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Autore: _uccia_    04/12/2021    2 recensioni
Lui vive secondo un codice, il codice Vory. Nel mondo malavitoso russo esiste una gerarchia e delle tradizioni. Lei sarà lo strumento che lo farà ascendere al potere.
Lui è un sicario chiamato il Siberiano, lei una principessa della 'Ndrangheta italiana.
Quello che non sanno è che il loro destino è inesorabilmente intrecciato e che non avranno scrupolo a sfruttare la posizione l'un dell'altra per raggiungere la sommità della scalata al potere.
Perché più forte della loro ambizione, può essere solo il desiderio carnale e possessivo che pare bruciarli interamente.
Due personaggi che per quanto diversi si ritroveranno a dover lavorare di squadra, in un ambiente cupo e pericoloso diviso tra Stati Uniti, Honduras e la fredda Russia.
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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                                                                                                 ---------------VITTORIA-----------------


 
"Io di sopra".
"E io che faccio?". Urlò in rimando.
"Tu divertire, dà?". Si spazientì lui. "Allora và".
Vittoria strinse il soprabito al petto e si fece largo fra la calca pulsante, i raggi luminosi le toglievano la visuale e l'odore inteso dei fumi le intasava le narici.
Malgrado la ressa di persone, non riusciva a scacciare la sensazione che fosse sotto a un unico enorme riflettore. Come se in qualche modo si trovasse in esame solo per il semplice fatto di essere lì, circondata da persone totalmente diverse da lei non solo per il linguaggio ma anche nel atteggiarsi.
Si sentiva osservata, giudicata, emarginata.
Sola, in un mare di gente.
Qualcuno alle sue spalle le urlò qualcosa, almeno credette che stesse parlando con lei.
Vittoria si voltò verso il barista dietro al bancone, un uomo di circa mezza età con pancia sporgente e folta barba brizzolata lunga fino al petto.
“Scusa, non parlo russo". Esclamò lei sopra al boato di chitarre elettriche, sparate a ritmo di marcia dagli altoparlanti.
"Turista?", chiese il barista con un sorrisetto e afferrò due bicchieri di plastica dalla torre impilata sul bancone. "Offro io a bella turista!".
Vittoria alzò una mano nel vano tentativo di diniego ma l'uomo aveva già fatto al volo un mix di Vodka, ginger beer e succo di lime. Con l'aggiunta, su entrambi i bicchieri, di un spicchio di lime sul bordo e una cannuccia verde fluo.
"Moscow Mule, bevi con me!", la esortò l'uomo alzando in alto i bicchieri.
Da qualche parte, poco distante, si udì il fragore di vetro in frantumi e una piccola calca di persone cominciò a dimenarsi trattenendo un omaccione a torso nudo, sudato e incazzato come una belva.
"Forse un sorso... mi pare il caso". Si convinse lei sorridendo grata al barista.
I due batterono i bicchieri fra loro. "Vashe zrodovye!".
Vittoria si concesse solo un piccolo assaggio e alzò lo sguardo verso la passerella rialzata sopra alle loro teste, dal lato opposto del capannone.
Un uomo bruno si appoggiava al parapetto, alto e ben piazzato. Con larghe spalle muscolose e con corti capelli rasati, che facevano intravedere labirintici segni bluastri tatuati su tutto il cuoio capelluto.
Era vestito totalmente di nero, con maglietta a maniche corte nera, larghi pantaloni militari neri e anfibi ai piedi.
Da quello che Vittoria poteva vedere da quella distanza, tutto il corpo esposto alle luci laser del 'militare' era ricoperto da simboli bluastri più o meno grandi e quando vide con chi stava parlando mimando una vigorosa menata di uccello, la ragazza non si stupì affatto.
Chissà per quale motivo, Vittoria si era immaginata che Vasilj Volkov fosse il più 'grosso' fra i suoi uomini. Ma non era così.
Si poteva dire che con la sua statura medio alta, era decisamente il 'piccoletto' del squadrone in nero schierato lì in alto quella sera. A dimostrazione di come non bastasse la forza fisica per diventare un leader, ma anche una avvenenza e un intelletto che quell'uomo così arrogante pareva possedere.
A un primo esame si poteva scambiare il 'militare' rasato come il capo ma, quando Volkov si fu seduto a uno dei divani in pelle,  l'intera disposizione degli uomini presenti sullo spalto cambiò di conseguenza.
Volkov parve non accorgersene, come se fosse abituato allo schieramento di forze maschili tutto attorno a lui.
Il colosso militare andò a sedersi alla sua sinistra, nessuno si sedette alla sua destra*.
Di vedetta, in piedi sostavano due uomini in atteggiamento disinvolto mentre tutti gli uomini in divisa nera si fecero più riuniti intorno al loro capo . Le persone chiaramente lì per caso, subito si fecero da parte o scesero lestamente giù per la scalinata allontanandosi.
"Lasciali perdere", la richiamò il barista sporgendosi sul bancone. "No brava gente".
"Li conosci?", lo incalzò lei urlando al di sopra di un improvviso applauso della folla a favore del direttore di gara appena salito sul Ring .
Il barista fece una smorfia e si trincò una lunga sorsata del suo cocktail. "Vengono quì quasi ogni notte. Quello con tatuaggi su testa..", e indicò con un tozzo dito l'uomo alla sinistra di Volkov. "... quello ha problemi, te lo dico io. Problemi seri e quell'altro seduto vicino, quello è peggiore. Brutte storie su loro, bella ragazza come te meglio se non si avvicina".
"Che genere di storie raccontano?".
"Ah". Il barista sbuffò con espressione disgustata. "So' cosa fanno a belle turiste come te, incantano con codice di onore ma loro potere essere in minacce, estorsioni, rapine e persone scomparse".
"Parli del Vory?", annuì lei.
L'uomo si allarmò facendole cenno di tacere con un dito davanti alla propria bocca. "No detto quella parola e nemmeno tu devi dire quella parola. Quì nessuno dice!".
 Vittoria fissò Volkov e il suo compagno bere da bicchierini dati alle fiamme. Quella scena di pura strafottenza si soffermò nella sua testa, vi bruciò per un istante, come un'immagine che si impressiona su una pellicola
Diede quindi una occhiata ai tabelloni luminosi sospesi sopra al Ring e prese una decisione.
"C'é un banco dei pegni?". Chiese improvvisamente, con il germoglio di una idea nella mente.
Le venne indicato un corridoio, posto proprio a lato del banco delle scommesse e Vittoria prese congedo rapidamente. Non rimase ad ascoltare le rimostranze del barista, deluso per la liquidazione improvvisa, ma quando fu a lato del Ring si rese conto di aver dimenticato il suo bicchiere sul bancone del bar e dovette quindi ritornare in dietro.
Questa volta trovò il barista nel bel mezzo di una discussione intensa con uno sconosciuto in canotta. Ebbero una strana reazione nel vederla, le sorrisero in maniera inquietante e la ragazza optò per riprendersi il bicchiere e darsela a gambe verso il banco dei pegni.
"Ti posso offrire trentasettemila rubli", sentenziò la donna dietro lo sportello alla fine di un meticoloso esame. Pesò il braccialetto in oro su un bilancino e controllò le punzonature che ne attestavano il metallo prezioso. Con un piccolo strumento simile a una pennetta, controllò la veridicità dei diamanti.
Vittoria spiò il conto alla rovescia su un monitor luminoso, mancavano venti minuti alla chiusura delle scommesse e lei voleva dare un'occhiata ai pretendenti della serata prima di puntare qualcosa.
Dunque. Pensò. Trentasettemila rubli corrispondevano a...
"Cinquecento dollari?", si spazientì alla fine di un rapido calcolo. "Ne vale il doppio!".
La donna al di là dello sportello si infilò in bocca un unghia laccata di rosso. "Ha un documento?".
"No".
"Allora sono trentasettemila rubli. Tra poco il banco chiude, prendere o lasciare".
Non le restava che accettare, il bracciale per lei non aveva valore affettivo e aveva in mente di combinare qualcosa quella sera. Non se ne sarebbe rimasta in disparte a piagnucolare che qualcuno la riportasse in quella prigione di casa, solo perché si annoiava.
Accettò i soldi manifestando tutto il suo disappunto e fece spazio al prossimo della fila dietro di lei.
Quella sera si sarebbero disputate le finali nelle varie categorie di pesi e in molti avevano piazzato grosse somme.
Vittoria si fece avanti verso il banco delle scommesse dove uno degli sfidanti al detentore della cintura, stava in quel momento intrattenendo il pubblico solamente rimanendosene seduto su un divano in pelle nera.
Alcuni uomini gli stavano parlando mentre si fasciava le mani con una benda bianca, il suo allenatore era curvo su di lui e sembrava pronto ad incitarlo per affrontare più una guerra che un incontro di Box.
Vittoria riconobbe la stazza e l'altezza considerevole, il viso da bambino, la Madonna all'avambraccio e le cinque cupole alle falangi della mano.
Notò anche come molte ragazze si erano riunite in cerchio attorno alla seduta del combattente, i volti emozionati e arrossati.
Sotto la luce lampeggiante, Vittoria considerò solo in quel momento che Nicolaj era forse l'unico ragazzo slavo che per i suoi canoni estetici poteva definirsi bello.
Ora che cominciava a farsi un certo occhio mettendo a confronto volti e connotati, ricordò come un detto recitasse che per l'uomo russo fosse facile essere attraente, bastava esserlo appena un po' di più di una scimmia.
Un detto popolare che certamente non faceva onore al maschio dell'est ma il ragazzo era decisamente sopra al livello degli uomini, anche più maturi, che lo circondavano.
Anche più di Volkov, visto che questo con il suo naso affilato e zigomi alti non poteva certamente iscriversi a un concorso di canonica bellezza.
Lui ci sapeva fare in altri ambiti però.
Vittoria si costrinse a non tornare con la mente a ciò che avevano fatto all'hotel in centro.
In quel momento, Nicolaj alzò lo sguardo su di lei e la riconobbe all'istante.
Suscitando un certo mormorio di delusione fra le ragazze, il giovane fece cenno con l'indice a Vittoria di avvicinarsi.
"Non ti agitare", mise subito in chiaro lei. "Mi ha portato Volkov".
 "Lui è quì?", si interessò il ragazzo.
Vittoria indicò la passerella rialzata dietro di lei, in alto. "A bere".
Nicolaj scambiò qualche parola al suo allenatore e fece per alzarsi battendo i palmi sulle ginocchia. "Allora vado, tra poco tocca a me".
Vittoria lo seguì lestamente tra la folla. "Con chi ti batterai?". Gli urlò all'altezza della schiena mentre cercava di rimanergli al passo.
"Lui", fu la risposta.
Il Lui in questione consisteva in un ammasso di muscoli gonfi che bizzarramente avevano deciso di raggrupparsi in fattezze vagamente umane.
Il campione in carica aveva un corto collo taurino infossato sulle spalle e occhietti porcini così distanziati tra loro che gli davano l'espressione basita di un pesce.
In quel momento, sedeva a un divano assorto nei propri pensieri e fissando a terra come se le risposte della vita fossero scritte in mezzo alle dita dei piedi.
"Sembra sveglio", ridacchiò sarcasticamente Vittoria.
"Sembra fatto", la corresse Nicolaj scuotendo il capo. "Non voglio vincere così".
Vittoria gli indicò i tabelloni luminosi sopra al Ring. "Pochi ti danno vincente, ma hai una possibilità!".
In quel momento, 'Mister Senso della Vita' cominciò a darci dentro di brutto con il dimenare la mascella e un gruppo sempre più folto di scommettitori cominciò ad ammassarsi al banco scommesse.
"Hai decisamente una possibilità!", urlò Vittoria volando anch'ella verso il banco.
Si sentiva euforica, le era capitato in passato di scommettere su corse di cavalli o cani ma quello era un ambiente del tutto nuovo per lei.
Nell'aria non c'era profumo di caldarroste e non si sentivano campanelle che annunciavano le aperture dei cancelli, lì c'era puzza di sudore e le orecchie pulsavano a tempo di musica metal.
Puntò tutti i suoi rubli a disposizione, non solo perché quello sarebbe stato l'ultimo incontro della serata, ma anche perché così facendo se Nicolaj avesse vinto, contro ogni pronostico, rischiando l'equivalente di cinquecento dollari ne avrebbe incassati circa duemila.
Dollaro più o dollaro meno.
Avendo avuto a disposizione pochi minuti per rendersi conto delle condizioni pietose del campione, solo alcuni avevano avuto modo di puntare sul ragazzo. Perciò la vincita finale per i più giudiziosi sarebbe stata esponenziale.
Vittoria si compiacque con sé stessa, sopratutto quando più tardi da bordo Ring attraverso la gabbia, vide il paradenti del campione volare via in una nuvola di saliva e sangue.
In alto la cintura per il nuovo re del Ring e benvenuto rotolo di banconote in mano a Vittoria.
Si sentiva viva, una scarica di adrenalina le attraversò tutto il corpo spingendola ad aggrapparsi alla gabbia urlando a squarciagola in mezzo a centinaia di sconosciuti.
Aveva mai fatto esperienze così vere in passato?
Si era mai lasciata andare senza chiedersi in che modo avrebbe messo in imbarazzo sé stessa o suo padre?
Quella sensazione di essere osservata tornò. Anzi, crebbe.
Percepì uno sguardo diretto su di lei dall'altra parte del locale, avvolta nell'ombra.
Mentre contava la sua mazzetta di denaro, alzò gli occhi e colse lo scintillio di una luce stroboscopica che si rifletteva sulla fibbia di una cintura appartenente a un uomo in canotta.
Lo stesso che aveva interrotto mentre parlava con il barista.
Vittoria si sentì violata da quello sguardo insistente e procedette rapidamente verso gli affollati bagni.
Il bagno femminile si trovava in fondo a un stretto e buio corridoio, delle coppiette si erano appartate lì per pomiciare e altri ragazzi facevano avanti e in dietro in attesa che le loro accompagnatrici uscissero.
Lì la musica arrivava rimbombante sulle pareti, tanto da creare una acustica ancora più disturbante.
A dispetto di quello che la maggior parte degli uomini può pensare, il bagno delle donne é un cesso più e più volte violato dall'indecenza.
Appena entrata, Vittoria fu travolta dal rumore degli asciugamani elettrici, il chiacchiericcio delle altre donne e ragazze ma, sopratutto, da una puzza di piscio che si attaccava con i ramponi al naso.
Esaminò l'interno della prima cabina disponibile e come volevasi dimostrare, la tazza non serviva per pisciare ma solo per indicare che quella stanza era 'il bagno'.
Gocce di urina si trovavano sulla tavoletta, sui muri e sul appiccicoso pavimento piastrellato.
Aveva sperato di trovare lì, l'unico posto dove poteva starsene sola, un minimo senso di sollievo da quella sensazione di angoscia improvvisa. Sopratutto, considerando che con sé non aveva la sua boccetta di ansiolitico.
Un minuto più tardi, mentre lei stava a fissare i simboli in cirillico scritti con il pennarello indelebile sulla porta della cabina a doppia apertura, qualcosa cambiò.
La sensazione fu tanto strana quanto improvvisa, di colpo da una atmosfera assordante di voci e risate si passò a un altrettanto assordante silenzio.
Vittoria udì dei borbottii femminili preoccupati e l'ingresso al bagno che si apriva e si chiudeva più volte man mano che tutte le donne uscivano.
Qualcuno fischiò un breve motivetto, come fosse un richiamo.
Un suono che alle orecchie di Vittoria suonò agghiacciante come il cigolio dei cardini all'entrata di un castello, infestato da spettri.
"Bella turista?".
Chiamò una roca voce maschile.
Poi un tonfo, il rumore di passi sull'appiccicoso pavimento, poi ancora tonfo seguito da una vibrazione.
Lo sconosciuto stava aprendo con delle spinte tutte le cabine, in cerca di lei.
Vittoria si sentiva ghiacciata e in trappola come un daino ferito in una tagliola, occhi strabuzzati e il fiato corto.
In silenzio, si infilò il pellicciotto e fece aprire molto lentamente la serratura della porta ma lo scatto uscì comunque orribilmente udibile. Si artigliò con le mani alle due sponde laterali della cabina, il water dietro di lei e un piede piantato sulla porta.
"Sei quì, dà?".
Vittoria era al punto di trattenere il fiato, ora poteva sentire i passi proprio al di fuori della sua cabina.
Quando percepì un debole movimento della porta che si apriva, lei non perse tempo. Si sollevò in aria sorreggendosi alle sponde e diede una vigorosa pedata alla porta che si spalancò in faccia al suo aggressore.
 L'uomo urlò come un pazzo nella sua lingua e Vittoria ebbe un istante di panico, forse sarebbero accorsi dei suoi complici?.
Si buttò a capofitto verso l'uscita, l'uomo che le stava alle calcagna.
Le artigliò una manica facendola ruotare su sé stessa e lei ebbe la prontezza di afferrare un dispenser di sapone in ceramica da sopra un lavandino, per poi fracassarglielo contro una tempia.
L'uomo in canottiera nuovamente urlò ma la lasciò andare e lei poté fiondarsi fuori. Lungo il corridoio buio, in direzione del muro di folla che la attendeva in fondo, al varco del stretto passaggio.
Vittoria non aveva nemmeno le forze per urlare, traballante sui tacchi si sbilanciò in avanti andando a incornare come un ariete lo stomaco di un uomo duro come l'acciaio.
Vasilj Volkov, nella sua magnifica e provvidenziale persona, grugnì di sorpresa ma subito la sbatté dietro di sé fra le braccia di un altro uomo. Grosso quanto una cattedrale, rasato, con tatuaggi sulla cute e con una lacrima nera sotto all'occhio destro.
Volkov alzò un braccio piazzandolo di traverso e piantando il palmo contro il muro, come una sbarra a chiusura del corridoio.
L'inseguitore di Vittoria andò a sbatterci con tutta la sua forza e finì a gambe all'aria, schiantandosi di schiena sul pavimento.
Mentre Volkov gli si piazzava a cavalcioni sopra, Vittoria vide come intorno a loro un piccolo esercito di inquietanti uomini in nero si era chiuso a cerchio proteggendoli dal resto della folla.
Alcuni di loro sfoderarono dei coltellini, tenendoli però bassi all'altezza delle cosce. Come una non troppo velata minaccia che non avrebbero esitato a usare le armi, se qualcuno si fosse fatto avanti.
Sul pavimento, Volkov non stava dimostrando alcuna pietà per la sua vittima. Troppo occupato a far schiantare il pugno talmente violentemente contro il cranio dell'altro uomo, più e più volte, da perdere completamente cognizione di ciò che lo circondava.
Il duro metal rimbombava nelle casse e mentre il growl di una voce cavernosa saliva di intensità, le luci presero a lampeggiare facendo scomparire e poi riapparire la scena angosciante di Volkov in piena frenesia omicida.
Vittoria si portò le mani alla bocca mentre era certa che il rumore di carne squarciata, lo scricchiolio di ossa rotte e il gorgoglio dell'uomo che urlava e piangeva, non glielo avrebbero mai tolto dagli incubi.
Il volto dell'uomo in canotta prima si gonfiò in bubboni violacei, poi la pelle si squarciò in strappi sanguinolenti, i denti e le labbra si spaccarono finché alla fine una qualsiasi connotazione umana era indistinguibile.
Volkov continuava, non si fermava. La sua vittima giaceva inerme, non tentava nemmeno più di levarselo di torno.
Gambe e braccia spalancate sotto al sicario, come se stesse facendo l'angelo della neve nella sua stessa pozzanghera di sangue.
L'uomo che la sorreggeva decise che quello era il momento buono per intervenire, buttò Vittoria da parte e si lanciò verso il compagno fattosi belva.
Il volto di Volkov era un maschera di ira. I denti scoperti come un demone, la pelle e il giaccone macchiati dagli schizzi di sangue.
Stava urlando qualcosa, sempre le stesse parole ma Vittoria non capiva.
Le immagini e i suoni si ammassarono davanti agli occhi della mente della ragazza, veloci e sfuggevoli come le luci del locale. Inarrestabili e violente come la scena che stava assistendo in quel momento.

Il testo di una canzone fatto vibrare attraverso i giri di un vinile.
La voce di sua madre.
Lei che canta insieme a sua madre.
E vede i loro volti.
Due volti, vuoti e spenti.
Delle piastrelle.
Acqua sulle piastrelle bianche.
Sangue che si allarga e sboccia come un fiore scarlatto sull'acqua.
Il canto soave di sua madre.

Il growl si era ora trasformato in un giro di chitarra e il boato della folla in pieno pogo, spintonandosi tra loro a rimo in lontananza, arrivò come giusto contesto a quella situazione di merda.
Il tizio rasato agguantò per le spalle Volkov e gli diede una poderosa sbatacchiata, per poi urlare a ripetizione una frase che Vittoria poté tradurre a sommi capi come:
"Non sei lì! Non sei lì, Vasilj. Ascoltami, non sei lì!".
Le luci non la smettevano di lampeggiare e Volkov alla fine si decise a ridestarsi.
Si alzò con una strana espressione, voltò il capo all'insù verso il soffitto leccandosi il sangue dalle labbra. Quella espressione di pura estasi gliela aveva vista mentre lei e lui stavano scopando, giusto quella che sembrava una vita prima.
Sembrava che invece di ammazzarlo di botte se lo avesse appena fottuto. Una dura erezione spingeva sulla patta degli eleganti pantaloni in grigio graffite, macchiati di scuro all'altezza delle ginocchia.
Era eccitato. Letteralmente, sessualmente, eccitato dal dolore altrui. Dalla morte.
Una bandierina rossa si alzò sventolando nell'angolino della consapevolezza di Vittoria, una di quelle che ti dicono: ferma e guardalo, questo è pazzo!
Ma la razionalità cominciò a montare in pari forza nell'animo della ragazza.
Quella eccitazione poteva essere dovuta semplicemente dall'adrenalina. Non era una novità, molti uomini dopo un combattimento sentivano il bisogno di eiaculare.
Era fisiologico, era normale... no?
Ma il corpo esanime del disgraziato a terra non era per nulla normale!
Il tizio rasato tornò da lei e la prese per il gomito conducendola attraverso la folla, qualcuno in quel momento prese a urlare colto dal panico e la gente cominciò a correre in ogni direzione.
Vittoria venne spinta, graffiata e fatta incespicare ma il suo protettore mantenne ben salda la presa mentre si dirigevano seguiti da tutto il plotone in nero verso l'uscita.
La notte era fredda e scura. Fece un profondo respiro, cercando di riprendersi.
La musica pulsava anche nel parcheggio all'esterno e alcune persone stavano già correndo verso le auto per andarsene via in fretta.
Nessuno le prestò ulteriore attenzione e lei si rilassò un poco.
Il bestione che le aveva fatto da scorta, quello con la lacrima sotto l'occhio, si avviò da Volkov andatosi a riprendersi accanto alla sua Audi parcheggiata. Il tizio gli prese il retro del collo in una mano e appoggiò la fronte contro quella di lui.
I due si scambiarono frasi sconnesse in un pesante accento. Il tizio con la lacrima sotto l'occhio piantò l'indice ripetutamente all'altezza del cuore di Volkov e cominciò con una pioggia di frasi in cui ogni parola mangiava e si accavallava all'altra.
Volkov dal canto suo sembrava capire e annuiva di tanto in tanto con espressione glaciale.
"POLITSIYA!", urlò qualcuno e dei lampeggianti comparvero in fondo al parcheggio illuminando l'oscurità con lampi azzurri.
Cominciò un fuggi fuggi generale dove uomini in divise nere e civili corsero in ogni direzione, la polizia fece partire una breve sirena per ristabilire il controllo ma si stava rapidamente propagando il panico.
Volkov spalancò lo sportello della sua auto, lato guida, e Vittoria venne spinta verso il lato del passeggero dal tizio suo compare.
La ragazza salì a bordo e fece appena in tempo a richiudere lo sportello che Volkov partì in un rombo di tuono del motore e in un stridore di pneumatici.
Guidò come un pazzo, superando in vie strette e imboccando sensi unici al contrario. Fu solo quando si allontanarono di qualche chilometro che decise di rallentare e immettersi nel tranquillo traffico cittadino come se non fosse successo nulla.
Una delle mille auto anonime, placida e lenta.
Era ancora cosparso di sangue, batté un palmo sul volante in un ringhio e non le rivolse la parola.
Essendo lei stessa agitata e sconvolta, non aveva alcuna intenzione di sopportare il suo malumore.
"Beh, insomma. Che ti è preso? Ti hanno visto, ci metterai tutti nei guai!". Sbottò impaziente.
Lui improvvisamente la degnò di una occhiata funesta. "Ci? Hai detto ci?".
Vittoria serrò i pugni sulle ginocchia. "Si, sono pure io coinvolta adesso. No? Non tenermi il muso per l'amor di Dio, non sono stata io a quasi accoppare un uomo sta notte. Te lo potevi risparmiare!".
Parlò con più asprezza di quanto volesse e lui si irrigidì ancora di più.
Serrò la presa sul volante con entrambe le mani, gonfiò i bicipiti e smorzò un urlo inumano fissando la strada fuori dal parabrezza.
Vittoria si appiattì sul sedile. Quel tipo aveva seri problemi nel gestire la rabbia.
Volkov sterzò bruscamente verso il ciglio della strada, poi piantò il freno e questo li fece curvare in avanti entrambi. Schiacciò con talmente tanta foga il tasto delle 'quattro frecce' che per miracolo questo non si infossò nel cruscotto.
Il russo si voltò verso di lei, piantando il gomito sinistro sulla sommità del volante e con la mano destra artigliò il lato sedile della ragazza.
Era chiaramente furioso, anzi stava per esplodere.
Anche a lei sentì montare la collera, che diritto aveva di trattarla così?
"Tengo muso!", sbottò lui. "Muso, eh? Io uso ora tutto autocontrollo per non sbattere te fino a farti perdere capelli e tu... dici che tengo muso!".
"Santo Dio, ma che problemi hai? Hai fatto tutto da solo, io me la sapevo gestire bene!". Stava cercando di arrampicarsi sugli specchi, lo sapeva. Ma non poteva sopportare di partire in posizione svantaggiata nella discussione ammettendo che aveva avuto bisogno di lui, un'altra volta.
Lui sibilò a denti stretti. "Sono stufo di fare da guardia ogni minuto per paura che qualcuno approfitta di te per attaccare mio potere. Tu servi viva e sono stufo di dovere stare a guardare mentre gente cerca di violentare o picchiare te, no è divertente!".
"Pensi che io lo trovi divertente?", urlò lei. "Stai cercando di dire che è colpa mia?".
A queste parole lui fece per agguantarle la faccia con una mano, ma si seppe trattenere.
"Dà, colpa tua! Tu dovere solo guardare in giro, vedere spettacolo su Ring. Aspettare me, così fanno mogli. Invece no, tu attiri gente pericolosa. Tu calamita!".
Il suo accento si era fatto duro e molto accentuato, al punto che Vittoria dovette concentrarsi per interpretare il suo inglese.
"Dovevo annoiarmi, struggendomi nella attesa che il mio Signore e Padrone decidesse di convocarmi? Ascoltami bene, mi hai portato a una bisca. Il minimo che potevo fare per passare il tempo era scommettere e...".
Lui sgranò quei duri occhi di cemento. "Scommettere? Tu scommesso con quali soldi?".
Vittoria si strinse nelle spalle. "Ho impegnato un mio braccialetto".
Lui la incalzò. "E hai vinto?".
Vittoria si strinse più forte nella sua pelliccia, in tasca custodiva ancora il suo bottino. "Si".
Volkov ebbe un'altra crisi e fece ancora per artigliarle la faccia. "Quella merda di uomo approfitta di turisti, rapina loro e si diverte con donne. Tu stupida, fatta vedere con soldi!".
Erano ormai naso a naso e si urlavano in faccia.
"E' colpa tua, invece, tu mi trascuri e sospetti di me tutto il tempo. Ti ho detto la verità su chi sono e su cosa voglio per il mio futuro, sono incastrata in questo paese di merda con un uomo che con gravi crisi di rabbia. Ma io sono solo una donna, certo, perché mai dovresti prestare attenzione al mio benessere! Le donne devono solo obbedire, eseguire i fottuti ordini del padrone che prima imparano a chiamare Padre e poi Marito! Starsene buone con le mani in mano in attesa che il maschio torni e dica loro cosa devono fare!".
Lui arricciò il labbro superiore, sfigurato dalla cicatrice. "E se tu avessi fatto questo, ora non avrei io testimoni di aggressione. Non so se devo strozzare te o buttare te a terra e picchiare fino a farti svenire, ma so che voglio fare qualcosa".
A quel punto Vittoria fece un deciso tentativo di prenderlo a sberle, lui scansò i colpi e la piantò sul sedile stringendole la presa al collo.
Dunque aveva deciso, l'avrebbe strozzata.
"Fallo ancora e prendo te a cinghiate!", ringhiò.
"Sei un sadico e un pazzo", ansimò lei liberandosi dalla presa. "Pensi che l'abbia fatto apposta a farmi inseguire da un rapinatore?".
"Dà, penso che tu fatto apposta per punire me. Perché io non guardo te, io non ti darò mai cose come amore. Capito?".
Vittoria rimase a bocca aperta.
"Amore? Ma va a farti fottere! Abbiamo scopato, si certo è stato bello ma nulla di più. E' stato il tuo maledetto orgoglio ad andarci di mezzo!".
"Oh", sbuffò spazientito lui. "Allora tu messa apposta tra braccia di altro uomo per dimostrare che non vuoi amore da me. Ma tu mia! Io colpito lui per te, perché tu roba mia!".
"Cosa gli stavi dicendo mentre lo menavi, eh?". Lo interrogò lei, improvvisamente consapevole della risposta. "Gli ripetevi che ero roba tua?".
Silenzio.
"Che piaccia a te o no", sentenziò tombale lui.
"Non mi piace! Non mi piace neanche un po' perché ho paura di te, Vasilj Volkov. Cosa mi farai una volta sposata, eh? Avrai in mano una carta vincente con mio padre e potrai avere un collegamento diretto con l'Honduras. Mi farai sparire o mi terrai rinchiusa in camera finché sarò vecchia e impazzita? Ti servo viva già, ma in quali condizioni?".
Rimase a guardarla con occhi truci.
Vittoria sperò che dicesse qualcosa, qualunque cosa.
Ma non lo fece,
Questo la terrorizzò.
Lui tolse il segnale delle 'quattro frecce' e si riaccodò alla fila di auto in strada.
Non si dissero un'altra sola parola.
Quando raggiunsero di nuovo la casa con le finestre murate, Vittoria sapeva cosa le sarebbe accaduto.
Volkov la riaccompagnò nella sua camera, prese la chiave dalla toppa e la chiuse dentro a doppia mandata.
La voce roca di Volkov giunse attraverso il legno della porta. "Starai quì perché io desidero così".
Poi, con il tonfo di passi sul pavimento in linoleum, se ne andò lasciandola nella sua prigione di solitudine.



*NOTA.
In ambito militare, il secondo in carica prende posto alla sinistra del suo più alto in grado.
  
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