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Autore: An13Uta    04/12/2021    1 recensioni
“Parli di nuovo,” Link dice soltanto, ancora sconcertato.
“E. Tu, par-li per, la, pri-ma. Vol, ta.”
[post-Twilight Princess]
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Link, Skull Kid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cuore di legno






C’è un tonfo in sala. Link sobbalza: è solo, in casa. Il suono sordo riecheggia nella quiete non proprio silenziosa, permeata dalle grida dei bambini e i rumori delle capre fuori.
 

“A, iu, to,” dice una vocina ovattata che gli sembra di riconoscere.


Guarda giù dal soppalco.

La bambola è caduta dal mobile dove l’aveva messa a sedere. Che sia scivolata? Eppure, per cadere così, con la faccia a terra, e braccia e gambe ancora posizionate quasi nel modo in cui era seduta… Ma non c’è nessuno. Controlla la porta e le finestre con lo sguardo, ma non c’è nulla di strano nel modo in cui sono aperte o chiuse, e avrebbe sentito se qualcuno fosse entrato in ogni caso.


“A, iu, to,” ripete la vocina ovattata che gli sembra di riconoscere.


Scivola giù dalla scala. Controlla in ogni angolo, cerca di capire se qualcosa sia fuori posto: nulla.


“A, iu, to!” alza il volume la vocina ovattata che gli sembra di riconoscere.


Afferra la tesa larga del cappello che è caduto dalla testa di legno, e lo posa sul tavolo. Afferra la bambola delicatamente dai lati del suo finto torace e la solleva da terra.


“Gra-zie,” la vocina ora chiara che gli sembra di riconoscere replica, facendo scuotere con strane vibrazioni il petto tra i suoi palmi.



Per un momento gli sembra di essere congelato.



Link gira piano la bambola per guardarla in faccia. Anche la bambola gira la testa meglio che può per guardarlo con i suoi grossi occhi finti e la sua bocca dipinta chiusa, scomparsa senza lasciare nulla se non una linea chiara data dal contorno delle sue labbra inesistenti.


All’improvviso capisce dove ha sentito quella vocina.


Aggiusta la sua presa sulla marionetta, portandola a sedere sul suo avambraccio. Quella non fa una piega - forse perché non può, considerando lo stato di molle abbandono con cui tutto quello che sta sotto il suo collo accetta gli strapazzamenti del giovane, stato che farebbe alquanto impressione se invece di un gioco di legno fosse un bambino vero.


“Parli di nuovo,” Link dice soltanto, ancora sconcertato.

“E. Tu, par-li per, la, pri-ma. Vol, ta,” la bambola gli risponde in tono, aprendo e chiudendo una lunga ferita nel legno a farle da bocca.


Dal modo innaturale in cui calca le sillabe, le pause, gli accenti, non si direbbe che la sua lingua inesistente sia stata dotata una volta di ben più destrezza. E più la osserva più corruga la fronte, perché non sembra per niente lo spiritello che ha dovuto inseguire due volte.

L’aspetto è lo stesso, ovviamente: non l’ha modificata affatto da quando l’ha ritrovata tutta sola sulle radici di un grosso albero. Ma lo guarda con una strana espressione, a metà tra il vuoto e il curioso, e qualcosa nella sua voce manca.


“Riesci a camminare?” le chiede.

La bambola sbatte le palpebre lentamente: “N-o.”


Link prende una sedia e la appoggia su di essa.


“Gra-zie,” la bambola ripete.

“Di niente.” gli gira un po’ la testa. Sta parlando con una bambola. L’ha appena fatta sedere come se fosse una bambina. D’altro canto, ha avuto esperienze anche più strane, no? Le si siede accanto. Dopo un momento, si volta di nuovo verso la bambola: “Come sei finita sul pavimento?”

“Co–sì!” e la testa di legno va indietro contro lo schienale e poi in avanti, e la forza dello slancio sbilancia tutta la parte superiore del corpo; Link la sostiene prima che finisca di nuovo a terra.

“Quindi hai fatto tutto da sola?”

“Sì.”

“E perché?”

“Per-ché-no?”


Parla come un bambino, quello è sicuro. “Quindi muovi solo la testa.”


“Sì.”

“Non riesci più a muoverti come prima?”

“N-o. Va-sa, non c’è. Pi-ù.”


Link inclina la testa: “Va-sa,” sillaba piano, come per confermare.

“Non c’è. Pi-ù,” ripete la bambola.

“Non so chi sia. Mi dispiace.”

“E, ri pic-co-lo,” replica quella, facendo ciondolare la testa vuota: “Gio, ca, vi. Con-me se, m, pre. Va-sa mi met-teva con-le-ma-ni nella cu, -lla e. Tu le-pren, de, vi e. Mi ti, ra-vi!”


Link la ascolta ridere a singhiozzi, come riesce; intanto i pensieri urlando corrono come Grublin su cinghiali dentro la sua testa. La sua mente ritorna continuamente alla parola ‘culla’, ci gira intorno senza sosta, cercando di capire cosa significhi come se fosse la prima volta che la sente nominare.


“E va-sa…” spera con tutto il cuore che la risposta sia quella, lo spera davvero, “… Va-sa aveva i capelli rossi?”

La bambola annuisce con forza: “Sì.”

“E viveva con le mucche?”

“Sì.”

“E, e amava il Capitano? Il capitano Link?”

Aspetta un secondo: “Sì,” ripete ancora.

Dev’essere lei, dev’essere lei, dev’essere lei…

“E si chiamava Malon? Si chiamava Malon, va-sa?”

“M, a, lon e. Ra genti-le,” risponde la bambola. “Va-sa le. Vo-le-va be, ne.”



Cosa?



I grossi occhi dondolano, ipnotici, davanti a quelli di Link, e la bambola prosegue senza dare importanza alla sua espressione sbigottita: “M, a, lon vo-le-va be, ne an. Che a va-sa e. A te. Ha pian-to tan-to quando va-sa è-”


Si interrompe bruscamente.

Ci vuole un attimo prima che Link capisca che ci dovrebbe essere un’ellissi ad allungare quella pausa improvvisa. Ma cosa dovrebbe dire? Rusl gli ha detto solo della signora Malon, gliel’ha descritta e gliene ha parlato, come gli ha parlato per quanto potesse del Capitano - e ora, tra loro due c’è qualcuno, una persona completamente nuova, uscita dal nulla e a quanto pare amata da entrambi in qualche modo, che era lì a curarlo nella culla, a farlo divertire con una stramba bambola, a dare vita o almeno qualcosa di simile a quella stessa marionetta, a darle una memoria, una voce, una mente…

La guarda - non con sospetto, non ancora, ma con qualcosa che gli pulsa fastidioso contro lo sterno, come se una gelatina ChuChu cercasse di scappare dalla sua gabbia toracica.



“E. Ri pic-co-lo.” la bambola ripete.



Link fa per replicare, per chiedere qualcosa; rimane invece in silenzio. Rimesta sillabe sparse nella bocca, piano, con molta attenzione, cercando e ricercando qualcosa che non riesce a riconoscere, una domanda che non riesce a chiarire.


“Come ti ha fatto?” mormora infine, pianissimo, con un fil di voce.

“In. Tagl, ian-do-mi.” risponde quella semplicemente.

“No, io… Come ti ha dato vita?”

“N-o.”

“No?”

“Non vi-ve-vo. Non do-ve-vo. Non p, rima.” spiega la bambola. Fa dondolare la testa piano, rullandola sul collo stretto come per allungare muscoli inesistenti: “Va-sa mi ha fat, to, co-sì po. Teva a, iu, ta-re an. Che do-po.”

“Dopo cosa?”

“La morte.”


Sente il sangue ghiacciarsi in lunghe lame nelle vene, ma è solo un secondo.

Dovrebbe esserne più turbato, immagina. Eppure… Non lo capisce. Non sente nulla. Un vago vuoto, forse, dove prima i muscoli premevano ansiosi in una smania incomprensibile.


“E tu…” fissa a lungo negli occhi tondi. “Sei nato così. Per caso.”


La marionetta annuisce. Link la guarda come se stesse per piangere - non in forti singhiozzi, come ha pianto per tutta la vita, ma in lunghe vie salarie senza alcun rumore ad accompagnare il loro corso.


“Tu eri… Va-sa.” le parla molto piano, molto lentamente. “Prima di rimanere fermo tutto quel tempo, eri va-sa.”

“Sì.”


Non importa più, tanto. Non esiste più quella persona, chiunque fosse.


“E ricordi nulla? Di quello che… Dei suoi pensieri?”


Il corpicino di legno si slancia verso di lui, consapevole sia del fatto che la piccola statura non permette di allungarsi abbastanza da raggiungere il ragazzo, sia delle braccia che subito lo afferrano forte per evitare la sua caduta. Spinge la testa nell’incavo della sua spalla, vi si struscia come un micio: quando alza gli occhi brillanti verso alcuni ben più piccoli, è al sicuro sul suo grembo, nella dolce morsa del suo abbraccio.



Appoggia il naso contro la clavicola di Link: “Ti vo-le-va tan-to, tan-to be, ne.”



Il ragazzo inala forte attraverso il naso e non dice nulla.

Il nodo che gli attanaglia la gola è quasi visibile.

Tiene stretta la bambolina che lo aveva aiutato a dormire quando ancora non aveva nemmeno un dente, e lentamente si sgonfia, si accartoccia, collasa su sé stesso come un pallone bucato. Una mano di legno trema appena nel tentativo di abbracciarlo a sua volta, fallendo orribilmente.

Le accarezza la testa lentamente.


“Sei tutto quello che mi resta di loro tre,” si ritrova a sospirare.


Un altro tremito gli fa prendere la manina fiacca per guidarla nelle movenze che ancora non riesce a fare da sola. Seguendo l’inclinazione della testa tonda arriva ad appoggiarla sulla propria guancia, ed il contatto gli strappa un sorriso. Triste, forse, ma comunque un sorriso.



“Mi ha. Fat, to, per–te.” mormora il burattino. “Con lo-ro. Mi ha-nno-fat, to per – te. Non è? U-na bella, cosa?”



Link aggiusta la presa sul bambino giocattolo in modo che stia comodo nel suo abbraccio. Si lascia appoggiare allo schienale della sedia.

Annuisce senza una parola.




 
(La notte appoggia la marionetta accanto a sé sul letto, e quando con la testa ciondola per cadergli addosso l’abbraccia e le lascia usare la sua faccia come cuscino, e sorride appena sentendo le falangette flettersi appena per tenerlo stretto mentre soccombono entrambi al sonno.)
   
 
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