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Autore: cabin13    09/12/2021    0 recensioni
[What if][Caleo][Calipso!centric]
Calipso si avvolse le mani intorno alle braccia nel tentativo di ripararsi dal vento e si allontanò di corsa dalla battigia, il cuore che batteva come un tamburo e le riecheggiava in gola e nelle orecchie, non lasciandole il tempo per riflettere. In tremila anni la sua isola non era mai stata colpita direttamente da una burrasca.
Aveva quasi raggiunto l’orto antistante la casa quando un boato assordante la fece voltare di scatto verso l’orizzonte, senza riuscire a trattenere un grido di terrore. Era stato un fulmine? Doveva per forza essere stato un fulmine, Calipso non sapeva cosa altro aspettarsi. E aveva troppa paura per immaginarlo.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Calipso, Leo Valdez, Leo/Calipso
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Fuoco nella tempesta

Il sole era alto nel cielo quando Calipso decise di recarsi sulla spiaggia per una passeggiata rilassante. Aveva terminato di spostare le piante lunari dal loro vasetto alla morbida terra del giardino e aveva sistemato tutti i germogli e i frutti che richiedevano cure nell’orto. Si era lavata via la terra secca e si era cambiata in una tunica pulita, un semplice telo di lino bianco che si drappeggiava in decine di pieghe sul busto e in vita. Aveva provato a sedersi di fronte al telaio per ricamare un poco, ma non era riuscita a stare ferma per più di cinque minuti.

Si era svegliata con una strana sensazione intorno, quel giorno – ancora più strana del solito, perché a quella che aveva da quando Leo Valdez era entrato e ripartito dalla sua vita ormai ci aveva fatto l’abitudine.

Si era tuffata nei lavoretti manuali per distogliere la mente da quella spiacevole sensazione, e anche adesso sperava che il leggero movimento di un passo dietro l’altro potesse aiutarla a pensare a qualsiasi cosa che non fossero la stranezza di quel giorno o la mancanza di Leo.

Il figlio di Efesto era partito da quelle che lei aveva calcolato fossero circa otto settimane, ma era difficile tenere il conto del passare dei giorni in un luogo fuori dal tempo come Ogigia. Poteva aver fatto bene i conti, oppure potevano essere passata a malapena una settimana.

Il contatto con i granellini della candida spiaggia fu un piacere per i suoi piedi nudi. Sprofondò leggermente, le dita che vennero in parte ricoperte dalla sabbia. Si godette la sensazione dei granelli che scivolavano sulla pelle quando sollevò un piede e mosse il primo passo. Ne fece un secondo, avvicinandosi alla battigia lambita dalle onde. L'oceano arrivò a bagnarle le caviglie, il freddo dell’acqua così pungente a contatto con la sua pelle scaldata dal sole. Cominciò a camminare lungo quel tratto di spiaggia, i piedi parzialmente immersi nell’acqua e ogni tanto un’onda più forte delle altre che arrivava a sfiorale i polpacci.

Soffiava una leggera brezza che le scompigliava i capelli, mal tenuti dalla treccia ormai mezza sciolta. Lunghe ciocche color caramello si agitavano contro il turchese del cielo. Inspirò a fondo il potente profumo di salsedine, immaginando che potesse arrivare fino alla mente e la sgombrasse di tutti i pensieri che quel giorno la attanagliavano. Chiuse gli occhi e inclinò il capo mentre avanzava, visualizzando la scena dietro le palpebre serrate.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo fosse rimasta così, con il pensiero perso nel vento e il profumo del mare a pervadere i suoi polmoni. Forse solo un minuto? O forse parecchi di più?

Quando le sue pupille tornarono a mettere a fuoco l’ambiente di Ogigia, però, la sensazione che aveva cercato di scacciare si fece ancora più opprimente. C’era davvero qualcosa che non andava. Il sole era sparito dietro grossi cirri grigi che facevano presagire tempesta e la temperatura tutt’intorno si era abbassata di colpo; le si stava accapponando la pelle sulle braccia e venne scossa da un brivido lungo tutta la spina dorsale.

Anche la superficie dell’oceano non era più increspata da onde leggere, ma adesso all’orizzonte si stavano levando dei cavalloni così scuri da apparire quasi neri.

Calipso si avvolse le mani intorno alle braccia nel tentativo di ripararsi dal vento e si allontanò di corsa dalla battigia, il cuore che batteva come un tamburo e le riecheggiava in gola e nelle orecchie, non lasciandole il tempo per riflettere. In tremila anni la sua isola non era mai stata colpita direttamente da una burrasca.

Aveva quasi raggiunto l’orto antistante la casa quando un boato assordante la fece voltare di scatto verso l’orizzonte, senza riuscire a trattenere un grido di terrore. Era stato un fulmine? Doveva per forza essere stato un fulmine, Calipso non sapeva cosa altro aspettarsi. E aveva troppa paura per immaginarlo.

L'esplosione si ripeté, ancora più forte, e alla ninfa parve di percepire il rimbombo scuoterle ogni singolo osso del corpo. Alzò lo sguardo al cielo: forse con tutta questa potenza sarebbe addirittura disceso Zeus stesso. Ma a che scopo il re degli dei sarebbe voluto scendere e bombardarla di saette? L'avevano già relegata in eterno su quella dannata isola a soffrire in solitudine per una scelta di tremila anni prima, che almeno la lasciassero in pace!

Ma il fiato le si smorzò in gola non appena si accorse che la fonte del suono non era stato il dio del cielo. Tra le nuvole intorno a Ogigia si intravedeva una gigantesca sagoma scura avviluppata su sé stessa. Su una metà lampeggiavano accecanti lingue di fuoco che sembravano protendersi verso la metà che non ne era avvolta. Le fiamme crescevano in grandezza e intensità, facendo diradare parte dei cirri che coprivano la figura, e Calipso poté quasi avvertire il loro calore scottarle la pelle.

La parte senza fuoco respingeva gli assalti di quest’ultimo e pareva essere protesa verso il terreno sottostante, come se anelasse con tutta sé stessa schiantarsi a terra piuttosto che rimanere in volo.

– Io non sono la tua ultima ruota del carro!!

Calipso si sorprese di come una voce umana potesse prevalere in mezzo a tutto quel caos. Era furiosa, traboccante di risentimento e desiderio di vendetta. Eppure lei la riconobbe.

Quello era Leo.

Di nuovo coperto di fiamme nel cielo sopra la sua isola, ma era lì per davvero. Era tornato come aveva promesso. E poco importava che – stando a quanto le aveva raccontato durante la sua permanenza – molto probabilmente stesse affrontando Gea in persona proprio in quel momento, con lei lì sotto, vulnerabile a qualsiasi effetto dei loro attacchi.

Leo era stato il primo eroe a tornare una seconda volta.

Calipso lottò per ricacciare indietro le lacrime. Non era quello il momento per far prendere il sopravvento alle emozioni. In qualche maniera doveva dargli una mano; con la sua magia avrebbe potuto inventarsi qualcosa.

Ritrovò l’equilibrio sulle sue stesse gambe, ributtò indietro i capelli che venivano sbatacchiati dal vento e si impose di pensare in fretta – non aveva tempo di sondare ogni incantesimo conoscesse in tutta calma, doveva farsi venire in mente il più potente alla svelta. Levò le mani verso il cielo, già in posizione per richiamare a sé tutta la sua energia.

Ma Leo e Gea furono più veloci di lei.

Il fuoco esplose contro la madre dei giganti. Una sfera di fiamme si espanse nel cielo, e Calipso dovette chiudere gli occhi per l’intensità della luce. Urlò senza accorgersene quando l’onda d’urto dello scoppio le ferì le orecchie e le fece perdere l’udito per alcuni istanti, mentre veniva sbalzata all’indietro di qualche metro, travolta dal vento. Batté la testa contro il suolo e la vista le si appannò, alcuni globi di luce di varie dimensioni di fronte ai suoi occhi che non sapeva se fossero dovuti all’esplosione o alla botta appena subita.

Trattenne il senso di nausea mentre affondava le mani nel terriccio e tentava di rimettersi in posizione eretta. Doveva guardare verso la spiaggia, vedere cosa ne era stato di Leo e la sua nemica. Stavano ancora combattendo? Doveva aiutarlo-

Il sangue le defluì dal viso quando notò due colonne di fumo che precipitavano in direzioni opposte. La più imponente era diretta verso le profondità dell’oceano, mentre la più sottile puntava dritta alla spiaggia dove si trovava lei poco prima. Calipso non ci pensò due volte a fiondarsi verso di essa. Il contenuto della colonna di fumo atterrò prima che lei raggiungesse la spiaggia, così dovette farsi strada con una mano a proteggere le vie aeree, per non respirarlo e venire sopraffatta dai colpi di tosse.

I contorni di due sagome si delineavano man mano che la coltre si diradava. Una era più grande e tondeggiante, e sembrava coprire in parte quella più minuta, che Calipso riconobbe come il figlio di Efesto.

– Leo! – gridò, correndo per aiutarlo.

La cosa che lo copriva si rivelò essere un enorme drago metallico, ma gli mancava una zampa e un pezzo dell’ala sinistra. Uno dei tre arti che gli erano rimasti attaccati schiacciava la gamba destra del ragazzo dal ginocchio in giù e una delle sue piastre aveva colpito una porzione del buto del sudamericano. Calipso provò a spingere il drago, ma urlò di dolore quando le sue mani si posarono sulle scaglie metalliche roventi.

Il semidio doveva essere medicato. Con un gesto brusco richiamò i servitori fatti di vento che aveva creato con la sua magia e li mandò a prendere le attrezzature necessarie.

– Leo! – ripeté, inginocchiandosi accanto al viso del semidio. – Mi senti? Svegliati, rimani con me.

Gli passò una mano tra i ricci arruffati e accarezzò la pelle rovente e sporca di fuliggine e sangue. La sua parte irrazionale avrebbe voluto schiaffeggiarlo fino a fargli riaprire gli occhi, ma non sapeva che tipo di ferite potesse avere al collo e alla colonna vertebrale e non si sarebbe mai perdonata se avesse finito solo per peggiorare le sue condizioni.

I suoi servitori tornarono di gran carriera e Calipso afferrò con foga il cesto che conteneva tutto il necessario. Li inviò una seconda volta verso la casa per recuperare anche l’occorrente per il drago, ma nel mentre si concentrò su Leo.

– Mi spiace – sussurrò, guardando i rubini rossi che erano gli occhi della bestia. – Riparerò anche te, ma prima devo aiutare Leo...

L'animale sembrò concordare con lei, o almeno la ragazza interpretò a quel modo il debole cigolio che emise quello.

– Raggio di sole...?

Leo aveva riaperto gli occhi, seppur a mezza palpebra. La voce gli uscì un rantolo, ma aveva messo a fuoco il profilo della ninfa china su di lui. Aveva il respiro orribilmente rauco e affaticato, ma almeno si era svegliato.

– Sì, sono qui. – parlò lei in tono sommesso, la voce morbida, mentre le mani si mettevano all’opera.

– Sono... sono tornato. La spiaggia si... si è bruciata, ma almeno... almeno non ti puoi lamentare del tuo tavolo... ngh, tavolo da pranzo – e accennò un debole sorriso, che però si tramutò subito in una smorfia di dolore.

Calipso lavorava con un groppo alla gola e gli occhi lucidi, ma mantenne la mano ferma. Lo stesso non si poté dire della sua voce quando rispose: – Dovrai farti perdonare per aver rovinato la sabbia bianca, Valdez. – incurvò le labbra in un sorriso amaro. – Non ti libererai di me così facilmente...

– Me lo... me lo sono già... già immaginato, sai?

Ma era sempre più debole la sua voce. Calipso non si fermava un secondo con la medicazione, ma con i polpastrelli poteva sentire la temperatura del suo corpo che si abbassava sempre di più – anche sotto la soglia di una persona normale. Lo stava perdendo. Stava scivolando via da lei, nonostante lei stesse cercando di impedirlo.

– No, no! Rimani con me, Leo! Rimani con me, non addormentarti. – le lacrime sfuggirono al suo controllo, cominciando a rigarle le guance e appannarle la vista.

Gli occhi di Leo si stavano chiudendo. – Sono qui, Raggio d sole... Sono...

E non si mosse più.

Calipso nemmeno si rese conto di stare urlando. Tra le lacrime e il sudore e il sangue che le macchiava le mani vedeva solo Leo e le sue medicazioni, ormai inutili su un corpo già morto. Ma stava andando avanti lo stesso, e nemmeno sapeva che la sua gola era attraversata da grida e singhiozzi disperati. Le spalle tremavano per la furia cieca.

Avevano entrambi promesso di salvarsi a vicenda, e adesso il fato si divertiva a ripagarli così. Leo aveva mantenuto il giuramento ed era tornato da lei, giusto per rivolgerle a malapena la parola e morire tra le sue braccia. Che fosse maledetto, quello stupido destino.

Calipso li maledisse tutti – i mortali, gli dei, i semidei – mentre si chinava sul corpo di Leo e lo abbracciava, piangendo e urlando tutta la sua impotenza fino a non avere più lacrime. 

 

 

 

 

 

Hola gente

E anche oggi l'angst non me lo sono fatta mancare... praticamente in questo fandom scrivo quasi sempre solo angst! Rip Leo e povera Calipso, sappiate che rimanete una delle mie coppie preferite di tutta la saga eh (vvb)

Non ho molto altro da aggiungere, ringrazio chi recensirà e anche chi leggerà e basta

Alla prossima gente

Adios

   
 
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