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Autore: Ciarax    03/12/2021    1 recensioni
Le stelle cadenti hanno un significato positivo e costituiscono un'imperdibile occasione per esprimere un desiderio, quando brillano e illuminano il cielo immerso nell'oscurità, ignari che quello non è che il riflesso pallido della loro esistenza.
Quello che le persone ammirano con tanta adorazione non è che il residuo, la scia di quella che una volta bruciava di passione, la stessa passione che si era lentamente spenta in Alexis. Solo l'ombra di quello che alimentava il suo spirito libero.
Era difficile immaginare un incontro tanto casuale da essere in grado di ribaltare la sua visione della vita, alimentando silenziosamente quella piccola e flebile fiamma nel suo petto.
Dal testo:
'Alexis Nyla Allen. Vent’anni. Studentessa. Questo era quello che chiunque avrebbe potuto leggere sul quel maledetto pezzo di plastica che racchiudeva semplicemente parole. Parole che non dicevano assolutamente niente di lei, di ciò che era o pensava.'
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Nuovo personaggio, Raphael Hamato/ Raffaello
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IX
                              Have you ever felt lost
                              Like you don't matter at all
                              Like you were born just to be scared?
 
 


Essere indipendenti non vuol dire necessariamente riuscire a badare al proprio sostentamento in modo adeguato. Viveva da sola da almeno un paio d’anni ma Alexis aveva avuto fin dall’inizio una pessima routine, dove anche gli orari improponibili del suo lavoro non l’aiutavano affatto.

Era stato un miracolo che durante l’ultima settimana i suoi orari erano stati vagamente paragonabili a quelli del resto della popolazione mondiale. Dall’ultimo incubo avuto però erano quasi due giorni che non dormiva decentemente e le tre del pomeriggio le pesarono come le tre del mattino.

Lo stomaco di Alexis brontolò pigramente quando arrancò con lentezza verso la sala comune della stazione radio, strascicando i piedi a ritmo cadenzato mentre gettava lo sguardo da una parte all’altra del corridoio sperando di trovare il suo obiettivo. Andy. Lo stesso che era tranquillamente poggiato lungo il bancone con una fumante tazza di caffè in mano, appena tornato dalla pausa pranzo.

«E questo cosa sarebbe?» l’uomo inarcò un sopracciglio, l’espressione perplessa di fronte a quell’esiguo fascicolo di fogli che Alexis gli porse senza troppe cerimonie. Aveva colto immediatamente l’umore nero della ragazza ma in quel momento sembrò che anche la semplice respirazione potesse pesarle.

«Dimissioni. Le mie. Me ne vado» telegrafica, la risposta asciutta di Alexis che rese Andy ancora più perplesso.

Perché non glie ne aveva parlato? Si passavano buoni venti anni di differenza, ma erano colleghi ed era quasi due anni che Andy aveva preso Alexis come sua tirocinante prediletta: era sveglia, rapida nel suo lavoro e sembrava sempre intuire quello che andava fatto prima che l’uomo potesse anche solo aprire bocca. Aveva un istinto naturale per la musica e il sonoro. Perché mai avrebbe dovuto mollare così d’un tratto.

«Ho letto, -replicò con pazienza allora, -ma non capisco cosa dovrei farci. Perché vuoi andartene? Così, senza motivo?»

Alexis arricciò appena il naso, infastidita da tutta quella improvvisa insistenza nei suoi confronti. Detestava la gente che sembrava non voler fare altro che farsi gli affari suoi, ficcando il naso dove non avrebbe dovuto ma quella era purtroppo una domanda più che lecita, dovette constatarlo anche lei. Nelle ultime settimane non aveva detto nulla a riguardo, non una parola con un collega, non una parola con Andy.

«Non fa per me. Non è quello che voglio fare, non più» quel giorno cavarle le parole di bocca sembrò ancora più arduo del solito ma il vecchio ingegnere del suono colse una lieve insofferenza nelle sue parole.

E l’aveva lasciata andare. Così. Quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro al suo fianco e Alexis l’aveva passato come al solito, attenta dietro la console e con lo sguardo annoiato ogni volta che la Johnson apriva bocca. Considerando come quella volta fu lo speciale di buone cinque ore di diretta del suo programma… un’ultima giornata d’inferno.

Alexis fu quasi grata della riservatezza di Andy, quell’uomo non l’aveva mai delusa e l’unica occhiata che le rivolse quando gli consegnò tra le mani quel magro plico di fogli quasi le fece rimpiangere la propria scelta. Ma non era quella la sua strada. La delusione di una persona quasi sconosciuta a lei poteva sopportarla, altro discorso erano le delusioni della propria famiglia e di quelli a cui teneva. Ma la distanza le alleviava un po’ il disagio e la pena.

Si sentiva una codarda. L’ennesima dimostrazione della sua incapacità di affrontare le cose a testa alta, sembrava che avesse perso tutto il coraggio leonino di cui faceva sfoggio ed orgoglio negli anni adolescenziali. Quando ancora non si tirava indietro nelle difficoltà, quando ancora non si sentiva una reietta. Un giocattolo difettoso. Ecco quello che era.

Perciò, no. Non poteva rimanere, non poteva lasciare che anche il lavoro fosse il risultato delle sue mille insoddisfazioni personali. Semmai se ne sarebbe pentita più avanti non poteva e non voleva saperlo, aveva solo il bisogno di tornare a vivere la propria vita con il barlume di spensieratezza con cui affrontava ogni giorno… prima di tutto.

«Allen» la voce di Andy la richiamò all’attenzione. Alexis smise di sistemare quel poco che rimaneva nel suo zaino e rivolse uno sguardo verso l’uomo, scostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Sicura di volertene andare?»

Il volto di Andy per la prima volta sembrava inquieto, l’espressione solitamente stoica non era rilassata come gli altri giorni ma era teso. Gli occhi scuri la scrutavano con attenzione e indugiarono per un secondo di troppo sul delicato punto ben coperto dal pesante maglione beige di Alexis. Quello non era affatto un buon segno.
Alexis si mise semplicemente lo zaino in spalla e annuì, «Non mi fa bene rimanere qui»

Poco prima di girarsi, sperando di mettere fine a quella tensione che le divorava il petto in una morsa dolorosa, venne afferrata per il braccio. La presa di Andy era delicata ma l’aveva trattenuta per l’avambraccio destro senza pensarci più di tanto.

«Il piccolo prodigio di Chicago, giusto? Non ci guadagni nulla a buttare così un talento innato, Alexis» le parole di Andy erano state sussurrate ad un tono decisamente troppo basso ma Alexis faticò comunque a registrarle.

Il suo corpo si era irrigidito all’istante, il contatto bollente con la mano che la tratteneva per l’avambraccio le mandava pesanti scariche di dolore in tutto il corpo. Avrebbe voluto amputarsi quel braccio seduta stante solo per far finire quella lenta agonia, ma era rimasta lì. Immobile.

Prima che potesse accorgersene si divincolò con uno strattone e uscì dalla stanza senza aspettare un secondo di più. I corridoi erano diventati solo un’immagine sfocata prima che potesse fermarsi mezzo secondo a respirare a pieni polmoni una volta uscita dalla stazione radio dove non avrebbe mai più messo piede. Era fatta. Anche volendo non sarebbe certo tornata a cercare lavoro lì.

Come diamine si era permesso di trattenerla in quel modo e di porgere l’unica domanda che non voleva sentire in alcun modo, da nessuno. Il piccolo prodigio di Chicago. Quel nomignolo le faceva ribrezzo oramai, quando quasi tutti pensavano che il suo cambiamento repentino fosse stato solo dettato da un capriccio infantile. Quelli del Daily Herald erano stati alquanto indiscreti sin dall’inizio e quei giornalisti sembravano avvoltoi pronti a divorare qualsiasi notizia capitasse loro a tiro.

Che una tra le testate giornalistiche più importanti di Chicago si interessasse ai giovani artisti emergenti non era totalmente una novità, piccoli inserti tra le pagine del giornale non erano rare da trovare specialmente nel contesto musicale profondamente radicato e sentito della città. Un polo artistico a trecentosessanta gradi per qualunque genere di arte, dalla musica alla pittura.

Nonostante tutto però non capiva come anche lì qualcuno avesse potuto interessarsi alla disgrazia che non aveva tirato molto scandalo al di fuori della città ventosa. Quelle di solito erano notizie che nascevano e morivano nell’arco di poche settimane, di artisti e geni musicali nascenti non ce n’erano poi così pochi.

Alexis era talmente immersa in quel circolo vizioso di pensieri, alla ricerca di una soluzione, di un motivo dietro quella che le sembrava una disgrazia in quel momento. Non sentiva il sole sulla pelle, non sentiva neanche il freddo che le stava gelando la punta del naso arrossata così come le guance, dimenticatasi di coprirsi con la sciarpa o un berretto di lana.

Doveva solo tornare nel suo appartamento. Rimanere lì fin quando non si fosse calmata, ignorare quelle che sentiva essere come lame puntate alla gola, sull’avambraccio, sul fianco, pronte a trafiggerla. Il respiro era ancora accelerato e neanche il ripetitivo tirare giù le maniche del maglione sembrò acquietarle la sensazione che chiunque potesse vedere quegli orrori sul suo corpo.

Piano terra.

Aveva raggiunto il complesso dove abitava, c’erano solo otto rampe di scale a separarla dalla sicurezza del suo appartamento, del suo letto.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca e schiacciò il pulsante di chiamata rapida facendo partire l’unico contatto salvato nella sua rubrica adibito a momenti come quello.

Primo piano.

Sentiva squillare, c’era segnale quindi qualcuno avrebbe risposto. Presto qualcuno avrebbe risposto.

Secondo piano.

Saliva le scale due gradini alla volta senza curarsi di mettere un piede in fallo, quando sperava solo di riuscire a rallentare il battito forsennato del proprio cuore. Il braccio le formicolava e a malapena si rendeva conto di quanto le girasse la testa.

Terzo piano.

La segreteria sarebbe partita già da parecchio, quindi perché non le rispondeva? Aveva ragione ad avercela con lei ma non sentiva di aver avuto altra scelta. Le sembrava di star deludendo tutti. Di nuovo.

Quarto piano.

«Flynn?»

La voce dall’altro capo del telefono si acquietò per un secondo, metabolizzando il pigolio che in quel momento era risultata la voce di Alexis. «Sei in casa?»

Sicuro, calmo, controllato. La voce era sempre così. Flynn era sempre così.

La vista di Alexis si annebbiò per un attimo prima di rendersi conto di come fossero l’accenno di alcune lacrime a rigarle le guance imporporate per il freddo preso sino a quel momento. Alla cieca infilò le chiavi nella toppa ed entrò nell’appartamento senza troppe cerimonie, buttando tutto quello che era di troppo in giro per il soggiorno.

«Si…-si schiarì la gola sentendola bruciare, -si, ci sono»

«Ascoltami bene, non sono lì con te quindi mi devi rispondere chiaramente. Va bene?»

Alexis annuì impercettibilmente prima di ricollegare e dare una flebile conferma vocale.

«D’accordo -concedette Flynn dall’altro capo mentre continuava a parlarle con tono calmo, -mettiti con la schiena al muro, come quando ci nascondevamo da piccoli. Tieni la fronte sulle ginocchia. Conta, conta il respiro. Senti il cuore che rallenta. Lascia stare tutto e concentrati con me, okay?»

«Okay» soffiò incerta Alexis, incapace di alzare a sufficienza la voce senza rischiare di crollare ulteriormente.

Continuò a concentrarsi sulle parole calme di Flynn, lente e scandite con attenzione. Non registrò cosa le stesse dicendo, avrebbe potuto anche parlarle della sua ultima spedizione su Marte e lei non avrebbe battuto ciglio. Aveva bisogno di una voce amica in quel momento, ed era quello che lui le stava dando.

«Le tue crisi non passano così quando sei da sola, Allie» disse finalmente il ragazzo quando sentì il respiro di Alexis rallentare dopo non si sa quanti minuti passati a cercare di calmarla.

La ragazza spostò il telefono all’orecchio destro, iniziando a sentire quello sinistro ronzare fastidiosamente come quando non le succedeva da anni. Sentiva le ossa indolenzite da quella posizione estremamente scomoda mentre teneva ancora la schiena ben salda contro il muro dietro di sé.

«Sei diventato improvvisamente il mio psicologo?» mormorò stancamente Alexis, sentendo la propria voce più controllata rispetto a prima. Il battito era rallentato e riusciva a fare respiri più profondi senza che un macigno le gravitasse sul plesso solare.

Flynn sospirò. Alexis ebbe immediatamente l’immagine di lui mentre si reggeva il ponte del naso tra le dita affusolate, il tic che aveva ogni volta che era esasperato.

«No ma ti ci ho portato per buoni due anni, quattro se tu non fossi sparita così nel nulla»

«Avevo bisogno di andare via» protestò debolmente Alexis a quelle parole.

«Avevi bisogno di un po’ di pace, non di andartene senza dire niente a nessuno»

«Dovevo?» mormorò Alexis sentendo già la risposta che sarebbe arrivata.

«Dovevi» convenne Flynn senza aspettare un attimo. Sicuro di quello che sembrava una discussione trita e ritrita tra i due.

Passò qualche secondo di silenzio.

«Scusa»

Il silenzio cadde da entrambi i capi del telefono, passata l’immediata urgenza era rimasto solamente l’imbarazzo tra i due. Imbarazzo che Alexis non pensò potesse mai esserci tra loro, quando non c’era solo stata la sua testardaggine di mezzo nell’averli separati. Aveva messo volontariamente lei distanza tra di loro e tenne traccia dei secondi interminabili battuti dall’orologio da parete nel soggiorno, cinque minuti eterni in cui pensò che quella frattura non si sarebbe rimarginata tanto presto. Forse mai.

«Dunque?» cantilenò improvvisamente attento Flynn.

«Scusa?» Alexis impiegò alcuni secondi per rendersi conto di quel repentino cambio di atteggiamento prima di sentire il timido sorriso distenderle le labbra.

«Oh, andiamo! Non fare la finta tonta con me, Alexis. Chi è il povero disgraziato?» rimbeccò stoicamente il ragazzo, iniziando già a perdere la pazienza. L’energia che lo contraddistingueva stava riemergendo tutta in una volta e gli stava risultando difficile contenere l’eccitazione.

«Non è…» provò a ribattere Alexis ma le parole le morirono in gola quando sentì il rumore di una tazza cadere in frantumi dall’altro capo del telefono. Flynn doveva essersi alzato di scatto, facendo cadere la tazza che conteneva il suo tanto amato caffè amaro.

«Ah ah! Avevo ragione che ci fosse qualcuno di mezzo!» esclamò vittorioso, l’orgoglio nella voce bassa mentre gongolava come un bambino nel giorno di Natale.

 
...
 
Raph aveva il respiro affannato, anche se non era lo stesso affanno che avrebbe voluto sentire rimbalzare tra le pareti del loro nascondiglio avvolto nel buio. C’era troppo silenzio attorno a lui, tanto che aveva tenuto per un attimo che i suoi fratelli l’avessero sentito, o peggio… Splinter.

Il sudore gli si era attaccato alla pelle squamata e con un sospiro decise di liberarsi di quelle coperte irrimediabilmente macchiate per quella notte. Nascose la rivista sotto il cuscino come suo solito senza preoccuparsi particolarmente troppo, non era proprio un segreto che amasse guardare Playboy e l’unico abbastanza sfrontato sarebbe potuto essere solo Michelangelo.

Il fratello minore aveva la lingua decisamente lunga per le questioni che non lo riguardavano e non c’era alcun bisogno per lui di venire a sapere di quel piccolo sfogo di Raph. C’erano solo lui, la rivista… e il pensiero fisso di Alexis.

Avrebbe finito col distruggere l’ennesima attrezzatura da allenamento se avesse sfogato la sua frustrazione, quello era un prurito che andava risolto in altro modo. L’urgenza impellente che sentiva in corpo era esploda solo negli ultimi giorni, rimasta in qualche modo assopita grazie un po’ anche all’assenza di contatto fisico tra i due.

All’inizio fu risentito. Alexis aveva evitato ogni minimo contatto con loro da quando li aveva incontrati, si era irrigidita come una corda di violino nell’istante in cui Donnie le aveva fasciato la caviglia e pensò immediatamente a come dovesse essere disgustata da loro. Anche il povero Donatello ne era rimasto alquanto ferito, anche se era stato difficile da scorgere quella scintilla di tristezza nascosta magistralmente dietro gli spessi occhiali. Non sarebbe stata la prima, né l’ultima ad evitarli ad ogni costo. Ma la cosa era continuata, Alexis limitava i contatti non solo con loro ma con chiunque.

L’aveva scoperto quasi casualmente dopo una delle ronde di pattugliamento con Leo, l’unico che non si impicciava troppo in quella situazione nuova un po’ per tutti. Alexis staccava da lavoro in orari assurdi e non era affatto la prima volta che la trovava tornare a casa in piena notte o alle prime luci dell’alba. Ogni volta, anche tra le strade trafficate di New York, evitata il contatto. Scivolava tra gli estranei, silenziosa, invisibile. Anche in pieno giorno.

Non erano quindi loro il problema. Non era disgustata da loro.

Argomento delicato del quale Splinter si era avvantaggiato già anni prima con tutti loro, attento come sempre nel trovare il momento ideale per parlare con i suoi allievi, i suoi figli. Ricordava ancora quando aveva parlato della loro Hogosha, il loro guardiano, la loro protettrice, e Alexis era tutto fuorché come l’aveva descritta Splinter.
Il ramo troppo duro al vento si spezza; quello troppo flessibile non starà mai ritto.

Uno dei proverbi preferiti del vecchio maestro, tanto poetico nella sua descrizione quanto violento nella sua semplicità. Ricordava la prima volta che aveva sentito quella frase totalmente fuori senso per lui. Vivevano rintanati nelle fogne, dove mai avrebbe potuto vedere dei rami? Men che meno sentire il vento sulla sua pelle.

Ma non era quello l’obiettivo di Splinter mentre osservava quelle curiose tartarughe crescere sempre più attive e bisognose di stimoli. E disciplina. Dopotutto era Raph quello più testardo di tutti, si sentì immediatamente preso in causa una volta che il maestro ebbe spiegato loro il suo significato. Loro erano gli unici della loro specie. Rari. Inimitabili. Soli. Irrimediabilmente soli.

Era quello che tormentava più di tutti Michelangelo ma che non risparmiava certo anche gli altri tre fratelli, per quanto avessero trovato un’apparente valvola di sfogo ognuno di loro. Ma il dubbio e quella silenziosa domanda continuava ad aleggiare tra loro come un’incognita, non erano sicuro di volerne sapere la risposta ma la agognavano al contempo.

'Tutto può accadere, figlio mio. Gli esseri umani non sono tutti crudeli, e io ne so qualcosa’ le parole di Splinter quando finalmente Mickey diede voce a quel piccolo, innocente dubbio infantile. Trovare qualcuno che guardasse oltre la pelle squamata e il carapace troppo spesso. Non… disgustato dalla loro diversità.

Per quanto però quelle parole ebbero riacceso un alone di speranza negli occhi innocenti del fratellino minore, Raph ne rimaneva scettico. E come poteva essere biasimato quando vedeva solo la paura e la repulsione negli occhi delle povere vittime che lui e i suoi fratelli, notte dopo notte, si ostinavano a continuare a salvare.

Bel ringraziamento.

Ribrezzo. Era un dato di fatto. non erano esseri umani e quello che loro provavano nei confronti di lui e dei suoi fratelli non era altro che ribrezzo. Per questo si mescolavano alle ombre, silenziose e letali. Era quello il loro mondo.

Solo nell’ultimo periodo, senza quasi accorgersene, si era fatta una minuscola crepa in quel muro che li divideva dalla luce del giorno. Era piccola, quasi impercettibile ma lasciava entrare quel flebile spiraglio di luce che Raph aveva sperimentato per la prima volta in quindici anni.

Non era la sicurezza della loro Hogosha, neanche lontanamente. Alexis era silenziosa all’esterno, quieta con gli estranei e non alzava mai la voce, ma era irruenta nelle proprie emozioni. Le si leggevano sul viso come l’acqua limpida di un fiume, non le poteva nascondere assieme al baluginio di divertimento negli occhi verdi.

Lei non li toccava. Ma non toccava nessun’altro. Alle volte tendeva timidamente la mano prima di ritrarla bruscamente come scottata, dove le cicatrici non erano solo fisiche ma anche psicologiche. Qualcosa sembrava terrorizzarla ma era talmente testarda da evitare abilmente di lasciare anche il minimo spiraglio. Era più riservata ed imperscrutabile di lui in quel senso, terribilmente pragmatica da aver stuzzicato la sua curiosità, -non insanabile come quella di Donatello o Michelangelo ma anche lui provava piacere nello scoprire e sperimentare qualcosa di nuovo, di diverso dalla solita, monotona routine.

Ma il pensiero del Clan del Piede irruppe all’improvviso. Non era un segreto che i loro attacchi si andavano moltiplicando nelle ultime settimane e la grande metropoli iniziava a brulicare di attività malavitose a vista d’occhio. Girare per le strade di New York a sera inoltrata non era mai stato sicuro ma ultimamente meno che mai, dovendosi guardare ad ogni angolo per evitare di venire seguiti.

Erano stati fortunati, abbastanza abili tutti e quattro da non uscire mai se non con qualche ferita superficiale. Le sgattaiolate notturne all’insaputa del maestro Splinter erano rischiose, specialmente sapendo come dietro l’organizzazione ci fosse quello che consideravano il loro peggior nemico. Shredder.

E non erano solo loro a rischiare ogni volta. Finché sarebbero rimasti solo loro cinque, il rischio si poteva correre. Ma il dubbio sollevato da Splinter poco dopo il loro primo incontro con Alexis fu chiaro, una questione che gravava su di loro come un macigno.

‘Questa non è una situazione che mette in pericolo solamente lei, miei giovani allievi. Ma può rivelarsi insidiosa per tutti noi’



--- Note ---
Piccola postilla forse doverosa? Non ne ho idea, ma il capitolo è un po' più lungo de solito e spero di riuscire a mantenerlo così. Intermezzo inaspettato e non previsto ma forse necessario per mettere un po' d'ordine.
Sempre un grazie mille a Elenatmnt e Made of Snow and Dreams per tutte le bellissime recensioni! Non ringrazio mai abbastanza ma è sempre tutto ben sentito e sincero.

Ciarax

 
   
 
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