Storie originali > Avventura
Segui la storia  |       
Autore: Alarnis    08/12/2021    3 recensioni
"Quel giorno fu lei a restare ferita, solo ora se ne rendeva conto."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Un pericolo? Di che tipo?

 
Insomma, decidetevi a parlare!
Nicandro supino sul letto, tamburellava ritmicamente le gambe, che sporgevano dal ginocchio alle caviglie dalla sponda del letto; gli occhi che sembravano ispezionare il soffitto a cassettoni.
Su consiglio di Gregorio, aveva cercato di dormire per lenire il proprio nervosismo, all’idea che il popolo venisse punito se scoperto fedele al Chiarofosco; ma non gli era granché riuscito. Non di certo per la presenza nella sua stanza di Gherardo e Ubaldo, pronti a proteggerlo, seguendo scrupolosi le istruzioni di Lavinia, che si intrattenevano rumorosi nel gioco dei dati per ammazzare la noia di quel pomeriggio apatico, in cui sembrava proprio non potesse succedere nulla. Anzi, fin da quando ne aveva memoria era il silenzio a renderlo inquieto o meglio l’attimo che precede l’estrema concentrazione, prima di udire una voce che poteva essere malvagia.
Scacciò di colpo dalla testa quel pensiero, dando una scrollata al capo, mentre qualche cinerea ciocca gli sfiorava il viso.
“Non siate nervoso.” lo consigliò Mavio in piedi a lato delle cupe e strette finestre che contraddistinguevano la dimora che era stata di Ludovico, di cui probabilmente quella era stata la stanza privata; i compagni seduti in terra accanto alla porta; lo sguardo fisso alla ciotola piana che circoscriveva l’area del loro gioco.
“Non lo sono.” sospirò prima di chiarire “Pensavo a Ludovico…”.
Già Ludovico! Nicandro non l’aveva mai visto di persona ma tutto in quella stanza parlava di lui. Ne aveva percepito l’essenza stessa nell’aria, vedendone l’immagine quasi aleggiare come uno spirito che ripercorreva passati passi: piccole e frenetiche corse di un piccolino sorridente e birbantello con un cespuglio di biondi ricci che trotterellava e saltellava. Poi di un giovane, cresciuto di sguardo e fattezze quasi in un battito di ciglia, cambiato in vanesio mentre si aggiustava il militare farsetto a maglia quasi incollerito di poter non apparire perfetto; consapevole di colui che era e, sarebbe stato: un principe, un re! Infine l’ardore e l’irremovibilità di un soldato restio a capitolare, nonostante i crudi moniti di fedeli amici che gli ricordavano fosse in gioco la vita, non solo la dimora di famiglia. Svelto! Andiamo! Rocca Lisia è perduta per ora! e poi Non lo sarà, se tu resterai in vita! Risentiva quei moniti nelle orecchie, come fossero gridati in quel momento.
Che l’ammirasse? Di certo Nicandro ammirava quell’ardore, lo stesso che animava l’alterigia di Lavinia quando non ammetteva sconfitta, ferendo l’ego di Moros che di una aggressività puntigliosa battagliava contro di lei, a dispetto di nome e origini.
Sospirò. Un sospiro lungo come il passare di pochi anni che sembravano ere ai suoi occhi… talmente li sentiva lontani e quasi ne disprezzava l’evoluzione.
“Non credo proprio Nicandro voglia ritornare dalla tua Matilda!” ammetteva categorica Lavinia. Arrogante come una regina; altera come l’alba che ferisce gli occhi; ineluttabile come un temporale che smuove le nubi nel cielo.
“Lascialo decidere a lui se ritornare o meno con me!” controbilanciava con sicurezza Moros. Quel con me che sembrava voler soverchiare la presunzione di Lavinia, tirandolo per la tunica di lino; di una fattezza a cui troppo presto, personalmente, aveva fatto l’abitudine. Al contempo Lavinia rimproverava impertinente, tirandolo dalla parte opposta “Ne abbiamo già discusso e Nicandro è d’accordo!”: una verità inoppugnabile in un tono della voce deciso, a cui non aveva avuto il coraggio di controbattere.  La voce indigesta di Moros “E’ uno scherzo?”.
A dispetto di ciò che Moros aveva continuato ostinatamente a credere, quando la loro partenza era ormai programmata, quella era la verità!
Perché sì! Era stato d’accordo con Lavinia: sarebbe partito.
Del resto, aveva scelto i Montetardo. A quel tempo c’era Guglielmo e quella presenza era stata determinate per lui e per la sua decisione.
Ora, semplicemente vi doveva tener fede, per orgoglio, per lealtà; del resto si sarebbe sentito meschino, nonostante Moros.
Tornando a Ludovico, non sembrava il tipo da arrendersi… se quelle erano le passioni che avevano da sempre contraddistinto il suo cuore, il rispetto delle proprie origini, Ludovico non avrebbe conosciuto la parola rinuncia.
Perciò sì! Lo ammirava. Ammirava ciò che lo circondava e, parlava di lui, sentendo l’affetto che il principe aveva nutrito per quelle mura, per quei corridoi, per i propri sudditi…
Si alzò di slancio a sedere sul letto, scacciando Ludovico dalla propria testa, confuso di provare interesse per un nemico, quasi parteggiasse per lui.
Devo chiederglielo! Sì, certo, ormai è naturale succeda.. O forse no? Nicandro sorrise quando nella sua mente si sostituì l’imbarazzante garbo di Mavio che riascoltava cerebralmente il timbro della risata dell’amata Lucilla di cui era prossimo di chiedere la mano. Preferirei una lancia in pancia!  sproloquiò mentalmente Gherardo per la verruca che gli doleva, mentre al contempo dava voce alla sua insofferenza per una partita ai dadi che non gli dava soddisfazione; cercò di ignorarlo. Incarcò un sopraciglio.
Sembravano tutti tentare di eludere un pensiero che lui aveva intuito prendere il sopravvento su quello di tutti e tre.
Decidetevi!
Si lasciò cullare un attimo dall’affetto che l’animo di Ubaldo rivolgeva a Golia, a riposo nella stalla; privato poco prima di una dannosa zecca che lo aveva reso per giorni irrequieto senza che Ubaldo se ne accorgesse e per cui ora si rimproverava la poca attenzione. Che razza di padrone sono!
Perché non avete il coraggio di chiedermelo?
“Cinque e cinque!” proferì sicuro, nello stesso istante in cui i dadi lanciati da Ubaldo si fermavano e il soldato si lasciava ad esultare con le mani aperte a palmo in direzione del segno “Dieci contro sette! Ho vinto io!”.
Nicandro strinse gli occhi, quasi ferito da quel timbrò improvviso, mentre Ubaldo e Gherardo si giravano non più di tanto increduli verso di lui e Mavio ammetteva “Perdonate le grida di Ubaldo.”; distogliendo lo sguardo da uno spiraglio della finestra che gli permetteva di sbirciare l’esterno e ascoltare i suoni che avrebbero potuto anticipare guai, che i vetri scuri, a fondo di bottiglia, altrimenti avrebbero celato.
Nicandro alzò la fossetta di sinistra, abbozzando un sorriso indulgente, mentre Ubaldo riprendeva i due dadi veloce, stringendoli nel pugno, quasi la fortuna potesse abbandonarlo se non la ripigliasse in fretta per i capelli “Ancora un lancio!”.
Ubaldo gli strizzò l’occhio, sentendosi vincente, incitandolo “Indovina!”.
“Lancia!” confermò con un cenno di assenso del capo, prima di abbassare le palpebre e stringere il pungo sinistro di fronte al viso.
“Otto!” confermò a voce alta, come fosse cosa certa.
“Sei!” riaprì gli occhi nello stesso momento in cui, dopo una veloce piroetta, i dadi lanciati a seguire da Gherardo rimanevano inermi sulla ciotola. “Otto contro sei!” festeggiò Ubaldo che si alzava in piedi di slancio “Ero certo che avresti indovinato!”.
“Non so’ come tu ci riesca!” rise Ubaldo vittorioso. Lo raggiunse per scomporgli i capelli con un buffetto e, indifferente al viso cupo di Mavio si lanciò bocconi sul letto.
“Non ho indovinato!” appuntò Nicandro, fissando il viso spigoloso del biondo soldato, fattosi quasi più tagliente nella magrezza che lo contraddistingueva.
“Lo sapevi come fosse già successo…” ammise in risposta Ubaldo,  prima di esporsi teso in viso “Lo saranno anche i soldati, hai detto.” sbottò di colpo, senza giri di parole.
I compagni preoccupati della risposta, mentre Ubaldo incalzava “Siamo in pericolo?”.
“Lo siamo sempre!” rimproverò veloce Mavio, nel loro ruolo di soldati, era una circostanza prevedibile.
Non era costretto a parlare… ma annuì concedendo la risposta che Ubaldo chiedeva. “Ho percepito un pericolo per voi…” parlò altrettanto diretto guardando il soldato.
Ubaldo sedette, facendoglisi vicino col viso “Un pericolo? Di che tipo? C’entra con il vino?”.
Silenzio.
“E’ stato…” si schiarì la voce Ubaldo “Hai detto così… quando il nostro signore Gregorio l’ha rovesciato…” cercò di chiarire i suoi timori. “Potrebbe essere un veleno che dobbiamo evitare?”.
Troppe domande. Troppe…
“Non è così semplice.” si portò le mani a coprire il viso mortificato. Perse ogni sicurezza. La voce mesta “Seguire quella pista potrebbe precluderne un’altra…” spiegò la propria responsabilità nell’esprimere ipotesi avventate.
“Succede sempre così…” si chiuse a riccio, in un gesto di disperazione. “Credo siate in pericolo ma non posso evitarlo…” si rimproverò, il viso nascosto sulle ginocchia. Ubaldo lo stupì alzandosi, minimizzando “Saremo guardinghi.”.
“Riuscirai ad avvertirci in tempo!” assicurò Mavio.
Che ne fosse certo?
Era troppo sconvolto per capirlo.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Avventura / Vai alla pagina dell'autore: Alarnis