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Autore: Kimando714    08/12/2021    2 recensioni
La vita da ventenni è tutt’altro che semplice, parola di sei amici che nei venti ormai ci sguazzano da un po’.
Giulia, che ha fin troppi sogni nel cassetto ma che se vuole realizzarli deve fare un passo alla volta (per prima cosa laurearsi)
Filippo, che deve tenere a freno Giulia, ma è una complicazione che è più che disposto a sopportare
Caterina, e gli inghippi che la vita ti mette davanti quando meno te lo aspetti
Nicola, che deve imparare a non ripetere gli stessi errori del passato
Alessio, e la scelta tra una grande carriera e le persone che gli stanno accanto
Pietro, che ormai ha imparato a nascondere i suoi tormenti sotto una corazza di ironia
Tra qualche imprevisto di troppo e molte emozioni diverse, a volte però si può anche imparare qualcosa. D’altro canto, è questo che vuol dire crescere, no?
“È molto meglio sentirsi un uccello libero di volare, di raggiungere i propri sogni con le proprie forze, piuttosto che rinchiudersi in una gabbia che, per quanto sicura, sarà sempre troppo stretta.
Ricordati che ne sarà sempre valsa la pena.”
[Sequel di "Walk of Life - Youth"]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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CAPITOLOP 8 - LITTLE WONDERS



 
Let it go, let it roll right off your shoulder
Don't you know the hardest part is over?
Let it in, let your clarity define you
In the end we will only just remember how it feels
 
Pietro attese con calma che l’acqua della doccia si scaldasse, prima di infilarsi dentro la cabina e tirare un sospiro di sollievo. A starsene lì fuori in attesa aveva cominciato ad avere la pelle d’oca: nonostante la primavera fosse già iniziata da alcune settimane, alla mattina faceva ancora troppo freddo per restarsene ad aspettare per interi minuti senza niente addosso.
Chiuse la cabina della doccia, finalmente solo e abbastanza sicuro di potersene restare in pace almeno per un po’. Erano solo le otto di mattina, e Giada doveva ancora dormire tranquilla: le piaceva svegliarsi tardi quando aveva lezione solo per qualche ora al pomeriggio, e quello era proprio uno di quei giorni.
Pietro si buttò sotto il getto dell’acqua, chiudendo gli occhi mentre sentiva la sensazione di calore e le gocce d’acqua scorrere lungo il suo corpo.
Quella si prospettava come una giornata lunga, sebbene non avesse lezione il giorno stesso né il giorno successivo: probabilmente Giada sarebbe rimasta con lui fino all’ora di doversene andare in università, e la sera se ne sarebbe uscito per festeggiare il compleanno di Alessio.
Sorrise tra sé e sé a quel pensiero, e a nulla servirono gli sforzi per trattenersi. Si sentiva uno stupido, in momenti simili, quando sorrideva automaticamente quando il pensiero tornava a lui, a dispetto di tutte le loro incomprensioni e le parole non dette.
Era da un po’ di tempo che non lo vedeva: seguire due corsi diversi alla magistrale li aveva portati inevitabilmente a dividersi anche all’università. Di certo erano passate due settimane dall’ultima volta in cui aveva parlato con Alessio: l’ultimo loro incontro, in una sala studio della loro facoltà, risaliva a prima della sua partenza per l’Inghilterra. Ovvio che quella sera non sarebbero stati da soli – non sarebbe stata una vera festa per il suo ventiquattresimo compleanno, se fossero mancati Nicola, Caterina, Giulia, Filippo e anche Alice-, ma gli andava bene ugualmente. Cominciava pian piano ad abituarsi all’assenza di Alessio in casa e più in generale attorno a lui, ma non poteva nemmeno negare a se stesso di gioire dentro di sé ogni volta che era sicuro l’avrebbe rivisto. Ed era una cosa del tutto masochistica, lo sapeva: non poteva credere davvero di poterlo dimenticare, se passava gran parte del suo tempo sperando di ricevere un suo messaggio in cui Alessio gli chiedeva se era libero per uscire.
Era che, in certi momenti, per quanto potesse essersi abituato, sentiva la sua mancanza così tanto da sentirsi bloccare il respiro. Ed erano in quei momenti che doveva far forza sulla sua volontà per far finta che andasse tutto bene. Il pensiero di Alessio sembrava accompagnarlo sempre, anche quando non pensava a lui consapevolmente.
Chiudendo gli occhi, facendo un piccolo sforzo per riportare alla mente ricordi che apparivano ormai quasi del tutto sfumati, sarebbe riuscito a ricostruire il sogno che aveva fatto quella notte stessa. Cominciava a sentirsi colpevole, per quei suoi sogni: dormiva con Giada accanto, ma la sua mente, anche dormiente, era rivolta a qualcun altro.
Riaprì gli occhi giusto il tempo per girare la manopola della doccia, bloccare il getto d’acqua e prendere un po’ di bagnoschiuma tra le mani, prima di richiudere gli occhi.
In quel momento, rilassato e senza troppi pensieri per la testa, con ancora il tepore dell’acqua calda stampato sulla pelle, gli era più facile ricordare le sensazioni che gli davano i sogni che ancora faceva su se stesso ed Alessio. Arrossì appena, nel ripensare allo stesso calore che riusciva ad associare a quelle immagini.
Si chiese – con una punta di malizia che in altre occasioni non sarebbe riuscito ad avere senza altri sensi di colpa- cosa sarebbe successo se Alessio fosse stato lì, con lui, in quello spazio ristretto del box doccia.
Probabilmente Alessio l’avrebbe preso in giro per come i suoi capelli si erano appiccicati alla fronte, e Pietro avrebbe ribattuto qualcosa per prenderlo un po’ in giro, sul fatto che fosse più basso di lui o sulle sue lentiggini, o su un qualsiasi altro lato di Alessio che si ritrovava inevitabilmente ad amare.
Alessio gli avrebbe rivolto uno sguardo truce, prima di ridere e sorridergli. E Pietro – lo sapeva che sarebbe andata così, in una situazione come quella che stava immaginando- non sarebbe più riuscito a trattenersi: avrebbe racchiuso quel sorriso tra le sue labbra.
Sarebbe stato solo il primo di una serie di baci: non sarebbe riuscito a resistere, né avrebbe fatto nulla per impedire a se stesso di scivolare sulla pelle di Alessio, lungo il collo e poi continuare a baciare la linea delle spalle larghe.
Pietro stava facendo scivolare le mani sul proprio corpo esattamente come avrebbe accarezzato quello di Alessio: con gesti lenti, calcolati, carezze atte a toccare ogni centimetro di pelle.
Era solo un sogno, un sogno da sveglio, ma l’immagine che riusciva a ricostruire nella sua mente era vivida più che mai: riusciva a vedere Alessio davanti a sé, a sentirne l’odore della pelle, saggiarne la morbidezza, riusciva perfino a vedere le sfumature che avrebbero assunto i suoi capelli biondi bagnati.
Più vedeva i dettagli della scena, più sentiva l’eccitazione crescere, bruciargli nelle vene. Si liberò di qualsiasi altro pensiero: in quell’istante non esisteva Giada, non esistevano pregiudizi per quelli come lui, non esistevano ostacoli. C’erano solo lui ed Alessio, insieme, stretti in una morsa di piacere.
Pietro gli avrebbe baciato ogni neo o lentiggine della schiena, stringendolo piano, delicatamente. Si sarebbe beato dei suoi gemiti, dei suoi fremiti ed ansimi.
Avrebbe smaniato il momento in cui si sarebbe congiunto con lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Pietro ansimò, mordendosi subito dopo le labbra per non farsi sfuggire altri lamenti. Per un attimo tutto intorno a lui rimase confuso e nebuloso, prima di riprendere pian piano contatto con la realtà che lo circondava.
Aprì piano la bocca per buttare fuori l’aria in un sospiro rumoroso, appoggiandosi con la schiena contro la parete della doccia; le ultime scie di eccitazione e di piacere svanirono sempre più, lasciando posto alla spossatezza e ad un senso di spaesamento che gli lasciò l’amaro in bocca.
Rimase immobile ancora qualche attimo, riaprendo finalmente gli occhi: si guardò intorno, come se si aspettasse davvero di trovare Alessio lì, davanti a sé, stanco nello stesso suo modo. Per quanto insistesse nel guardarsi attorno, però, rimaneva solo.
Rigirò la manopola della doccia, e il getto d’acqua calda tornò a colpirlo. Pietro cominciò a passarsi nuovamente le mani sulla pelle, in gesti rapidi e nervosi, come a volersi pulire da qualcosa di appiccicoso, di sporco. Non era rimasto più niente di ciò che era successo giusto qualche minuto prima: ora gli rimaneva solamente la vergogna e la rabbia che provava verso se stesso, verso quei sentimenti che, in quel momento, lo facevano solamente sentire sbagliato e fuori posto.
Si chiese come avrebbe fatto, una volta uscito di lì, a guardare ancora in faccia Giada: un conto era sognare Alessio inconsciamente, un altro era decidere deliberatamente di toccarsi pensando a lui.
E come avrebbe potuto guardare Alessio stesso, quella sera? Già sapeva che sarebbe morto dalla vergogna, dall’impossibilità di rimanere completamente impassibile di fronte a lui.
In un modo o nell’altro riusciva sempre a rovinare tutto, anche quando non vi era alcun motivo per peggiorare le cose.
 
*
 
Il silenzio che era calato da un po’ di minuti era in parte mitigato dalla tv accesa. Pietro stava guardando le immagini trasmesse sullo schermo, senza però ascoltare ciò che stava dicendo il giornalista in sottofondo.
Fare finta di seguire il telegiornale, d’altro canto, era un’ottima scusa per non guardare Giada.
Avevano pranzato insieme, prima che lei dovesse uscire per andare in università. Benché fossero seduti l’una di fronte all’altro, da poco più di mezz’ora, a Pietro sembrava che il pranzo stesse durando un’eternità. Avevano entrambi appena finito di mangiare un semplice piatto di pasta, e Pietro stava solo attendendo il momento giusto per alzarsi di lì con una qualsiasi scusa, evitando così di rischiare di incrociare lo sguardo di Giada anche solo per un secondo.
Sentiva in un qualche modo di averla appena tradita, anche se solo con il pensiero. E a quella sensazione non poteva fare a meno di sentirsi terribilmente ipocrita: erano anni che in un certo senso la tradiva, pensando ad un’altra persona, e sentirsi in colpa solo in quel momento era quanto meno da stupidi.
Certo, non era mai arrivato a tanto come successo quella mattina – aveva sempre cercato di trattenersi, di non arrivare ad un punto di non ritorno come quello-, ma ciò non cambiava le cose.
Era inutile sentirsi colpevoli, dopo aver fatto finta di nulla per due anni.
Nonostante quella consapevolezza, però, non riusciva a guardare in faccia Giada senza sentirsi un verme. Probabilmente quella sensazione sarebbe poi passata nel giro di un giorno, ma per il momento gli risultava davvero difficile rimanere seduto lì, di fronte a lei, ripensando ai suoi stessi gesti e pensieri in quella maledetta doccia.
-Stavo pensando ad una cosa-.
La voce di Giada lo fece sussultare leggermente, non aspettandosi di sentirla parlare. Si voltò leggermente verso di lei, bevendo un sorso d’acqua dal bicchiere poggiato sulla tavola per bagnarsi le labbra:
-Ovvero?-.
Giada lo guardò solare, come se stesse per dirgli qualcosa di meraviglioso. Pietro reagì a quell’espressione con sguardo scettico: temeva sempre qualcosa di negativo, quando a Giada venivano certe idee che lei reputava sempre fantastiche.
-Ora che Alessio se ne è andato avrai qualche problema con l’affitto- buttò lì lei, in modo fintamente casuale.
A Pietro ci volle un secondo per recepire quelle parole, ed un altro secondo per recepire il significato implicito. Si sforzò di trovare qualcosa da dire che non fosse troppo brusco o maleducato, ma in quel momento gli venivano in mente solo espressioni di pura disperazione.
-Non particolarmente. Ho qualcosa da parte- cercò di risultare il più convincente possibile, ma si rese conto da solo di non esserlo affatto – E poi nel caso posso sempre trovarmi un appartamento più piccolo-.
-Io avrei un’altra soluzione-.
Il sorriso di Giada si allargò, e Pietro sperò di essersi sbagliato sull’idea che si era fatto su ciò che stava per dirgli lei. Si schiarì la voce, e aspettò qualche attimo per rispondere, sperando di non apparire troppo teso o agitato:
-Credo di aver capito dove stai andando a parare-.
-E non ti piacerebbe?- replicò Giada, portandosi dietro l’orecchio una lunga ciocca dei capelli biondi – Potrei benissimo venire a stare qui: divideremo l’affitto e ... Beh, la convivenza è un passo che prima o poi tutte le coppie fanno-.
Pietro sentì il proprio cuore perdere un battito, e si sentì ancora più colpevole nel pensare di non riuscire a condividere nemmeno un grammo dell’entusiasmo di Giada. Si sentiva in trappola.
-I miei non ti conoscono nemmeno, come glielo spiegherei se dicessi loro che vieni qua a vivere con me?-.
-Sarebbe un’ottima scusa per presentarmeli, invece-.
-Non la prenderebbero benissimo, credo. Non così tutto di colpo, almeno- borbottò Pietro, abbassando lo sguardo. Non aveva idea, in realtà, di come avrebbero potuto reagire i suoi genitori alla notizia di saperlo in coppia con una donna più grande di lui. In due anni non aveva mai nemmeno accennato niente, ed era quasi sicuro del fatto che avrebbero fatto un colpo nel venire a sapere che il loro figlio mezzano fosse in procinto di andare a convivere con qualcuno che non fosse una semplice amica.
E poi, in fondo, quella dei suoi genitori era una scusa per non dover ammettere che era lui per primo a non voler seguire quella strada.
Il sorriso di Giada si spense all’istante, sostituito da un’espressione fredda e ferita. Pietro si sentì nuovamente in colpa, nel vederla così.
-Quanto dovrò ancora aspettare, prima che tu smetta di vergognarti come un ladro per il fatto che stai con me?-.
Non faticava a leggerle in faccia la delusione e la stanchezza di aspettare qualcosa che, forse, non sarebbe mai accaduto. Gli sembrava di vederla appesa ad un filo, in procinto di spezzarsi, mentre lui se ne rimaneva a guardare, inerte ed indifferente.
-Non mi vergogno. Ho solo bisogno di tempo- Pietro si decise finalmente ad alzare lo sguardo, l’espressione dura del volto. Cominciava a sentirsi sempre più in colpa e spazientito, e tutto ciò che avrebbe voluto sarebbe stato interrompere quella discussione inutile.
Giada sbuffò nuovamente, stropicciando tra le mani il proprio tovagliolo, prima di ributtarlo sopra il tavolo in malo modo:
-Hai ventitré anni, Pietro, stiamo insieme da due anni! Quanto tempo ancora ti servirà?-.
Pietro cercò di ragionare più a mente fredda possibile: non dava tutti i torti a Giada, effettivamente rimandava da troppo tempo l’incontro tra lei e la sua famiglia. Forse perché, in tutto quel tempo, una parte di sé aveva sempre sperato di riuscire a lasciarla prima di arrivare ad un punto simile.
Ora, invece, doveva cercare perlomeno di mediare, di tranquillizzarla. E doveva cercare di restare calmo lui per primo.
-Nei prossimi mesi ti presenterò alla mia famiglia, giuro. Ma per la convivenza ... – Pietro finalmente parlò di nuovo, all’apparenza calmo, ma in realtà teso come una corda di violino – Davvero dobbiamo pensarci ora? Vorrei almeno finire l’università, prima-.
-Mi stai chiedendo di aspettare almeno un anno?-.
Pietro annuì, e Giada sembrò realmente pensarci su. Forse nemmeno a lei dispiaceva aspettare ancora un po’ per un passo del genere, e forse quello poteva essere il giusto compromesso.
In quegli attimi Pietro sperò che accettasse quella proposta, almeno per il momento.
-Un anno ancora. Poi ne riparleremo più seriamente- promise di nuovo, sperando di convincerla veramente. Giada rimase in silenzio ancora qualche attimo, prima di tornare a guardarlo con un’espressione indecifrabile:
-Va bene. Se ti serve altro tempo, ne parleremo in un altro momento-.
I muscoli di Pietro si rilassarono, e anche il cuore smise di battere più velocemente. Si sentì subito meno sotto pressione e meno in trappola, nel sentire Giada dire quelle parole.
Aveva ancora un po’ di tempo per riuscire a capire cosa fare. Si chiese solamente se, in ogni caso, sarebbe riuscito a capirlo davvero.
 
*
 
Our lives are made
In these small hours
These little wonders
These twists and turn of fate
 
Caterina prese un sospiro profondo, chiudendo per un attimo gli occhi ad una fitta particolarmente dolorosa che le attraversò la fronte. Sperò ardentemente che il mal di testa se ne andasse in fretta, anche se nutriva qualche dubbio a tal proposito: l’idea di passare il resto della serata con quei dolori non la allettava per niente.
Si guardò ancora una volta allo specchio, osservando la propria immagine riflessa: non era particolarmente pallida, e a prima vista nessun segno visibile lasciava trapelare il suo malessere. Sbuffò ancora una volta, prima di prendere dalla piccola mensola sopra il lavandino il blister della pillola: ne prese una, come aveva fatto poco prima con un antidolorifico, tenendola stretta nel palmo della mano. La mise subito in bocca, prima di buttarla giù con una sorsata d’acqua presa dal bicchiere che teneva saldo nell’altra mano. Finì di bere, e subito dopo se ne andò a stendersi sul materasso in camera da letto, tirando l’ennesimo sospiro.
Erano quasi le nove di sera, e tra non molto avrebbe dovuto alzarsi per uscire: nonostante fosse tentata di rimanere a casa, non aveva voglia di saltare la festa del compleanno di Alessio solo per quello stupido mal di testa.
Chiuse gli occhi, cercando di liberare la mente, lasciare andare tutto lo stress che si sentiva addosso. Sentì dei passi provenienti dalla cucina avvicinarsi sempre più alla stanza, e non le servì aprire gli occhi per capire che Nicola doveva aver appena finito di lavare i piatti usati per la cena.
-Direi che tra poco dovremo avviarci-.
Caterina aprì un occhio a fatica, mettendo a fuoco la figura di Nicola sulla soglia della stanza, che la fissava incuriosito:
-Stai bene? Sembri ad un passo dal coma-.
-Non fare lo spiritoso- lo rimbrottò lei, risultando però molto meno convincente di quel che avrebbe voluto – Certi mal di testa sono odiosi-.
-Confermo. Certi mal di testa lo sono davvero-.
Caterina avvertì distintamente Nicola fare qualche altro passo, arrivando a sedersi sul letto, accanto a lei.
-Sicura di farcela? Possiamo sempre inventarci qualche scusa per non andare-.
Caterina aprì entrambi gli occhi quando sentì una mano di Nicola accarezzarle prima i capelli e poi una guancia del viso.
-Ce la posso fare. Di solito i miei mal di testa se ne vanno abbastanza facilmente. Passerà anche questo, come sempre-.
-Sei troppo stressata, ecco cosa- replicò Nicola, poggiando una mano sul letto per tenersi in equilibrio, mentre abbassava il viso più vicino a quello di Caterina.
Aveva ragione. Anche Caterina era d’accordo nel pensare che fosse lo stress accumulato nelle ultime settimane a causarle tutta quella stanchezza e spossatezza. Doveva ancora smaltire la fatica e l’ansia dovuta al trasloco di Nicola, che – per quanto si fosse risolto in fretta- l’aveva lasciata completamente distrutta. E poi c’era lo stress della convivenza, che andava a gonfie vele, ma a cui doveva ancora abituarsi del tutto. E in ultimo c’era anche il pensiero dell’università, degli ultimi esami, e della tesi da preparare.
Era sempre di corsa, nell’ultimo periodo, non poteva certo negarlo.
-Ci sono sempre un sacco di cose da fare- borbottò Caterina, poggiando una mano sulla fronte. Si lasciò cullare dolcemente dalle carezze di Nicola, leggere e delicate come un soffio di brezza di un giorno d’estate.
-Dovresti cercare di rilassarti- riprese lui, avvicinandosi ancora un po’ – Forse credo di sapere anche come fare per allentare un po’ la tensione-.
Caterina cercò di ignorare il sorriso che le rivolse Nicola, le sue guance già imporporate, ricambiandolo con un’occhiata pessimista. Fu però più difficile cercare di ignorare la mano di lui che si era appena infilata sotto il tessuto leggero della maglietta, ad accarezzarle piano la pelle nuda dei fianchi.
-Questo sarebbe il tuo metodo contro le emicranie?- lo prese in giro, facendo finta di non essere affatto convinta.
-Beh, aiuta davvero con i problemi di stress-  Nicola arrossì ancora più violentemente, ma le sue dita non si fermarono: lentamente continuavano a sfiorare la pelle, risalendo lungo il fianco. Caterina fremette a quel tocco, nonostante si stesse sforzando di non lasciar trapelare alcun motto di piacere; la verità era che, a dispetto di tutto, in quel momento ricevere le attenzioni di Nicola non la infastidiva per niente.
-Arriveremo tardi alla festa di Alessio- cercò di dissuadere ancora Nicola, anche se, in fondo, non ci stava mettendo alcuna determinazione nella voce. Si stava facendo accarezzare in modo arrendevole, facendo solo finta di preoccuparsi del ritardo con cui sarebbero giunti al locale dove dovevano trovarsi con tutti gli altri.
-Gli altri possono attendere- Nicola si abbassò su di lei, sussurrandole all’orecchio. Caterina trattenne a stento una risata nervosa ed eccitata al tempo stesso, prima di avvicinarsi con il viso a quello dell’altro e lasciargli un bacio all’angolo della bocca.
-Non ti assicuro una grande reattività da parte mia- mormorò, tornando a stendersi – Sai, il mal di testa non aiuta-.
Nicola si sistemò meglio, stendendosi sopra Caterina e facendo scivolare la stoffa della maglietta sempre più su:
-Ci penso io a te, farò quel che vuoi-.
Caterina rise ancora, piano, prima che le risa venissero soffocate da un altro bacio di Nicola.
Chiuse gli occhi, godendosi il tocco delle sue mani su di sé, il pensiero della festa di Alessio distante e offuscato. Sarebbero arrivati tardi, ma poco le importava.
Ci avrebbero pensato in un secondo momento.
 
*
 
Time falls away
But these small hours
These small hours still remain
 
Pietro si costrinse a cercare di rimanere calmo, mentre varcava la soglia del locale dove aveva lavorato Alice fino a due anni prima, quando ancora non si era laureata e doveva finire l’università.
Essendo solo giovedì all’interno – e più in generale in giro per Venezia- non c’era molta gente; non fece fatica ad individuare il tavolo occupato da Alessio, Alice, Giulia e Filippo. Si guardò meglio intorno, ma non vide traccia di Caterina e Nicola: tirò un sospiro di sollievo al pensiero di non essere l’unico ritardatario del gruppo.
Si avvicinò lentamente al tavolo, la mano destra che teneva saldamente una piccola busta bianca al cui interno vi erano due pacchetti colorati. Non aveva idea se anche gli altri avessero fatto qualche regalo ad Alessio, ma poco gli importava: regalargli qualcosa non era mai stato un peso, né una scocciatura come a qualsiasi compleanno di chiunque altro. Era una cosa che gli veniva facile e naturale, pensare a ciò che gli sarebbe piaciuto o ciò che gli avrebbe fatto piacere ricevere. Di solito non era mai facile capire cosa davvero passasse per la testa ad Alessio, ma almeno per i regali era sempre stato un libro aperto. Almeno per Pietro.
-Qualcuno dei nostri in vista, finalmente!- la voce di Giulia lo accolse prima di chiunque altro, vedendolo arrivare prima che Pietro arrivasse definitivamente al tavolo.
Alessio era seduto al lato opposto di Giulia, di spalle; gli ci vollero pochi secondi per girarsi, e nel momento in cui Pietro si ritrovò davanti agli occhi il suo sorriso non poté fare a meno di sentire le gote andare in fiamme.
I ricordi della doccia di quella stessa mattina gli passarono per la mente come un flash, facendolo sprofondare nell’imbarazzo più totale: era così strano rivedere dal vivo Alessio, dopo che nemmeno dodici ore prima si era dato piacere da solo pensando proprio a lui.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa, perfino allungare la busta con i regali all’interno sopra il tavolo, Alessio si era alzato: in pochi secondi Pietro si ritrovò con le sue braccia attorno al collo, in uno slancio che non si sarebbe aspettato proprio da lui e proprio in quel momento.
Pietro si costrinse a ricambiare la presa cercando di mantenere un certo distacco, passandogli a sua volta un braccio attorno alle spalle; se fossero stati da soli, probabilmente, non sarebbe riuscito a trattenersi dal stringerlo a sé fino a non lasciarlo andare più.
Sentì Alessio avvicinarsi con il viso al suo orecchio, e nonostante Pietro non potesse vederlo in faccia, ebbe la sicurezza che, in quel momento, stesse sorridendo.
-Mi sei mancato-.
Pietro intensificò la stretta per qualche secondo, nascondendo il sorriso appena nato sulle labbra nella curva tra il collo e la spalla di Alessio, prima di sciogliere l’abbraccio.
Lanciò una veloce occhiata oltre all’altro, rimasto in piedi di fronte a lui: Alice li stava guardando in una maniera strana, in un insieme che Pietro avrebbe definito tra il malinconico e il divertito. Anche Filippo era sorridente, mentre Giulia non stava facendo nulla per nascondere il ghigno malizioso che le era comparso a disegnarle le labbra.
-Sai, Pietro, potresti essere considerato Babbo Natale da quanto sei rosso in faccia- lo canzonò, trattenendo a stento le risate quando Filippo le lanciò un’occhiata di biasimo.
-Sono appena arrivato, dev’essere la differenza di temperatura che c’è tra qui dentro e fuori- cercò di giustificarsi lui, ben consapevole che Giulia avesse in effetti ragione: si sentiva letteralmente bruciare, sia per l’imbarazzo che per la vicinanza che c’era appena stata con Alessio.
-Certo, l’escursione termica. Mi hai proprio convinta- replicò Giulia annuendo, con chiara ironia. Continuava a rivolgere un sorriso sarcastico a Pietro, in attesa di una qualche sua risposta, ma lui si limitò a guardarla male prima di decidersi a risponderle istintivamente, in un modo di cui, lo sospettava, si sarebbe pentito subito:
-Ok, la verità è che giusto stamattina in doccia ho lasciato vagare un po’ troppo la fantasia su Alessio, e ... Beh, non vorrei entrare nei particolari, ma posso dire che rifarei l’esperienza anche ora. Magari approfondendo la cosa-.
Pietro si distese un po’, quando vide Giulia e Filippo scoppiare a ridere, probabilmente convinti che il suo fosse solo uno scherzo. Dovevano essere troppo certi dell’impossibilità effettiva della cosa per credere davvero che potesse essere vera.
-Comunque, buon compleanno- Pietro li lasciò perdere, rivolgendosi finalmente ad Alessio, ancora in attesa in piedi di fronte a lui – Quest’anno eviterò di dirti che stai diventando vecchio, visto che ormai è più che evidente-.
-Guarda che sei tu che cominci ad avere qualche capello bianco, non io- lo prese in giro lui – Comunque: in che maniera pensavi di approfondire con me stasera?-.
Pietro rimase un attimo interdetto da quella domanda, prima di trovare il modo per sviare intelligentemente il discorso:
-Dandoti i regali per i tuoi ventiquattro anni-.
Alzò il braccio, facendo finire la busta bianca davanti al viso dell’altro. Alessio rise sommessamente, prima di afferrarne i manici e lanciarvi un’occhiata all’interno:
-Non dovevi, davvero. Mi vizi troppo-.
-Qualcuno dovrà pur farlo, no?-.
Alessio gli lanciò un ultimo sorriso, prima di sedersi di nuovo; Pietro prese posto a sua volta, andando a sedersi accanto a Filippo.
Non passarono molti minuti, prima che Pietro potesse accorgersi anche di Caterina e Nicola: erano entrati praticamente correndo nel locale, le gote arrossate probabilmente per l’aria fredda della sera e per la corsa appena conclusa.
-Ma che fine avevate fatto?- li accolse Alessio, sentendo i loro passi avvicinarsi e voltandosi verso di loro giusto in tempo per vederli arrivare al tavolo.
-Un piccolo imprevisto- rispose prontamente Caterina, scambiandosi una veloce occhiata d’intesa con Nicola. Alessio si avvicinò per i consueti baci sulle guance da parte di Caterina, e Pietro non poté fare a meno di gongolare dentro di sé nel notare che Alessio non si era lasciato andare in abbracci con nessun altro. Non aveva stretto a sé nessun altro, né, da quel che poteva immaginare, aveva detto a qualcuno quanto gli fosse mancato. In un certo senso si sentì compiaciuto della cosa.
-Sì, credo anche di immaginare che tipo di imprevisto fosse- intervenne ancora una volta Giulia, causando uno sbuffo sonoro da parte di Filippo:
-Ma che ti prende, stasera? Non puoi nemmeno dire di essere in astinenza, perciò ... -.
-Perciò sto solo rallegrando l’atmosfera, mon trésor- .
Tutti scoppiarono a ridere, inevitabilmente. Anche Pietro si lasciò andare, genuinamente divertito: in quel momento di ilarità gli sembrava quasi, per un istante, di poter lasciare dietro di sé ogni problema e insicurezza.
Almeno per quella sera.
 
It’s the heart that really matters in the end
 
*
 
Say it’s more than spiritual, physical
Love me like a miracle, miracle
‘Till my bones are ashes that blow in the breeze
Say you’ll be there for me
Say you’ll be there for me [1]
 
La temperatura esterna era decisamente calata, nonostante non fosse nemmeno lontanamente notte inoltrata. Pietro avvicinò la sigaretta alle labbra, prima di allontanarla ancora e buttare fuori il fumo. Si strinse un po’ di più nelle spalle, pentendosi di essersi portato dietro solamente un giubbino leggero: sentiva troppo freddo, vestito così. La sigaretta stava finendo, ma continuava a prendersela con comodo, senza alcuna fretta di rientrare nonostante i brividi che gli percorrevano la schiena.
La serata era proseguita bene, in fin dei conti, così come era iniziata dopo che erano arrivati finalmente tutti. Avevano già bevuto qualche drink, tra le chiacchiere e gli schiamazzi. Si respirava un’atmosfera leggera come non capitava da mesi, e di questo Pietro era estremamente contento; in un certo senso quella serata sembrava aver risollevato la pessima mattinata e gran parte dei dispiaceri vissuti nei mesi precedenti.
Alessio aveva anche ordinato il dolce, giusto per concludere la serata degnamente. Era stato proprio poco dopo che il cameriere si era allontanato dopo aver preso la loro ordinazione, che Caterina si era alzata in tutta fretta con uno sguardo preoccupato. Era letteralmente scappata in bagno, seguita poco dopo da Nicola. Pietro non sapeva che le fosse preso, visto che, approfittando dell’attesa per il dolce e aspettando anche la ripresa di Caterina, se ne era uscito. Ed ora si ritrovava ancora lì, dopo dieci minuti, intento a dare gli ultimi tiri a quella sigaretta che era riuscita a distrarlo dal freddo almeno un po’.
A quell’ora lì fuori non c’era praticamente nessuno: a parte lui, poco più in là, c’erano solo alcune coppiette, decisamente più distanti dalla porta d’ingresso del locale di quanto non lo fosse Pietro.
Non si voltò nemmeno quando sentì distrattamente la porta del bar aprirsi, e il rimbombo di passi avvicinarsi. Solo quando si accorse che la persona appena uscita doveva essersi fermata accanto a lui, Pietro finalmente si voltò: non rimase troppo stupito nel vedere Alessio, anche se, doveva dire, non si sarebbe aspettato di trovarselo di fronte proprio in quel momento.
-Sei venuto a fumare anche tu, per caso?- gli domandò, ironicamente. Buttò a terra il mozzicone della sigaretta, voltandosi poi verso l’altro.
-Al massimo posso ubriacarmi, ma non credo fumerò mai in vita mia- scosse la testa lui. Pietro notò che aveva in mano la busta bianca con i suoi regali: si chiese come mai l’avesse portata fuori, ma si tenne quella domanda per sé. Almeno per il momento non era una questione fondamentale.
-Caterina come sta?-.
-Ha vomitato. Dice che il mal di testa che aveva le ha fatto venire troppa nausea, e così ... – spiegò Alessio, facendo spallucce – Penso se la caverà. Ho detto a Nicola di accompagnarla a casa, ma Caterina ha insistito per provare a rimanere ancora un po’-.
-Allora forse sta già un po’ meglio-.
-E tu, come stai?-.
Quella domanda di Alessio spiazzò Pietro per diversi secondi. Era strano sentirsi rivolgere una domanda del genere proprio da lui. Forse era il primo segno evidente di come fossero passati al vedersi ogni giorno per diverse ore, al vedersi sì e no qualche volta durante la settimana.
-Come al solito- bofonchiò Pietro. Evitò accuratamente di parlare di Giada: non aveva voglia di ripercorrere con la memoria la discussione di quella mattina, né aveva la minima intenzione di dire ad Alessio di che avevano parlato. Sapeva già che si sarebbe messo ad inveire contro di lei.
-A te come è andato il viaggio in Inghilterra?-.
-Diciamo che se non è stata una disfatta poco ci manca- rise amaramente Alessio, sbuffando – Non l’hanno detto esplicitamente, ma i genitori di Alice preferirebbero di gran lunga un giovane lord britannico per la loro figlia-.
-Allora è vero quando dicono che gli inglesi sono assolutamente snob- rispose ironicamente Pietro, sorridendo – Ma per ottenere un così esiguo consenso che hai fatto, esattamente? Non dirmi che ti sei presentato loro in canottiera bianca, crocefisso d’oro al collo e sigaretta sopra l’orecchio come un vero maschio italiano-.
-Oh certo che sì, sono anche entrato in casa suonando il mandolino- rise a sua volta Alessio, scambiandosi uno sguardo con Pietro.
Pietro continuò a sorridere, come inebetito: erano quei momenti semplici che gli mancavano, quelli in cui a lui ed Alessio bastavano poche parole e semplici sguardi per capirsi al volo, per capire quando finiva la troppa serietà e quando iniziava lo scherzo o viceversa. Gli erano mancati i sorrisi spontanei che Alessio riusciva a disegnargli sulle labbra, i brividi che gli donava ogni volta che lo guardava.
“Ecco quanto poco ti basta per farmi sciogliere ogni volta”.
-E con il libro come procede?- cambiò argomento Alessio, dopo alcuni attimi – Hai già finito di leggere pure quello?-.
Pietro scosse il capo, anche se soffermandosi a ricordare dov’era arrivato ne La Valle dell’Eden poteva dire che gli mancavano ormai poche pagine prima della fine. Glielo aveva regalato Alessio al suo ultimo compleanno, ma aveva avuto il coraggio di iniziare a leggerlo solo nelle ultime settimane.
-Non mi manca moltissimo-.
-Spero almeno ti sia piaciuto- disse di nuovo Alessio, con fare speranzoso come se credesse davvero che il suo regalo non fosse stato apprezzato. Ad una implicazione simile Pietro gli avrebbe riso in faccia, anche se doveva ammettere che leggere quel libro non era stato sempre semplice – non quando il tema dell’autodeterminazione era così presente, facendolo pensare troppo alla sua stessa situazione.
-È Steinbeck, potrebbe mai non piacermi?- si limitò a rispondere, facendo ridere sommessamente Alessio. Rimasero così in silenzio per qualche secondo, prima che fosse ancora Pietro a parlare:
-Comunque, una domanda mi sorge spontanea- riprese, indicando subito dopo la busta bianca che Alessio ancora teneva in mano – Perché te la sei portata dietro? Temevi che qualcuno, in tua assenza, ti avrebbe rubato i tuoi preziosi regali?-.
-Non esattamente- rispose Alessio, con un sorriso imbarazzato, tanto che se, non ci fosse stato troppo buio, Pietro avrebbe giurato di vederlo arrossire almeno un po’ – Avevo intenzione di scartarli. Ora-.
-Potresti aspettare di arrivare a casa, in ogni caso- Pietro si sentì arrossire a sua volta, per niente pronto a quell’eventualità: aveva calcolato che Alessio avrebbe scartato i suoi regali una volta rincasato, non certo lì davanti a lui, in un momento in cui erano soli. Sapeva già che dargli spiegazioni almeno per uno dei due sarebbe stato troppo difficile.
-Ma sono curioso- esclamò l’altro, allargando le braccia – Di solito tu hai sempre buone idee su cosa regalarmi. Voglio vedere se anche quest’anno è stato così-.
Pietro sospirò a fondo, prima di annuire rassegnato. Non sembrava avere molte altre vie di scampo, non quando Alessio si metteva in testa di fare qualcosa.
Alessio si lasciò andare ad un sorriso divertito, prima di tendere la busta aperta a Pietro, borbottando un veloce “Reggi”. Si bloccò per qualche attimo mentre dava un’occhiata all’interno della sporta, prima di rivolgere uno sguardo interrogativo all’altro:
-Dovrei iniziare da uno dei due in particolare, o fa lo stesso?-.
-Inizia da quello più grande. L’altro ... – la voce gli venne a mancare per un secondo – L’altro è meglio lasciarlo per ultimo-.
Alessio fece spallucce, e Pietro tirò un sospiro di sollievo per il fatto che non avesse nemmeno provato ad indagare maggiormente su quelle sue parole. Lo osservò mentre prendeva in mano il pacchetto più grande, dalla forma di un parallelepipedo; Alessio non attese oltre per strappare la carta in un punto, per ritrovarsi infine tra le mani una copia di Sulla strada.
-È per caso un modo implicito per invitarmi a partire per gli Stati Uniti con te?- sorrise il biondo, rigirandosi il libro tra le dita, osservandone la copertina liscia e aspirando l’odore delle pagine stampate.
-In realtà non ci avevo nemmeno pensato ad una cosa simile. Io e te non riusciremmo mai a sopravvivere in un posto sconosciuto e sconfinato come gli Stati Uniti, davvero- rise a sua volta Pietro, immaginandosi per qualche istante un viaggio simile: no, davvero, lui e Alessio avrebbero fatto sicuramente una brutta fine, perdendosi inevitabilmente in uno qualche Stato rurale del centro degli States.
-Però mi ricordo che anni fa ti avevo prestato la mia copia e ti era piaciuto- proseguì – Così ora ne avrai una tua da rileggere quando vorrai-.
-Beh, lo rileggerò comunque immaginando di esserci noi al posto di Kerouac-.
Rimise il libro nella sporta per facilitarsi il compito di aprire l’ultimo pacchetto. Pietro si sentì arrossire ancor di più, e al pensiero delle spiegazioni che avrebbe dovuto dare ad Alessio per quell’ultimo regalo sentì il cuore accelerare il battito. Non era preparato a quella situazione, non era minimamente pronto a dire certe cose a voce alta di fronte ad Alessio.
Attese gli ultimi istanti con il respiro vagamente accelerato, il cuore che sembrava pronto ad esplodergli per l’ansia; si costrinse ad assumere una compostezza e una tranquillità che esistevano solo in superficie ed in apparenza.
Alessio iniziò a scartare anche il secondo pacchetto, lo sguardo curioso fisso sull’involucro colorato e decisamente più piccolo e meno geometrico dell’altro.
Pietro trattenne il respiro per un attimo, nel momento in cui Alessio aprì la carta a sufficienza per notare che, dentro di essa, vi era una singola chiave.
Alessio la guardò stupito, e Pietro si rese conto che, probabilmente, già l’aveva riconosciuta. Si costrinse a non scostare gli occhi, quando si ritrovò quelli azzurri di Alessio puntati sul proprio viso:
-Ma questa è ... -.
-La tua chiave del nostro appartamento. O meglio, di quello che era il nostro appartamento-.
Alessio annuì piano, l’espressione che sembrava essersi fatta più nostalgica di quanto Pietro si sarebbe mai aspettato.
-L’avevo lasciata da te prima di andarmene- mormorò, rigirandosela in mano – Non serviranno a nessun altro ora, vero?-.
-No, non credo che qualcun altro prenderà il tuo posto-.
Pietro si passò una mano tra i capelli, in imbarazzo: Alessio era tornato a guardarlo come in attesa, e in quel momento faticava tremendamente a trovare le parole giuste da dire.
-È che ... – Pietro si schiarì la voce, le iridi chiare di Alessio che continuavano ad osservarlo come se, intorno a loro, non ci fosse nient’altro – Lo so che ora sei felice con Alice e, credimi, non sai quanto sia felice io stesso nel vederti stare bene-.
Prese l’ennesimo sospiro, solo per prendere più tempo. Cercò di spostare lo sguardo altrove, ignorando il rossore del viso che doveva farsi sempre più evidente, ma gli risultava difficile mantenere la calma sapendo che Alessio era in ascolto ed in attesa che lui proseguisse.
Pietro si decise a tornare con gli occhi su di lui, e perse un altro battito nel vedere l’intensità del suo viso:
-Se un giorno, però, qualcosa dovesse ... Rompersi, se qualche giornata dovesse essere più storta delle altre, quando avrai bisogno di staccare anche solo per un minuto, o per un’ora, anche se ora non ci vivi più nel nostro appartamento, diciamo che ... – la tentazione di scappare via era tanta, ma si costrinse a finire di parlare – Per quanto tempo possa passare, rimarrà sempre anche un po’ tua, quella casa. È una di quelle cose che non si possono cancellare da un giorno all’altro, non così facilmente-.
Il silenzio che era calato a Pietro sembrava teso e calmo allo stesso tempo. Era agitato, ansioso anche solo di sapere cosa potesse pensare in quel momento Alessio, ed allo stesso modo, per una qualche strana sensazione, si sentiva tranquillo. Non c’era nulla che potesse dargli la certezza che Alessio non avrebbe equivocato quelle parole, ma dentro di sé sapeva che, per qualche assurda ragione, tutto sarebbe andato bene.
Alessio abbassò per qualche attimo il viso, rigirandosi ancora tra le mani quell’unica chiave. Rimase così per attimi che a Pietro parvero infiniti, fino a quando non rialzò il capo. Forse era solo un’illusione, l’oscurità della notte che confondeva le cose, ma gli occhi di Alessio sembravano lucidi e velati di un qualcosa che a Pietro sembrava rimorso e mancanza.
-È molto da te fare un discorso del genere su noi due- mormorò Alessio, la voce impastata e bassa. Non c’era segno di rimprovero nella voce, e Pietro piegò le labbra in un sorriso appena accennato:
-Ed è un male?-.
-No, non lo è. È solo che ... – Alessio abbassò nuovamente il viso, per pochi secondi, prima di infilare le chiavi in tasta e rialzare lo sguardo – Mi sento sbagliato. Un ingrato che non ti merita fino in fondo-.
-Non è una questione di merito- Pietro parlò più istintivamente di quanto si sarebbe aspettato. Si bloccò, la consapevolezza di stare addentrandosi in un terreno alquanto pericolo che si faceva sempre più concreta.
Non aveva idea di cosa avesse spinto Alessio a parlare in quel modo, e forse avrebbe dovuto ragionarci di più; il rischio di parlare troppo, di dire qualcosa che avrebbe fatto meglio a tacere era dietro l’angolo. Pietro prese l’ennesimo respiro, impossibilitato a riflettere lucidamente a causa di Alessio: per i suoi occhi azzurri che lo stavano osservando in silenzio, per la sua espressione stanca e tirata, per la voglia di voler dire tutta la verità per la prima volta negli ultimi anni, e per la stessa consapevolezza che invece avrebbe fatto meglio a desistere.
-È qualcosa di diverso. Qualcosa di più-.
Pietro tacque, senza aggiungere altro. Sperò che anche ad Alessio bastasse, e per gli attimi seguenti sperò che non gli chiedesse spiegazioni o specificazioni ulteriori. Sarebbe stato troppo imbarazzante, troppo difficile spingersi oltre.
-Sì, lo è- sussurrò infine Alessio, e Pietro non seppe come interpretare quella sua risposta. Cominciava a perdere l’orientamento in quella loro conversazione, che di normale non sembrava avere nulla. Era diverso, era tutto diverso dal solito.
Era come se, per assurdo, anche Alessio stesse parlando con la sua stessa consapevolezza.
-È come se, per quanto possiamo farci del male ed allontanarci, poi tornassimo sempre l’uno dall’altro-  Alessio proseguì, le labbra disegnate in un sorriso appena accennato, ma che a Pietro parve più sincero e luminoso del solito – Siamo degli idioti-.
-Degli idioti che si vogliono bene, nonostante tutto-.
“O forse sono solo io ad essere un idiota che ti ama troppo”.
Pietro non fece in tempo ad aggiungere altro, né fece in tempo a pensare o fare qualsiasi cosa: Alessio gli aveva di nuovo buttato le braccia attorno al collo, in quello che era un abbraccio più impacciato ed intimo del primo.
Era già la seconda volta in poche ore che si ritrovavano così stretti, ma a Pietro quel momento sembrò totalmente diverso dal precedente: erano da soli, stavolta, senza nessuno a guardarli o a ironizzare su di loro; non c’era bisogno di aggiungere altro, né pensare a quel che sarebbe venuto dopo. Pietro si abbassò un attimo per lasciare la busta bianca a terra, per avere entrambe le mani libere per ricambiare la stretta di Alessio.
Inspirò piano il suo profumo, ritrovandolo famigliare e buono come lo ricordava, di una normalità quasi sensuale. Per la prima volta dopo mesi, da quando Alessio se n’era andato dal loro appartamento, si sentì in pace. Si sforzò di non protestare in alcun modo quando Alessio si allontanò un po’, pur rimanendo così vicino che Pietro si ritrovò ad arrossire inevitabilmente, nel rendersi conto della vicinanza in cui si ritrovavano i loro visi.
-Ti ho pensato, mentre ero in Inghilterra- Alessio sembrava essere in difficoltà allo stesso modo, le gote arrossate probabilmente più per il disagio che per il freddo della notte – Ho pensato a noi due-.
-E a che hai pensato?- chiese Pietro in un filo di voce, non molto sicuro di voler conoscere davvero la risposta. Si chiese se fosse meglio sciogliere l’abbraccio in cui ancora si trovavano: quella vicinanza cominciava a dargli una strana impressione, una sensazione diversa da quelle che aveva provato in tutti i contatti fisici avuti con Alessio. Benché fossero fuori da un locale, in uno spazio pubblico, sentiva l’intimità di quel momento come non mai.
-A diverse cose- riprese Alessio, che sembrava sforzarsi di non scostare lo sguardo altrove – A certe cose accadute tra noi. È come se ... -.
-Come se?-.
Alessio non rispose, gli occhi azzurri che finalmente si erano fissati sul suo viso. Pietro non insistette, e rimase a sua volta in silenzio.
Cominciava a capirci davvero poco di quella situazione, la confusione che gli regnava sovrana in testa. C’era Alessio e le sue braccia che ancora lo tenevano stretto a sé, il calore del suo corpo e il profumo della sua pelle, gli occhi che lo tenevano fissato in una maniera che Pietro non avrebbe saputo definire, e le labbra sottili appena dischiuse che sembravano terribilmente invitanti.
Cercò di convincersi del fatto che Alessio non l’avrebbe baciato, e che l’avvicinarsi del suo viso fosse solo un’illusione dovuta all’aspettativa del momento.
Si costrinse a non muoversi, pur sapendo che, in qualche attimo, avrebbe perso definitivamente la testa ben prima che Alessio potesse anche solo rendersi conto di ciò che stava accadendo.
Pietro chiuse gli occhi, e per un istante si immaginò di sentire sulle proprie labbra quelle di Alessio: ne avrebbe sentito il sapore e la ruvidezza, in un bacio semplice che avrebbe cambiato tutto.
Tutto ciò che sentì, invece, fu solamente lo sbattere della porta d’ingresso del locale, ed Alessio che scioglieva repentinamente l’abbraccio, come se si fosse scottato improvvisamente.
A Pietro non servì nemmeno guardare oltre le spalle di Alessio per capire chi doveva essere uscito: non si stupì affatto nel riconoscere in distanza la figura di Alice, accompagnata da Giulia. Il ghigno che aveva quest’ultima stampato in faccia fece temere a Pietro il peggio: Alessio doveva averlo scostato da sé troppo tardi per evitare di essere visti entrambi in quell’abbraccio fin troppo intimo.
-Mi spiace interrompere il vostro dolcissimo idillio- esclamò subito Giulia una volta avvicinatasi maggiormente, prima di dar loro il tempo per dire qualsiasi cosa – Ma hanno portato il dolce al tavolo già da un po’-.
-Ora rientriamo- liquidò la questione Alessio, annuendo nervosamente. Lanciò un’occhiata veloce a Pietro, distogliendo subito dopo lo sguardo, prima di accennare qualche passo verso la porta d’ingresso.
-Abbiamo interrotto qualche cosa di interessante?- scherzò nuovamente Giulia, maliziosa. Pietro cercò di trattenersi dal dire o fare qualsiasi cosa: si sentiva ancor più in imbarazzo nel sapere di essere stato visto sia da Giulia che da Alice in quella situazione.
-Non prendere per il culo- borbottò Alessio, passandole accanto velocemente. Si arrestò e sobbalzò sorpreso quando Giulia, ridendo come non mai, portò le mani al suo fondoschiena, guadagnandosi un’occhiata torva dal diretto interessato:
-Intendi “prendere per il culo” in questo modo?-.
Pietro rimase ancora immobile, nell’ascoltare le imprecazioni di Alessio e le risate di Giulia mentre se ne tornavano dentro al locale, lasciandolo lì fuori.
-Forse dovremmo tornare dentro anche noi-.
Anche Pietro si ritrovò quasi a sobbalzare, nel rendersi conto di essersi quasi dimenticato della presenza di Alice: se ne era rimasta in disparte fino a quel momento, e anche ora, nel parlare, sembrava poco propensa a fargli notare la sua presenza.
-Sì, dovremmo- Pietro le si avvicinò, e forse sarebbe potuta essere solo una sua impressione, ma il volto di Alice sembrava amareggiato e disilluso come mai prima di quel momento – Stai bene?-.
-Sì, va tutto alla grande-.
Alice cercò di fingere un sorriso che faticava a risultare convincente, e Pietro non riuscì a non darsi dell’idiota tra sé e sé: era così ovvio che non stesse andando tutto bene, e si pentì subito di averle fatto quella domanda. Non aveva idea di cosa potesse ridurla in quello stato – se l’averlo visto con Alessio in quel modo o qualcos’altro-, ma non indagò oltre: preferì prenderla sottobraccio, in un gesto di muto affetto, dirigendosi verso l’entrata del locale.
Alice non oppose alcuna resistenza: si lasciò guidare mollemente, il capo appoggiato alla spalla di Pietro, lo sguardo spento ed assente esattamente come prima.
 
All of my regret
Will wash away somehow
But I cannot forget
The way I feel right now
 
*
 
Erano rimasti lì un’altra ora, ed era già l’una di notte passata quando Pietro si avviò per le calli buie e deserte di Venezia per tornare a casa.
Camminava nel silenzio della notte, il solo rimbombo dei suoi passi e lo sciabordio debole dell’acqua dei canali ad accompagnarlo nel suo percorso.
Si sentiva inaspettatamente leggero, nonostante tutto ciò che sarebbe potuto andare meglio in quella serata: Caterina se ne era andata con Nicola prima di tutti loro, e anche una volta rientrati Pietro non aveva potuto fare a meno di chiedersi cosa fosse preso ad Alice, insolitamente cupa e fredda.
E poi, tra tutti quei pensieri negativi e confusi, rivedeva il sorriso di Alessio, e sentiva ancora il calore del suo corpo contro il suo. Gli tornava in mente lo sguardo limpido e brillante che gli aveva rivolto poco prima, quando fuori dal locale si erano separati. Pietro se ne era rimasto fermo diversi minuti nel vedere la sua figura allontanarsi con Alice, Giulia e Filippo, prima di accorgersi che si stava facendo davvero troppo tardi.
Si chiese cosa sarebbe successo se Giulia ed Alice non fossero uscite affatto durante il loro abbraccio. A ripensarci, ora, sembrava un ricordo a stento reale. Si domandò anche cosa stava per dirgli Alessio, cosa ci fosse che gli premesse così tanto da dirglielo in un momento simile.
Probabilmente non l’avrebbe mai saputo.
Non avrebbe cercato di tornare sull’argomento. Sapeva che nessuno di loro l’avrebbe fatto.
Pietro si strinse nelle spalle, il freddo della notte che sembrava ricordargli di essere vivo; avrebbe dovuto proseguire la sua vita come se quell’abbraccio non ci fosse mai stato, come se le parole non dette di Alessio non gli interessassero davvero. Cominciava a rendersi conto che, per affrontare certe cose, ancora doveva trovare il coraggio necessario.
Sorrise ancora una volta, nonostante tutto. Poteva essere solo un’illusione, la sua, solo una stupida falsa aspettativa, ma era come se qualcosa sotto la superficie fosse appena cambiato.
 
In these small hours
These little wonders
These twists and turns of fate
These twists and turns of fate
Time falls away, but these small hours
These small hours still remain
Still remain
These little wonders, these twists and turns of fate

Time falls away but these small hours
These little wonders still remain [2]






 
[1] Take That – “Will you be there for me?”
[2] Rob Thomas - "Little wonders"
Il copyright delle canzoni appartiene esclusivamente ai rispettivi cantanti e autori.
 
NOTE DELLE AUTRICI
Beh, che dire... Someone was about to get kissed 👀 d’altro canto questo capitolo è iniziato con una piega piuttosto hot, era solo giusto che potesse finire in una certa maniera 😂
Ma andiamo con ordine:
all’inizio di questo capitolo scopriamo che Giada sembra voler fare il passo della convivenza, ma è proprio durante questa conversazione che scopriamo alcune cose. La prima è che, a quanto pare, la famiglia di Pietro non sa niente di lei e della loro storia, e la seconda (anche se non per importanza) è che il progetto della convivenza sembra piacere solo a lei. Pietro, infatti, sembra voler temporeggiare, anche se non dovremmo escludere il ruolo che potrebbero i sensi di colpa che prova verso di lei ... Al momento, comunque, la questione è rimandata a data da destinarsi.
La parte più succosa, però, è di certo quella che riguarda la festa di compleanno di Alessio.
In questo finale di capitolo possiamo trovare un evento chiave. In questi casi, infatti, le parole possono sembrare quasi inutili e girare attorno a un evento simile sarebbe quasi assurdo. Quello che c'è stato tra Pietro ed Alessio può essere descritto con due sole parole: quasi bacio!
Sembra più che evidente, quindi, che la conversazione che Alessio ha avuto con Alice su suolo inglese abbia dato dei risultati... risultati certamente non prevedibili, ma sempre di risultati possiamo parlare.
I due ragazzi torneranno prima o poi sull'argomento? Quanto accaduto porterà, prima o poi, a delle conseguenze oppure no?
Per scoprire questo e altro vi diamo appuntamento a mercoledì 22 dicembre, con l’ultimo capitolo del 2021!
Kiara & Greyjoy
 
 
 
 
 
 
   
 
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