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Autore: Ikki_the_crow    09/12/2021    2 recensioni
SERIE MOMENTANEAMENTE IN IATO: in quanto basata su una campagna in corso, devo aspettare che gli eventi procedano prima di andare avanti...
Momenti di vita quotidiana di alcuni avventurieri, quando non sono impegnati a salvare il mondo o esplorare dungeon. A volte le avventure più emozionanti sono quelle che vivi tutti i giorni...
0) Istantanea n.0: come tutto ebbe inizio.
1) Istantanea n.1: una serata in accampamento, per iniziare a conoscerci meglio.
2) Istantanea n.2: anche i più duri dei duri hanno bisogno di qualcuno (in collaborazione con The_Red_Goliath)
3) Istantanea n.3: alcune ferite iniziano a guarire
4) Istantanea n.4: un’uscita tra amiche. O forse no.
5) Istantanea n.5: la conclusione di una giornata memorabile.
6) Istantanea n.6: un arrivederci che suona quasi come un addio.
7) Istantanea n.7: una splendida giornata e una terribile nottata.
Genere: Fantasy, Fluff, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ISTANTANEE DI VIAGGIO 0
In cui conosciamo alcuni dei personaggi principali, un patto viene siglato e la vita di parecchie persone cambia per sempre.


10-10-1370. Invocatorium di Arkhen. Silverymoon.

La prima volta che sentì bussare alla porta, Johan Joyce non si prese neanche la briga di rispondere. Trincerata dietro la propria scrivania, invasa senza possibilità di scampo da ogni genere di documento, la professoressa di Cronache e Leggende era troppo impegnata a cercare di non farsi sopraffare dalla burocrazia per perdere tempo con degli scocciatori.
Johan era una donna umana di trent’anni appena compiuti, dalla carnagione brunita di chi passa un sacco di tempo all’aperto, i capelli neri e lisci tagliati appena sopra le spalle e un fisico asciutto e definito che mal si adattava al suo ruolo da accademica.
Soprattutto, era la più giovane docente dell’Invocatorium. Aveva appena ottenuto la sua cattedra quando, l’anno precedente, le varie istituzioni accademiche di Silverymoon si erano unite in un’unica Università, il Conclave. Questo aveva causato una serie di smottamenti politici e Johan, da sempre più avvezza al lavoro sul campo che ai delicati meccanismi interni dell’Invocatorium, era rimasta incastrata tra gli ingranaggi.
Il fatto che il suo concetto di diplomazia fosse un insulto seguito, nei casi più estremi, da un pugno sul naso non aveva aiutato.
Il bussare si ripeté, questa volta un po’ più forte. Johan sospirò.
“Spero per voi che sia importante!” gridò. Erano le dieci del mattino, e già aveva voglia di darsela a gambe. Quando sentì la porta aprirsi, si alzò in piedi per sbirciare oltre la muraglia di carte chi fosse lo scocciatore.
Si ritrovò di fronte una ragazzina di appena vent’anni. Era alta e longilinea, aveva la carnagione scura, i capelli neri, ricci e lunghi fino a metà schiena e un’espressione allegra. Uno di quei sorrisi contagiosi che non si può fare a meno di ricambiare. Johan non sorrise, ma sentì la propria irritazione scendere di una tacca. Il che era già notevole.
“Buongiorno, professoressa!” La ragazza aveva una voce trillante, che faceva il paio con lo sguardo luminoso, due occhi color del miele dietro a un paio di occhiali tondi dalla montatura sottile. Fece un paio di passi avanti e si inchinò brevemente. Aveva addosso una gonna lunga, un maglione scuro a collo alto e delle scarpe basse e pratiche. Johan notò che stringeva tra le mani un raccoglitore che sembrava pieno di fogli.
Fantastico. Altra cartaccia, si ritrovò a pensare.
“Non so se si ricorda di me. Mi chiamo Daisy Woolen, ero al campo –”
“Al campo pratico nell’Anauroch, sì.”
Di colpo, Johan ricordò perché quella ragazzina le sembrava familiare. Qualche mese prima, era stata costretta a supervisionare alcuni studenti dell’ultimo anno in una serie di esercitazioni pratiche che si erano svolte nel deserto dell’Anauroch, a qualche miglio ad est di Silverymoon. La zona era ricca di rovine Netheresi, che la facoltà di Archeologia stava battendo palmo a palmo in cerca di qualsiasi cosa potesse far luce anche solo un minimo sugli usi e costumi di quell’antica e grandiosa civiltà. Per velocizzare i lavori, il Consiglio di facoltà aveva pensato bene di far lavorare gratuitamente gli studenti, mascherando la cosa come “esercitazioni sul campo”: ciascun gruppo di stagisti, di solito un’accozzaglia di ragazzini con minime conoscenze di magia e un’assoluta incapacità a sopravvivere al di fuori di una città di media grandezza, doveva essere supervisionato da un docente, il cui compito era accertarsi che non danneggiassero preziosi reperti archeologici o sé stessi, in questo preciso ordine.
Con sommo fastidio della professoressa Joyce, a lei era stato assegnato un gruppetto di sei persone, quattro ragazzi e due ragazze, che le avevano dato immediatamente l’impressione di essere figli di papà cresciuti nella bambagia che non sarebbero stati in grado di trovarsi il culo usando entrambe le mani. Non che le importasse: il suo compito era farli lavorare, e lo avrebbe fatto. Non era lì per farsi apprezzare: era lì per tenerli d’occhio.
Le erano bastate poche ore per capire di aver avuto ragione: quei tizi erano degli inetti. Non avevano voglia di sporcarsi le mani, non sarebbero stati in grado di distinguere una manticora da un gatto domestico, si erano vestiti come se dovessero andare ad una cena di gala invece che nel deserto e, soprattutto, erano irritanti e supponenti come solo dei giovani incantatori sapevano essere. Con una singola eccezione.
Una delle due ragazze, quella con la pelle scura, era stata l’unica ad essersi presentata in calzoni pesanti, scarponcini robusti, camicia di lino e un ampio cappello per proteggersi dal sole. Si era portata un attrezzo multiuso, che aveva rapidamente convertito prima in una vanga e poi in un setaccio, e quando le era stato indicato dove scavare si era immediatamente gettata in ginocchio tra la polvere e aveva iniziato ad esaminare ogni singolo sasso con precisione meccanica. E soprattutto, non si era lamentata neppure una volta. A un certo punto si era perfino messa a canticchiare.
Quella stessa sera, Johan aveva scoperto che i talenti della ragazza non erano finiti: era stata l’unica capace di accendere un fuoco da campo in maniera sensata (saper dar fuoco alle esche con la magia serve a poco, se non si sa come scegliere ed accatastare i legnetti), di montare una tenda senza richiamare un Servitore Inosservato, e di cucinare qualcosa di edibile a partire dalle razioni da campo fornite dall’Università.
Quando si era offerta di aiutare gli altri, i suoi compagni se n’erano immediatamente approfittati, affibbiandole tutti i compiti più ingrati – tranne uno dei ragazzi, che aveva fatto uno sforzo per cercare di aiutarla. Johan sospettava si fosse preso una cotta per lei.
La ragazza non pareva essersela presa, ma Johan era intervenuta e aveva costretto ciascuno ad occuparsi solo ed unicamente delle proprie cose.
“Non voglio pesi morti nella mia squadra,” aveva detto. “Se non siete capaci di badare a voi stessi, la vita sul campo non fa per voi. Meglio che lo scopriate adesso che non in qualche giungla sperduta, circondati da compagni morti e con il fiato di un troll sul collo.”
Quella settimana era stata un inferno. Per Johan, che aveva dovuto sopportare un branco di ragazzini petulanti e frignoni senza neppure poter scatenare su di loro Iron Maiden, il proprio Eidolon. Per gli studenti, che avevano collezionato lividi, spaventi, sgridate, insolazioni e vesciche sulle mani. Per lo scavo, che non era proceduto quasi per nulla e anzi era stato trattato con meno rispetto di una discarica a cielo aperto.
L’unico raggio di sole in tutta quella merda era stata la ragazzina dalla pelle scura. Educata, attenta, affidabile e in generale adorabile, si era fatta in quattro per aiutare tanto la professoressa quanto i suoi compagni. Era ancora un po’ impacciata, e la sua tecnica di scavo era troppo metodica per essere applicabile, ma aveva fatto del proprio meglio in ogni singolo momento. Era stata l’unica a cui la professoressa Joyce avesse dato una valutazione positiva, invece di una variazione sul tema “per il bene di tutti, farebbe meglio a scegliere un’altra professione”.
Ed ora, rieccola qui. Daisy Woolen.
“Cosa la porta qui, signorina Woolen?” Johan fece per indicare la sedia di fronte alla propria scrivania, si accorse che era occupata da un mucchio di faldoni che avrebbe dovuto riconsegnare in archivio due settimane prima, e rinunciò.
“Ecco...” Daisy sembrava imbarazzata. “Ho quasi terminato il mio percorso di studi, la mia laurea è tra due settimane, e volevo chiederle...” Inspirò profondamente. “Professoressa, posso farle da assistente dopo la laurea?”
Johan le rivolse uno sguardo dubbioso, sollevando un sopracciglio. Qualsiasi altro studente sarebbe stato defenestrato dall’ufficio all’istante – era già successo più volte. Quattro, secondo le note disciplinari che Johan si era vista recapitare dall’università, ma era quasi sicura che fossero di più – ma quella ragazzina si era guadagnata un margine di tolleranza.
“Non mi serve un’assistente,” fu la risposta secca di Johan.
Daisy deglutì. “Con tutto il rispetto, professoressa...” Indicò un plico di fogli che era scivolato giù dalla scrivania. “Quello è il modulo per la presentazione dei corsi di studio del prossimo semestre. Va consegnato entro la fine della settimana. Mi pare non abbia neppure iniziato a compilarlo.”
Johan lanciò un’occhiata accusatoria al documento, come se quello le avesse fatto un torto personale per il solo fatto di esistere.
“Ecco dov’era finito,” borbottò.
“Poi, ecco...” Daisy continuò, spietata. “Conosco la bibliotecaria del Vault of the Sages. Mi ha detto che è in ritardo con la riconsegna di parecchi libri. Potrei occuparmene io, se vuole.”
Joyce si appoggiò allo schienale della sua sedia.
“Non ho ancora finito di usarli,” dichiarò. Il che era vero: era quasi certa che il rialzo su cui aveva appena poggiato i piedi contenesse almeno un paio dei titoli incriminati.
“Inoltre, sono brava. I miei voti sono tutti abbastanza buoni, e penso di aver fatto un buon lavoro con la mia tesina finale.” Estrasse un foglio dal proprio raccoglitore e lo passò alla professoressa. Era un elenco dei corsi che la ragazza aveva seguito nei tre anni precedenti, ciascuno corredato dal voto dell’esame finale e dalla firma del docente.
Johan strabuzzò gli occhi. Abbastanza buoni? Ci sono più lodi qui che in un canto religioso!
“Come ti sei posizionata nelle graduatorie del tuo anno?” domandò.
Daisy parve imbarazzata. “Oh, non saprei. Non sono interessata a queste –”
“Come ti sei posizionata?”
La ragazza si fissò la punta delle scarpe. Borbottò qualcosa.
“Non ho capito. Più forte, per favore.”
“Terza.” Daisy tentò un sorriso. “Come voti ero prima, al pari con Methrammar Aerasumé, ma il Consiglio ha dato un punteggio più alto a lui e Maerilzoun Duskwatcher, e così...”
Johan sbuffò. “Il figlio di Dama Alustriel e il rampollo di una delle famiglie più ricche della città. Non mi stupisce per nulla.”
“Oh, no. Sono davvero bravi, tutti e due. Ottimi incantatori, ed estremamente preparati. Si sono meritati quella posizione, ne sono certa!”
La professoressa ridacchiò. “Sì, come no?”
Subito però ritornò seria. Rimase qualche secondo a pensare, lo sguardo fisso sul soffitto e la fronte corrucciata. Daisy restò immobile, il raccoglitore in mano e un’espressione speranzosa in viso. Alla fine Johan sospirò e allungò una mano.
“Fammi vedere la tua tesina.”


Un’ora più tardi, Daisy scese di corsa dalle scale di fronte all’Invocatorium, un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Si guardò un attimo intorno, fino ad individuare quello che stava cercando, quindi si avviò verso due figure sedute su una panchina all’ombra. Nonostante il periodo dell’anno, era una bella giornata: il sole non scaldava molto, ma la luce era intensa.
Una delle due ragazze si alzò in piedi e agitò la mano verso Daisy.
“Daisy! Allora? Com’è andata?” trillò.
Era alta quasi quanto la ragazza dalla pelle scura, con chiare ascendenze elfiche. Aveva i capelli corvini, lisci e lucenti, che le arrivavano oltre la vita, la pelle pallida e trucco nero pesante sulle labbra e intorno agli occhi scuri. Nonostante il periodo dell’anno, aveva addosso una gonna di pizzo piuttosto corta, calze a righe che le arrivavano sopra il ginocchio, stivali di cuoio e una maglia leggera a maniche lunghe color prugna. Quando sollevò le braccia sopra la testa e si stiracchiò, parecchi ragazzi si voltarono a guardarla e perfino Daisy sentì un leggero calore sulle guance. Era decisamente uno spettacolo notevole.
“Se ha detto di no, abbiamo le uova pronte.” La seconda ragazza non si alzò, ma sollevò un sacchetto di tela con un ghigno sulle labbra. Non avrebbe potuto essere più diversa dalla prima: aveva il viso pieno e la carnagione arrossata dal freddo, che metteva ancora più in risalto le sue lentiggini. Sulla testa aveva un nido di capelli ricci e rossastri, che le cadevano disordinatamente sulle spalle e di fronte agli occhi verdi. Il fisico tarchiato era nascosto dal maglione pesante e i pantaloni imbottiti che aveva indossato per proteggersi dal freddo.
“Ha detto di sì!” Il sorriso di Daisy si allargò ancora di più.
La ragazza mora, Esther VanGroot, lanciò uno squittio eccitato e le afferrò le mani, saltellando come un grillo e ridendo come una matta. Il suo guardaroba si addiceva ad una Necromante – per sua stessa ammissione, Eshter aveva scelto di specializzarsi in Necromanzia anche e soprattutto per avere una scusa per indossare vestiti pieni di teschi e riempire la propria casa di animali impagliati – ma la sua personalità era quanto di più lontano potesse esserci dagli stereotipi di categoria.
Sulla panchina, il ghigno di Susan Tolomaeus si ammorbidì, ma senza diventare un vero e proprio sorriso. Era più o meno il massimo a cui si potesse puntare, con lei.
“Contenta tu.” Si strinse nelle spalle. “Non capisco perché tu abbia scelto di lavorare con quella tipa, ma se va bene a te...”
“Oh, andiamo. Ti piacerebbe, se solo le dessi una possibilità.” Daisy le rivolse uno sguardo da cucciolo. “Siete molto simili, andreste d’accordo.”
“Oppure si ammazzerebbero a vicenda.” Esther stava ancora sorridendo. “Se è davvero così simile alla nostra Susan, non penso che sia possibile che condividano lo stesso spazio vitale.” Fece una voce roca e minacciosa. “Ne rimarrà solo una...”
“Il mondo non è pronto nemmeno per una, come me. Due nello stesso luogo potrebbero causare danni irreparabili alla realtà.” La ragazza dai capelli rossi si alzò in piedi. “Quindi, se hai una scusa per farmela ribaltare, ti prego di darmela. Per il bene dell’intero universo.”
Daisy scoppiò a ridere. Aveva conosciuto Susan ed Eshter il giorno che era arrivata a Silverymoon, tre anni prima. Nessuno ci avrebbe scommesso una moneta di rame, ma quelle tre ragazze così diverse erano diventate amiche per la pelle, e neppure essere state coinquiline per anni sembrava aver intaccato il loro rapporto.
“In ogni caso, visto che non dobbiamo lanciare queste contro nessuna finestra, immagino che ci toccherà farti una torta.” Con tono deluso, Susan mostrò di nuovo il sacchetto pieno di uova e paglia. “Per festeggiare, eccetera eccetera.”
“Io mi ero già occupata delle bevande!” Con aria trionfale, Eshter sollevò un paio di bottiglie di vetro che aveva appoggiato a terra. “In ogni caso, avremmo avuto bisogno di alcol!”
“Eshter, sono solo le undici del mattino...” tentò Daisy.
“Sono già le undici del mattino, vorrai dire!” La ragazza mora passò un braccio intorno alle spalle delle altre due. Aveva gli occhi che luccicavano. “Pensate. Abbiamo la scusa per bere ed ubriacarci di giorno. A metà settimana. Quale folle direbbe di no?”
“Posso almeno scrivere alla nonna, prima? Vorrei darle la buona notizia, e organizzarle il viaggio dai Greenfields per la mia laurea...” Il tono di Daisy era quasi supplice.
“Hai tempo finché la torta non è pronta,” dichiarò Susan. “Poi, non voglio sentire scuse. Il dottore ordina una sana dose di alcol per tutti quanti.”
“Non sei ancora laureata, Susan.”
“Meglio. Non possono ritirarmi la licenza se vi mando in coma etilico.”
Ridendo, le tre ragazze si avviarono verso l’appartamento nella parte nord della città che condividevano ormai da alcuni anni. Era una bella giornata, avevano ricevuto delle buone notizie e non avevano altro da fare se non godersi il pomeriggio insieme, mangiare, bere e divertirsi. Era l’inizio di un nuovo capitolo, per Daisy, ed era necessario festeggiare.
Nessuna di loro aveva idea di quanto sarebbe stato importante.
   
 
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