro era un rapporto decisamente fuori dall’ordinario, si amavano e questo ormai era chiaro a entrambi. Provavano anche una forte attrazione l’uno per l’altro e una sincera stima reciproca per le rispettive qualità. Tuttavia era come se si sopportassero a fatica, quasi il sentimento più forte tra loro fosse ancora l’odio di un tempo. Quei sentimenti erano un inestricabile labirinto di sensazioni diverse. Draco lo amava, ma lo trovava a dir poco insopportabile poiché era così tanto Grifondoro da fargli venire il voltastomaco. Avevano due caratteri che stavano letteralmente agli antipodi e modi diversi di vivere la quotidianità. Da una parte c'era Draco con la sua precisione ben ordinata e la rigida, formale pomposità portata in ogni momento della giornata, dalla colazione alla cena e che Harry sopportava a stento. E dall'altra c'era invece quello stesso Potter cresciuto tra i babbani, che usava di rado la bacchetta, che era disordinato, caotico e a cui non importava nulla del servizio buono di posate né delle preziose ceramiche della signora Black. A Harry non fregava niente di mangiare in soggiorno in giacca e cravatta, lui era più da panino sul divano o da sedersi al tavolo della cucina come un domestico. E lui, che era un Malfoy, i primi tempi era a dir poco inorridito da quel comportamento.
«Sei proprio un cavernicolo!» gli aveva detto una volta, ricordandosi del motivo per cui non vivevano ancora insieme. Il loro primo, e finora unico, esperimento a riguardo era durato sei settimane alla fine delle quali si erano lasciati. Nonostante ciò la loro affinità faceva faville e Draco, ogni volta che la Granger si professava in infinite lodi riguardo al loro tragico e romantico amore, quasi fossero stati due eroi dei romanzi d’appendice, sentiva come un senso di nausea salirgli alla bocca dello stomaco. Quindi, ribatteva con una delle sue frasette taglienti, che di solito facevano scoccare a Harry un’occhiataccia carica di rimprovero. Oh, amava quello sguardo perché in fondo, e ben più sotto dell’evidente fastidio, c’era una nota di divertimento che non si premurava neppure troppo di nascondere. Ecco un lato di lui che aveva scoperto con piacere: la sua ironia. San Potter aveva un sarcasmo molto sottile e anche coraggioso, il più delle volte persino sfacciato. Non si tirava indietro dal dire le cose esattamente come le pensava né dal mostrare un qualche briciolo d’innocente cattiveria. Se si convinceva che il proprio interlocutore non era irreprensibile, snocciolava un qualche commento acido senza neppure pentirsene troppo. La cosa più buffa era che, mentre in passato lo aveva trovato supponente ora invece sorrideva le volte in cui lo sentiva fare una battuta. Forse era davvero solo questione di prospettive.

  

Se solo tutto il mondo avesse saputo di loro, pensava Draco di tanto in tanto. Avevano deciso di non dirlo a nessuno ed era stato proprio lui a insistere. Era convinto che far sapere a tutti che Harry Potter stava insieme a un ex Mangiamorte avrebbe scandalizzato l’intera società magica, oltre che rovinare per sempre il nome del grande eroe di guerra. In realtà questa era una scusa, aveva paura di un ipotetico ritorno nel mondo dei maghi, temeva i giudizi e le occhiate lapidarie di persone che un tempo avevano venerato il nome dei Malfoy e che, al pari di vermi, erano strisciati ai loro piedi in cerca di favori. Ora, quegli stessi maghi lo avrebbero guardato dall’alto, giudicandolo. Come avrebbe potuto sopportare tutto quell’odio che già sentiva su di sé? In che modo avrebbe convinto Potter che restare nascosti era la soluzione migliore? Il guaio era che Harry era testardo e scioccamente convinto che nessuno lo odiava davvero. Era sicuro che dichiarare che stessero insieme lo avrebbe aiutato a riportare in auge quel cognome a cui lui tanto teneva, nonché a permetter loro di vivere un po’ più serenamente. Di questo ne avevano discusso spesso, senza però riuscire a trovare un accordo. Almeno fino a qualche giorno prima Natale, quando finalmente aveva accettato di presenziare al suo fianco alla festa del ministero. Come gli fosse venuto in mente di dire di sì, proprio non lo sapeva.
«Tu vali tantissimo, Draco» gli aveva detto proprio quella sera, con loro già vestiti di tutto punto al 12 di Grimmauld Place, dove stava ormai da una settimana circa. Addobbare quella casa per le feste era un impegno che Potter, con la sua ormai celebre poca cura per i dettagli, non sarebbe mai stato in grado di portare avanti da solo. Dopo aver allestito ben tre abeti e ornato ogni stanza di quell’enorme casa con ghirlande, luce di vere fate e incantesimi stupefacenti, lo aveva anche aiutato a vestirsi in modo decente. La sola cosa a cui aveva rinunciato, si rese conto osservando Harry specchiarsi nel riflesso di una vetrinetta, era dare un senso a quei capelli disordinati. Erano testardi e ribelli quasi quanto la testa sopra la quale stavano, tanto che nemmeno con del gel magico per capelli era riuscito a ottenere dei risultati decenti. Di conseguenza, l’auror più famoso del mondo se ne andava in giro con un elegantissimo completo cucito su misura da uno dei più bravi sarti magici di Londra e l’equivalente di una scopa sopra la testa. Perlomeno era adorabile, pensò stirando un sorriso intanto che sorseggiava un bicchierino di Whiskey Incendiario.
«Hai sentito che ho detto, Malfoy o sei troppo occupato ad ammirarti la leccata di mucca che ti sei fatto su quella testaccia bionda?» gli domandò lui, voltandosi in sua direzione e fissandolo con quello sguardo duro, ma divertito al tempo stesso che ogni volta aveva lo straordinario potere di confonderlo.
«Sarai bello tu che con quei capelli sembri un senza bacchetta» replicò, stizzito «e comunque non ho sentito una parola.»
«Ho detto che tu vali tantissimo, come uomo e anche come mago. Quando entreremo in quella sala, ricordati che sei molto di più del Mangiamorte di un tempo. Silente diceva sempre che tutti meritano una seconda possibilità e questa sarà la tua.» Dopo aver detto questo, tornò a specchiarsi nella vetrina, ancora passandosi una mano tra i fili sottili dei capelli. Erano ancora più in disordine, notò sorridendo.

 

Draco rimase a lungo a osservarlo, con il crepitare del fuoco del caminetto e il rumore del legno del parquet che scricchiolava sotto ai passettini dell’elfo domestico di Harry, occupato a riempir loro i bicchieri con dell’altro Whiskey. Fu allora che si rese conto che lo stupido Potter credeva davvero in quel che stava dicendo. Una parte di sé era sempre stata convinta che insistesse tanto perché gli faceva pena, ma ora in quel vibrare delle mani chiuse a pugno, nel tremolio del suono della sua voce, aveva capito che quella di Potter era una missione. In effetti detestava anche questo di lui così come amava il suo sguardo fiero, carico di una luce che colpiva ogni volta Draco sin nel profondo. Era come se in lui bruciasse una sete di giustizia senza pari, quasi fremesse dal bisogno di mettere sempre e comunque le cose a posto. E se qualcuno, anni prima, gli avesse detto che avrebbe perso la testa per il più nobile e cavalleresco dei Grifondoro, Malfoy non soltanto non gli avrebbe creduto, ma probabilmente lo avrebbe addirittura cruciato.
«Non sono innocente e tu dovresti saperlo meglio di chiunque, Potter» aveva ribattuto, sperando che la discussione chiudesse lì, intanto che si scolava un secondo bicchierino di Whiskey.
«Non l’ho neanche mai pensato» negò con sincera fermezza «ma a un certo punto le persone maturano ed è giusto lasciarsi il passato alle spalle. Tu sei andato avanti, io l’ho fatto e anche Ron ed Hermione. Lo ha fatto persino George e nessuno credo sappia davvero quanto abbia sofferto per la morte di Fred, ma prima o poi tocca a tutti, Draco. Quindi andiamo a questo ballo e facciamoci vedere per quello che siamo senza vergogna.»
«Credi che sia questo il problema, Potter? Che mi vergogni?» aveva domandato allora, fremendo di rabbia, scagliando a terra il bicchiere del servizio buono della signora Black che si infranse in mille pezzi, con sommo disappunto di Kreacher. «Pensi che non voglia farmi vedere in giro con te per questo motivo? Se ne sei convinto allora non abbiamo più niente da dirci!» Draco non era solito urlare, l’educazione che aveva ricevuto era stata molto rigida anche in questo senso: gli uomini di una certa levatura sociale non gridavano mai. Perciò quando Harry aveva insinuato che si vergognasse di loro e che fosse quella la ragione che stava dietro alla loro storia d’amore segreta, non aveva neppure alzato la voce. Unicamente il rumore dei vetri infranti erano riecheggiati in quel salottino, dopodiché aveva fatto dietrofront senza pensarci due volte. Non gliene importava niente di quella stupida festa, se Potter era convinto che il suo problema fosse una cosa sciocca come la vergogna, pensò, allora non avevano più niente da dirsi.

 

Avrebbe potuto anche smaterializzarsi, ma aveva scelto di correre forse nel tentativo di lasciarsi indietro dolore e rabbia o magari con la speranza che San Potter lo seguisse. Se n’era andato così, Draco Malfoy. In una notte pochi giorni prima di Natale, col buio già sceso e rotto soltanto dalla luce giallastra dei lampioni di Grimmauld Place. L’aria fredda di dicembre gli schiaffeggiò il viso, intanto che piccoli fiocchi di neve avevano iniziato a depositarsi tra i suoi capelli biondi. L’inverno era una gran rottura, aveva pensato alzando il naso all’insù e inspirando l’aria frizzante della sera, mentre prendeva a camminare tra la folla di babbani che osservavano con stupore quel ragazzo vestito sin tanto leggero per una notte nevosa.
«Fermati, Draco!» La sua voce aveva spezzato il buio e preso a calci ogni incertezza. Era lui e gli era corso dietro, aveva pensato abbozzando un sorriso che subito aveva nascosto dietro a una maschera di indifferenza e fastidio.
«Lasciami stare, Potter, è meglio per tutti e due se la chiudiamo qui una volta e per sempre.» Nonostante i buoni propositi, il perentorio invito a rompere era risultato molto più malfermo di quanto avesse sperato. La voce aveva tremata così come ora facevano le mani, ricacciate a forza nelle tasche dei pantaloni. Quell’agitarsi delle dita gelide, il fremere del corpo non c’entravano davvero col freddo. La paura gli aveva annodato lo stomaco perché più di qualsiasi altra cosa temeva che gli rispondesse che aveva ragione, che era davvero meglio separarsi.
«Non costringermi a pietrificarti» aveva tuonato Harry, fermando la propria corsa soltanto in quel momento mentre Draco faceva lo stesso. Stentava all’idea di voltarsi, al contrario fissava il nulla di quel marciapiede davanti a sé e la neve che vi si depositava in candidi fiocchi. Non voleva dargli alcuna soddisfazione, nonostante lo desiderasse con tutto se stesso. Voleva che lo abbracciasse e lo stringesse, che lo baciasse lì davanti a tutti. In fondo non gl’importava d’altro che di stare con lui.
«Ti odio, Potter» aveva sussurrato, sentendo i suoi passi avvicinarsi lentamente. «E detesto ancora di più il fatto che tu abbia ragione. Odio che mi sia innamorato in questo modo di te perché ti amo, stupido eroe, ma insinua un’altra volta che mi vergogno di noi e giuro che…»
«Non ho mai detto niente del genere!» gli aveva risposto, posandogli sulle spalle un caldo mantello, poco prima di abbracciarlo da dietro e baciargli il collo scoperto. Aveva trovato il tempo di cercare il suo soprabito e non aveva neppure preso il proprio. In fondo era davvero uno stupido eroe, pensò nuovamente stirando un sorrisino addolcito.
«Draco» lo aveva sentito mormorare al suo orecchio poco dopo, intanto che le braccia si allacciavano alla vita e gli sfiorava il petto con le mani fredde. «Questo segreto è opprimente; lo è per te tanto quanto per me. Detesto fingere e lo faccio anche molto male.»
«Lo so, fai schifo in occlumanzia molto più di quanto facevi schifo in pozioni» aveva ribattuto accennando un sorrisino sghembo, poco prima di girarsi nel suo abbraccio e lasciarsi coccolare. Baciarsi era sempre un buon modo per fare pace.
«Ormai tutti in ufficio sono convinti che io stia con qualcuno. Quelli del Settimanale delle Streghe mi stanno addosso da mesi, sanno che sto nascondendo una relazione con un qualcuno molto famoso, ma non hanno idea di chi sia. Non fanno che insinuare che stia insieme al tizio delle Sorelle Stravagarie o a chissà quale campionessa di Quidditch. Ho dovuto mandare tre smentite ufficiali solo questa settimana, ma non è dei pettegolezzi che m’importa, è che sto facendo i salti mortali per nascondere un qualcosa che non voglio più mettere sotto al tappeto. Tu credi davvero che il mio stare con te distruggerà il mio nome? Perché per me è una sciocchezza.» A quella domanda, Draco non aveva saputo rispondere. Lo pensava davvero? O forse erano realmente delle paranoie infondate? Non aveva una soluzione e neppure era certo che i suoi dubbi si sarebbero concretizzati, era semplicemente terrorizzato dal futuro. Forse era folle, ma decise di fidarsi di lui perché in fondo Harry Potter era un eroe e lo avrebbe salvato anche questa volta. Era ora di andare, pensò, l’invito era per quell’ora.

 

 

Per quanto si sforzasse di sorridere, Draco aveva addosso la peggior faccia da funerale quando si ritrovò di fronte al caminetto del primo piano del 12 di Grimmauld Place, in attesa che Potter recuperasse abbastanza Metropolvere per entrambi. Adesso era per davvero questione d’istanti, qualche attimo e ciò che più temeva avrebbe avuto inizio: lui e Harry che camminavano mano nella mano sotto gli sguardi disgustati di maghi e streghe dell’alta società magica. Harry avrebbe sopportato il loro odio? Sarebbe riuscito a non attaccar briga con chiunque? Ma soprattutto, aveva paura quanto lui? Per l’ennesima volta quella sera e ben deciso a capire che cosa gli stesse passando per la testa, lanciò un’occhiata in sua direzione. Sembrava così sicuro di sé che non dava alcun segno di timore. Nell’osservarlo, l’ombra di un sorriso passò sul suo volto pallido, di lui non riusciva mai a capire se fosse coraggioso o semplicemente stupido. D’altra parte non era un eroe? E nell’eroismo non era nascosta anche una buona dose di idiozia? Lui era molto più che temerario, era così schifosamente coraggioso da provocare in Draco una strana reazione di disgusto mescolato a una buona dose di dolcezza.
«Forza!» lo esortò con un grande sorriso, subito prima di prendergli una mano tra le proprie e baciarne le nocche con reverenza. Soltanto a quel punto si fece avanti e quando la Metropolvere cadde a terra si sentì trascinare via da lì, un istante più tardi era dalla parte opposta di Londra.

 

 

La festa di Natale si sarebbe tenuta al ministero della magia: sicuramente poco originale aveva pensato Draco, ma di certo molto pratico. C’era giusto un ampio atrio dove anni prima si era consumata una feroce battaglia tra Silente e Voldemort, che era perfetto per accogliere l’intero mondo magico britannico. Per non creare eccessivo traffico, i camini dell’ingresso erano stati chiusi, mentre per evitare lunghe file davanti alle cabine telefoniche di Londra, che avrebbero attirato l’attenzione di un qualche babbano, in molti avevano optato per l’ingresso principale. Perché ce n’era uno, anche se tutti quanti parevano ignorarlo. Solo quella spina nel fianco “Sotuttoio” della Granger si era professata in un’accurata spiegazione del motivo per cui nessuno lo utilizzava mai. Draco si era detto piuttosto sicuro che, se le avesse chiesto di farci un tema a riguardo, avrebbe scritto un trattato su tutte le entrate del ministero. Tzé, sbuffò guardandosi attorno dopo essere arrivato in una stanza deserta, fortuna che non doveva più fingere che gli amici di Harry gli piacessero. Ad ogni modo loro non avrebbero utilizzato l'entrata principale, ma non aveva proprio osato chiedere il perché; San Grifondoro era pessimo a spiegarsi e lui preferiva di gran lunga il farsi domande al ricevere balbettanti spiegazioni. L’ufficio dentro al quale erano volati era di un certo Travis Cartridge, un tizio tarchiato con un naso schiacciato dalla punta rotonda, che lo faceva somigliare a un maiale. Capelli radi e untuosi che tendevano ad arricciarsi sulle punte, erano pettinati all’indietro ed erano di un tenue color rossiccio. Indicando la foto che stava sulla scrivania, Harry aveva commentato dicendo che gli ricordava molto suo zio Vernon e Draco si era ritrovato a dargli ragione. Non che lo avesse mai incontrato di persona, però gli aveva mostrato una delle sue foto babbane ovvero l'unica che possedeva.
«Sottosegretario ufficio regolazione trasporti via camino» gli spiegò, percorrendo la stanza con un paio di ampie falcate. Raggiunse subito la porta che aprì in uno spiraglio, spirando poi all’esterno. Porta che richiuse subito dopo, appoggiandosi contro a braccia conserte. Sguardo alto e fiero, velato da un accenno di furbizia, Harry Potter non era mai stato tanto attraente come in quel momento. Forse era per via dell’abito di velluto color verde bottiglia che gli faceva risaltare meravigliosamente gli occhi. I capelli erano ancora più spettinati di quando erano partiti e gli conferivano un’aria trasandata che Draco trovava particolarmente fastidiosa, ma che si ritrovò comunque ad accarezzare facendo passare la mano tra i fili sottili. Era di poco più alto di lui, ma si spinse comunque sulle punte dei piedi prima di rubargli un bacio. Poi, guardandolo di sbieco e con un accenno di divertimento, gli chiese ciò che era ovvio Harry non volesse sentirsi domandare.
«Che favore gli hai fatto, Potter?» chiese, giocherellando con uno spioscopio che aveva trovato poco prima sopra la scrivania e che si era infilato in tasca senza farsi troppi problemi. Fingeva di non aver intuito che tutto quello non fosse avallato dalle sacre e inviolabili leggi del ministero, il che faceva di Potter una sorta di… ribelle sexy?
«Niente di eccezionale, potrei avergli promesso di cenare con sua figlia?» domandò come se non ne fosse davvero sicuro. «O di farle un autografo, ora non ricordo con precisione. Sai il signor Cartridge si mangia le parole» proseguì poi, evitando adeguatamente di guardarlo negli occhi. Era chiaramente colpevole, dedusse Draco osservando lo sguardo che stentava a fermarsi nel suo. Non era mai stato davvero geloso e non soltanto perché si fidava di lui, ma perché Harry era davvero troppo onesto per tradirlo con qualcuno. Se fosse arrivato al punto di desiderare un’altra persona, lo avrebbe prima lasciato. Sicuramente Draco non era un uomo geloso. Forse un pochino ancora del rapporto di sincera amicizia che era rimasto tra quella rossa della Weasley e lo stupido Potter, ma neanche badava più alle lettere d’amore o ai regali che riceveva ogni santo giorno dalle ammiratrici.
«Chiariamo una cosa» gli disse, avanzando nuovamente in sua direzione, questa volta con fare minaccioso «sopporto testa rossa e mi sta bene che sia tua amica, tollero le decine di lettere che ricevi ogni mattina e anche che tu sia il sogno erotico di milioni di persone là fuori, ma vai a cena con quella e giuro, Potter, che ti crucio le palle!» esclamò, facendolo scoppiare a ridere. Harry, in tutta risposta lo abbracciò, baciando il suo broncio arrabbiato che si sciolse subito dopo in un’espressione più titubante.
«Non m’importa nulla della figlia di Cartridge, non so nemmeno il suo nome! E poi l’ho fatto per te, volevo che tu arrivassi qui sentendoti il più a tuo agio possibile, senza gli occhi della gente puntati addosso.» Draco accennò soltanto allora un timido sorriso, nascosto dietro a una rabbia gelida. Il suo costante mutare d’umore era regolato unicamente da un velo di dolcezza che era ormai impossibile da cancellare.
«Fammi capire, Harry Potter, hai corrotto un funzionario per farci entrare illegalmente al ministero?»
«Sei il solito melodrammatico, Malfoy! Diciamo che ho infranto un po’ le regole, ma l’ho fatto per una buona causa.»
«Non che questo non sia da te… Nella tua biografia, Rita Skeeter racconta che una volta sei fuggito dalla Gringott in sella a un drago, non che io stia dicendo che ci credo davvero, però ammetto che non è poi così inverosimile che tu abbia svaligiato una banca. D'altra parte, a scuola facevi sempre il comodo tuo, infischiandotene delle regole! Ma questa volta apprezzo che tu l’abbia fatto per me» gli disse infine, addolcendo lo sguardo e avvicinandosi a lui così da poterlo baciare. Non era davvero arrabbiato, tranne che per la faccenda della figlia di Cartridge, di quello ne avrebbero certamente discusso in un secondo momento. Ora voleva soltanto sentire le sue labbra sulle proprie e lasciasi stringere.

 

Quel bacio fu profondo e dolce, appassionato sebbene di fretta, considerato l’impegno che si erano presi. Forse era stato tutto un tantino troppo veloce, si imbronciò mugolando di disappunto quando Harry lo allontanò, sostenendo che era ora di andare. Incredibile come l’umore di Draco fosse riuscito a mutare nell’arco di un istante. Le sue espressioni cambiarono in un respiro e la risata di gioia che era seguita a quel tocco fugace, era diventata un qualcosa di ben diverso. L’ansia gli attanagliò la gola in maniera così prepotente, che per un istante ebbe quasi la sensazione che una mano gli stesse stringendo la gola. Lo stomaco gli si contorse e per istinto gli venne da vomitare, ma in qualche modo riuscì a tenere tutto dentro, ricacciando giù a forza il senso di disagio che provava. Era un Malfoy, dannazione! Del contegno, la sua famiglia ne aveva fatto il blasone. Non poteva cedere in questo modo. Eppure il farsi vedere per il ragazzo che era, fu esattamente ciò che fece. Il terrore che gli agitava lo sguardo era sceso anche sul volto così come nelle mani, ora strette in due pugni tesi.
«Solo un momento, Potter» balbettò, tentando maldestramente di riprendere il controllo. Harry in tutta risposta gli fu subito accanto, baciandogli le nocche e quindi intrecciando le loro dita insieme.
«Tutto il tempo che vuoi» aveva detto, ancora accarezzando la sua schiena con gentilezza. «Ricorda solo che dove vai tu vado io e che nessuno ti farà del male.» Per un istante gli era sembrato che volesse aggiungere dell’altro, ma si era fermato, salvo poi riprendere il discorso da dove lo aveva interrotto: «Devi avere un po’ di coraggio.»
«Tzè, coraggio, Potter?» sputò quasi arrabbiato, in effetti più con se stesso che con lui. «Guardiamo in faccia alla realtà, io non sono mai stato coraggioso. Tra i due sei tu quello che combatte contro i draghi e che passeggia con tutta tranquillità nella foresta oscura. Io lo so come ragioni, Potter» disse e, nel farlo, si era allontanato dal lui di qualche passo, prendendo a girare per l’ufficio come una trottola impazzita.
«Quando c’è un pericolo fai sempre un passo in avanti, non ti nascondi, non menti e non scappi mai. Sei semplicemente te stesso e speri che basti e se non basti tu allora ci saranno le persone di cui ti fidi a pararti le spalle. Ma anche quest’ultima, è un’eventualità che per te non è fondamentale. Se devi morire, allora morirai. Sei fatto così, Harry, è la tua stupida natura da eroe. Io invece faccio un passo indietro e alle mie spalle, a proteggermi non c’è mai stato nessuno. Mia madre è stata la sola a farlo, mio padre mi ha mandato tra le braccia del Signore Oscuro perché secondo lui era il solo modo di riportare in alto il buon nome della famiglia. Una famiglia il cui nome era caduto nel fango per causa sua. Non avevo neanche vent’anni, ti pare giusto? Avrei dovuto impormi e ribellarmi al suo volere, ma la verità è che sono come lui. Noi Malfoy sappiamo solo scappare e nasconderci. E ora io dovrei fare questo?» chiese a quel punto, indicando con un gesto plateale della mano la porta che conduceva all’esterno. «Dovrei mostrarmi per ciò che sono a persone che odiano la mia famiglia? Dovrei far vedere di essere fieramente omosessuale in un mondo in cui nessuno dice mai di esserlo? Beh, io non sono questo e tutto ciò di cui sono sempre stato fiero mi si è sgretolato tra le mani.»
«Forse un tempo eri il Draco che hai descritto» ribatté Harry con sguardo severo «eppure guardati adesso: gestisci un’azienda tutto da solo. Non hai voluto un soldo dell’eredità di tua zia Bellatrix, hai ceduto villa Malfoy e tutti gli averi dei Black di tua proprietà. Ti occupi di tua madre e delle imprese di famiglia e non hai chiesto favori a nessuno. Ti ho anche offerto i miei soldi e quando l’ho fatto mi hai schiantato. Sei diventato un uomo onesto e devi essere fiero di ciò che hai fatto.»
«Già, infatti, guardami!» sbottò, dando un pugno alla porta ancora chiusa, che vibrò sotto la forza del colpo. «Non ho più amici se non quella svitata di Pansy, che comunque mi parla solo di chi si è portata a letto questa settimana. Ho una relazione con te e non solo non ho il fegato di dirlo a nessuno, ma neanche quello di confessarti che muoio disperatamente dalla voglia di venire a vivere a Grimmauld Place. Mi sono inventato la scusa degli addobbi, ma la realtà è che non voglio più andarmene e che non me ne importa niente di ciò che ci rende diversi. Ti amo e le volte in cui me lo ripeto non faccio che arrabbiarmi con me stesso per essermi innamorato dello stupido Potter. Per la barba di Merlino, Harry, io ti odio e ti amo al tempo stesso e non riesco neanche a spiegare cosa c’è nella mia testa.» Le ultime parole le aveva a malapena mormorate, lasciandosi cadere al contempo contro quella porta ancora chiusa. Aveva il fiatone, come se fosse reduce da una lunga corsa mentre le mani tremavano vistosamente. Non riusciva a non sentirsi dannatamente patetico.
«Ci siamo odiati per troppo tempo per essere a nostro agio con quello che proviamo adesso» replicò lui «è come il tuo imbarazzo quando a casa vengono Ron ed Hermione, serve solo del tempo.» Ed era vero, era naturale e doveva soltanto accettarlo e basta. Era ora che la smettesse di domandare a se stesso quanto senso aveva l’essersi innamorati di un proprio nemico.
«E quindi che facciamo?» replicò Malfoy, volgendo lo sguardo in sua direzione. «Sono tre anni che giriamo attorno questa cosa, Harry. Sì, ci siamo innamorati e non è stato facile da accettare. Io sono un Malfoy, ho il marchio nero ancora sul braccio e un tempo ero un razzista bastardo, come mi ricordi ogni tanto mentre tu, beh, tu sei tu. Giusto? Non c’è mago che non ti conosca o bambino che non ti ammiri. Tu sei più di un eroe di guerra, sei stato per anni il sogno di quelle persone là fuori, la speranza di un mondo libero dal terrore e...» Draco indugiò appena, evitando di proseguire subito. Il pensiero che gli si era formato dentro la testa era a dir poco incredibile. Strabuzzò infatti gli occhi come se avesse capito soltanto allora di aver avuto la più lampante delle verità sotto al naso. Una verità che aveva temuto di guardare da vicino, ma che ora vibrava e brillava, quasi morisse dal desiderio di essere scoperta.
«Niente potrà mai cambiare il modo in cui quelle persone ti vedono, adesso lo capisco» annuì, stringendo con maggior forza le sue dita fredde. «Non è facile stare insieme e non lo sarà neanche in futuro, eppure io è con te che voglio vivere. Ma non capisci? Sono qui solo per te, faccio tutto questo per far vedere anche a quei pomposi idioti là fuori che ti amo e che niente potrà mai cambiarlo. Questo è il motivo per cui sono qui e voglio attraversare quella porta e scendere giù di sotto al tuo fianco.»
«Se lo vuoi fare allora qual è il problema?» gli domandò Harry con tono esasperato. Era come se faticasse a comprendere qual era la verità e a quel punto si rese conto che non era davvero stupido, ma che era Draco stesso a essere difficile da capire. Naturalmente non glielo fece capire, preferendo dare a lui la colpa di tutto.
«Per la barba di Merlino, stupido Potter, ho una cavolo di paura!» sbottò «ma non è abbastanza chiaro? Una volta il mio nome era temuto e rispettato, mentre ora vale meno di zero.»
«E credi che io non sia spaventato?» ribatté Harry con altrettanta veemenza. «Temo che qualcuno possa ferirti o di non riuscire a proteggerti come vorrei. Quindi se davvero non vuoi allora torniamo a casa, non ci ha visti nessuno e siamo ancora in tempo per sparire. Al ministro racconterò una scusa qualsiasi.» Poi, dopo che ebbe finito di parlare, rimase fermo, in attesa. In quell’istante, Draco capì che avrebbe fatto proprio tutto per lui, anche continuare a fare un qualcosa che odiava come il mentire. Forse era arrivato il momento di ricambiare tante attenzioni e mostrare, per la prima volta e con i fatti, che era perdutamente innamorato di lui.

 

C’erano molti aspetti meravigliosi in Harry Potter, della maggior parte nessuno ne era a conoscenza. Neanche i suoi due migliori amici, Weasley e la Granger, rimasti tali fin dai tempi della scuola e che forse avevano una visione di Harry ancora molto simile a quella del compagno di classe d’un tempo. I pregi che Draco ammirava in maniera particolare c’entravano molto col loro rapporto di coppia, con quell’intimità nella quale non avevano mai faticato a trovare un’intesa. Potter era spesso fastidioso e odiosamente iperprotettivo, ma era anche molto premuroso e attento. E lui, che era sempre un po’ restio a lasciarsi andare, si sentiva segretamente lusingato ogni volta che faceva gesti come servirgli la colazione a letto. Un tè perfetto all’inglese, naturalmente preparato da Kreacher, perché lui sarebbe stato capace di far bollire l’acqua come facevano i babbani, era in grado di scaldargli il cuore oltre che le ossa. In quei frangenti, ripensando all’immagine di un Harry Potter senza occhiali, che percorreva i corridoi del 12 di Grimmauld Place con il suo vecchio elfo domestico al seguito, pronto a raccogliere pezzi di porcellana infranti, Draco Malfoy si ritrovò a sorridere. Come aveva detto, era tempo di ricambiare il favore. Aveva ancora paura, ma guardando l’uomo che gli stava accanto soltanto non come un eroe, ma unicamente per la persona che era, capì che non era il solo a essere spaventato. L’uomo che amava aveva il terrore di sbagliare dipinto nello sguardo, probabilmente temeva anche di perderlo. Lo amava sino al punto da tornare indietro, dunque? Tanto da rinunciare a qualcosa che desiderava con tutto se stesso? Non poteva permettere che si sacrificasse ancora per la loro relazione. Se quel ti amo era stato sincero, allora doveva trovare il coraggio dentro di sé.
«Forse io non ho abbastanza coraggio, ma potrei prenderne in prestito un po’ del tuo, ti va?» Non attese la sua risposta, in effetti quella era più che altro una domanda retorica. Bastò un cenno e un timido sorriso nato e cresciuto sul volto del grande eroe del mondo magico, perché Draco Malfoy avesse la conferma di ciò che si augurava. Abbassò la maniglia che sfacciatamente lo osservava sin da quando era arrivato e finalmente fece quel difficile passo in avanti. Era il momento di andare, quello di farsi vedere da tutti senza alcun timore o vergogna. Là fuori ci sarebbero stati giornalisti e fotografi, l’immagine di loro mano nella mano avrebbe fatto il giro del mondo. 

 

Per raggiungere il salone dove si sarebbe tenuta la festa, Harry e Draco dovettero prendere uno degli ascensori e spostarsi sino a un corridoio al piano di sotto che avrebbero poi dovuto percorrere per qualche metro. Non era molto distante, ma il vuoto riecheggiante di quegli spazi bui gli diede la sensazione d’essere precipitato in un incubo. Un labirinto senza una vera fine nel quale sarebbe rimasto intrappolato per il resto della propria esistenza. E fu esattamente ciò a cui credette un passo dopo l’altro, convincendosi di essere caduto in un pozzo senza fondo, almeno sino a quando lo sguardo non gli cadde sulla figura al suo fianco. La rassicurante presenza marmorea di Harry Potter, che procedeva con fare sicuro e quasi la vita non gli stesse per cambiare drasticamente sotto al naso, era un balsamo che leniva i sensi. Lui era leggermente più teso, ma ormai non doveva più fingere che andasse tutto bene. Invece di perdersi nei propri timori, trovò molto utile il concentrarsi sul chiacchiericcio indistinto che proveniva dalla fine di quel tunnel, e che sovrastava le melodie intonate dagli archi. Gli era parso infatti di sentire alcune carole natalizie e della musica da ballo estremamente piacevole, al punto che quasi gli era venuta voglia di danzare. Ogni nota veniva vibrata alla perfezione da pochi musicisti che dovevano sapere il fatto loro, almeno secondo il parere di Draco che di musica qualcosa la sapeva. Già solo per tutte quelle domeniche pomeriggio trascorse ad ascoltare il maestro di pianoforte spiegargli scale e arpeggi, sotto lo sguardo severo di Narcissa. In effetti, odiava la musica. La odiava e la amava al tempo stesso, esattamente come amava e odiava Harry Potter. Forse era nella sua natura il non provare mai nulla di definito per ciò che è puro e bello; probabilmente era un problema che esulava da chi era l’uomo che gli stava accanto e che c’entrava piuttosto con lui. Il punto non era che Harry facesse Potter di cognome o che di mestiere fosse un auror a un passo dalla santificazione, il nodo che lo crucciava era dentro Draco stesso. Harry, nel suo essere fastidiosamente imperfetto, era comunque a proprio agio con se stesso ed era sceso a patti con ciò che erano diventati. E proprio lui che ancora taceva e che di tanto in tanto lo osservava da dietro i suoi tondi occhialetti da eroe, era chiaro che vibrasse dal desiderio di rassicurarlo. Eppure stava zitto e, in silenzio, ancora lo guardava. Spiandolo di sbieco, Draco si rese conto di dover fare qualcosa di concreto e che valesse più di tante parole. Se lo ripeté non una, ma ben tre volte, pur rimanendo immobile intanto che, con la mente, ritornava al giorno in cui Harry gli aveva fornito informazioni su quella festa. Le modalità di accesso, le misure anti babbano necessarie, il treno della metro che passava dietro a un muro, lo svolgimento della festa e infine l’allestimento del salone; annotare inutili dettagli fu sorprendentemente utile. La paura scivolò via silenziosa e riprendere il controllo non fu più così difficile.
«Paura, Potter?»

 

Draco Malfoy aveva parlato senza quasi rendersene conto, inconcepibile per uno della sua levatura. Un tempo era sicuro che avrebbe detto “razza purosangue” e il semplice formulare quelle parole dentro la sua testa gli provocò un secondo brivido, che questa volta lo lasciò agitato e confuso. Secondo sua madre, i discendenti delle più nobili famiglie magiche d’Inghilterra erano individui speciali e dovevano mostrare il loro essere diversi già solo per come si ponevano agli altri. Il distacco era la prima cosa importante, non farsi mai vedere coinvolti da una situazione o una persona, se non per schernirla o sminuirla, era però altrettanto fondamentale. A quel punto scattava inevitabilmente il senso di supremazia. Perché i Malfoy erano ovviamente superiori rispetto a chiunque altro, lo erano in una maniera così naturalmente scontata che Draco non aveva mai avuto nulla da obiettare a riguardo. Nell’immenso ego che aveva mosso ogni sua azione e parola, il dubbio non lo aveva mai agitato. Almeno fino a quando la guerra non era finita ed Harry Potter non gli aveva sconvolto l’esistenza; questa però era un’altra storia. Secondo mamma, la seconda cosa importante era il sapere sempre quello che si stava per dire. Bisognava avere il controllo totale delle proprie intenzioni e, non ultimo, non parlare mai a sproposito. La rigida educazione che Narcissa Black gli aveva impartito sino agli undici anni, Draco la ricordava ancora con una certa tristezza mescolata a della buona malinconia. Non orrore, no. Sua madre era tuttora una donna rigida e stupidamente attaccata a certe sciocchezze, ma non era mai stata orrida. Di certo non lo aveva ferito di proposito, c’era sempre un’altra intenzione nascosta dietro i gesti che faceva o le mezze parole che sputava, che erano per lo più atte a mantenere il controllo della situazione. Anche quando l’aveva informata del fatto che andasse a letto con gli uomini invece che con le donne, lei non si era scomposta. Come se il figlio frocio, per citare un epiteto affatto lusinghiero (e molto babbano) che suo padre aveva elargito tanto gentilmente in uno dei colloqui alla prigione, non fosse davvero il suo. Che avrebbe detto lei in quel momento vedendolo parlare senza aver davvero realizzato che, quella riecheggiante, era realmente la sua voce? “Inconcepibile, Draco.” Avrebbe detto così, guardandolo con disapprovazione e poi riprendendo a impartirgli lezioni di etichetta.
«Stasera sei sdolcinato, Malfoy» gli aveva risposto lo stupido Potter, intrecciando le dita delle loro mani in una presa salda che ebbe il potere di scacciare via ogni preoccupazione. Con gentilezza gli baciò le nocche e allora un ampio sorriso illuminò lo sguardo del non più gelido Draco. Neanche di questo ne aveva avuto realmente il controllo. Tanto che per un istante aveva avuto il timore d’esser stato stregato. Forse Harry avrebbe detto che era esattamente così che stavano le cose e, citando Silente, avrebbe poi ribadito che la magia dell’amore era la più potente di tutte. Ma Draco, che era pur sempre un Malfoy, a certe sciocchezze non aveva mai davvero creduto. Eppure, più Harry gli stava vicino e più sentiva la leggerezza prendergli possesso del cuore. La sua presenza era come una pozione per dormire ben fatta, un qualcosa che ti entra dentro e distende i nervi.
«Non che mi dispiaccia che l’amore della mia vita faccia citazioni adattissime alla situazione attuale» proseguì poi, facendo ovviamente riferimento a quello che era uno dei più divertenti, e inquietanti, ricordi che aveva di loro bambini. C’era qualcosa di romantico nel suo rivangare il passato in quel modo, ma che si finisse per essere così sdolcinati quello no, non l'avrebbe permesso.
«Per tutti i folletti, sciocco Grifondoro, sto per vomitare» lo rimbeccò, tirandosi indietro tutto impettito, come se qualcuno lo avesse preso a schiaffi d’improvviso.
«Accettami per quello che sono, Malfoy» borbottò Harry facendo spallucce «sei l’amore della mia vita, che tu lo voglia oppure no.»
«Non esageriamo con le definizioni! Ancora non ho deciso se mi piaci o meno, San Potter» gli fece eco Draco, stizzito, come se stesse sputando veleno. «E poi credo sia ora di riportare un po’ di sano cinismo in questa coppia, alla fine di questo corridoio sarà pieno di gente che ci parlerà alle spalle. Io non voglio romanticume da quattro soldi, voglio battute sarcastiche e frasi taglienti, naturalmente con stile perché sono pur sempre un Malfoy» gli domandò infine, porgendogli il braccio, che Harry strinse senza farsi pregare.
«Mh, non vedo l’ora di fare battute sul piccione che la moglie del ministro si metterà come cappello» gli rispose lui a tono, era chiaramente divertito e al punto che non una volta il suo sorriso si era spento. Flirtare in quel modo era sempre piacevole. Anche se no, non avrebbero parlato male del cappello della moglie del primo ministro: il suo eroico fidanzato aveva un’anima troppo candida per il pettegolezzo. Tuttavia, Draco finse di credergli e, sorridendogli di rimando, si chinò di poco a baciargli le mani fredde. Poco dopo arrivarono alla fine di quel lungo tunnel e gli occhi di tutti si catapultarono su di loro.

 

Harry Potter doveva avere un qualche dono speciale, oltre a quelli che già possedeva, Draco era sicuro che avesse l’innato potere di farsi sempre riconoscere da chiunque, anche in mezzo a una folla di decine di uomini uguali a lui. In effetti fu incredibile come la sala si quietò d’improvviso quando, a braccetto, incedettero lungo il salone ora immerso nel silenzio. La musica aveva smesso di essere suonata e non un bicchiere di champagne tintinnava tra le dita di una qualche signora ingioiellata. Quell’inquietante non parlare era spezzato soltanto dal ticchettio delle scarpe costose che indossavano; prima un passo e poi un altro, in un ordine quasi militare. Erano entrambi bellissimi e con lo sguardo alto e fiero. Più si addentrava nel salone, più Draco si rendeva concretamente conto che non c’era alcun abisso ad accoglierlo. Solo un timido brusio fece eco ad altri ancora più accennati. La folla era agitata, notò. Era come se fossero tutti sotto un incantesimo e non potessero fare a meno di fissarli a bocca spalancata.
«È Harry Potter!» aveva detto un uomo poco lontano, indicando alla moglie il celebre eroe, con del vivo stupore cucito addosso. Draco non aveva idea per quale caspita di motivo la gente fosse sempre così sorpresa nel vederlo comparire. Era come se non fossero ancora del tutto convinti che esistesse davvero. Il fatto era che prima ancora che un bambino, era stato una leggenda e quando sei una storia da raccontare, a quel punto il fatto che tu esista o meno è un fattore secondario. Interessante era il notare come inconsciamente anche i suoi migliori amici si portavano quell’identico stupore addosso, ogni volta che venivano a casa per un tè o una cena. “Harry!” esclamava la Granger come se stentasse a riconoscerlo. Eppure, quel velo di barba non gli nascondeva poi tanto i tratti somatici. Era certo lui, dei due, l’uomo dalle spalle larghe e forti, con un fisico appena un poco massiccio, i capelli mai in ordine e gli occhi stupendamente verdi. Draco non era davvero certo di quali fossero i motivi che anche quella sera spingevano le persone a indicarlo, ma invece che indagare oltre, preferì schiarire i pensieri. Guardarsi attorno sembrava una buona cosa da fare, per fingere di non essere ancora terrorizzato. Chiunque si fosse impegnato per decorare l’atrio del ministero, che solitamente fungeva da viavai per impiegati e visitatori, aveva fatto un lavoro straordinario. Decine di abeti alti almeno cinque metri, brillavano di lucine dorate. Ghirlande e festoni con piante di pungitopo e vischio, erano appesi ai muri mentre dal soffitto della neve finta ricadeva al suolo, scomparendo all’istante non appena toccava terra, in un incantesimo perpetuo che regalava a quella sala un’atmosfera ancor più magica. Sicuramente Potter non aveva aiutato ad addobbare il salone, era tutto troppo perfetto perché ci fosse il suo goffo zampino dietro.
«Tranquillo, sta andando bene.» Bugiardo! Pensò immediatamente Draco, affatto convinto dal suo ottimismo. Ancora procedevano in avanti, tanto che per un istante si chiese dove accidenti stessero andando. Avrebbero potuto dirigersi verso il banchetto sulla sinistra, era molto ricco e piuttosto invitante, oppure raggiungere gli amici di Potter. Aveva giusto notato una chiazza di capelli rossi e un paio di tizi allampanati, non molto lontani da dove stavano ora. O magari avrebbero potuto iniziare sondando un po’ il terreno, cercando di capire come l’avevano presa i genitori di Ron, a cui Potter teneva molto. Di sicuro però Harry non voleva ballare con lui, giusto? Anche se in effetti era verso il centro di quella che era un’improvvisata pista da ballo, che stavano andando.
«Ecco bravo, tranquillizzami» ribatté con sarcasmo, intanto che si guardava nervosamente attorno. Non c’era bisogno di usare la Legilimanzia per sapere con certezza a cosa molte di quelle persone stessero pensando, era sufficiente guardare lo scetticismo dipinto sui loro volti. Forse qualcuno stava ipotizzando che il famoso eroe fosse vittima di un filtro d’amore o che fosse sotto una maledizione, ma grazie alle fate non a tutti quel loro ingresso aveva fatto un brutto effetto.
«Quello preso dal panico perché sta per fare una pessima figura, considerato che non sa ballare, dovresti essere tu e non io.»
«Mi riferivo alla gente che ci guarda. Sta andando bene, vedi?»
«E io mi riferivo ai miei piedi invece» gli disse, voltandosi di scatto e afferrandolo per la vita. Aveva agito d’impulso, in un muoversi repentino d’intenti e sentimenti che di solito non gli apparteneva. Draco era un uomo profondamente riflessivo, spesso e volentieri pacato e che preferiva ragionare su quel che si apprestava a fare. Di norma avrebbe rimuginato per giorni su un’eventualità del genere, ciononostante quella sera agì unicamente mosso da ciò che desiderava. Non sapeva se Harry volesse realmente danzare con lui, anche perché il farlo equivaleva a dare spettacolo, giusto? E si erano detti di mantenere un basso profilo, tanto che erano scivolati dentro al camino di un tizio al secondo piano proprio per questa ragione. Però, già che stavano al centro del salone e che la musica aveva ripreso a riecheggiare, tanto valeva mettersi un po’ in mostra. Harry odiava pavoneggiarsi, lo sapeva perché era una di quelle cose su cui Draco aveva drasticamente cambiato idea. Non pareva però troppo infastidito da tutto quello e quindi, una volta preso posto al centro di una pista spoglia e con l’intero mondo magico inglese attorno a loro, gli cinse la vita con ancora più forza e, unite le loro braccia, cominciò a muoversi al ritmo dei tre quarti.
«Conduco io, tanto per cambiare» mormorò, tirandoselo contro. «È un valzer» aggiunse infine, ritrovandosi nella posizione di dover dettare il ritmo a un uomo che non aveva assolutamente idea di cosa stessero facendo. Proprio per questo sapeva che non era il miglior modo di presentarsi come una coppia, Potter sembrava un elefante in una cristalleria. Senz’altro, però, era il più spettacolare o meglio quello che più avrebbe dato da chiacchierare alla gente. E quando iniziarono per davvero a vorticare, il mondo attorno a loro parve riuscire a spegnersi in un qualche stranissimo modo. I pettegolezzi, l’odio, la gente, le dicerie che si sarebbero certamente diffuse, non erano più realmente importanti. Guardarsi negli occhi e farlo in quel modo magari aveva sciolto il cuore di molti là dentro, oppure non lo aveva fatto per nulla. Quel che era certo era che una serie di flash erano scattati in loro direzione e che un mormorio ben più distinto, riconoscibile in un estatico “Oh”, era risuonato quando Draco lo aveva afferrato saldamente per la vita sollevandolo di poco da terra. Harry aveva riso, lasciando cadere la testa all’indietro e ricadendo al suolo con la grazia di un ippopotamo, salvo poi pestargli i piedi due o tre volte, come suo solito. Poi però lo aveva baciato e a quel punto qualcuno là nella folla aveva addirittura applaudito.
«Mi stai rovinando le scarpe, Potter!» aveva sibilato, intanto che continuavano a girare per il salone. Lo aveva fatto ridere di nuovo. Harry rideva e a Draco un qualcosa di indefinito si scaldava dentro al petto, forse bastava questo per essere felice. Perché lo amava, lo amava e basta. Non c’era altro da aggiungere.

 

No, non era stata una serata perfetta, né la festa né il loro incontro con gli amici rossicci di Harry e nemmeno le strette di mano al ministro o al capo ufficio auror, un imponente omone che doveva certamente essere un mezzogigante. Ma Draco lo aveva accettato, per il semplice motivo che innamorarsi di Harry Potter gli aveva ampiamente dimostrato che la perfezione non esiste. Era stata tendenzialmente una bella serata, avevano ballato, male c’era da dirlo, avevano bevuto e chiacchierato. Draco si era reso conto che al ministero non c’era più tutto questo astio nei confronti dei Malfoy. Era come aveva detto Harry: dovevano essersene accorti del suo rigare dritto, perché il primo ministro in persona lo accolse con una calorosa stretta di mano che fece tirare a Draco un gran sospiro di sollievo. Il solo episodio davvero spiacevole era avvenuto un paio d’ore più tardi dal loro arrivo, c’era stata una non poi tanto innocua discussione con un tale che aveva acceso l’animo focoso di Harry. Questi era un tizio di cui aveva proprio scordato il nome, però aveva puntato la bacchetta contro Draco, intimandogli di togliere le sue grinfie dal loro grande eroe. Sua moglie aveva addirittura promesso che avrebbe preparato un antidoto per il filtro d’amore, nel frattempo però la gentile signora gli aveva inveito contro. A una simile minaccia, Potter non aveva risposto con una battuta pungente, al contrario si era frapposto fra lui e quel tale, facendo evidentemente valere tutta la sua testosteronica presenza.
«D’accordo, hai fatto abbastanza il maschio alpha per stasera» aveva detto Draco, sfilandogli dalle dita il bicchiere di whiskey incendiario e lo posava su un vassoio, intanto che ruzzava al pari di un toro e soltanto per poter tornare a farsi sotto con quel tale.
«Io quello lo faccio fuori.»
«Sei un auror, Potter, ricordatelo ogni volta che ti viene la tentazione di sfoderare la bacchetta» gli disse, prendendolo per mano «non puoi andare in giro a minacciare la gente.»
«Ma quello ha detto che…» lo interruppe Harry, vibrando ancora. Accidenti, era sorprendentemente forte, si rese conto, infilandosi con lui dietro a una colonna ghiacciata e ricoperta interamente di ghirlande.
«Ascolta» gli disse, accarezzandogli il viso lentamente intanto che un forte profumo di pungitopo gli invadeva le narici. «So di averti creato tanti problemi e questo era esattamente quello di cui avevo paura, ma credimi quando ti dico che adesso sto benissimo. È vero quel tizio mi ha minacciato e per un istante mi sono spaventato, poi però mi sono ricordato che nessuno può farmi del male. Sono intoccabile, Potter e non per il mio cognome, ma per il fatto che sto con te. E non credere che questo sia un discorso sul fatto che ti appartengo o altre baggianate simili, sto dicendo che quello è solo un idiota e che a me non interessa di ciò che pensa. Quindi ora mi prometti che la smetti di voler fare a pugni?» Harry non aveva mai davvero risposto, come faceva sempre preferiva agire invece di spendere parole. Anche perché Draco era convinto che gli venisse molto meglio. E infatti si era limitato ad annuire, poi lo aveva trascinato nuovamente a ballare. Sì, non era stato perfetto, ma era stato bello. Draco si rese conto che tutto sommato era stata una serata piacevole, proprio quando si ritrovò ad affondare in una delle poltrone di Grimmauld Place, ore più tardi da quando l’avevano lasciata. Il caminetto del salotto al secondo piano era acceso e la stanza, blandamente decorata con tappeti, quadri addormentati e una piccola libreria, era calda e accogliente. Harry Potter sedeva nella poltrona di fronte alla sua e sorrideva. Si era levato le scarpe e aveva allentato il cravattino, la giacca invece la stava raccogliendo da terra proprio Kreacher. Quell’elfo a tratti gli faceva un po’ pena, doveva ammetterlo, star dietro al disordine di Potter doveva esser tutto tranne che semplice.
«Kreacher» mormorò Draco a un certo punto, spezzando il silenzio. «Per favore portarmi una tazza di tè.»
«Certamente signorino» rispose l’elfo, inchinandosi «Kreacher è felice di servire un discendente della nobile casata dei Black.»
«Portalo anche a me, grazie» aggiunse Harry stiracchiandosi nella poltrona. Non aveva smesso di sorridergli per un solo istante da quando erano tornati a casa. Era felice e lo percepiva dal calore del suo sguardo, così come dall’espressione che gli leggeva sul volto. La loro storia già stava facendo notizia, il giorno successivo sarebbero stati invasi da decine di gufi e un articolo sarebbe apparso sulla Gazzetta del Profeta. Il Settimanale delle Streghe, invece, avrebbe dedicato loro l’intero spazio della rivista, con tanto di foto e interviste ad amici e conoscenti, nonché dai tanti testimoni presenti all’evento. Pettegolezzi, per lo più. Di fatto in ben pochi nel mondo magico avevano idea di cosa legasse davvero Harry Potter a Draco Malfoy. Fu questo il rincuorante pensiero che lo colse quella notte, intanto che sorseggiava la sua tazza di Earl Grey con una goccia di latte a renderlo più dolce. La loro vita privata tale sarebbe rimasta, nessuno avrebbe mai intaccato quel meccanismo straordinario che avevano creato insieme e che era fatto di discussioni e baci, di odio viscerale e amore appassionato . In fondo era questo che Draco voleva custodire gelosamente, di ciò che avrebbero creduto gli idioti là fuori, più niente gliene importava.
«Allora, Malfoy?» gli domandò a un certo punto. Ancora sorrideva, ma ora un’espressione più seria si era fatta largo tra altre più leggere «rimani qui con me?»
«Intendi stanotte o per sempre?» gli chiese in rimando ancora sorseggiando quell’ottimo tè. No, neanche a quello Harry Potter rispose. Non a parole almeno. In effetti la risposta a quella domanda era talmente ovvia che non ne parlarono nemmeno più. Draco rimase semplicemente lì per quella notte e anche per tutte quelle successive. Poi, quasi per caso, un giorno prima della fine dell’anno capì che si era davvero trasferito a Grimmauld Place. Ancora, di perfetto non c’era proprio niente. Ancora qualcuno lo odiava, ancora il nome dei Malfoy non valeva poi molto e di certo non si sarebbero fidati di lui tanto presto, ma per la prima volta in tutta la sua vita sentiva che non gli importava. In fondo andava bene anche così.




 


Fine





 



 

Note: Devo necessariamente ringraziare Bessie perché mi ha dato un aiuto enorme con questa storia, mi ha aiutata a capire che valeva davvero la pena provare a recuperarla e non era scontato considerato lo stato in cui si trovava nemmeno un mese fa. L’avevo già pubblicata l’anno scorso, ma in una versione un bel po’ diversa, poi l’avevo cancellata perché troppe cose non mi piacevano. A un certo punto mi sono resa conto che farla rimanere nel computer era un peccato. Il titolo è cambiato, l’intro l’ho riscritto da zero e ho tagliato molte parti che consideravo prolisse, modificandone altre in maniera sostanziale. Il lavoro che ho fatto è stato molto corposo e tutt’altro che facile, ma sono felice di esserci riuscita.
 

La storia partecipa all’iniziativa di Natale del gruppo: “L’angolo di Madama Rosmerta” che consiste nel fare regali di Natale senza aspettarsi nulla in cambio. Avendo questa storia da parte ho pensato fosse la giusta occasione per lavorarci sopra. Il regalo è per VigilanzaCostante a cui piace la Drarry e alla quale spero questa storia sarà piaciuta.
Un grazie a tutte le persone che sono arrivate a leggere sino a qui e, anche se siamo solo al primo dicembre, Buon Natale a tutti!
Koa

   
 
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