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Autore: searidings    04/12/2021    3 recensioni
Kara salva Lena da una fine drastica ma, subito dopo, inizia a perdere se stessa.
Genere: Angst, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Alex Danvers, Kara Danvers, Lena Luthor, Lex Luthor
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Buonsalve a tutti e grazie in anticipo per aver cliccato su questa storia :)
Volevo premettere che questa fanfiction NON è MIA, ma appartiene all’autrice: searidings, che ha scritto anche tantissime altre meravigliose storie supercorp in lingua inglese che ho deciso di tradurre per farle arrivare anche a tutti i fan italiani della coppia. 

Spero di aver reso abbastanza bene la storia e le sue sfumature. Come molti di voi già sapranno, con le traduzioni, si tende sempre a perdere quel qualcosa che solo la lingua originale può dare, però ho cercato di fare del mio meglio, ma in caso notate qualche errore - anche di grammatica - fatemi sapere e provvederò a sistemare. 

L’autrice della fanfic in questione è al corrente del fatto che io la stia traducendo e, assieme a me, seguirà anche le vostre recensioni, quindi fateci sapere ;)
Vi lascio anche il link della storia originale che potete leggere qui.

 

Titolo: if the lord don't forgive me
Autore: searidings
Pairing: Kara/Lena
Ambientazione: post sesta stagione



Capitolo 1: there is nothing i've got when i die that i'll keep non c'è niente, di quello che ho, che terrò quando morirò. 

 

“Because she needs me; she needs me more than I need untainted hands”
- Oyinkan Braithwaite


 

 

Kara sta precipitando giù.

Il motivo non ha importanza, né il come, o il dove o per quanto tempo. Sta cadendo e non riesce a fermarsi.

Tutto dentro di lei urla di dolore. Il primo missile l’aveva colpita nel petto in pieno. E aveva capito che avrebbe portato solo guai; d’altronde lo sentiva, così potente e abbastanza pieno di kryptonite da lasciarla in bilico sull'orlo di un eruzione solare. Ma si era comunque spinta oltre i suoi limiti, innalzandosi immediatamente in volo, il suo corpo dolorante che si abbatteva contro la barriera del suono ed era quasi riuscita a — quasi riuscita a —

Ma non ce l’ha fatta. È arrivata troppo tardi. Nono stante si sia precipitata subito verso il suo obiettivo, nel momento in cui il missile ha abbagliato il cielo di fronte a lei, il razzo era troppo lontano per riuscire a raggiungerlo. Eppure era così vicina. Così vicina che il boato dei motori era assordante persino per le sue orecchie. Così vicina da vedere i volti dei passeggeri attraverso i finestrini. Così vicina che l’impatto, la detonazione, l’ha sbattuta lontana, quasi fuori dal cielo.

L’aereo esplode. Si muove tutto troppo in fretta. I passeggeri a bordo non hanno nemmeno il tempo di urlare.

Kara si, però. Lei urla mentre precipita. Non per se stessa ma per tutti coloro che non sono riusciti a lasciare andare quel grido. Vede il mondo sfrecciare di fronte a lei, un turbinio grigio e bianco mentre cade dal cielo. Non le è rimasto niente, adesso. È completamente spenta. Senza poteri. Prostrata e paralizzata mentre cade verso il pianeta sottostante.

Può vedere il terreno che si avvicina velocemente a lei. Troppo in fretta. Troppo veloce affinché possa sopravvivere all’impatto. La speranza la abbandona. La fede la abbandona.

Sta precipitando.

Per un singolo momento mozzafiato, il mondo diventa immobile. E poi, Kara sparisce.

 

 

 

L’acqua dell’insenatura è fredda. Sorprendentemente gelida contro la sua fragile pelle umana. La morte è fredda, si ricorda Kara, e forse di questo si tratta.

Le sembra di star galleggiando, trasportata dalle onde movimentate. Può avvertire una pressione al fianco, qualcosa di duro che la morde nel punto in cui la cassa toracica incontra il bacino, là dove la carne è tenera. La fusoliera, realizza. È atterrata, per metà, sopra un frammento frantumato dell'ala dell'aereo.

La sua testa, che fluttua libera, si immerge dentro l’acqua. Non ha nemmeno le forze per tossire mentre l’acqua salata le invade le vie aeree, bruciandole la gola.

Galleggia, assente. Affoga, lentamente.

Non le sfugge la triste ironia del suo ultimo in cui giace. Il cupo umorismo secondo cui Supergirl dovrebbe soffrire la sua sconfitta qui, tra il fuoco e il fumo e un aeroplano in fiamme, nello stesso identico pezzo di oceano in cui, sei anni prima, aveva fatto atterrare in totale sicurezza il volo 237 diretto a Ginevra. Evento che le aveva permesso di accogliere i suoi poteri e tutto ciò che avrebbero significato —suppone sia un modo preciso e pulito per chiudere il cerchio della sua vita. Poetico.

Il suo corpo sta scivolando, sta affondando. Un’altra onda si spezza sul suo naso e la sua bocca. Soffoca in silenzio e la fine, in fondo, non sembra affatto poetica. Sembra solamente fredda.

 

 

 

Passano anni, passano secoli.

E poi del calore. La lampada solare, forse. O magari è finalmente tornata a casa.

Kara sussulta mentre trascina una mano – ha sempre due mani, a quanto pare, un corpo che funziona  – per coprirsi il volto. Per bloccare la luce che le perfora il cranio. Tutto è dolorante, tutto.

Però è viva. Nessuna uscita di scena sarebbe così tanto dolorosa.

“Kara?” Un suono pieno di terrore, forse anche un po’ disperato. Una pressione calda che si chiuse contro le sue dita, che stringe forte. Alex.

“Mmmh.” La sua voce è rauca e si spezza. Le ci vogliono tre tentativi prima di riuscire a emettere un suono. Kara fa un respiro profondo, invocando ogni più piccolo grammo di determinazione che le è rimasta e sforza i suoi occhi ad aprirsi.

Sono tutti lì, pallidi e preoccupati nella tenera luce della sala medica costruita nella Torre. Alex è al lato del letto, Kelly alle sue spalle come una sentinella. Le mani di Brainy che si stringono insieme con fare ansioso, sulla sua spalla vi è posata la testa di Nia mentre J’onn rimane stoico e solenne, M’gann nascosta al suo fianco.

Il suo sguardo si posa su quello della sorella, ponendo una silenziosa domanda.

“Hai bruciato i tuoi poteri.” Le sussurra Alex. “Di brutto. È stato davvero, davvero brutto. Non ti sei mai spinta così oltre.” Un piccolo suono spezzato, uscito dalla sua gola, segue quelle parole. Kelly posa una mano rassicurante sulla sua spalla e Alex deglutisce, a fatica. “Kara, sei quasi—”

Kara si accascia contro la barella. Lo sa. È consapevole di cosa sia quasi successo.

La sua attenzione viene richiamata da una nuova pressione sul suo ginocchio, sul suo polso, sulla sua spalla. Si sono tutti avvicinati, la sua famiglia, per rassicurarla. Kara sbatte le palpebre mentre li guarda, combattendo contro la luce delle lampade solari che sembrano bombardare i suoi occhi come un martello pneumatico. Sono tutti — No, non sono tutti lì.

“Lena,” riesce a dire Kara con voce rauca, il corpo che si tende mentre forza i suoi muscoli urlanti a cooperare. Combatte per alzarsi, per raddrizzarsi, combattendo contro le mani che cercando in tutti i modi di tenerla stesa. “Dov’è Lena?”

“Kara, hai bisogno di riposare—”

“Alex.” È quasi un ruggito. Non saprebbe dire se è dovuto alla raucedine nella sua gola o alle emozioni bloccate dentro di lei ma, all’emissione di quel suono, Alex si blocca, quasi pietrificata. “Lei dov’è?”

“Nella stanza accanto,” sussurra Alex, cercando di calmarla. “L’ho visitata, sta bene. Un po’ scossa, ma sta bene.”

Un immediato sollievo si diffonde nelle ossa di Kara come luce solare mentre il pensiero successivo la colpisce come un’eclissi solare. “E l’aeroplano?”

Può vedere la risposta nei loro volti, nel modo in cui si stringono in una smorfia, mentre indietreggiano. Ma ha bisogno di una conferma.

“Kara...” Alex ha sempre tentato di proteggerla da tutto. Ma non esiste modo di proteggerla da se stessa.

“Dimmelo.”

Sebbene sia un inequivocabile comando, sua sorella le resiste. È Brainy colui che le da la risposta che cercava, con tono spesso e strozzato, nauseato da ciò che sta per dire. “Non ci sono superstiti.”

Kara ignora i loro volti preoccupati e fissa il suo sguardo in alto, verso lo scuro soffitto a volta, e serra la mascella. “Quanti?”

Silenzio. Ma se Kara non ottiene la risposta alla sua domanda è sicura che inizierà ad urlare, e se inizierà a urlare è consapevole che non sarà mai in grado di fermarsi. La sua voce riecheggia ancora, affilata come una frusta. E fa finta di ignorare il modo in cui la sua famiglia sobbalza. “Quanti morti?”

“Due cento sette.” Di nuovo, è Brainy l’unico coraggioso abbastanza da rispondere.

Gli occhi di Kara si chiudono. Due cento sette persone morte. Perché lei non è stata in grado di salvarle. La sua famiglia cerca di parlare con lei, di confortarla, ma li ignora. Si limita a rimanere sdraiata lì, rigida e immobile, mentre lacrime che si rifiuta di far cadere si accumulano nei suoi occhi.

Alla fine, nella sala cala il silenzio. Sono sempre tutti lì, ancora con lei, li può avvertire ma nessuno parla. Kelly e Nia escono. Le porte si aprono e le sue orecchie umane possono a malapena avvertire i loro pacati saluti che rivolgono a qualcuno nella stanza a fianco. Che rivolgono a Lena nella stanza accanto.

Kara continua a tenere gli occhi chiusi, la mascella serrata e si lascia andare all’oblio.

 

 

 

Non può dormire per sempre però. Non importa quanto si sforzi, non può evadere la realtà a lungo.

Alex tenta di convincerla a rimanere sotto la lampada solare finché J’onn non le ricorda che, per quanto i suoi poteri sono drenati, l’unica cosa in grado di darle è un insolazione.

Quindi, a un certo punto, si unisce a Brainy nel centro di controllo con una tazza di tè in una mano e una coperta avvolta stretta intorno alle sue spalle, sotto insistenza di Alex. Probabilmente sua sorella la rinchiuderebbe in una bolla se pensasse di poterla farla franca.

Si rifiuta di parlare, però, fino a che non sono soli. Finché Nia non l’ha riempita di abbracci e Kelly ha terminato il suo gentile interrogatorio e una riluttante Alex è stata portata via da J’onn, un sguardo d’intesa che si intravedeva negli occhi dell’uomo. Solo allora Kara si concede di parlare dell’accaduto. Solo allora racconta a Brainy ciò che è successo.

Non è che ci tiene molto a rivivere il tutto, ma il bisogno di comprendere come Lex Luthor sia riuscito nel suo intento eclissa qualsiasi forma di riluttanza, quindi Kara ingoia la bile che può sentire risalire lungo la sua gola e inizia a spiegare.

È iniziato tutto con un messaggio trasmesso in una frequenza percettibile solo dall’udito sviluppato di un Kryptoniano. Nessun avvertimento, nessun trucco, niente di troppo raffinato. Solo la voce di Lex, viscida e sicura di sé.

Ci sono due aerei, aveva detto. Uno che stava lasciando National City diretto all’aeroporto internazionale di Metropolis, e uno in arrivo da quest’ultima destinazione. Un Boeing 757 pieno di passeggeri e un jet privato con un solo occupante. Tale occupante, l’aveva informata lui, era Lena Luthor.

Quindi, due aerei. Due aerei e due missili. Entrambi con obiettivi ben precisi, impostati per esplodere nello stesso istante. Nessun modo per prevenire il decollo degli aerei.

Due aeroplani, due missili. E, l’aveva informata Lex, una sola scelta: quale dei due salvare?

Dieci secondo all’impatto, aveva concluso Lex. E quello era tutto. La trasmissione era terminata nell’esatto momento in cui in suoi occhi aveva avvistato i due missili solcare l’orizzonte dietro National City. Due missili che viaggiavano veloci, in direzioni opposte. E quando ha aguzzato la vista, eccoli là. Due aerei.

Alla sua destra, centinaia di cuori che battevano. Alla sua sinistra, solo uno. Dieci secondi. Poi nove. Poi otto. Il sangue di Kara si era trasformato in ghiaccio nelle sue vene. Si era concessa il tempo di prendere un respiro profondo prima di spiccare il volo verso sinistra.

 

 


Le piacerebbe poter dire che non aveva avuto il tempo necessario per pensare. Ma sarebbe una bugia.

Kara ci ha pensato. Per due di quei dieci preziosissimi secondi, ha riflettuto. Ha pensato a quelle centinaia di persone a bordo di un aereo per Metropolis. Le centinaia di vite, i centinaia di cuori pulsanti, centinaia di amici, di famigliari che sarebbero stati distrutti da quelle perdite. E poi aveva pensato a una vita specifica, un cuore ben preciso. Ad una particolare persona. E un mondo che si sarebbe sgretolato.

Quindi Kara ci ha pensato. Eppure si è comunque diretta a sinistra. E non sa dire se ciò migliora o peggiora la sua situazione.

Non rivela a Brainy niente di tutto ciò, però. Si limita a esporre i fatti dell’ultimo test offerto da Lex e poi chiude la bocca. Serra la mascella così forte che le sue ossa dolano, un dolore sbiadito che si espande attraverso i suoi denti fino a raggiungerle le tempie. Oh, il mal di testa. Se li ricorda. È così estremamente facile dare l’invulnerabilità per scontata.

Non è che Brainy non sia a conoscenza del risultato. Non è che non sappia quale delle due opzioni ha scelto. Quindi le fa presente che ha tutto ciò di cui ha bisogno per iniziare a rintracciare la tecnologia usata da Lex per trasmettere il suo messaggio, senza mai incontrare il suo sguardo, e lei il suo.

La luca sopra l’ascensore si illumina. Alex è tornata.

“Io vado.” Sussurra Kara, lo sguardo fisso sul pavimento. “Glielo — puoi dirglielo te a lei?”

Con la coda dell’occhio, può vedere Brainy annuire. E mentre la porta della medicheria si chiude dietro di lei, sente che Brainy ha già iniziato a spiegare la situazione ad Alex e J’onn. Per una volta, Kara è grata per l’assenza del suo super-udito. Grata che il mezzo metro di vetro e acciaio sia sufficiente per bloccare il fatto che il suo più grave peccato viene, ancora una volta, rivelato al mondo.

Si dirige di nuovo verso la sua barella e ci sale sopra, a gambe incrociate, stringendo la coperta forte intorno a lei. Si sporge per prendere uno dei tablet abbandonati sul tavolo e apre una nuova pagina di ricerca.

L’esplosione aerea è su tutti i notiziari. Sono passate otto ore, otto ore durante le quali Kara era incosciente, dopo che Alex o J’onn o qualcun altro ha tirato il suo corpo inerme fuori dall’insenatura, e le indagini sono già in corso. C’è chi dice che si sia trattato di un attacco terroristico, un malfunzionamento militare, un obiettivo mirato. Ci sono articoli e interviste e dichiarazioni e teorie. Ci sono condoglianze. Preghiere. Gli occhi di Kara cadono su una lista di tutti i passeggeri presenti sull’aereo e lì rimangono incollati.

Venti minuti dopo, è così che Alex la trova. Incurvata, con gli occhi secchi, tremante mentre investe tutte le sue energie nei nomi delle persone defunte.

Deve aver letto e riletto quella lista già dieci volte, tentando di imprimere ogni singolo nome nella sua memoria, tentando di inciderli dentro la sua anima. Ognuno è una fetta di un pugnale, fino a che alcuna parte rimane incontaminata. Ora come ora, è completamente umana e se queste fossero letteralmente delle ferite, se fossero reali, sarebbe morta.

Due cento sette tagli. Non riuscirebbe a sopravvivere e forse è proprio quello che si merita.

Alex si avvicina a lei, esitante, la sua voce incerta. “Come ti senti?”

Kara non degna la domanda di una risposta. Mantiene i suoi occhi fissi sul tablet che giace sul suo grembo, mentre torna all’inizio di quella lista. Ricominciando, ancora una volta.

Alex arriva al suo fianco. Quando vede ciò che la sorella sta leggendo si allunga, facendo schioccare la lingua. “Kara, non guardarlo. Dai, dammi —”

“Non toccarmi.” La sua voce è fredda. Gelida come una tomba. Com’è appropriato. Al di sotto dello strato di ghiaccio che riveste il suo cuore, Kara avverte qualcosa di caldo e brutto che solleva la sua testa, qualcosa di selvaggio e senza tempo. È una fortuna che non ha i suoi poteri in questo momento, pensa veementemente. Il corpo di sua sorella così fragile.

“Kara.” La voce di Alex è colma di lacrime. E Kara si chiede su cosa abbia da piangere lei. Quali atrocità ha commesso oggi? Quante vite si è presa lei?

Sua sorella deglutisce. “Per favore. Per favore, non —”

“Kara, Alex.” È Nia, il suo fianco che tiene aperta la porta della medicherai mentre le sue braccia si agitano animatamente. “C’è qualcosa che dovete vedere.”

Kara si alza di scatto dal letto, sforzando il suo corpo dolorante a intraprendere un passo dopo l’altro. Non si ferma nemmeno per vedere se la sorella la sta seguendo.

 

 

 

È Lex. In diretta nazionale, nello spazio di punta del notiziario delle sei.

Sta parlando dell’esplosione aerea. Delle assurde perdite, dell’incomprensibile rovina. Della quantità di fondi che la Luthor Corp si è promessa di donare agli enti che si occupano dell’investigazione, alle famiglie delle vittime, come se il loro CEO non fosse il grande architetto dietro a questa catastrofe.

Un bollente istinto primordiale si fa strada a graffi tra le costole di Kara e Rao, se solo avesse i suoi poteri, questa stanza sarebbe cenere. Vaporizzata dalla sua vista laser e distrutta in macerie dai suoi pugni. Qualsiasi cosa potesse aiutarla a rilasciare un po’ di questa insormontabile pressione che si sta accumulando intorno alla sua trachea.

Stanno mostrando delle registrazioni dell’esplosione, sgranate e mezze fuori fuoco. Alex, Brainy e Nia distolgono lo sguardo dallo schermo, ma Kara si trova incapace di fare lo stesso.

Guarda il momento esatto in cui accade. Osserva la piccola figura col mantello scattare verso il messile troppo piano, troppo tardi.

“La nostra supereroina ha provato valorosamente di prevenire il disastro.” Dice Lex, la sua voce grondante come una melassa sopra il filmato. “Un vero peccato che non sia riuscita ad arrivare in tempo.”

Le mani di Kara si chiudono in pugni così serrati che le sue unghie sguerciano la pelle dei suoi palmi. La sensazione di sangue sulle sue mani è una cosa a lei sconosciuta. Almeno in senso letterale. Metaforicamente, si è acclimatata alla sensazione per almeno otto ore.

La trasmissione taglia di nuovo sull’intervista che Lex sta rilasciando. Calmo e composto e mortificato al punto giusto, fissa direttamente la camera mentre pronuncia le sue prossime parole. “Uno potrebbe chiedersi,” continua lui, sagace. “Cosa l’ha trattenuta? Cosa poteva esserci di più importante di questo?”

Ogni singolo atomo di ossigeno rimasto si schiaccia nei polmoni di Kara. Respira rapidamente attraverso il naso, combattendo il bisogno di vomitare.

“Immagino che sia una donna molto impegnata.” Replica l’intervistatore, leggermente imbarazzato, ma tentando in tutti i modi di mascherare il suo disagio. “Dopo tutto, è successo così all’improvviso, non può essere in più posti contemporaneamente.”

“Oh ma certo che no.” Concorda Lex, congeniale e affascinante, l’immagine di un uomo comprensivo. “Anche se uno poi si trova a riflettere.” La sua fronte si corruga e la sua espressione si increspa in un facsimile di genuina preoccupazione. “Quale altra catastrofe si perderà? Chi altro non riuscirà a salvare?”

La trasmissione si sposta su una conferenza stampa con il presidente della compagnia aerea, ma Kara a malapena a cogliere ciò che viene detto. Il pulsare del sangue nelle orecchie non le permette di udire nient’altro, un sarcastico promemoria che lei è ancora qui, che respira, mentre tanti altri non ci sono più.

“Lo farà ancora.”

Tutti gli occhi presenti nella stanza si rivolgono verso di lei. “Cosa?” Chiede Alex, il respiro mozzato e le sopracciglia aggrottate.

“L’ultima parte era un avviso.” Prende un respiro così profondo da far male, eppure sembra non esserci abbastanza ossigeno nella stanza. “Era rivolto a me. Farà di nuovo qualcosa del genere.”

Nia è visibilmente turbata mentre Brainy sbatte un pungo sopra la scrivania così forte da far sbatacchiare l’intera struttura. J’onn si passa una mano sopra agli occhi. “Ma perché? Perché sta facendo tutto questo?”

“Ti ha già mandata nella Zona Fantasma!” Ringhia Alex. “Cos’altro potrebbe volere?”

Le labbra di kara si aprono in una sofferente imitazione di un sorriso. “Vuole che me ne vada.”

Alex sembra sull’orlo di piangere, mentre scuote vigorosamente la testa. “Ma perché farebbe — questo non è —”

“Aveva scommesso che avrei scelto lei,” scatta subito Kara, infastidita che deve essere lei quella a spiegare tutta la situazione. Come se vivere questa realtà non fosse una punizione sufficiente. “Continuerà a scommettere su di me, sul fatto che salverò lei e sempre più persone moriranno. E alla fine la città si rivolterà contro Supergirl, visto che continuerà a fallire nel suo compito di proteggerli. Magari rivelerà a tutti che ho scelto una vita contro quelle di centinaia. E alla fine mi caccerà via una volta per tutte.”

Un altro pensiero la colpisce all’improvviso, e Kara può avvertire il suo corpo riempirsi di terrore. “Oppure, scommetterà su di me, sì, ma sul fatto che prima o poi fallirò con — con lei.” Kara tossisce, ricacciando giù la bile acida. “Perché se non ci riesco, se non la salvo — se lei—”

Si sente invadere dalla paralizzante disperazione dell’intera situazione. “Non posso vincere. Questa volta non posso.” Esclama, mentre del filo spinato si restringe intorno ai suoi polmoni, mordendoli, lacerandoli. “Comunque vada, ho perso.”

Nella stanza cala il silenzio, ognuno di loro che cerca di assorbire ciò che Kara ha realizzato appena ha visto il volto di Lex sullo schermo. È scaccomatto. L’ha messa all’angolo, l’ha completamente in pugno e lui ne è a conoscenza.

Alex è la prima a riprendersi e la sua espressione muta da quella di una sorella a quella di un agente perfettamente addestrato. “Devi andartene dalla città.” Le dice in tono fermo, ogni traccia di emozione svanita, repressa così in profondità che potrebbe non vedere mai più la luce del giorno. Alex serra la mascella. “Tutte e due. Adesso. Prima che voi o qualcun altro venga ferito. Se non sei qua, non può trarti in inganno.” Prende un respiro profondo, senza mai incontrare gli occhi da quelli di Kara. “E se Lena non è qui —”

Kara si blocca, consapevole di dove Alex voglia andare a parare. “Non può usarla come esca.”

Alla fine, Alex incontra il suo sguardo. Al suo interno, vi sono nascoste troppe emozioni che, in questo momento, Kara non si sente di esaminare, ma una primeggia su tutte: comprensione.

Kara annuisce, nitidamente. “Okay. Lei dov’è?”

 

 

 

J’onn trova loro una macchina. Kara non sa come abbai fatto, e nemmeno glielo chiede.

È vecchia ma ben mantenuta, ordinaria e poco appariscente. Proprio ciò di cui hanno bisogno. “Lex vi starà guardando.” Le dice Alex, mentre gli altri si muovono per la Torre, raccogliendo tutto ciò che potrebbe tornare utile alle due donne.

Kelly è nella stanza a fianco che parla con Lena e Kara non vuole nemmeno tentare di fermarsi e pensare a ciò che le sta dicendo, ciò che le sta raccontando.

“Appena capisce che ve ne siete andate, tenterà di rintracciarvi.” Le spiega Alex con tono schietto e diretto, capace di riattivare l’attenzione della sorella.  “Sicuramente terrà gli occhi puntati sul cielo quindi non volare, okay?” La donna accompagna quella frase con un’occhiata severa. “Anche quando i tuoi poteri torneranno. Non volare, almeno che non sia un’emergenza.”

“È davvero una buona idea?” Le chiede Kara, la sua voce che lascia trapelare un pool della vulnerabilità che la donna sta tentando in tutti i modi di sopprimere, consapevole che, se si lasciasse sopraffare dall’emozione, crollerebbe completamente. Affogherebbe. “Non si arrenderà solo perché non mi può battere pubblicamente. Continuerà a cercare di distruggermi, di distruggere Supergirl.” Le parole che sembrano macigni nella sua gola. “Cosa succede se dice alla stampa che— se racconta della scelta che ho fatto?”

“Solo noi sappiamo del suo ultimatum. Noi e nessun altro.” Le risponde Alex con tono deciso. “I notiziari non hanno mai parlato del missile destinato a Lena. Per rivelare la tua scelta, deve per forza raccontare che è stato lui l’artefice di tutto,  e non lo farà.”

Kara lascia andare un respiro tremante, non troppo convinta. “Non dovrei andarmene. Io devo stare qui per proteggere —”

“Ci siamo noi.” La interrompe Alex, il volto rigido di determinazione. “Fra tutti noi, la città è al sicuro. Tu preoccupati di voi. Di te e di lena. Tutto questo è per la tua sicurezza tanto quanto lo è per la sua. Lex ovviamente non ha alcun rimorso nel renderla un obiettivo,” Alex solleva un sopracciglio. “Almeno che tu non preferisca che la lasciamo partire da sola.”

Un muscolo nella guancia di Kara trema. Alex l’ha in pugno, lo sanno entrambe. Non c’è modo che Kara permetta una cosa del genere, almeno finché lei è ancora in vita.

“Bene.” Afferma Alex, contenta che non stia più argomentando questo piano, spingendo una piccola borsa nera nelle mani di Kara con la nonchalance di qualcuno che ha uno zaino di emergenza pronto per partire in qualsiasi momento, qualsiasi giorno dell’anno, qualsiasi ora del giorno. Quando apre la cerniera, delle banconote si sollevano mosse dalla brezza che giunge della porta aperta.

“Niente che sia rintracciabile,” continua, e tutto in lei sembra estremamente controllato. “Solo contanti, solo telefono a gettoni e solo se necessario. Se — quando neutralizzeremo Lex, premerò il pulsante dell’orologio tre volte. Quello significherà che è sicuro per voi tornare. Per qualsiasi altra cosa, non venire.” Fissa Kara con uno sguardo cosi penetrante che non c’è da meravigliarsi che ogni criminale interrogato da lei abbia ceduto sotto il suo scrutinio. “Mi hai capita? Finche non ti dico che è sicuro, sta lontana. Qualsiasi cosa accada.”

La realtà di tutta questa situazione sta iniziando ad assestarsi e Kara annuisce, mordendo a fondo l’interno della sua guancia. “Ho capito.”

“Bene.” Alex si lascia andare a un sospiro di sollievo che però sembra quasi volersi trasformare in un singhiozzo. Riprende il controllo, però, prima che ciò accada. “Mantenete un profilo basso e mantenevi al sicuro. Ci vediamo presto, okay?”

L’unica cosa che riesce a fare Kara, prima che la sorella la avvolga in uno stretto abbraccio, è annuire. “Ti voglio bene, Kara.” Le sussurra, con tono soffocato. “Sempre, qualsiasi cosa accada. Non scordarlo mai.”

Le braccia di Alex si stringono così forte che potrebbero quasi segnarle la pelle. Forse, per una volta, lo faranno. Kara ci spera. Lacrime pesanti le si accumulano negli occhi, ma non le lascia cadere. “Ti voglio bene.” Questo lo può dire. Perché anche se Kara non è più in grado a riconoscere se stessa quando si guarda allo specchio, quelle parole sono ancora vere e lo saranno per sempre.

Alex tira su col naso, una volta, e poi si stacca. Kara sente immediatamente la mancanza di quell’abbraccio. Lo sente a livello viscerale fin nel profondo delle sue ossa. Crede che forse dovrebbe iniziare a farci l’abitudine.

 

 

 

La prima volta che vede Lena – la prima volta in cui posa realmente i suoi occhi su di lei da quell’uscita per un caffe da Noonan cinque giorni prima –  è quando la mora sale in macchina e si siede sul sedile del guidatore.

Lena non le rivolge parola, mentre allontana l’auto dal marciapiede accanto al quale era parcheggiata, rivolgendo un ultimo sguardo verso i loro amici, le cui sagome svaniscono piano piano nello specchietto retrovisore. Non le rivolge parola, rimanendo concentrata sulla guida, la macchina carica di tutto ciò che di utile hanno trovato nella Torre, e la vettura si immette nel traffico della città. Non le rivolge parola fino a che non entrano nell’autostrada diretta a nord, sempre più lontane da National city.

Ma nemmeno Kara è di troppe parole. D’altronde, cosa potrebbe mai dirle?

È consapevole del fatto che Lena sa cos’è successo, sa cosa ha fatto Kara. Alex gliel’ha detto prima che si trovassero bloccate in una macchina, insieme, tentando di ignorarsi l’un l’altra.

Non c’è da meravigliarsi che Lena non abbia voglia di parlare con lei, che non riesca a guardarla negli occhi. In questo preciso momento, Kara stessa non riesce a sopportarsi.

Stanno guidando da circa un’ora, quando il silenzio viene finalmente interrotto. “Stai bene?” Le chiede Lena, con voce sottile, le mani strette talmente forte sul volante che le nocche le si sbiancano. “I tuo poteri —”

“Torneranno fra qualche giorno.” Mormora Kara, cercando di aggrapparsi a quel pizzico di speranza che colora le sue parole. “Sto bene.” Passa un altro lungo minuto silenzioso prima che Kara riesca a trovare il coraggio di rivolgerle la sua stessa domanda, le dita che si muovono nervosamente sul suo grembo. “Tu stai bene? Voglio dire, tra il missile e l’aereo —”

Tu ti sei presa quel missile.” Ribatte Lena, rigidamente, gli occhi fissi sulla strada di fronte a lei. “Non mi è nemmeno passato vicino. Sto bene.”

Ed eccolo di nuovo, il silenzio. Kara osserva come il centro abitato di Camarillo lascia il posto alla città di Ventura che si estende su entrambi i lati dell’autostrada. Le nuvole, le macchine e il cemento colorati della stessa sfumatura scialba di grigio.

“Sai dove stiamo andando?” Le chiede, mentre Lena guida attraverso il traffico nell’autostrada 101, lo sguardo posato sulle onde turbolente del pacifico che sembrano avvicinarsi sempre di più mentre le due donne si lasciano alle spalle un’altra città.

Lena sospira, e Kara può notare subito la stanchezza sul suo volto. Il suo pallore. “No. Ma mio fratello non si fermerà, quindi il mio piano è quello di continuare a guidare.” Fa una pausa, la testa che si inclina leggermente di lato, i suoi occhi che continuando ad evitare quelli di Kara. “Lo sai, te, dove stiamo andando?”

Kara si lascia scivolare in giù sul sedile, i suoi occhi che si chiudono. “Il più lontano possibile da National City.”

 

 

 

“Sei stanca.”

È passato cosi tanto dall’ultima volta che una delle due ha interrotto quel silenzio succinto che il suono della voce di Kara provoca un sobbalzo nella mora, che strattona con forza il volante. Meno male che la strada intorno a loro è deserta.

Al di fuori dei confini dell’auto, il grigio pomeriggio ha lasciato il posto a una notte scura, la luce dei lampioni cosi fioca da illuminare solo la strada piccola e stretta. Le ore sono trascorse quasi completamente in silenzio, senza alcuna osservazione. Non è che Kara stesse ignorando Lena, infatti quasi tutti i suoi sensi sono orientati verso la donna alla sua sinistra, notandone i diversi sospiri esausti che escono dalle sue labbra, il modo in cui tiene una sola mano sul volante per dare all’altra un po’ di riposo, prima di invertirle, e come allunga la schiena facendola scrocchiare. Ha notato il suo respiro, che si è approfondito, e il modo in cui i suoi riflessi sono leggermente più lenti di quanto lo erano tre ore prima.

Kara la osserva, in silenzio, accorgendosi di tutto quanto. D’altronde, Lena è sempre stata la cosa più affascinante che le sia mai passata davanti.

La mora prende un altro respiro profondo, stendono le sue dita sul volante. “Magari potremmo trovare un posto in cui fermarci?” Le chiede, esitante, gli occhi fissi sulla strada.

Kara mormora il suo dissento. “Perché non fai guidare me per un po’?” Le dice, facendo una pausa prima di continuare. “Non credo che siamo ancora lontane abbastanza.”

Lena non controbatte, non risponde. Si limita solo ad accostare la macchina alla prima piazzola di sosta e cambiare sedile, rannicchiandosi contro il finestrino dal lato del passeggero. Qualche istante dopo, il suo respiro rallenta e si regolarizza mentre sprofonda nel sonno, le sue mani nascoste nelle lunghe maniche della felpa che indossa.

Kara continua ad andare a diritto, guidando e guidando per kilometri e kilometri. Incurante dell’oscurità, incurante della distanza, continua a dirigersi sempre più lontana da casa. Passa la mezzanotte, poi l’una, le due. A un certo punto, i suoi muscoli iniziano a lamentarsi, e la sua vista si offusca contro la sua testardaggine e allora accosta in una piazzola nel mezzo di Bug Sur, una regione della costa centrale della California, prima che possa fare qualcosa di azzardato come farle cadere da un dirupo. Tutto ciò le ricorda inevitabilmente, mentre fa scrocchiare il collo e allunga le sue dita stanca, di quanto sia scomodo essere umana.

Kara tira il freno a mano, controlla e ricontrolla le chiusure della macchina e toglie le chiavi dal pannello di accensione. Trattiene il fiato mentre armeggia con la leva del sedile del passeggero, reclinandolo attentamente in modo tale che Lena possa dormire in una posizione leggermente più confortevole, e posa sopra il suo corpo addormentato una coperta. Manda, infine, una piccola preghiera di ringraziamento a a Rao per il fatto che la giovane donna non si sia svegliata, che si sia risparmia l’arduo compito di evitare il suo sguardo magnetico.

Domani sarà un nuovo giorno. Domani, magari, sarà forte abbastanza.

Kara reclina il suo sedile con un mormorio soffocato e alza il cappuccio della felpa sopra la sua testa, sprofondando sempre di più all’interno del soffice tessuto. Può avvertire il peso della giornata trascorsa premere su di lei, la corsa contro il tempo, la perdita dei poteri – il missile che l’ha colpita meno di ventiquattro ore fa. Il suo corpo è pesante e dolente, i suoi arti ammaccati che protestano contro la scomodità del sedile ma non le importa, è troppo esausta. Con il suono del respiro di Lena nelle orecchie e il tenue odore del suo profumo sulla lingua, Kara chiude gli occhi e si lascia invadere dall’oscurità.

Sogna due cento sette siede vuote. Case vuote e letti vuoti. Persone che, fino a ieri, vi abitavano. Si sveglia, madida di sudore e tremante, ad una litania dei morti e il suono di un leggero russare proveniente dal sedile a fianco.

I raggi di un sole che sta sorgendo si immettono nella macchina attraverso i finestrini. Kara borbotta, la sua testa che pulsa e il suo corpo che si lamenta. Vi è una piccola macchia di saliva sulla sua guancia ma ancora niente poteri. Perfetto.

Lena si stiracchia, aprendo un’occhio attraverso i capelli che le sono ricaduti sul volto. “Dove siamo?” Chiede, la voce ancora impastata dal sonno.

Kara sbadiglia, stirando i suoi muscoli indolenziti e poi raddrizza il sedile, prima di aprire il cruscotto dal quale tira fuori una vecchia mappa che ha rinchiuso lì dentro la sera prima. “Vicino alle sorgenti termali di Hot Springs, credo.” Mormora dopo qualche istante di calcoli, con la voce roca delle prime ore del mattino. “Nella contea di Monterey. Dovrebbe essere a circa tre ore da San Francisco” Cavolo, avrebbe dovuto porre più attenzione durante le ore di orientiring che Eliza aveva obbligato lei e Alex a seguire ogni estate.

Lena sospira, facendo passare le sue dita tra i capelli arruffati. “Ho bisogno di un caffe.”

Kara annuisce. “Dobbiamo anche fare benzina.” Abbassa lo sguardo su se stessa, ancora immersa nei vestiti marcati DEO che J’onn tiene da parte per le emergenze, quelli che Alex le ha messo addosso il giorno prima quando era ancora incosciente. “E magari qualche vestito meno riconoscibile.”

Lena sbadiglia, contorcendo i suoi piedi gelati all’interno delle sue scarpe e apre lo sportello della macchina. Kara la osserva attraverso il finestrino mentre la donna si sgranchisce accanto alla macchina. poi si sporge per frugare attraverso il sedile posteriore in cerca di una delle bottiglie d'acqua che qualcuno aveva pensato di fornire loro. Trova un tubetto di dentifricio in una delle borse ma nessuno spazzolino, e decide di spargere il dentifricio sopra i suoi denti con l’indice, sputando poi il rimanente per terra.

Dopo essersi sciacquata la bocca, Lena sputa di nuovo, e poi incurva la mano, usando la bottiglia dell’acqua per lavarsi la faccia. Goccioline scivolano sul suo polso e il suo collo, illuminandosi sotto l’intensa luce dell’alba.

I suoi capelli si intrecciano mossi dal leggero venticello. Sta ancora indossando il suo completo gessato blu, adornato da più pieghe di quante se ne possono contare. Lo stesso completo che doveva avere indosso alla conferenza che ha tenuto a Metropolis, quel giorno che sembra quasi una vita fa.

Kara avverte lo stomaco stringersi mentre il senso di colpa le attanaglia la gola. Lena dovrebbe essere nel suo lussuoso attico, a prepararsi uno di quei frullati salutari che le piacciono tanto prima di dirigersi verso la fondazione che ha creato a suo nome, per rendere il mondo un posto migliore.

Non dovrebbe essere qui, affamata e stanca, a dormire in una piazzola mentre si da alla fuga con qualcuno che si riteneva un eroe ma, sicuramente, adesso è tutto tranne che quello. Con una peccatrice, un’assassina, ricoperta interamente del sangue di due cento sette persone innocenti.

Questo è tutta colpa sua. Le mani di Kara iniziano a tremare.

Lena si siede nuovamente sul sedile, passandole una bottiglia di acqua fresca. Kara la prende e la svuota in un solo sorso. Usando questa distrazione per riprendere un minimo di controllo, per ricercare un attimo di chiarezza. Qualsiasi cosa le ha portate a questo punto, ormai sono qui. Magari finirà per rovinare qualcos’altro, ma può ancora farlo. Può ancora tenere Lena al sicuro.

Lancia la bottiglia di acqua vuota nei sedili posteriori, passandosi poi una mano sulle labbra, asciugandole. “Pronta ad andare?” Le chiede e, con la coda dell’occhio, vede Lena annuire.

“Perfetto.” Mormora in risposta, mettendo di nuovo in moto la macchina.

 

 

 

La fermata successiva avviene a Monterey, una città situata sulla costa della California, dove le due donne fanno rifornimento di benzina e di un caffe oggettivamente disgustoso. Si recano anche in un piccolo market dove Lena, in quanto la meno riconoscibile tra le due, si affretta a compare un po’ di oggetti utili per la loro igiene e un paio di sgargianti cappelli da baseball.

Rientrando in macchina, passa a Kara un berretto di un arancione intenso che riporta la scritta i pesci mi temono in uno sgargiante cobalto, sotto un rozzo disegno a fumetti di un merluzzo appeso a un gancio.

Kara, realizzando che i suoi occhiali sono una delle tante cose dimenticate nella fretta di partire, decide di raccogliere i suoi capelli al di sotto del cappello, e accetta in silenzio gli occhiali da sole che Lena le mette in grembo.

Stanno attraversando la periferia ai confini della città quando Kara avvista il cartello di un negozio di abiti e decide di fermarcisi. Parcheggia la macchina e, prima di scendere, si toglie la giacca fornitale dal DEO in favore di un’anonima felpa nera che Alex aveva gettato nel bagagliaio della macchina. Lena la segue, entrando nel negozio con i suoi occhiali da sole dalla montatura d’orata e un cappello giallo e rosa.

Non impiegano molto tempo per trovare una serie di vestiti comodi e ordinari che siano della taglia giusta e, una volta soddisfatte, Kara deposita tutti capi d’abbigliamento sul bancone vicino alla cassa, ricevendo in risposta un ampio sbadiglio dal cassiere visibilmente annoiato. Se il ragazzo è in qualche modo disturbato dal fatto che le due donne portino degli occhiali da sole all’interno, o dai costosi abiti che sta indossando Lena, non lo da a vedere.

Kara continua a sbattere ripetutamente il piede per terra, in un gesto nervoso, mentre il ragazzo scansiona tutti i loro acquisti con una lentezza disarmante. L’ansia di uscire da lì si fa pesante dentro di lei, la voglia di tornare all’aria aperta dove le possibilità che qualcuno le riconosca scendono nuovamente vicino a zero. I suoi occhi si posano sui vari portachiavi e i lucida labbra di diversi sapori prima che si spostino sulla tv, accesa ma silenziosa, posta sulla parete davanti a loro.

Il respiro le si blocca immediatamente in gola. Il notiziario mattutino sta mostrando un video dell’incidente aereo, cosparso delle foto delle vittime. Ogni persona, che fino a poco prima era il protagonista senza volto dei suoi incubi, si incidono ora sulla tela della sua mente. Vi sono donne anziane e uomini di successo. Due adolescenti con zaini enormi e dalle fantasie simpatiche, i loro sorrisi così innocenti e contagiosi. Ci sono le fotografie di alcune coppie, foto di famiglie. Due bambini dai capelli scuri e gli occhi castani che si sporgono dalle braccia dei loro genitori, e Kara spezza in due la penna che non si era nemmeno resa conto di star rigirando fra le dita.

Lena le toglie l’oggetto rotto dalle mani, posando le due estremità in cima alla pila di oggetti che devono ancora pagare. Poi , con cenno della mano, la sposta leggermente più indietro, e prende il suo posto vicino al bancone, ma la bionda nemmeno se ne accorge. La trasmissione alla tv si è ora spostata su incendio che ha colpito alcuni appartamenti in National City, una petroliera abbandonata nella baia, una piccola esplosione in un complesso petrolchimico alla periferia della città. Ancora altri feriti. Ancora altri morti.

Il volume della tv è al minimo, ma il cuore di Kara sta battendo così forte e rimbomba talmente tanto nelle sue orecchie che non sarebbe comunque stata in grado di sentire una parola di quello che veniva annunciato. Eppure ciò non la ferma dal far scorrere i suoi occhi sui titoli in grassetto che scorrono nel basso dello schermo.

Dov’è supergirl? Chiede il notiziario. E Kara butta giù, seppur a fatica, la bile che sente risalirle lungo la gola, capace a stento di evitare di svuotare il contenuto del suo stomaco addosso al povero cassiere.

Lena lascia cadere una serie di banconote sul bancone, afferra velocemente i loro acquisti e poi esce di lì, trascinando Kara con sé.

Fuori, tremando e sudando per l'improvviso sole accecante, la lingua pesante e il cuore spezzato, la bionda si ferma. Lena la valuta un momento, scuotendo la testa. "Dammi le chiavi.” Suggerisce gentilmente.

Kara obbedisce senza lamentarsi. In realtà, non dice proprio niente. Lascia che Lena la spinga sul sedile del passeggero, lascia che la sua testa cada contro il finestrino freddo mentre i suoi occhi si chiudono, e si chiede come potrà mai essere in grado di vivere con se stessa.

 

 

 

Guidano dritto attraverso San Francisco, abbracciando la costa mentre si dirigono a nord lungo l'autostrada 1. Essendosi cambiate di posizione fuori dal negozio di vestiti, Kara coglie l'occasione per rannicchiarsi più comodamente nei leggings grigi e nella felpa appena acquistata, poggiando la tempia contro lo stipite della portiera.

Lena continua a guidare, mordicchiando delicatamente una delle barrette energetiche che avevano raccolto alla stazione di servizio e sorseggiando periodicamente il suo caffè tiepido con il naso arricciato. Kara non mangia, non beve, non parla. Non ci riesce. Non può fare altro che rievocare nella sua mente i volti delle vittime, confrontandoli con l'elenco dei nomi che ripete in silenzio più e più volte, come una supplica, come una preghiera.

Lena cerca di affrontare il silenzio ponderato mentre passano il bivio per Santa Rosa e attraversano Bodega Bay, le rocce scoscese e le onde che si infrangono luccicanti sotto il cielo azzurro. "Stai bene?" Le chiede mentre prende un altro sorso di caffè, una mano ferma sul volante. "Non vuoi mangiare qualcosa?”

Kara non risponde. Si limita a masticare più forte l'interno della sua guancia, gli occhi fissi sull'asfalto che scompare nello specchietto retrovisore.

“Non è stata colpa tua.” Sussurra Lena, mentre riposa il bicchiere nell’apposito supporto.  “Tutte quelle persone, la loro morte— non è colpa tua.”

Qualcosa di caldo e intenso e insopportabile si fa breccia dentro di lei, consumandola dall’interno. “No?” Esclama, la voce così affilata che Lena sobbalza. “Chi altro avrebbe potuto fermare quel missile se non me? Eh?”

Il silenzio piomba nuovamente nell’abitacolo e lascia che sia Lena a riempirlo. Ma, prevedibilmente, non ci riesce.

Continuano lungo la costa senza scambiarsi un’altra parola. Poco prima di mezzogiorno si fermano nuovamente, ma solo per usare l’ammuffito gabinetto incontrano lungo la strada e cambiarsi posto. Per pranzo, Lena apre una confezione di piccole carote già tagliate e lavate, una crostatina alle ciliegie e dei sottaceto della stazione di servizio. Offre a Kara un pezzo di ogni alimento ma la bionda rifiuta ogni sua offerta.

Si allontanano dalla costa, attraversano parchi statali e riserve di conservazione, le sequoie che crescono più alte su entrambi i lati dell'autostrada. A un certo punto, durante le prima ore del pomeriggio Lena si volta, andando a rovistare in una delle borse che giacciono nei sedili posteriori, tornando con una manciata di cassette di seconda mano che Kara non si era nemmeno accorta che aveva comprato.

La loro macchina scassata è abbastanza vecchia da avere ancora un registratore e dopo alcuni istanti in cui le dita di Lena si muovono tra i pulsanti, le prime note di Tom Waits riempiono l'auto. Il pomeriggio passa così, in una foschia di Bruce Springsteen, Leonard Cohen, Fleetwood Mac e Norah Jones e anche se lei non lo ammetterebbe mai ad alta voce, è piacevole. La musica, la bellezza assoluta della costa nord della California, l'insensata concentrazione richiesta per guidare, tutto coopera insieme per farla distrarre dai suoi pensieri più oscuri in un luogo di beata vacuità.

Quando si rende conto di quello che sta accadendo, di come il suo corpo e tutto ciò intorno a lei si stanno rilassando facendo diminuire un po’ il suo dolore, l’odio che prova per se stessa aumenta ancora di più. Ha bisogno di sentire quel dolore. Se lo merita.

Mentre le ombre dorate della sera si allungano, si fermano al parco statale di Sue-Meg per usare il bagno e permettere ai loro muscoli indolenziti di distendersi. Lena compra un paio di hotdogs da un furgoncino piazzato nel parcheggio di agate beach,  caricandoli di condimenti e mettendone uno nelle mani di Kara senza troppi preamboli

Mangiano in silenzio, sedute l’una di fianco all’altra, poggiate contro la ringhiera in cima ai gradini che scendono sulla spiaggia, mentre guardano i surfisti cavalcare le onde e i bagnanti che si godono gli ultimi raggi di sole della giornata. La pelle di Lena è cosi pallida, nonostante la calda luce d’orata che le circonda, che la fa sembrare ancora più stanca e preoccupata, mentre lecca via i rimanenti di maionese dalle sue dita.

Kara avverte nella gola il battito accelerato del suo cuore. Niente di tutto questo sarebbe dovuto succedere a Lena. Niente di tutto questo sarebbe dovuto succedere e basta. Chi è Supergirl se non colei che previene queste tragedie? Chi è se non un eroina?

Una volta terminate qualsiasi scusa per rimandare il momento, rimontano in macchina, Lena che le guida attraverso la superstrada che costeggia la costa mentre il sole tramonta, innescando un turbinio di colori sull’orizzonte del Pacifico.

Attraversano l'Oregon mentre cala il crepuscolo e Lena fa una pausa sulla dodicesima ballata della serata di Simon & Garfunkel per dare un'occhiata al sedile del passeggero. “Non so te,” dice, flettendo le dita stanche, “ma non mi va molto un'altra notte dentro questa macchina.”

Kara vuole protestare ma poi pensa ai suoi muscoli doloranti, ai sospiri stanchi di Lena, a quanto tempo è passato dall’ultima volta che una delle due si è fatta una doccia e quindi, alla fine, non lo fa.

Trovano un motel fatiscente alla periferia della città portuale di Brookings senza troppi problemi. Lena entra alla reception con un mucchio di soldi nella tasca della felpa ed esce con una chiave.

La stanza è molto basilare, spoglia ma pulita. Kara poggia sulla scrivania una busta di plastica con dentro tutti i prodotti che avevano comperato insieme ad una manciata di vestiti di seconda mano e poi si lascia crollare, con un gemito, sul letto matrimoniale al centro della stanza. Lena sta già rovistando nel bagno, testando i rubinetti e ispezionando le tende della doccia.

“Se riesci a non inspirare troppo profondamente, non è poi così male.” arriva la sua eventuale valutazione, le dita pizzicate delicatamente sulle narici mentre afferra la borsa della spesa. “Dio, non credo di essere mai stato così disperata di farmi una doccia in vita mia.”

Kara non si muove di lì per tutto il tempo che Lena è in bagno. Rimane sdraiata nello stesso punto, ascoltando il suono dell’acqua che scorre, fissando la vernice scrostata sul soffitto e lascia che gli orrori di tutta questa situazione la consumino ancora una volta.

Lena riemerge in una nuvola di vapore che sa di rosa, un asciugamano di liso stretto sotto le ascelle. A un certo punto, mentre stava valutando la pila di vestiti che avevano accumulato, i suoi occhi si staccano dagli indumenti per posarsi sul corpo di Kara e lì rimane, fissandola con la fronte corrucciata. Kara la ignora e, annullando il peso dello sguardo pungente di Lena, continua a mantenere gli occhi fissi sulla lampada polverosa sopra il letto.

Le manca Alex. Le mancano i suoi amici, il suo appartamento, il suo letto comodo e le sue lampade regolarmente spolverate. Odia il fatto che non può avere niente di tutto questo, che per colpa di Lex si sia dovuta allontanare da tutto ciò. E odia il fatto che, anche se le avesse a portata di mano, continuerebbe a non meritarle.

Può sentire il sospiro pesante di Lena mentre entra nuovamente nel bagno. Quando fa ritorno in camera, in una maglia rossa e un paio di jeans scuri troppi lunghi, si avvicina all’unica finestra presente nella stanza. “Vado a cercare qualcosa da mangiare, va bene?” Le dice, osservando le scritte al neon che si intravedono dopo il parcheggio del motel. “Rimani qua e ti fai una doccia?”

Kara si mette a sedere, i capelli che si arricciano spiacevolmente contro il suo collo. Dev’essere la salsedine. Non si fa la doccia da quando si è tuffata nelle acque della baia di National City. Potrebbe davvero, davvero trarre beneficio da un bagno caldo. Eppure: “No. Non dovresti andare da sola,” risponde, la voce rotta dal disuso. “Potrebbe non essere sicuro.”

Lena emette un suono di disapprovazione, mentre raccoglie i suoi capelli ancora bagnati, nascondendoli sotto il cappello. “Si tratta solo di attraversare la strada.” Le dice, afferrando un paio di banconote dalla busta piena di soldi. “Andrà tutto bene.”

“Oppure no.” Replica Kara, la sua irritazione che si fa strada dentro di lei. “Se le cose non dovessero andare bene, se dovesse succedere qualcosa, non sarò in grado di sentirti.”

Il promemoria che Kara è, al momento, senza poteri zittisce Lena all’istante. La bionda non la può proteggere, non nel suo stato attuale, e la realizzazione di questa cosa è come un pugnale di kryptonite che le trafigge il petto.

Ma Lena si riprende in fretta.  “Starò via solo venti minuti.” Le dice. “Siamo così lontane da casa che Lex non ha modo di sapere la nostra posizione esatta. Dobbiamo mangiare, Kara. E tu hai bisogno di farti una doccia e dobbiamo dormire.” Occhi verdi incontrano quelli blu nella luce fioca della lampada. “Venti minuti al massimo.”

Kara sospira, passandosi una mano tra i capelli incrostati, ammettendo di non essere in grado di controbattere. “Venti minuti.” Ripete, il più ferma possibile. “Non importa se non ho i poteri, se non sei di ritorno, ti vengo a cercare.” Non ha lottato così duramente, sacrificato così tanto per tenere Lena al sicuro solo per vedere crollare tutto in un parcheggio buio di uno squallido motel.

“Venti minuti.” Concorda Lena e per la prima volta dopo giorni, l’accenno di un sorriso le colora il viso. “Promesso.”

 

 

 

Diciannove minuti e quarantanove secondi dopo, Kara è davanti alla finestra, in un paio di pantaloni puliti e una t-shirt, i capelli ancora bagnati, in attesa che la mora ritorni.

Si morde distrattamente una pellicina del pollice, il piede che scandisce i secondi sul pavimento della stanza fino a che la porta non si apre e Kara lascia andare un respiro che non si era nemmeno resa conto di trattenere da venti minuti. Lena entra nella stanza e la bionda le corre incontro, affrettandosi a chiudere a chiave la porta.

Lena è tornata con un vero e proprio banchetto: insalata, bagels con salsa di formaggio, hamburger e patatine sufficienti a sfamare un’intera nazione e un vassoio contenente ventiquattro ciambelle.

Mangiano silenziosamente, a gambe incrociate sul letto, e Kara si rende conto solo dopo aver divorato metà cose di quanto fosse affamata. Essere senza poteri, a quanto pare, succhia via un sacco di energie.

Lena si allunga per prendere il telecomando della tv ma poi, lanciando uno sguardo in direzione di Kara, cambia idea e la cena continua senza troppe chiacchiere, in un silenzio interrotto solo dal suono del loro masticare e da occasionali mi passi il ketchup?

Una volta che tutto l’arsenale dei cartoni vuoti e dei tovaglioli usati è stato ripulito, i loro volti puliti e i denti lavati, Kara si dirige a controllare nuovamente che le serrature siano chiuse e poi si intrufola nel letto, nel lato più vicino alla porta. Lena, uscendo dal bagno, esita per un attimo prima di aprire le coperte e sdraiarsi al suo fianco.

Sono distese lì, in silenzio, mentre il materasso si modella sotto il peso dei loro corpi, entrambe che osservano come le luci della strada illuminano il soffitto. Il respiro di Lena è intenso e profondo e Kara può avvertire il calore emanato dal suo corpo.

“Lex non ci troverà.” Sussurra Lena nell’oscurità. La sua voce è fragile, lo scetticismo avvolto in un'ostinata determinazione. Chi sta cercando di convincere, Kara non potrebbe dirlo. “Non ha modo di sapere dove siamo.”

“Lo so.” Concorda Kara, perché probabilmente Lena ha ragione. “Ma cosa farà mentre noi siamo via?”

Al suo fianco, Lena fa un respiro così forte che sembra quasi doloroso. Kara affonda il viso nel cuscino inconsistente e si gira dall'altra parte.

 

 

 

“Credi che dovremmo continuare a dirigerci verso nord?”

La testa di Lena è piegata sopra la mappa poggiata precariamente sulle sue ginocchia, le estremità dei suoi riccioli scuri che scivolano sulla carta. Sono partite presto quella mattina, lasciando il motel prima che il sole fosse sorto e da lì hanno passato una silenziosa mattinata e metà pomeriggio lungo la costa dell’Oregon. Kara prende un grosso respiro, mantenendo il fiato per dieci secondo, prima di lasciare andare l’aria in una raffica silenziosa. “È uguale per me.”

Il silenzio le avvolge per un’altra cinquantina di chilometri. Su entrambi i lati dell’autostrada vuota, l’Oregon lascia il posto a Washington senza nessuna differenza apparente.

“Hai fame?” La voce di Lena si avventura al di sopra del ronzio smorzato della radio. Stanno affrontando il traffico di mezzogiorno in direzione Longview, Texas, immettendosi a est sulla autostrada 4 per lasciarsi alle spalle un'altra città indistinguibile. “Vuoi fermarti a mangiare?”

“No. E no,” replica Kara, tamburellando con le dita contro il volante. Passare attraverso aere abitate la mette a disagio. Troppi volti che le osservano, troppe possibili vittime. Sarà più tranquilla una volta che saranno nuovamente in una strada aperta, con nessuno nei pareggi che potrebbe rimanere ferito. “E tu?” Si ricorda di chiederle, forse troppo tardi, mentre lancia un’occhiata fugace verso il sedile del passeggero.

Lena sospira, raggomitolandosi ancora di più su se stessa e quando scuote la testa, sembra una risposta a qualcosa di più che la semplice domanda che Kara le ha posto.

Seguono il fiume Columbia fino al mare, costeggiando in silenzio riserve naturali e baie scolpite dalle onde. Qui fuori, senza nemmeno la vista di un'altra macchina per miglia, Kara si sente come se potesse ricominciare a respirare.

“Sei stanca?” Le chiede Lena, tre ore dopo, mentre girano un altro promontorio, la luce grigia e nebbiosa getta l'interno dell'auto in una foschia ombrosa. "Vuoi che guidi io?"

“No.”

Può sentire il sospiro rassegnato uscire dalle labbra di Lena, ma Kara non si scusa per il tono brusco con cui le ha risposto. Non sposta nemmeno gli occhi dalla strada. È una domanda così stupida. Sono in fuga e due cento sette persone sono morte per causa sua, che importanza ha se è stanca? Sicuramente se lo merita. Si meriterebbe anche qualcosa in più di una semplice stanchezza, no? Di certo, un po’ di sconforto fisico è un piccolissimo prezzo da pagare per i peccati che schiacciano la sua coscienza.

“Quando ci scambiamo, allora?” Tenta di nuovo Lena, l’irritazione che sta iniziando a colorare il suo tono di voce. “Sarà a breve o dovrei provare a dormire un po’?”

Kara si morde l’interno della sua guancia per impedire a se stessa di dire qualcosa di cui finirebbe sicuramente per pentirsi. Lena non si merita la sua frustrazione, la sua rabbia, lo sa. Ma, in questo momento, Kara non ha le capacità di moderarsi.

“Non lo so, Lena.” Riesce a dirle, in tono teso e un po’ tagliente, le nocche sbiancate dalla forza con cui stringe il volante.

Cade di nuovo il silenzio, la calma prima della tempesta perché — “Ora basta. accosta.”

Kara si volta finalmente verso di lei, guardandola stupita. “Cosa? Perché?”

“Sono seria. Accosta, ora.” Il volto di Lena è così serio, le sue spalle così rigide che  Kara ha il buon senso di non controbattere e, assecondando la sua richiesta, ferma la macchina in una piazzola di sosta che si affaccia su una scogliera ripida. Spegne il motore e riesce a malapena a soffocare l’impulso di gettare le mani in aria, mentre si volta verso la mora.

“Beh? Cosa c’è adesso? Dobbiamo proseguire, non dovremmo —”

“No! Non finché non avremo chiarito alcune cose.” Le risponde Lena, voltandosi completamente per guardarla. “Non intendo viaggiare per un altro metro in — in queste condizioni.”

Kara osserva confusa le mani di Lena che gesticolano animatamente. “In quali condizioni?”

Lena sospira, allungandosi per far scorrere le dita tra i suoi ricci sciolti. I suoi lunghi capelli sono arruffati e un po' disordinati, appiattiti dal lato su cui si era poggiata quando si era addormentata, la testa contro il finestrino. Sembra stanca e così dolorosamente triste che l’attacco che era pronto a uscire dalle labbra di Kara indietreggia, rimanendo bloccato nella sua gola.

“Lo capisco, okay? Lo so che vorresti essere ovunque tranne che qui.” Inizia Lena, la rassegnazione che colora il suo volto. “Lo so — lo so che preferiresti essere con chiunque altro.”

Kara aggrotta le sopracciglia, la sua bocca che si apre ma Lena non le da la possibilità di dar voce alla sua confusione.

“Ma ormai siamo qua, insieme, e non c’è niente che possiamo farci. Per cui è ovvio che dovremo passare del tempo insieme, lo sai.” le braccia di lena si aprono il più possibile nei confini della macchina, in volto un’espressione triste. “E i posso provare e non starti tra i piedi, te lo giuro posso farlo, ma qualche volta finiremo per dover parlare – cosa mangiare, dove dormire, questo genere di cose – quindi apprezzerei molto se —” prende un respiro profondo mentre il torrente di parole si interrompe momentaneamente, prima di continuare, “quindi apprezzerei molto se,” inizia di nuovo, in tono molto più silenzioso, “se potessi almeno provare ad essere civile con me. Solo in quei momenti, e poi possiamo tornare a ignorarci a vicenda.”

Il silenzio che segue quelle parole è pesante. Quasi soffocante. Kara apre e chiude la bocca una, due, tre volte.  “Lena, io—” da dove iniziare? “Non ti sto ignorando.”

Lena alza un sopracciglio, dando espressione alla sua incredulità e Kara abbassa la testa, intimidita.

“Okay, si forse ti sto ignorando ma non per causa tua. È solo che —” Inspira per prendere tempo e cercare di capire il modo migliore per articolare i suoi pensieri ma  è tutto inutile. “Da quando—”

“Kara, te l’ho detto, lo capisco.” La interrompe Lena, portandosi una mano sul volto a coprire i suoi occhi già chiusi. “Lo so che ti penti di quello che hai fatto. Non c’è bisogno che tu lo dica.”

Kara apre e chiude gli occhi, confusa. “Cosa?”

Un’occhio di lena si apre, per fissare l’altra donna attraverso lo spazio tra le sue dita. “Oh, perfetto. Allora lo dirò io, che ne dici?” Sospira, un respiro così pesante che le spalle di Kara si affliggono in solidarietà. “Lo so che ti sei pentita di aver salvato il mio jet e non l’aereo con tutti quei passeggeri sopra. Lo so che vorresti poter tornare indietro per dirigerti subito verso quelle due cento sette persone, invece che venire da me.”

Lo stomaco di Kara tocca il fondo, la bocca si spalanca, incredula. Come potrebbe mai Lena pensare  —

La mora massaggia le nocche sulle palpebre chiuse. La sua voce è molto calma, forse troppo. “A volte, anche io vorrei che tu l’avessi fatto.”

Qualcosa nel tremore della voce di Lena, nel modo in cui le sue parole si frantumano e si spezzano in contatto con l’aria, è sufficiente per riportare Kara alla realtà. “Lena, no. No. Non mi pento nemmeno per un secondo di averti salvata.”

Quando le mani di Lena si abbassano, Kara può notare le guance arrossate messe in risaltò dalla sua carnagione chiara, le lacrime che le illuminano gli occhi. “Come puoi non pentirtene?”

Dio, Lena.” L’intero corpo di Kara sta tremando, il contenuto del suo stomaco sembra a un secondo di distanza dal conoscere il tessuto che ricopre i sedili della macchina. Scuote il capo, cercando di dare un senso a tutto quanto. “Come puoi pensare —”

“Come posso non farlo?” Le chiede lei, un fuoco improvviso che si sprigiona dalla sua voce e dal suo sguardo. “Non sei stata in grado di guardarmi negli occhi per tre giorni. Non è così difficile capirne il motivo.”

“Non mi pento di averti salvata.” Kara chiude le sue mani tremanti in due pugni. Credeva che con il suo silenzio avrebbe protetto Lena dalla parte peggiore di se stessa. Eppure, in qualche modo, la sua assenza ha portato Lena a una conclusione ancora più terribile dell’atroce verità.

Ormai, non ha più niente da perdere. Almeno la sua onestà spazzerà via i dubbi di Lena e la donna non dovrà più mettere in discussione quanto rilievo la sua vita abbia su quella di Kara.

Costringe le sue mani tremanti a fermarsi sul suo grembo, aggiustandosi in maniera tale da poter incontrare totalmente lo sguardo di Lena. “Se dovessi prendere nuovamente una decisione del genere, sceglierei te. Se avessi un anno per considerare tutte le possibili implicazioni, sceglierei te. Non capisci? Non importa che siano due cento sette persone. Possono essere cinque cento, o mille, sceglierei comunque te.” Si sforza di continuare a guardarla negli occhi. “Il problema qua sono io! Perché sceglierei te, Lena, a qualunque costo.” La sua voce si spezza sotto il peso di quella verità, i suoi occhi lucidi. “Come faccio ad essere Supergirl e, allo stesso tempo, sentirmi in questo modo? Che tipo di mostro sono?”

Lena la fissa, gli occhi spalancati e pieni di shock. Il peso della confessione di Kara le circonda i collo come un cappio. “Come posso vivere con me stessa?” Sussurra, mentre la sua testa si piega in avanti, incapace di sostenere l’intensità nello sguardo di Lena. A chi sta ponendo quella domanda, Kara non lo sa.

Il silenzio nella macchina è diventato oppressivo. Kara chiude le sue mani in due pungi mentre si inumidisce con la lingua le labbra secche. “Non sei te quella che speravo fosse morta al posto di quelle persone, Lena,” riesce a dirle, con voce roca e spezzata. Eccola qua, quindi. L’ultimo pezzo di verità che può offrirle. “Vorrei — vorrei che fossi morta io.”

Il forte ansimare di Lena le riempie le orecchie mentre la mani di Kara trovano il mangione della porta e, rischiando di cadere, esce dalla macchina. Non aspetta una risposta. Non aspetta niente. Kara si solleva dalla polvere lungo la strada, prende un unico respiro profondo e inizia a correre.

 

 

 

Correre mentre è umana è difficile.

È tutto così lento e instabile e dolorosamente inefficace. Kara inciampa tra felci e tronchi, combattendo attraverso il limite degli alberi sul lato opposto dell'autostrada. Il terreno sale ripido allontanandosi dalla strada e Kara spinge più forte, salendo sempre più in alto lungo le balze boscose.

Ha la faccia arrossata e respira a fatica, il sudore che le cade dalla fronte, la maglietta che si attacca scomodamente alla sua schiena, eppure non si ferma. Fermarsi, mettere a tacere il dolore e la fatica che sta spremendo il suo corpo umano, vorrebbe dire permettere alla sua mente di focalizzarsi sulla conversazione da cui è appena fuggita. E — beh. Persino correre su per una montagna, priva dei suoi poteri, è meno doloroso.

Attraverso una pausa tra gli alberi, la vetta innevata del Monte Olimpo divide il cielo. Si dirige dritta verso di essa, inciampando nelle radici e scivolando nell'umidità del muschio della foresta. Ma non si ferma.

È salita notevolmente in alto quando decide di fermarsi, costretta ad accettare che deve riposare o rischia di vomitare, sulle sue scarpe, le crostatine di frutta ingerite quella mattina. Si spinge tra gli alberi fino a uno sperone roccioso che fa ombra alla foresta circostante.

Il lato ovest della roccia è sgombro, levigato dal vento e dalla pioggia che soffiano dal Pacifico, e vi sprofonda con il petto ansimante e gli occhi lucidi. Da qui riesce a vedere l'intera penisola: il monte Olimpo alle sue spalle, la costa tagliata dalle onde che si estende lungo la foresta su tre lati e nord, non troppo lontano, le isole e le coste del Canada.

La voglia di continuare a correre, di puntare gli occhi sull'orizzonte settentrionale e correre finché il suo corpo non cesserà di esistere, è quasi opprimente. Ma ora che si è fermata, la stanchezza si sta diffondendo attraverso i suoi muscoli, anestetizzando ciò che resta delle sue forze. Il vento le sferza i capelli e la pelle umida di sudore, e rabbrividisce dentro il tessuto sottile della sua felpa.

Potrebbe morire quassù, si rende conto. Probabilmente le starebbe bene.

 

 

 

Non sa quanto tempo è rimasta lì, curvata contro la pietra fredda. Infatti, è a malapena cosciente di ciò che la circonda. Kara si è persa nei meandri della sua mente, affogando nella profondità infinita della sua pena e del disprezzo per se stessa.

Quello che ha detto a Lena era la verità, per quanto melodrammatica possa essere sembrata. Avrebbe volentieri barattato la propria vita per le due cento sette persone innocenti morte sull'aereo che non era riuscita a salvare. Per cancellare quale lista di nomi, per far tornare a casa quei volti sorridenti, quelli uomini d’affari, quegli adolescenti e le coppie di anziani e i bambini, i bambini — avrebbe dato qualsiasi cosa per renderlo possibile.

Qualsiasi cosa tranne Lena.

A quanto pare, Lex Luthor la conosce meglio di quanto voglia ammettere. Non le ha dato l’opportunità di sacrificare se stessa per quell’aereo, probabilmente consapevole che una scelta del genere sarebbe stata fin troppo semplice.

E cosa dovrebbe fare adesso? Al di là del suo imminente stato da fuggitiva, oltre al dover fermare Lex e mantenere Lena al sicuro, cosa le è rimasto da fare? I suoi genitori l’hanno mandata su questo pianete per proteggere suo cugino e, quando tale obiettivo le è stato negato, ha dirottato il suo senso di responsabilità verso tutte le altre persone che popolano questo mondo, coloro che l’hanno accolta a braccia aperte.

Gli abitanti di National City amano Supergirl. O almeno, amano ciò che rappresenta. Si affidano a lei, contano su di lei, si fidano di lei. E lei li ha delusi.

Coville e il suo Culto di Rao l'avevano chiamata un Dio, loro come anche tanti altri: le riviste, i giornalisti, i bambini sbalorditi che aveva incontrato per strada. E per un po' ci aveva provato a onorare questa visione che avevano di lei. Se questo mondo l'aveva resa onnipotente, lei, in cambio, poteva tentare di essere onnibenevola. Poteva vegliare sulla sua gente, correggere i suoi torti, tenerla al sicuro da chiunque volesse farle del male.

Poteva, e lo faceva, finché non ce l’ha fatta più.

Perché un Dio, lo sa, dovrebbe amare tutti i suoi figli allo stesso modo. Rao e tutti gli altri Dei terrestri hanno la stessa premura: porre i loro doveri sopra qualsiasi altra cosa. Kara ha messo gli altri davanti a se stessa per anni. L'abnegazione inerente alla deificazione era una passeggiata nel parco.

Ma poi sono arrivati loro. Giusto una manciata di persone che hanno stravolto la sua vita. Alex, Eliza, J’onn e tutti gli altri. Loro sono arrivati e colei che aveva perso già cosi tanto realizzò di non essere pronta a perdere più niente.

Poi è arrivata Lena, che ha stringo il cuore di Kara in una presa bellissima e brillante. E successivamente la prova di Lex, e l’anima di kara si è divisa in due, ogni metà completamente opposta dall’altra.

E ora le domande: chi è lei? Un modello da seguire o un’assassina? Un campione o un criminale? Eroe o umana?

Come può affermare di amare così tanto questo mondo, mentre ci sono persone per le quali lo brucerebbe? Come può mettere il suo dovere e la sua responsabilità al di sopra di ogni altra cosa, ma tenere ancora più in alto una manciata di individui?

Rabbrividisce mentre i venti pungenti sferzano le montagne, la pioggia gelata che si appanna contro i suoi occhi chiusi. Le sue membra sono plumbee e doloranti e si rannicchia ulteriormente su se stessa, cercando di scomparire del tutto.

Come può convivere con la scelta che ha fatto solo e unicamente per mantenere Lena in vita? Come avrebbe mai potuto sperare di sopravvivere all’alternativa?

Kara appoggia la fronte contro la pietra gelida e, per la prima volta da anni, si ritrova a pregare Rao. Prega per la sua saggezza, per la sua comprensione, per la sua guida. Prega per il suo perdono anche se, nel suo cuore, non crede di meritarlo.

 

 

Il tempo scorre e allo stesso tempo rimane immobile. Kara rabbrividisce e sussulta e piange nella notte. Nessuno che risponde alle sue lacrime. Nessuno che ascolta.

Ad un certo punto, un suono piomba nella sua confusione mentale. Un trillo acuto e insistente. È continuo, è fastidioso e per la prima volta dopo un tempo indefinito, Kara apre gli occhi.

Un cervo e il suo cucciolo si fanno strada delicatamente lungo il limite degli alberi sotto di lei. La madre alza la testa, annusando l’aria. Come avvertendo lo sguardo di Kara, l’animale si blocca un attimo a scrutarla. Un battito di cuore più tardi, i due animali continuano la loro camminata, evidentemente imperturbati dalla sua presenza.

Il cervo non sembra minimamente infastidito da questo suono incessante. Infatti, sembra non sentirlo nemmeno. Le sopracciglia di kara si aggrottano mentre riflette, perché tutto ciò potrebbe significare che —

Stringe una mano in un pugno e prova a farlo oscillare sulla roccia ai suoi piedi. Il basalto si scheggia facilmente, sbriciolandosi in polvere. Quindi i suoi poteri sono tornati. E se i suoi poteri sono tornati questo significa che il suono che solo lei riesce a sentire deve essere —

Prima che il pensiero possa formarsi interamente, Kara è già in piedi che torna, correndo, da dove era arrivata. Non più la corsa ingombrante e inefficiente di un essere umano, ma con la super velocità che la caratterizza riesce a confondersi tra gli alberi. Quel segnale acustico è il suono degli orologi di segnalazione indossati dalle persone che contano su di lei per tenerli al sicuro. Ognuno suona leggermente diverso, permettendo a Kara di distinguerli da lontano, e questo suono non proviene dall’orologio di Alex, a National City. Non è James a Calvintown e nemmeno Eliza a Midvale.

Questo suono viene da Lena.

La foresta pluviale olimpica risplende in una nebbia di verde, marrone e grigio. Non è ancora tornata in piena forma, non si è ancora completamente ripresa, ma ciò non le impedisce di spingere oltre i suoi limiti con tutto ciò che ha, lanciandosi in enormi balzi mentre per metà corre, per metà vola per metà cade giù per la montagna.

Deve tornare da Lena.

Sopra di lei, il cielo sanguina, un indigo intenso che lascia il posto a un malva pallido ed è solo grazie a quello si rende conto che è stata via tutta la notte. Ha lasciato Lena da sola per tutta la notte.

Segue il suono dell’orologio come una creatura posseduta, il bip incessante un segnale di riferimento nella semioscurità. È così vicino adesso, così rumoroso, si schianta contro il limite degli alberi per trovare la loro auto proprio dove l'aveva lasciata, nascosta nell'angolo di una scogliera a sud di Ruby Beach.

Il suo cuore si ferma. Lena è lì, in piedi, pallida e guardinga nella nebbia che precede l'alba.

E non è sola.

 

 

 

Lex.

Addobbato nella sua armatura verde scintillante, il casco retratto a rivelare il suo ghigno avido, l’uomo si erge compiaciuto e sicuro dall'altra parte della barriera che separa l'autostrada dalla spiaggia sottostante. Quindici metri più in basso, le onde si infrangono sulla sabbia grigia, gli spruzzi avvolgono gli archi e i faraglioni nella nebbia salmastra.

“Kara, no.” Riesce a dire Lena, con respiro mozzato. “Vattene via da qua.”

La bionda si blocca. Lex tiene la sorella per la gola, la delicata pelle di alabastro del suo collo impigliata nell'incavo del gomito meccanico dell’uomo. Gli occhi di Kara si posano sul suo polso catturato, sull’orologio che vi giace intorno. La schermata è aperta. Il pollice inguantato di Lex che preme sul bottone.

“Come ci hai trovate?” Sussurra Kara, la paura trasforma le sue membra in blocchi di ghiaccio. Lex ha già strattonato Lena al di là della barriera di sicurezza, appollaiati entrambi sull'orlo della rupe sgretolata. Un piccolo passo indietro e cadrebbero di sotto.

Kara deglutisce. Lex ha una tuta che lo salverebbe, Lena no.

“La mia cara sorellina stava cercando di chiamarti.” Le risponde Lex, in tono colloquiale, agitando il telefono di Lena stretto nella sua mano libera. Un singolo gesto del suo polso e l’apparecchio elettronico scompare alle sue spalle, cadendo in in qualche punto indefinito nella distesa di sabbia sotto di loro. “E sai quanto sono facili da tracciare i segnale GPS. Un vero errore da principiante, lo devo ammettere. Sopratutto per una Luthor.”

“Kara, mi spiace.” Sussurra Lena e la bionda deve combattere contro il bisogno fisico di vomitare. È tutta colpa sua. Lena ha dovuto ricorrere ad usare il telefono solo perché Kara è sparita. Il senso di colpa apre la mascella, preparandosi a inghiottirla per intero.

Lex la osserva con sguardo malizioso. “Naturalmente, all’inizio pensavo fosse una trappola.” E la sua presa si stringe, mentre strattona lena quasi fosse una bambola. Il viso della mora si contorce in una smorfia mentre le linee nette del suo vestito le strappano la pelle, ma non dice nulla. “Quindi puoi immaginare la mia sorpresa quando arrivo qui e trovo la cara e dolce Lena tutta sola.” Si vanta Lex, il suo godimento della situazione inevitabile. “Grazie a Sio per il tuo piccolo segnale quaggiù.” Alza il dito che giaceva sopra il bottone e Lena chiude la mano libera intorno all’orologio, portandoselo protettivamente al petto. Il viscido sorriso di Lex si apre ancora di più alla vista di quell’azione. “Dopo tutto ciò sei stata disposta a fare per proteggerla, non avrei mai voluto che ti perdessi tutto il divertimento.”

Kara si sforza di non lasciarsi andare a nessun tremolio, di non lasciarsi sopraffare dalla voglia di buttarsi al suolo e piangere. “Cosa vuoi?”

“Suvvia, non essere ottusa.” La canzona Lex. “Non si addice proprio a qualcuno del tuo rango. La ragazza di acciaio, non è cosi che ti chiamano? La paladina della speranza, l’ultima figlia di Krypton. Cosi pretenzioso.”

Kara si distrae leggermente, perdendosi parte del monologo di Lex, tutti i suoi sensi focalizzati su Lena. Accoglie il suo cuore tumultuoso, la sua mascella serrata, i suoi occhi spalancati e in preda al panico. Vai, le dice Lena da sotto il mento dell'elmo di suo fratello. Corri.

Kara vorrebbe solo piangere. Se la morte di due cento sette persone innocenti non ha fatto capire a Lena che non potrebbe mai, per alcun motivo, lasciarla, Kara non sa cosa potrebbe farglielo capire.

“Sono qui per presentarti un’altra scelta.” In quel momento, l’attenzione di Kara ritorna su Lex, mentre la presa dell’uomo si stringe ancora di più intorno alla gola della sorella. “Visto che l’esercizio ti è piaciuto molto l’ultima volta, pensavo che potessimo ripeterlo.”

I polmoni di Kara si svuotano, ogni singolo atomo di ossigeno lascia il suo corpo mentre la paura la invade. Oh, no. Non ancora, per favore. Non può sopportarne un’altra.

“Mi sono reso conto di averti reso le cose troppo semplici.” La voce di Lex è calma, contenuta, come se stessero discutendo del tempo e non della morte di centinaia di persone. “Una persona che conosci contro tante che non conoscevi. La scelta è stata troppo facile, ma non preoccuparti, questa volta giocheremo ad armi pari, te lo assicuro.”

L'aspetto amichevole di Lex si abbassa come il tocco di un interruttore. I suoi occhi diventano freddi e duri, i lineamenti inespressivi. “L’ultima volta, ho mandato due missili. Questa volta, si tratta di due bombe. Una ucciderà Lena, l’altra chi lo sa?” Lex scuote una spalla avvolta dal metallo. “È posizionata proprio sotto il vostro piccolo quartier generale, quindi sicuramente farà fuori tutti i tuoi piccoli amichetti. Tua sorella. Lavora lì anche lei, giusto?”

Kara vede la vista sbiancarsi, il suo cuore batterle forte nel petto.

“E National City è una città cosi piccola,” continua Lex in un tono neutrale. “Una bomba di quelle dimensioni, nel centro della città? Sicuramente ci saranno danni collaterali.”

Kara riesce a sopprimere un brivido. La sua gioia, almeno, lo aveva fatto sembrare umano. Pazzo e psicotico, ma umano. La totale apatia di fronte a morti indicibili? Questo la terrorizza nel profondo.

Lex sorride, ma dietro i suoi occhi si cela il nulla più assoluto. “La scelta è tua, Supergirl. Lei,” Serra la presa sulla cola di Lena, il suo viso che sbianca ulteriormente mentre le sue dita tentano inutilmente di scalfire il metallo impenetrabile. “Oppure loro. Se voli abbastanza velocemente, avrai giusto il tempo per arrivare da loro prima che la bomba esploda.”

Alza un dito, passandolo sopra l'orologio ingombrante al suo polso, e il tempo sembra essersi fermato per un momento. Kara sente ogni cellula del suo corpo pulsare di adrenalina, sente i forti strattoni del suo respiro nei polmoni. Vede la scena come se la osservasse dall'alto; la sua figura curva, con dei poteri appena ritrovati, che affronta un pazzo e il suo ostaggio su una scogliera avvolta dalla nebbia.

Vede Lena. Vede ogni ciglia scura sbattere contro le sue guance pallide, ogni singolo frammento di agonia nei suoi occhi verdi. Indossa un pile nero consumato che Kara pensa appartenesse ad Alex e un paio di pantaloni della tuta color malva che avevano trovato nel negozio di vestiti. Sono quasi della stessa tonalità del cielo che schiarisce dietro di lei. I suoi piedi pallidi sporgono sotto di loro e oh, non indossa scarpe. Non indossa nemmeno i calzini, le dita dei piedi nude che si arricciano nel fango sabbioso sotto di lei, e di tutta la situazione, è quel piccolo dettagli che frantuma lo sterno di Kara, mandando il suo cuore a riversarsi sul cemento sottostante.

Lena  è lì, pallida e ribelle e tremante e non ha indosso le sue scarpe. Il suo viso non è lavato, i suoi capelli in disordine come se suo fratello l’avesse fatta uscire di forza dalla macchina senza nessun preavviso.

Il tempo torna a scorrere con una scossa. Le dita di lex si posano sullo schermo del suo orologio dal quale fa partire un conto alla rovescia. “Se parti ora, arriverai in tempo.” Chiarisce l’uomo con un cenno sdolcinato della sua fronte. Stringe ancora una volta la presa e Lena sussulta. “Certo, questo significa che dovrai lasciare la cara Lena qui con me.”

 

 

 

Kara è bloccata.

Lo sa che non può permetterselo, consapevole che in qualsiasi modo voglia giocarsi questa partita, qualsiasi strada lei scelga, ogni secondo è cruciale. Ogni battito che scorre via potrebbe fare la differenza tra il riuscire e il fallire. Tra la salvezza e la dannazione

Eppure, è bloccata. Radicata sul posto, paralizzata dalla paura, dall'incredulità e dall'indecisione. Fortunatamente per lei, Lena non lo è.

 

“Brutto bastardo,” urla lei, abbassandosi e torcendosi nella presa di ferro di suo fratello per sferrare un solido pugno alla sua mascella non protetta. “Non puoi farlo di nuovo. Non puoi!”

Lex ringhia, alle prese con sua sorella, ma Lena è veloce come un fulmine, i piedi nudi si attorcigliano nella melma sabbiosa, mirando colpo dopo colpo alla sua testa. I suoni dello sforzo, i grugniti e i gemiti della loro lotta fanno uscire Kara dalla sua trance e si lancia in avanti, spinta finalmente all'azione.

Vola verso le figure impegnate nella lotta ma non si ferma per intervenire, navigando sopra le teste di entrambi i Luthor per scrutare la spiaggia sottostante. La sua vista si concentra sul cellulare di Lena scaraventato nella sabbia e, non appena lo avvista, scende su di esso, afferrandolo in pochi secondi, digitando il numero di Alex con dita tremanti.

Col cuore in gola, osserva l’area in cerca della bomba che Lex deve aver piazzato. La bomba predisposta per uccidere Lena.

Alex le risponde al secondo squillo. “Pensavo di averti detto di non usa—”

“Alex,” urla lei, spingendosi di nuovo fuori dalla spiaggia. “C’è una bomba nella Torre. Una bomba di Lex. Non avete molto tempo, dovete—”

“Ricevuto.” La interrompe Alex, alcun segno di preoccupazione nella sua voce. “Ce ne occupiamo subito. Tu stai bene?”

“Lena.” Esclama Kara mentre la donna in questione viene sbattuta a terra, la sua tempia che ha incontrato il pungo di ferro di Lex. “Cazzo. Okay, Alex, quando disattivate la bomba, usa l’orologio, okay? Solo una volta, così saprò che siete al sicuro.”

Quando, non se. Kara non osa dare voce all’alternativa. Non può nemmeno prenderla in considerazione

“Lo farò.” Concorda Alex, la voce metallica mentre Kara lascia cadere di nuovo il cellulare nella sabbia. Qualsiasi altra cosa sua sorella potesse averle detto si perde nell’aria mentre Kara sfreccia verso i fratelli ancora imepgnati nella loro battaglia.

Si schianta direttamente contro Lex, arrivando da dietro, facendolo cadere dal corpo prono di Lena e catapultandoli sull'asfalto. Cadono ancora e ancora, bloccati insieme mentre i colpi piovono da tutte le parti. Kara è abbastanza vicina da sentire l'odore del sudore sulla fronte di Lex, il fetore acre del suo alito. Vede il gelido distacco nei suoi occhi, la determinazione nella dura presa della sua mascella. E vede, in un fermo immagine di perfetta chiarezza, l'anello di Lena. La sottile fascia d’argento che non si toglie mai è ora incastrata nell'articolazione del collo dell’armatura di Lex, impedendo al casco di chiudersi.

Il suo pugno fa un contatto soddisfacente con lo zigomo non protetto di Lex e, suo malgrado, Kara sorride.

Ma poi l’uomo attiva il suo guanto di sfida, colpendola al rene con quello che sembra un centinaio di miliardi di volt di elettricità. La sua pelle brucia, i muscoli si contraggono ancora e ancora, e lei può solo guardare, con il corpo in preda agli spasmi, mentre lui si solleva da sotto di lei e si gira verso sua sorella.

Premendo un pulsante, il guanto sinistro della sua tuta inizia a brillare, una palla di fuoco appare nel suo palmo. Si tira indietro, per lanciarlo dove Lena giace ancora senza fiato sulla scogliera, e Kara urla. Il suo corpo non si muove, i muscoli continuano a contrarsi, ma all'ultimo secondo riesce a puntare un raggio laser verso il suo bersaglio. Colpisce la spalla di Lex e gli fa perdere l'equilibrio, la palla di fuoco sbatte contro la barriera ed esplode in una massa contorta di metallo in fiamme.

Lex ringhia, furioso, si gira verso di lei. Kara riesce a mettersi in ginocchio, colpendolo poi con un soffio di respiro congelato che lui contrasta con un altro lampo di fiamma fuoriuscita dal suo palmo.

Si circondano l'un l'altro, di pari passo, sparando raggi laser e esplosioni di kryptonite. “Quindi, hai scelto mia sorella al posto della tua,” ansima Lex, lanciando che la bionda riesce a malapena a schivare. “Devo ammettere che non ero sicuro da che parte ti saresti schierata, questa volta.”

Kara si lascia andare ad un ringhio primordiale e selvaggio. La paura che si insinua in lei al pensiero di ciò che potrebbe accadere a National City, di ciò che accadrà a Brainy, Nia, J'onn, Kelly, Alex, se non disattiveranno la bomba in tempo. Colpisce di nuovo la testa di Lex, mancandolo di pochi millimetri.

“Lei è davvero cosi importante?” Lex sussulta, senza fiato. Sopra la sua spalla, il mucchio accartocciato che è Lena inizia a muoversi. La faccia di Lex è rossa come una barbabietola, tesa per lo sforzo. “Lena ne vale davvero la pena?”

Kara pensa che l'urlo che rilascia probabilmente può rispondere a quella domanda al posto suo. Si lancia ancora una volta verso Lex, afferrandolo per il colletto per spingerlo poi contro la spessa barriera d'acciaio a lato dell'autostrada. L'impatto fa andare in cortocircuito qualcosa nella sua tuta, una piccola esplosione che brucia le punte delle sue ciglia.

Ora sono vicini al punto in cui giace ancora Lena, e gli occhi di Lex si posano su di lei con una sorta di gioia demenziale. “Lena!” Urla Kara, avvolgendo entrambe le braccia sotto le spalle di Lex e piantando i piedi sui resti della ringhiera per spingerli entrambi oltre il confine, lontano dalla mora.

“Vai alla macchina,” continua a urlarle Kara e Lena si spinge tremante sulle mani e riesce a mettersi in ginocchio. “Vattene da qui, vai!”

Kara lancia Lex in aria, arrivando a guardarlo dritto in faccia quando torna giù, ma il bastardo sembra aver riacquistato un po' di controllo della sua tuta, usando i suoi propulsori a reazione per circondarla mentre il suo cannone si carica per un altro colpo. I suoi occhi sono maniacali, il suo sorriso decisamente predatorio. Sembra troppo calmo e questo, più di ogni altra cosa, le dà motivo di fermarsi.

“Sei sicura che l'auto sia l'idea migliore?” Le chiede Lex dolcemente, la faccia che si apre in un sorriso affamato mentre si sfidano a mezz'aria. Lo stomaco di Kara si contorce. Ruota su se stessa mentre osserva la scena usando i suoi raggi X fino a che… Eccola. Un minuscolo fascio di cavi C4 legati alla parte inferiore dell'auto.

Sarà riuscita anche a trovare la bomba, ma quel secondo di distrazione le costa caro. Lex si scaglia su di lei come un cane rabbioso, artigliandola e prendendola a pugni con forza sufficiente a toglierle il respiro dai polmoni. La scuote e lei vacilla nell'aria, stordita.

La afferra per il cappuccio della felpa: in tutto il caos, non aveva nemmeno avuto il tempo di mettersi la tuta. Lei penzola, dalla sua presa a trenta metri sopra la sabbia, contorcendosi impotente. Dietro e sotto di lei, sente il rumore di Lena che apre la portiera della macchina. Vuole gridare, vuole urlare un avvertimento, ma i muscoli della sua gola sono paralizzati, come tutto il resto del suo corpo.

“Hai combattuto bene,” ansima Lex mentre il suo viso si contorce in un ghigno, il fascio di Kryptonite che brilla luminoso sul guanto che l’uomo tiene puntato direttamente tra i suoi occhi. “Ma anche gli dei possono cadere.”

La fine sta arrivando, Kara lo sa. La fine nella sua totalità, che si articola con un'esplosione a National City, un'autobomba nello stato di Washington, il ruggito di un cannone carico di kryptonite sopra l'Oceano Pacifico. Il vento sferza i loro corpi in bilico e solo per un secondo, la presa di Lex scivola. Solo per un momento, sta precipitando, e questa sarà la sua fine.

E Kara capisce.

La sua fine non è arrivata quando Lex, con l’aiuto della sua tuta, l’ha scaraventata in cielo. Ha iniziato a precipitare quando Lex Luthor l'ha colpita spedendola nella Zona Fantasma. O forse anche prima,  quando il flusso di antimateria ha attaccato le varie Terre, sgretolando il multiverso. Quando l'aria è stata contaminata di kryptonite, o quando Reign l'ha mandata in coma con un solo pugno. O quando è rimasta in ascensore accanto alla donna che ama e si è resa conto di averla persa prima ancora di averla abbracciata.

Forse ha iniziato a precipitare da quando era sull'ala di un aereo galleggiante e si era proclamata più di quanto questo mondo avesse mai visto prima. O forse da quando ha visto il suo pianeta sgretolarsi, attraverso lo specchietto retrovisore della navicella in cui era rinchiusa.

Kara Zor-El sta precipitando da anni. Non c'è da meravigliarsi se non sopravviverà una volta colpito il suolo.

 

 

 

Le dita di Lex si impigliano nel suo colletto e gli occhi di Kara si chiudono.

Non poteva salvarli, Lena e Alex e gli altri ma almeno, adesso, morirà con loro. Almeno non dovrà sopravvivere da sola. La sopravvivenza è stata a lungo un manto troppo pesante da sopportare. Uno di quelli che non vuole mai più tenere sulle spalle.

Sente il ronzio del cannone che si arma, sente la Kryptonite iniziare a bruciare le sue vene. Respira e crede che sarà l’ultimo che riuscirai inalare. Nella sua mente, chiede scusa. Pensa all’amore e le dice addio.

E poi, attraverso il sibilo del vento e l'ansimare del suo petto e il martellare nelle sue orecchie, sente un altro suono. Un segnale acustico acuto, solo uno; il tono specifico di un’orologio.

Gli occhi di Kara si aprono. Alex. Ha disarmato la bomba. Sono al sicuro. Sono vivi. Ha sempre creduto che la sopravvivenza fosse una cosa solitaria, ma ora si rende conto, che forse, non deve esserlo per forza.

Con una carica che aveva creduto a lungo persa, Kara scivola fuori dalla felpa e si lascia cadere dalla presa di Lex, sentendo il sorgere del sole sfiorarle la pelle mentre si infrange sulle montagne a est.

Non importa che non sia neanche lontanamente piena di forze. Non importa che sia insanguinata, contusa e più stanca che mai. Alex e gli altri sono vivi, e almeno per il momento lo è anche Lena. Il lavoro di Kara non è finito. C'è ancora altro che deve fare.

Vola verso Lex gridando, avvolgendo tutti e quattro gli arti attorno al duro guscio della sua tuta in modo che non possa tirarsi indietro, in modo da non dargli sufficiente spazio affinché possa usare il suo guanto. Si stringe, e piange, e strappa la tuta che avvolge il corpo di Lex, facendo piovere colpi su colpi sul suo volto scoperto. Lei non è un Dio, otterrà vendetta per quest’uomo, il flagello sulla sua esistenza.

Lex si aggrappa e grugnisce, ma non può competere con lei, non ora che il fuoco le divampa nelle vene. Strappa l'ultimo pezzo dell’armatura dal suo corpo e lancia il guanto di Kryptonite il più lontano possibile verso l’orizzonte, infine lo prende per la collottola, gli occhi che brillano più caldi del sole nascente.

“Mai più,” ringhia lei, la voce agghiacciante persino alle sue stesse orecchie, “Non minaccerai mai più le persone che amo.”

E poi lo lancia in aria davanti a sé, come un tennista professionista che si prepara al colpo che lo porterà a vincerà la partita, utilizzando ogni singola fibra di forza rimasta nel suo corpo per distruggere Lex Luthor.

L’uomo precipita, colpendo la spiaggia sottostante con un tonfo nauseante e scivola leggermente nella sabbia umida. Si ferma a faccia in giù nella risacca e rimane sdraiato lì, immobile.

Kara fissa per meno di mezzo secondo la forma immobile di Lex, prima di dirigersi di nuovo verso la scogliera, verso l'auto e la bomba, verso Lena. Le sue dita si avvolgono attorno un polso sottile e tirano, forte, non c'è tempo per la delicatezza o la dolcezza.

Lena ruzzola fuori dalla porta aperta, distesa sul cemento ruvido, il respiro che le manca dai polmoni in un sussulto tremante. Non c'è tempo per controllarla, non c'è tempo per niente. Nemmeno un addio.

Kara afferra l'auto, una mano sul parafango e l'altra sul telaio, e la spinge via da terra così forte che il cemento si spacca sotto i suoi piedi. Vola verso l'alto, con la forza e la velocità consentitele dai suoi muscoli tesi. Sale, finché la strada appare un sottile serpente grigio sotto di lei, che abbraccia la costa increspata e le onde che si infrangono su di essa. Sale, finché non sfonda la foschia di nebbia che avvolge la spiaggia e il sole nascente la attraversa senza ostacoli. Sale, fino a quando non riesce a sentire più le urla di Lena.

Non ha molto tempo, ne è sicura. L'esatta equazione richiesta per calcolare il momento dell'esplosione della bomba tra le sue braccia, la velocità del suono moltiplicata per la distanza da National City, quindi meno il tempo trascorso da quando Lex ha innescato quella dannata trappola mortale, è troppo per la sua mente stanca. Tuttavia, non può restare a lungo.

Dovrebbe buttare la macchina, lo sa. Dovrebbe accucciarsi in aria, raggomitolarsi su se stessa e poi raddrizzarsi per inviare il veicolo e la bomba il più in alto possibile nella stratosfera. Ma è già abbastanza in alto? C’è modo di portarla ancora più lontano dalla Terra, più lontano da Lena? Ancora più in alto, cosi che l'inevitabile scheggia ha meno possibilità di danneggiare che risiede al di sotto?

Dovrebbe lanciarla adesso, probabilmente. Ora. Ora. Ma è ancora qui, stretta tra le sue braccia. E forse una parte di lei non vuole lasciarsi andare. Forse quella parte minuscola, esausta, rassegnata di lei era stata pronta, troppo pronta, ad abbracciare la fine. Forse non vuole continuare a combattere.

Deve lanciarla ora, deve. Il conto alla rovescia deve essere quasi scaduto, l'esplosione è innescata. Per quanto debole, non si riprenderà. Questo volo sta succhiando tutto il residuo di energie rimaste e presto non resterà più nulla.

Deve lanciarla adesso, sta pensando, mentre la bomba le esplode sul petto.

 

 

 

Kara sta precipitando.

Non importa perché. Non importa come, dove o per quanto tempo. Sta cadendo e non riesce a smettere.

Tutto fa male. La bomba, esplosa tra le sue braccia, ha generato un’onda d’urto formidabile e incomparabile. Ha colpito il suo corpo martoriato con la forza di una supernova, e ora Kara può avvertire tutto e, allo stesso tempo, niente.

Ogni cosa fa male ma il dolore è attenuato, in qualche modo. Desolato, insensibile, come se ce ne fosse così tanto che il suo corpo semplicemente non riesce a elaborarlo tutto. Come se i suoi nervi, i suoi sensi, lo bloccassero nel tentativo di proteggere ciò che è rimasto di lei. Non è sicura di avere più un corpo. Non è sicura di volerne uno, quando tutto duole così tanto.

Vede la costa avvicinarsi sempre di più. Le montagne, i pendii ricoperti di foreste, le rocce frastagliate e le onde impetuose. È un bel posto dove morire.

Il terreno, lo schianto, l'impatto inesorabile, ora sono vicini. Così vicini. Il serpente grigio della strada si offusca attraverso la sua visione. Forse cadrà nell'oceano, di nuovo, forse sarà fortunata.

O forse la sua scorta di fortuna è giunta alla fine.

Magari non sarà così male. Sta precipitando. Per un singolo momento mozzafiato, il mondo diventa immobile. E poi, Kara sparisce.

   
 
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