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Autore: JeanGenie    05/12/2021    4 recensioni
[Freaks Out]
Matilde chiede a Cencio di farle un regalo molto speciale.
(Scritta per il Calendario dell'Avvento 2021 di Fanwriter.it - 5 Dicembre)
Genere: Fluff, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La nevicata del 1945

 

 

“Voglio vedere la neve a Roma.”

Matilde gliel’aveva detto sfoderando un sorriso che diceva “Adesso vediamo come te la cavi.”

La faccia da pollo di Cencio mentre la guardava era uno spettacolo. A bocca aperta. Era rimasto proprio a bocca aperta. Ma le aveva chiesto, con la voce bassa da fidanzato serio dei film americani, “Che vuoi per Natale, piccole’?”

E Matilde aveva espresso il suo desiderio. Dopo tutto, non aveva mica chiesto la luna.

“L’ultima volta che è successo, stavamo a Caserta. Quella dopo, giù a Catanzaro. Ce la perdiamo sempre. Voglio la neve a Roma. Neve seria, non nevischio. Neve che copre tutto.”

“Cioè… no, scusa…” aveva detto Cencio, rimuginando e grattandosi la testa. “Non è che preferisci un anello, come tutte le ragazze normali?”

E Matilde aveva scosso la testa trattenendosi dal ridere di fronte al cespuglio bianco che erano diventati i capelli di Cencio a forza di grattarci sotto. “No. Mi piacerebbe davvero vedere la neve a Roma. Bella, bianca e morbida. Alta almeno un metro.”

*

Embè? Che problema c’è?” aveva detto Fulvio spazzolandosi la pelliccia. “Se vuole vedere la neve, portala in montagna, no?”

E certo. Parlava bene, lui. Coperto di pelo dalla testa ai piedi, Fulvio mica lo sentiva, il freddo. E poi Matilde aveva chiesto la neve a Roma.

Comunque loro ci andavano, in montagna. Ma d’estate, quando nel resto d’Italia si crepava di caldo. E ci andavano più che altro per lavorare, per fare i loro numeri e per… vabbè… ci andavano soprattutto per aiutare i partigiani a riempire di mazzate i crucchi, per aiutare la gente a nascondersi e per portare da mangiare a chi ne aveva bisogno.

Si parlava di loro. Delle magie che sapevano fare. Erano diventati famosi. Ma nessuno ci credeva se non vedeva Matilde sparare fulmini, lui giocare a briscola con le mosche, Fulvio spaccare pietre (e teste tedesche) a mani nude e Mario attirare posate, chiodi e, soprattutto, fucili.

Ma adesso facevano solo quello che gli riusciva meglio, ovvero portare in giro lo spettacolo e tenere la gente allegra. Perché era finita. Era finita sul serio. Tutti quelli come Franz se n’erano andati in primavera, dopo essersi arresi. E, a settembre, c’erano state le firme. Era stato proprio un gran macello, da quello che Fulvio leggeva sulla stampa clandestina e Mario raccontava dopo aver ascoltato le chiacchiere per strada. Il macello che i cattivi fanno quando si trovano con le spalle al muro. Alla fine, quello che importava a Cencio era che gli infami avevano tutti fatto una brutta fine. E quell’estate ci si era proprio ammazzati di risate con gli americani. Di risate e non di altro. Ma adesso era arrivato l’inverno, ed erano tornati a Roma. Di spettacoli itineranti se ne facevano pochi, non c’era più nessuno da salvare e ancora tanto da ricostruire.

Ma quello sarebbe stato il primo Natale davvero libero e felice da tantissimo tempo.

Per questo Cencio aveva pensato di fare lo splendido e aveva chiesto a Matilde “Che vuoi per Natale?”

Era la ragazza sua, no? Da due anni ormai. Formavano proprio una bella coppia.

E un regalo bello voleva proprio farglielo, a Matilde sua. Ma lei aveva chiesto la neve. Aveva chiesto la neve a Roma. E a Roma non nevicava quasi mai. 

*


Non nevicava quasi mai ma faceva un freddo cane, pensava Cencio mentre percorreva le strade di San Lorenzo.

Si stringeva nella giacca pesante e si guardava intorno mentre la gente di Roma se ne andava a spasso fra gli addobbi. Le facce erano distese e sorridenti. Davvero una cosa bella da guardare.

C’era ancora nell’aria quel senso di disastro ma pareva davvero che le bombe, i rastrellamenti e la paura li avesse vissuti qualcun altro. Perché Natale era vicino e si poteva accantonare per un po’ la tristezza per quelli che erano morti.

Ne era passata di acqua sotto i ponti. Lui, adesso, aveva pure imparato a lavarsi e aveva quella giacca che gli piaceva tanto e lo teneva al caldo. Dormivano ancora all’aperto, durante la bella stagione. Ma adesso potevano permettersi due stanze e una cucina quando arrivava il freddo.

Le cose giravano bene. Gli spettacoli facevano sempre il pienone e, soprattutto, loro piacevano alla gente. Quando qualcuno li ringraziava, non era solo perché si era divertito.

E, anche se Mario avrebbe preferito svernare al sud e al calduccio, si erano fermati a Roma per vedere come sarebbe stato quel Natale speciale. Il primo dopo la Liberazione.

Ma sarebbe stato senza neve. Quindi Matilde non sarebbe stata contenta.

E a Cencio non piaceva quando Matilde non era contenta. Lei non lo faceva pesare, perché era troppo buona. Ma non chiedeva mai niente e, quando chiedeva, Cencio non sapeva come accontentarla? No, non era proprio possibile. 

Si era strofinato le mani mentre il suo respiro si condensava in tante nuvolette bianche. 

Poi aveva sollevato gli occhi verso il vecchio edificio mezzo crollato. E gli era venuta un’idea. Una di quelle belle. Perché l’edificio era mezzo crollato. Ma l’altra metà stava decisamente in piedi.  

*


“Te sei scemo schizzato, Cencio!”

Fulvio era sempre quello che ti smontava l’entusiasmo. Borbottava sempre, ed era già tanto che non si mettesse a ululare alla luna.

Ma Cencio s’era deciso, anche perché tutti, ma proprio tutti, nei paraggi, volevano bene a Matilde. Matilde era quella che aveva salvato un sacco di gente, due anni prima. E poi… e poi, ci sarebbe stato da mangiare, no? Chi avrebbe rinunciato a una bella mangiata la sera della Vigilia?

*

Cencio era proprio matto come un cavallo. Le aveva detto che avrebbero fatto uno spettacolo al chiuso proprio la sera della Vigilia. E Fulvio e Mario erano pure d’accordo con lui.

E la gente… la gente la fermava per strada per dirle che non vedeva l’ora. Che sarebbe stato un Natale bellissimo.

Roba da matti.

A Matilde piaceva esibirsi. Ma non a Natale. A Natale ci si riposa e si festeggia. E si sta con le persone a cui si vuole bene. Tipo Cencio, Mario e Fulvio.

Ma Cencio e gli altri avevano deciso. Quindi erano in tre contro una.

“Non gli vuoi bene, a questa gente qui, Mati’?” le aveva chiesto Mario.

“E certo che gli voglio bene…”

E va bene. Si sarebbe esibita per, parole di Fulvio, “portare un po’ di gioia ai poveracci che hanno perso qualcuno in quello schifo di guerra.”

E Cencio che avrebbe fatto? Col freddo, gli insetti vanno a dormire…

*


“Guarda che facciamo tardi. E non abbiamo nemmeno provato.”

Vaglielo a spiegare, a Cencio, che senza prove gli spettacoli vanno male. Ma lui, Fulvio e Mario, sparivano tutti i giorni senza dirle dove se ne andavano. 

Poi, quella mattina, lui era arrivato con un cappotto bianco, stivali foderati bianchi, un cappello bianco e pure un manicotto bianco. 

“Regalo. Giovanni il calzolaio m’ha fatto un prezzo di favore. E Raffaella m’ha chiesto solo il prezzo per la stoffa quando ha saputo che era un regalo per te.”

E Matilde s’era messa tutto addosso, sperando di sentirsi come la regina delle nevi. In realtà, assomigliava più a un pupazzo di neve, ma almeno non aveva una carota al posto del naso.   

E lei e Cencio facevano proprio una gran figura. Sembravano una coppia di signori mentre andavano a piedi verso il teatro improvvisato dove si sarebbero esibiti. I suoi nuovi vestiti la tenevano al caldo. Non aveva davvero voglia di toglierseli e mettersi il costume di scena.

Chissà se sarebbe venuto qualcuno prima di andare a Messa. Matilde non ne era convinta. La gente avrebbe preferito stare a casa a mangiare zuppa e un bel pesce arrosto.

Qualcosa di freddo le aveva colpito la guancia. Matilde aveva sollevato gli occhi, incredula. Non arrivava dal cielo. Veniva giù dai tetti dei palazzi. Ma quella sembrava proprio neve.

“Ma come hai fatto!” aveva chiesto a Cencio scoppiando a ridere.

“È  che” aveva cominciato Cencio, abbracciandola. “È che ti vogliono tutti bene, Mati’.

*

Come aveva fatto? Aveva usato la testa e pure un bel po’ di furbizia. Perché era vero che tutti volevano bene a Matilde.

Quelli che avevano salvato dal treno  (e lui s’era imparato a dire “Felice Hanukkah” apposta), quelli che avevano aiutato in montagna o nei boschi a resistere e tutti gli altri. 

“Ti serve ghiaccio? E che problema c’è? È per Matilde.”

“Lenzuola bianche? Erano della buonanima di zia Mariuccia. Vanno bene?”

“Latte? Zucchero? Panna? Eh, figlio mio. Solo perché sei tu posso farti un prezzo di favore.”

“Come dici? La Vigilia? Sui tetti? Però dopo si mangia tutti insieme, vero? Pure l’arrosto. Chi lo porta l’arrosto?”

“Niente arrosto. È la Vigilia. Si mangia di magro. Anguilla e capitone.” 

*


“Dai, accendi” le aveva detto Cencio. E Matilde aveva capito che quella sera non avrebbe dovuto esibirsi. Che lo spettacolo era per lei. 

Perché centinaia di lampadine avevano brillato a un suo ordine. Ed erano tutte bianche come fiocchi di neve. La stessa neve che una volta era ghiaccio, che Fulvio aveva triturato a mani nude e che la gente del quartiere aveva fatto cadere dai tetti al suo passaggio. E coprivano un albero alto fino al soffitto, spolverato di zucchero e decorato con centinaia di palline candide. 

Ed era bianco pure il pavimento. Ed era soffice perché era coperto di stoffa bianca. Lenzuola, coperte, vecchi maglioni. Tutti bianchi.

E poi c’era profumo che arrivava dai tavoli. Perché era pur sempre la Vigilia di Natale e ognuno aveva portato qualcosa e avrebbero tutti mangiato, bevuto e riso circondati da quella neve incantata che Cencio e gli altri avevano inventato per lei.

“Buon Natale, Matilde.” “Auguri, Matilde.” “Sei contenta, Matilde?” 

E allora lei aveva visto, in cima alla tavola più grande, Roma, proprio Roma, col Colosseo, San Pietro, Piazza Navona e tutto il resto, fatta di marzapane e cioccolato e ricoperta di glassa bianca. 

Mentre tutti si sedevano a tavola, mentre le stufe a legna li riscaldavano e quella neve magica non si scioglieva, a Matilde era quasi venuto da piangere. 

“Prima o poi a Roma nevicherà sul serio. Sarà alta almeno un metro e vedrai quanto sarà bella. Te lo giuro, Mati’” le aveva detto Cencio. Lei non ci credeva ma non aveva mica importanza. Perché era tutto bellissimo. E avrebbe dovuto esprimere desideri impossibili più spesso se il risultato era quello.

“Allora aspetto” gli aveva risposto, annusando il profumo  del brodo di pesce. “Tanto te sei un mago. Riesci a fare proprio tutto.”

 

Febbraio 1956

 


Forse avrebbe dovuto sbattere le palpebre e chiudere la bocca.

Non era più una ragazzina e non era il caso che restasse incantata in quel modo.

Ma era bianca e freddissima. Ricopriva il cortile e la gente era tutta fuori a ridere e a lanciarsela addosso.
Matilde aveva teso la mano. I fiocchi si scioglievano appena toccavano il suo palmo. Ma, se continuava così, presto sarebbero stati tutti coperti dalla testa ai piedi. Sembrava proprio una magia.

“Te l’avevo detto” le aveva detto Cencio arrivandole alle spalle. “Te l’avevo detto che t’avrei portato un metro di neve a Roma.”

Eh sì, l’aveva detto. Anche se ci aveva messo dieci anni, dopo qualche tentativo che non era andato oltre la spruzzata sporadica, e aveva pure sbagliato mese.

Quindi Matilde l’aveva abbracciato forte e aveva promesso che, una volta risalito a casa, gli avrebbe preparato uno zabaione coi fiocchi.

“Buon Natale, piccole’” le aveva detto Cencio ridendo e stampandole in bocca un bacio con lo schiocco. “E scusa il ritardo.”

   
 
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