Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Ricorda la storia  |      
Autore: Fresia_    02/12/2021    1 recensioni
«Comunque io sono Anzu» soggiunse infine, e per Yugi non fu una sorpresa. Se lo sentiva che dovesse avere un nome simile. Doveva per forza appartenere all'estate.
{Peachshipping ♥ - pre-serie}
Genere: Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Tea Gardner/Anzu Mazaki, Yuugi Mouto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Yugi si rintanò in un angolo e finalmente poté scoppiare in lacrime, il piccolo giubbotto in cui era ingolfato a frapporsi fra lui e il mondo, come uno scudo inerme consapevole dei propri limiti. Sopra di sé, il cielo terso ma arcigno di dicembre, di un ceruleo privo di macchie, privo di umane imperfezioni – così distante e inavvicinabile –, pareva scrutarlo col piglio severo della disapprovazione. Lo odiava. Odiava tutto, di quella giornata. Il freddo del cielo, sul marciapiede, aggrappato all'aria tagliente che stuzzicava quei pochi fazzoletti di epidermide esposta. Quello sulle bocche feroci dei suoi compagni. Sì, così se la immaginava la cattiveria: gelida come il ghiaccio, sferzante come un'implacabile tormenta di neve, o anche infida come quei subdoli, piccoli spifferi di vento in grado di infilarsi nelle poche aperture vulnerabili, finestre di pelle sensibili che lo lasciavano penetrare fin nelle ossa, ed era allora che il freddo iniziava a mutare in dolore, in un'inevitabile metamorfosi.
La mano gli doleva ancora per la caduta, ma più di tutti a risentirne era il cuore, che pesava come un macigno nel petto minuto, rigonfio, com'era, di vergogna e frustrazione, e dentro di sé – non solo nelle orecchie, in ogni angolo di carne – si disperdeva l'eco di tutte le crudeli risate di scherno che avevano accompagnato il proprio impatto col suolo. Erano lame conficcate al petto ad ogni singulto. Sentì che non se ne sarebbe mai liberato, no, non sarebbe mai riuscito a strapparsi di dosso le loro occhiate derisorie, che ogni giorno si inabissavano sempre più in profondità. E si maledisse per essere così fragile, e così maldestro. Si sentì un incapace, uno stupido. Fallito lo avevano etichettato. Ecco cosa sarai da grande. Anche se studi tutto il giorno. Non sarai mai nessuno, perché sei troppo ottuso e impedito.
Strinse di più la presa contro le ginocchia piccole e ossute, serrate contro lo sterno in un vano tentativo di placare i singhiozzi.
«Ti sei fatto male?»
Sobbalzò appena, sorpreso. Nel campo visivo offuscato dalle lacrime, due accoglienti occhi azzurri – di un azzurro caldo, rispetto al celeste ferino del cielo di dicembre – lo stavano squadrando con premura e apprensione. Li riconobbe come quelli appartenenti alla bambina della 2B in cui ogni tanto gli capitava di imbattersi di sfuggita durante la ricreazione. Era poco più alta di lui, aveva avuto modo di notare, e il preciso caschetto che le incorniciava il volto seguiva con meticolosa dedizione ogni singolo movimento dello stesso, ondeggiando simpatico. Quegli occhi sbucavano da una pesante sciarpa di un giallo chiaro, del colore del sole in estate, la quale lasciava sfuggire qualche indisciplinata ciocca castana, in un dettaglio imperfetto che la rendeva più vicina a lui. Creava un bel contrasto. Era colore su una tela asettica e glaciale.
Anche la sua voce era calda, emanava quel tepore che gli venne naturale associare al caminetto scoppiettante che soleva accendere ojiisan già dai primi accenni dei rigori invernali, così da tenere tutto il freddo lontano da casa, lontano da loro. Era accogliente. Sapeva di rifugio.
«Lascia perdere quegli sciocchi» proseguì poi la bimba, dopo essersi premurata di ispezionare la ferita di lui fra i palmi guantati, in tono rassicurante ma deciso, di chi sa di asserire il vero. «Sono solo invidiosi perché sei il più bravo della classe, mentre loro al massimo possono ambire a una sufficienza. Sono loro i veri falliti.»
«E se non fosse così...?» controbatté lui, in un pigolio sommesso e incrinato dal dolore acuto dell'umiliazione. «Sono molto goffo e co-combino sempre disastri, a prescindere dai voti che prendo. Non riesco a fare un passo senza che-»
«Come ti chiami?» lo prese alla sprovvista l'altra, che dava l'aria di non essere stata per nulla scalfita dal suo piagnisteo.
«Yugi» bisbigliò, incerto.
«Bene, Yugi,» attaccò a quel punto la bambina – ed il suo nome aveva un bel suono, pronunciato da lei: si imprimeva in quell'aria pungente con garbata fermezza, sottraendole vigore –, «innanzitutto, essere un pochino impacciati non vuol dire essere degli incapaci. Sei solo molto agitato, ed è normale, con gli sguardi di quelle serpi puntate contro, come dei cecchini, che ti faranno di certo sentire sotto pressione a ogni minimo movimento. E poi...» Adesso quelle iridi azzurre brillavano, davano a un cielo d'estate che si espanse fino ad inghiottire il suo gemello più scostante. «a me piace, sai? Ti muovi in maniera molto dolce e delicata, come se fossi costantemente impegnato a fare attenzione a non arrecare del male a qualcuno. Lo vedo da come scarti la tua merenda e da come sfogli i libri durante la ricreazione, come se avessi timore di rovinarli. Porti rispetto, e questa è una bella cosa.»
«Oggi non sono stato proprio delicato» asserì con amarezza lui. «Sono inciampato nel cortile della scuola, davanti a tutti.»
«A chiunque capita di inciampare, Yugi. Nella vita è inevitabile.»
Per qualche istante rimase colpito dal bagaglio di maturità di quella ragazzina, che con tanta semplicità sciorinava concetti tipici degli adulti, ben lontani dagli argomenti di conversazioni dei coetanei. Una parte di lui, invece, se l'aspettò: dentro di sè lo sentiva che era diversa, diversa da tutti quelli che li attorniavano, e fu questo a fargli montare in petto il bisogno di non separarsi più da lei. Sì, era diversa, migliore, e riusciva a far sentire valido e migliore anche uno come lui, che invece si vedeva sempre così sbagliato e fuori posto. «A me capita più spesso degli altri» ci tenne a mettere in chiaro, difatti.
«Però poi ti rialzi» rilanciò lei, e Yugi sgranò appena le palpebre. D'improvviso gli sembrò di prestare finalmente attenzione anche al resto di una figura di cui era sempre stato visibile solo un quarto. Elementi rimasti silenziosamente in secondo piano, mai considerati dalla sua persona, impegnata, com'era, a condannarsi e a sminuirsi su ogni fronte. Avvertì i brividi, e qualcosa dentro di lui si agitò, mettendo a tacere i sussulti accorati del cuore.
«È questo che mi piace di te, la tua capacità di reagire. Ti rimetti sempre in piedi, ogni volta che cadi, fossero anche duecento al giorno. E penso che alla fine sia proprio questo l'importante, non credi? Tu assorbi l'urto senza spezzarti, una caratteristica davvero invidiabile! E sono certa che, tra qualche tempo, imparerai anche a rispedire tutto al mittente, vedrai.»
Fu come liberarsi di un peso. Il cuore tornò improvvisamente leggero, e anche quell'eco che tanto infuriava in ogni anfratto di lui allentò la sua presa. Era sempre presente, sì, ma fu scacciato e allontanato dalla voce di lei, che richiedeva spazio per sciogliere il ghiaccio. «Grazie...» sussurrò a quel punto, e la sua occhiata riconoscente fu contraccambiata dal sorriso solare dell'altra, emerso fra gli strati di quella lana gialla. Sembrò quasi un prolungamento della stessa, tanto sprigionava luce.
«Comunque io sono Anzu» soggiunse infine, e per Yugi non fu una sorpresa. Se lo sentiva che dovesse avere un nome simile. Doveva per forza appartenere all'estate. Ecco perché era riuscita ad indebolire il freddo, disarmandolo e costringendolo ad una ritirata, lei e quegli occhi accoglienti e caldi come un riparo familiare, e quella sciarpa chiara e radiosa, come una bella giornata di giugno, di quelle in cui la sera non giungeva mai. Sentì che accanto ad Anzu, forse, sarebbe riuscito davvero, fra una caduta e l'altra, a fronteggiare le risa di scherno dei suoi compagni, i quali gli apparivano un po' meno minacciosi, ora, che aveva intuito il punto debole del gelo. Ed era lei.
Dal mondo, d'ora in avanti, si sarebbero riparati con quella sciarpa gialla.












Note
Altro giro, altra corsa, altro fluff, stavolta però ripieno di una farcia più angstosa *si spupazza quel povero bubino di Yugi*! Mi sono sempre chiesta quando e in che occasione si fossero incontrati Anzu e Yugi, ed essendo, i due, amici di lunga data, ho ipotizzato il rapporto affondasse le radici nella loro infanzia - che poi magari è stato pure specificato nella serie e la mia memoria da pesce palla ha cestinato l'info, lol -, e mi piace pensare avesse avuto inizio proprio da un episodio di bullismo subito da Yugi, con l'altra che, indignata dal comportamento dei coetanei, accorreva per soccorrerlo, e altresì per tirarlo un pochino su. Il prompt era "sciarpa", ed ovviamente nel testo corrisponde all'omonimo indumento indossato dalla ragazzina; ho pensato di rendere la stoffa di un giallo pastello, in modo tale che rimandasse, appunto, alla luminosità del sole, e al suo calore. uwu Ovviamente è troppo presto, per Yugi, per avvedersi di essersi preso una sbandata colossale per la nostra bella moretta, ma questo incontro ha di certo provveduto a piantare i primi semi, e i suddetti non tarderanno a sbocciare!~
E niente, spero davvero che vi piaccia!
Alla prossima! ^^

PS: Anzu, nell'idioma nipponico, vuol dire albicocca, frutto tipicamente estivo - in Giappone mi pare si inizi ad assistere alla sua comparsa attorno primi di luglio, o giù di lì -, ed ecco il perché dell'associazione di Yugi. u.u

   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: Fresia_