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Autore: Kat Logan    07/12/2021    3 recensioni
Makoto ripulì il banco del bar dalla sabbia e dall’ appiccicume di qualche Margarita finito lì sopra per colpa di qualche bevitore distratto. Ne aveva piene le orecchie di storie e confessioni che la gente le faceva con i piedi affondati nella sabbia fine di Malibù. Chi credeva che fare la barista fosse un lavoro semplice, si sbagliava. Lei era il confessore dei peccati più bollenti di tutta la costa e nel suo tempio sacro ogni peccato veniva perdonato con un cocktail.
«Adesso ve la racconto io una storia davvero stramba».
Avrebbe dovuto starsene zitta, ma qualcosa in lei era scattato come una molla e da confidente silenzioso, Makoto, divenne oracolo senza peli sulla lingua.
«C’è un pompiere che rischia di bruciarsi per amore e convive con un’aspirante star della musica. Un artificiere incosciente, arrogante e pieno di sé. E poi c’è lei, con lo sguardo che nasconde una ferita profonda perché per la seconda volta nella vita ha fallito in qualcosa…».
«E poi?». Usagi la interruppe presa dell’entusiasmo. «Gli altri personaggi di quest’avventura chi sono?».
Makoto sospirò, portandosi lo strofinaccio sulla spalla.
«Un timido genio, una baby sitter fuori controllo e una stupida barista…»
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Un po' tutti, Yaten | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
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Sette giorni trascorsi fuori dal mondo. Sette giorni in cui l’intero pianeta sembrava essersi fermato.
Los Angeles pareva essersi improvvisamente addormentata con l’inoltrarsi del mese di settembre.
Non c’era stata alcuna emergenza. I cattivi sembravano essersi eclissati, così come la stagione estiva. Tutti avevano rallentato il proprio ritmo. Persino il traffico sulla costa pareva essere meno frenetico del solito.
In quella settimana alcuni avevano dovuto fare i conti con la propria vita e decidere di cambiare la rotta della propria esistenza.
Makoto per prima, che d’accordo con Nevius, avrebbe ripercorso tutta la loro storia di persona. Sarebbe andata alla casa acquistata assieme a lui a New York per sperimentare un’assurda convivenza col centauro che in una “vita precedente” stava per sposare e che nel presente, invece, stava conoscendo per la prima volta.
Si sarebbe specchiata nelle vetrine alla moda. Avrebbe annusato gli odori dei carretti sui marciapiedi di Manhattan e sperimentato la frenetica vita della grande mela.
Makoto, in quei sette giorni, aveva anche scoperto da dove derivava il suo estro culinario. Lei e Nevius si erano conosciuti ad un concorso di pasticceria e dopo essersi sfidati a colpi di glassa e pasta frolla erano divenuti inseparabili sino ad aprire una pasticceria assieme nei pressi di Central Park.
Se si fermava a pensarci sapeva essere una vera e propria pazzia quella di ribaltare la sua vita per quella della Makoto precedente. Ma inverosimilmente, e senza alcuna spiegazione logica, sapeva essere la cosa giusta da fare.
Makoto, presa da una scarica di frenesia, scalpitava per quella seconda possibilità di riscoprirsi e ritrovare ciò che aveva perduto in precedenza.
 
Avrebbe lasciato il bar di Malibù in ottime mani.
 
Minako, infatti, si era offerta per gestirlo in sua assenza così da riuscire a guadagnarsi i soldi necessari per continuare la sua vita sulla costa Californiana tra un accordo di chitarra e un bacio sulla Blue Lagoon.
Suo padre era stato di parola. Le aveva tagliato tutti i fondi lasciandola letteralmente al verde. Ma lei non poteva rinunciare, non ora che il suo sogno era a portata di mano e che aveva trovato il suo principe dai capelli argentei.
 
Qualcun altro, come lei, aveva forse trovato la sua metà.
 
Dan era rimasto al fianco di Setsuna. Lo aveva fatto anche dopo la sua sbornia, nel momento in cui ogni donna si sente meno desiderabile e non vorrebbe null’altro che nascondersi dal mondo intero o morire autocommiserandosi nel proprio letto.
 
E allo stesso tempo, a Los Angeles, un cowboy aveva realizzato che il destino era dotato di uno strano senso dell’umorismo. Mamoru non era uscito soltanto indenne dall’appuntamento con Usagi, ma persino sorpreso. Mai avrebbe pensato di ritrovarsi senza il macigno della solitudine e del dolore sullo stomaco. Per la prima volta dopo tanto tempo aveva sorriso ed era tornato a casa con uno strano senso di leggerezza.
In quella settimana aveva anche pensato di scriverle qualche sms e ovviamente lo aveva anticipato lei, facendo sbocciare un sorriso sulle sue labbra.
 
 
 
§§§
 
 
Il blu la inghiottiva. La cullava con l’andirivieni delle onde dell’oceano, l’avvolgeva quando chiudeva gli occhi e sprofondava nel proprio letto, la rapiva se ripensava alle onde dei capelli di Michiru e alle sue iridi azzurre bagnate di gioia quando incrociarono le sue cobalto non appena sveglia.
Senza che potesse rendersene conto, il mondo di Haruka si era completamente tinto di tutte le tonalità oltremare senza lasciarle scampo alcuno.
Nessun pensiero passava indenne da quella sfumatura.
Amore? Ossessione? Qual’era il confine?
 
«Terra chiama Kansas».
 
Dan la catapultò dal paradiso all’inferno in meno di un secondo.
Lei lo guardò in cagnesco, strappata a quella sorta di sonno profondo e ristoratore nel quale si crogiolava pur avendo gli occhi spalancati.
 
«Non mi hai minimamente ascoltato, vero?» domandò con fare piccato Dan.
«Assolutamente no» tagliente come una lama, Haruka non risparmiò l’amico.
«Riassunto» intervenne Mamoru in aiuto. «Vuole preparare qualcosa di speciale per il capo Meiō, ma le previsioni del tempo non sembrano favorevoli».
«E perché cavolo devi fare una cosa speciale?!». Sbuffò la bionda, alzando gli occhi al cielo.
«Perché Setsuna è tornata. Non che avessi dubbi ma…».
«Già, nemmeno io» lo interruppe lei. Non lo avrebbe mai detto apertamente ma era scontato persino per lei che il capo delle operazioni fosse troppo in gamba per far calare il sipario sulla sua carriera così presto. Meiō non era il tipo di donna da far cadere nel dimenticatoio da un giorno all’altro. Aveva fegato e ancor di più sapeva fare il suo lavoro molto meglio di tanti altri pieni di raccomandazioni e che avrebbero venduto l’anima pur di soffiarle il posto. E per questo, anche se in segreto, Haruka l’ammirava.
 
«Zitti, zitti. State buoni!» li riprese Mamoru portando un braccio all’altezza del petto di Haruka per farla aderire di più al cingolato.
«Ehi Bruce, giù le mani!».
«Si, appunto» le diede manforte Dan anche se lo sguardo minaccioso lanciato al collega non sortì alcun effetto.
«Andiamo, andiamo. Facciamo incursione ora!» sibilò Dan pronto a scattare.
«NON E’ IL MOMENTO!» perse la pazienza Mamoru, mentre l’altro, incurante dei suoi suggerimenti si lanciò in una corsa che finì con un capitombolo a terra causato da un colpo.
Una raffica di spari riecheggiò, costringendo per un momento Chiba e Ten’ō a tapparsi le orecchie.
«E poi sono io l’impaziente!» sibilò inferocita la bionda. «Stupido Harris!».
A quel punto, Haruka, si lanciò senza paura contro il fuoco nemico.
Quell’idiota di una montagna mora aveva rovinato tutto provando a fare l’eroe, peggio quindi lei non poteva fare.
«MI HANNO COLPITO!» gridò ancora a terra Dan.
Haruka tentò di tirarlo per l’uniforme come fosse un pesante sacco di patate.
«L’ho visto IDIOTA! E come minimo finirò anche io per…»
Il suono stridulo di una sirena e l’accendersi delle luci all’interno del capannone segnò la fine dell’esercitazione.
 
«Possibile riusciate a fare tanto baccano?» dalla cima di una scalinata in ferro, Setsuna scosse il capo sconsolata.
«Harris tirati su. Sei stato colpito a morte. Guarda quanta vernice blu hai addosso» lo riprese lei, tentando di nascondere il sorriso che le affiorava sulle labbra.
«Ten’ō, la prossima saresti stata tu…» aggiunse schioccando la lingua il capo delle operazioni. «Chiba, ottimo lavoro».
«MA SE HA FATTO LA BELLA STATUINA!!» protestò Haruka, disfandosi con stizza del casco e del fucile che ancora imbracciava.
«La pazienza è la virtù dei forti. Ed ora, prima di ulteriori proteste…festeggiamo».
La donna porse loro una scatola di pasticcini e la squadra della SWAT, come fosse un branco di monelli imbrattati dopo una malefatta, cominciò a spintonarsi per aggiudicarsi il dolcetto migliore.
 
 
§§§
 
 
«Guarda, guarda un po’ chi si vede. Hollywood! Vieni forse direttamente dal tappeto rosso degli Oscar?».
Michiru, avvolta nel suo pareo dalla stampa pregna di fiori esotici, si avvicinò al banco del bar dove Haruka era appollaiata sullo sgabello in paglia.
«Vorrei poterti chiedere da quando in qua sei così sfacciata, ma ormai è un marchio di fabbrica il tuo!» rise lei, per poi salutare con un cenno della mano Minako intenta a servire una serie di aperitivi ad un gruppetto di avventori.
«Come se la cava?». Domandò sottovoce Michiru con sincero interesse per la ragazza di Yaten.
«Direi alla grande» rispose Haruka, portando le labbra al collo della bottiglia di birra che fino a quel momento aveva rigirato tra le mani.
Si sentì improvvisamente nervosa, come se la vicinanza dell’altra la facesse tremare dalla punta dei capelli a quella dei piedi.
Ma quella sensazione svanì non appena la voce di Michiru uscì dalle labbra ancora una volta per lei.
«Ho una cosa per te». Disse tirandosi dietro all’orecchio una lunga ciocca blu e sedendosi nello sgabello accanto a lei.
Ad Haruka parve di sprofondare nuovamente in uno di quei film. Quella dove le immagini vanno al rallentatore e ci si sofferma solo sui dettagli del protagonista togliendo l’audio alle parole dell’altra.
“Oh diavolo…”.
Tornò alla realtà al tocco di Michiru che allungò una mano per toglierle la birra di bocca.
 
«Hey ma che fai?!» protestò la bionda.
«Non dovresti bere…» sentenziò l’altra arricciando le labbra.
«Sei diventata la mia mammina?» domandò con tono irriverente e con un’occhiata languida traditoria.
«Assolutamente no. Ma se smettessi di protestare per un non nulla…». Michiru interruppe il suo discorso per poi sospirare e andare dritta al dunque.
Se aveva imparato una cosa sull’altra era che i giri di parole facevano sì che Haruka perdesse il focus del discorso. «Non dovresti bere in servizio. Hai sempre la reperibilità no?».
Haruka aggrottò le sopracciglia in una smorfia confusa.
Michiru stirò le labbra in uno dei suoi sorrisi benevoli e gentili, strisciandole un foglio bianco ripiegato a mezzo sul bancone.
«Ecco la tua autorizzazione per tornare sul campo» precisò lei.
«Non ci posso credere…» commentò stupefatta l’artificiere. «Hai venduto per caso l’anima al diavolo per averla?».
«Ho i miei trucchetti» le schioccò un occhiolino Michiru.
«Cos’hai dovuto fare?» lo sguardo cobalto di Haruka si rabbuiò appena.
«Seya non è così tremendo se preso nella maniera giusta» le confidò alzandosi l’altra, facendo poi per andarsene. «Penso abbia sicuramente influito anche la buona parola di Rei sul tuo conto».
Haruka soffocò un grugnito impedendo alla lingua biforcuta di pronunciare qualcosa che sarebbe risultato sgradevole.
«Per quel che vale...credo ci tenga davvero a lei. Si è preso un bello spavento. Come ce lo siamo presi tutti per voi due in fin dei conti. Insomma, credo sia sinceramente contento che sia finito tutto nel migliore dei modi, perciò penso anche che accantonerà la faida con te se depositerai l’ascia di guerra».
Per tutta risposta Haruka soffocò uno sbuffo un po’ troppo rumoroso. Le sarebbe costato troppo pronunciare un “va bene” vista la sua poca accondiscendenza nella vita di tutti i giorni.
Ma ci avrebbe provato, se non altro per la sua migliore amica.
«Senti…» la bloccò cambiando discorso. «Allora ci stai per quella cosa?».
Michiru la guardò dritta negli occhi come a voler sondare nell’abisso della sua anima attraverso le iridi chiare.
«Te la senti davvero?».
Un cenno di assenso del capo le scompigliò la zazzera bionda.
«Ok, allora ci sto».
«Bene».
«Andremo a cercare tua madre» sentenziò Michiru.
 
 
 
§§§
 
 
 
Ben oltre il tramonto, a spiaggia deserta, Minako si apprestò a spegnere le lucine colorate al bancone per poi avviarsi dalla spiaggia al molo.
Canticchiando a fior di labbra mandò un sms a Yaten per informarlo che lo avrebbe raggiunto presto alla Blue Lagoon.
Avevano un bel po’ di notti in bianco da passare per lavorare alle nuove tracce, per poi esibirsi nuovamente in alcuni locali prima del loro vero e proprio debutto come duetto.
Minako, fin a quel momento non aveva voluto mollare nonostante la minaccia telefonica del padre e il suo ricatto.
Aveva ingoiato il rospo, si era tirata su le maniche e con il suo solito sorriso non si era lasciata scoraggiare dall’uomo che l’aveva cresciuta.
Non voleva rovinare quel momento a Yaten, perciò lo aveva lasciato all’oscuro del suo rapporto complicato col padre. Lui non aveva certo bisogno di altri drammi famigliari, ma solo di concentrarsi sul suo futuro musicale.
Avrà mangiato? Si perse per un momento a vagliare l’ipotesi che il ragazzo fosse a stomaco vuoto, perciò tentennò sul prendere qualcosa d’asporto. E mentre il pollice scorreva sul display, tra una serie di menù digitali, il gorgogliare sinistro dell’oceano coprì l’inchiodare di un auto con i vetri oscurati che le tagliò la strada.
Minako indietreggiò con un balzo, pronta ad inveire contro il guidatore del veicolo sino a quando non lo riconobbe. Uno degli scagnozzi di suo padre le fece cenno di salire sul sedile posteriore della vettura con sguardo minaccioso.
Poteva rifiutarsi.
Un vento violento la frustò in viso con le lunghe ciocche bionde.
Avrebbe potuto correre e nascondersi.
Le dita della mano destra si ancorarono violente alla borsa appesa alla sua spalla.
Il segnale radio di un take-away lungo il molo gracchiò in modo inquietante.
Minako serrò le labbra fino a farle divenire una sottile linea dritta. Non era stupida ed era cosciente più che mai che il secondo avvertimento di suo padre era l’ultimo prima di agire nel peggiore dei modi. Non era famoso per essere un uomo paziente in patria. E soprattutto non era uno che aveva paura di sporcarsi le mani se necessario. Mr Ainō aveva sempre ottenuto ciò che voleva in un modo o nell’altro.
«Salga, abbiamo un messaggio per lei. Da parte di suo padre» la invitò nuovamente lo scagnozzo.
Minako avvertì aria di tempesta. Il suo cuore batteva all’impazzata come fosse in procinto di poter esplodere da un momento all’altro nel suo petto.
«Potrebbe chiamare…o mandare una mail» provò a far la splendida. Un ultimo mero tentativo di apparire imperturbabile e armata di un coraggio che in realtà era venuto a mancare nell’esatto istante in cui aveva riconosciuto l’uomo che le stava parlando.
«Preferirei di no».
L’uomo mosse un passo in sua direzione.
«Potremmo parlare qui, evitando le cose da gangster che si vedono nei film».
Il suo interlocutore si arrestò a un passo da lei.
Minako corse con lo sguardo sino ad intercettare il luccichio della pistola sistemata alla cinta dell’uomo, seminascosta solo dalla lunga giacca.
«E’ ora di tornare a casa. In Giappone».
Minako si sentì mancare l’aria.
Il proprietario del take-away inveì allo spegnersi improvviso dei suoi neon per un guasto alla corrente.
«La vacanza studio è finita. Ed è l’ultimo avvertimento se vuoi evitare una visita alla barca del tuo amichetto».
Le ali delle farfalle che Yaten aveva fatto sì volassero nel suo stomaco con ogni suo bacio vennero brutalmente strappate da quelle parole.
L’ossigeno le venne meno e per un momento credette di svenire.
Abbassò il tronco, portandosi le braccia alla vita mentre i fari dell’auto svanirono nel buio così come erano comparsi.
Svegliati Mina. Intimò alla sua testa, prendendo a sudare. Svegliati da questo miserabile incubo. Rantolò per poi tossire. Ancora una volta tornò alla ricerca di aria ma respirare era divenuta un’operazione troppo dolorosa e difficile.
Si chinò completamente persa, come avesse improvvisamente ricevuto una botta in testa e avesse perso l’orientamento.
Suo padre aveva colpito laddove poteva farle più male e i colpi che aveva sempre sferrato nella vita erano stati volti ad uccidere più che a ferire.
Minako non poteva vincere contro di lui e non poteva rischiare che a Yaten fosse fatto alcun male, perciò con l’ultimo barlume di lucidità che le rimaneva in corpo capì quale fosse l’unica cosa da fare per salvarlo.
Lasciarlo. Fargli credere che era stato tutto fuorché che amore il loro.




NOTE DELL'AUTRICE: 
Care Loganiane, ho deciso di far venire la neve, perciò ho pubblicato! 
Scherzi a parte...avevo cominciato il capitolo mesi fa e poi è subentrato un blocco allucinante. Lavorare 13 ore al giorno non mi ha aiutata a trovare il tempo per scrivere, ma ora che ho perso quell'occupazione e ho ricominciato a vivere ho provato a finire l'obrobrio cominciato. Ne convengo con voi, poteva essere migliore di così e più esaustivo...ma sapete una cosa? Ho pensato "dopo così tanto tempo meglio corto che niente!" perciò spero vi faccia piacere in ogni caso.
Colgo l'occasione per ringraziarvi infinitamente della pazienza e per essermi state accanto quest'anno che si è rivelato durissimo. A breve toglierò l'avviso (capitolo fake precedente) ma sappiate che i vostri commenti rimarranno sempre con me.
Vi auguro il meglio e spero di regalarvi un altro capitolo prima di Natale anche se la vedo ardua. UN BACIO GIGANTE
   
 
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