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Autore: Nat_Matryoshka    10/12/2021    1 recensioni
"Bastava lo stereo, qualche birra e la città che si illuminava sotto di noi, piena di storie da raccontare, storie di edgerunner che diventavano eroi e ragazzini di strada che diventavano edgerunner famosi. Immaginando di essere noi, i protagonisti di quelle storie. Anche se non avremmo mai e poi mai immaginato uno scenario come quello che stiamo vivendo, nemmeno nei sogni più assurdi.
Com’è che dicono? La realtà a volte può superare l’immaginazione?"
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Altri, V
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Somewhere only we know
 

 





Cara mamma, non scordare
tua figlia da qualche parte
(solo una delle due)
il suo guscio è morbido, facile da rompere.
Cara mamma, il St. Jude
non è mai stato un posto sicuro
ma tu avevi fede
il tuo guscio morbido è facile da ingannare.
 
 





Butto il quaderno sul letto, e la penna rotola a terra. Misty mi ha consigliato di scrivere poesie: sono un toccasana per sfogarsi, mi ha detto. Peccato che le mie facciano schifo.
E poi mi fa male tutto. I piedi e la schiena, perché sono stata accovacciata sul letto finora. La ferita al fianco. Le spalle indolenzite. Sono stanca. E Misty ha ragione, quando dice che lamentarmi è il mio sport preferito. Ma chiunque si lamenterebbe, dopo un colpo disastroso come quello…

Mi alzo dal letto e inizio a gironzolare per casa senza senso, come faccio sempre quando qualcosa mi disturba e non riesco a impegnarmi in qualunque azione che mi distragga. Le previsioni di ieri annunciavano pioggia, ma il cielo è sgombro a sufficienza da far filtrare il sole primaverile tra le nuvole: appoggiata alla finestra, vedo le auto correre, la gente affollarsi per le strade e i quartieri come ogni sabato pomeriggio. Potrei scendere e comprare una NiCola ai distributori, berla seduta al solito posto al mercato di Kabuki… se non mi avessero segregata in casa fino a nuovo ordine. Misty verrà a prendermi alle sei per portarmi da Vik, per dare un’occhiata alle ferite e darmi altre medicine, e probabilmente mi farà compagnia fino all’ora di cena. Vorrei passare a trovare Jackie, ma Mama vuole che riposi senza visite per almeno altri due giorni.

Il che è comprensibile, viste le condizioni in cui siamo tornati a casa.

Lascio dondolare una gamba, sbuffando. Mi basta chiudete gli occhi per vedere quelle scene ripresentarsi nella mia mente come un’orribile BD estremamente realistica, una dopo l’altra. Io e Jackie che entriamo al Konpeki travestiti da corp, la stanza enorme in cui abbiamo liberato il Flathead, la suite di Yorinobu. Restare nascosti dietro a quella maledetta parete mentre il vecchio Saburo Arasaka veniva ammazzato, a trattenere il respiro sperando di non venire beccati, il cuore che minacciava di spaccarci la cassa toracica e la schiena completamente inzuppata di sudore freddo… e poi la caduta. Rotolare giù da uno stramaledetto tetto, ammaccarsi le ossa, vedere Jackie infilarsi il Relic nel chipslot, e tutta la corsa verso il laboratorio di Vik…

Quella notte, dopo aver vomitato l’anima ed essere crollata a letto per la stanchezza, ho sognato uno scenario in cui Jackie non c’era più. Era disteso sul sedile posteriore del taxi di Delamain e mi chiedeva di riportare il suo corpo da Mama prima di morire davanti a me, ed io ero così impotente, così immobilizzata dal dolore e incapace di reagire, da riuscire a malapena ad allungare una mano verso di lui, mentre Del continuava a portarci al Coyote e le sirene e i clacson impazzivano attorno a noi, e la realtà si deformava come in tutti gli incubi più orribili, e io diventavo ancora più piccola, più impotente di quando sogno di essere all’orfanotrofio e di venire abbandonata da mia madre…
Mi sono svegliata coperta di sudore, e la prima cosa che ho fatto è stata strisciare verso il frigo per scolarmi una birra. Una decisione pessima che mi ha fatto rivomitare l’anima un’altra volta, ma perlomeno mi ha tenuta impegnata abbastanza da togliermi quell’incubo orrendo dalla mente.

La prima cosa che ho fatto è stata controllare i messaggi. Ne ho mandato uno a Jackie, è stata Misty a rispondere senza nemmeno mandarmi a quel paese: va tutto bene, sta dormendo. E solo dopo quel messaggio sono riuscita finalmente a prendere sonno.
 

*
 

Riprendersi non è una passeggiata. Che si tratti di farsi ricucire dopo una missione suicida o di rifarsi una vita dopo essere stata separata da tua sorella, quando hai solo dodici anni e sei sempre stata al suo fianco da quando sei nata. Ci si abitua, ma non è facile.

Soprattutto quando nuova merda ti piove in testa ogni giorno.

Vik spiega la situazione a me e a Misty nel salone di Mama, mentre Jackie riposa al piano di sopra: il Relic contiene un engramma che si è installato nel suo cervello al momento della morte e sta tentando di sovrascriverlo. Nemmeno lui sa spiegarsi come abbiamo fatto a uscire dal No-Tell Motel più o meno vivi dopo che ho sparato al nostro ex fixer, ma nel caso di Jackie è tutto merito dell’affare che si è infilato nel chipslot prima di scappare fuori dall’Arasaka Tower, e che l’ha protetto dal colpo di Dex. A me è andata leggermente meglio, forse perché mi ero intestardita a indossare a tutti i costi un giubbotto antiproiettile sotto al completo. A volte benedico la mia testardaggine.

Mi sono alzata in piedi di scatto, per camminare lungo tutto il perimetro della stanza mentre Vik spiegava e l’ansia mi montava addosso, soffocandomi. Non esiste un modo per fermare il processo, o almeno non uno che Vik conosca, e la cosa più tragica – o tragicomica, a seconda dei punti di vista – è che contiene l’engramma di Johnny Silverhand. Sì, proprio quel Johnny Silverhand, il tizio di cui conosco tutte le canzoni a memoria, e di cui ho portato un ritaglio di rivista in tasca per anni, quando ero piccola. Il leader dei SAMURAI. Che ora abita nel cervello di Jackie e sta lentamente sovrascrivendo la sua personalità.

La vita è proprio fottutamente assurda.

Mi trattengo dallo scoppiare a piangere almeno una decina di volte, soprattutto quando Jackie scende le scale, tutto coperto di bende e con lo sguardo felice di chi non si aspettava visite. Misty si lancia tra le sue braccia e aspetto il mio turno mentre continuo a ricacciare indietro le lacrime, così tanto che la gola inizia a farmi male. Non so come, riesco a trattenermi anche mentre mi abbraccia, e il suo profumo mi riporta a tutte le giornate che abbiamo vissuto insieme, prima che questo casino ci finisse addosso. Ma Vik e Misty sono già tristi e tesi di loro, non posso peggiorare la situazione scaricandogli addosso anche la mia sofferenza… e soprattutto, non posso far star peggio Jackie. Ma lui mi strofina un pugno sulla testa, mi chiama chica, come ha sempre fatto. Mi aiuta a dimenticare tutto, almeno per un po’.

Non riesco a smettere di lanciargli occhiate durante la cena. Vik ha detto che non si arrenderà finché non troverà un modo di aiutarlo, e nemmeno io e Misty ne abbiamo l’intenzione. Gli ha spiegato tutta la situazione mentre ero impegnata a dormire e a vomitare, e a giudicare dal suo tono tranquillo deve averla presa con abbastanza filosofia… o forse, come ha già fatto in passato, nasconde il dolore e la confusione, fino a che una goccia non farà traboccare il vaso e scatenerà il diluvio. Probabilmente il primo passo da fare per tamponare la situazione sarà rintracciare Evelyn (così vedrai di nuovo Judy! strilla entusiasta una vocina dentro di me), poi far parlare qualche corporatto Arasaka, ma per Jackie questo e altro. Lui non si è mai tirato indietro per me.
Il problema è che non riesco a pensare lucidamente ad una soluzione, se continuo a rifiutare totalmente l’idea che possa stare male. Non era bastato tornare mezzi morti dal colpo al Konpeki, doveva anche mettercisi il costrutto del mio cantante preferito e la minaccia che possa eliminare il mio migliore amico e sostituirsi a lui… ma sapevamo cosa ci aspettasse, quando abbiamo accettato quella dannata missione. E dovevamo immaginare che da uno come Dexter DeShawn non venisse nulla di buono.
Misty ogni tanto gli sfiora una mano, ma sembra sovrappensiero come me. Quando ho visto lei e Mama abbracciarsi il giorno dopo il colpo quasi non riuscivo a crederci, e sapere che ora vanno d’accordo mi dà un motivo in più per sperare in positivo.
Finiamo di cenare in un silenzio abbastanza disteso, ma la tensione aleggia ancora nell’aria, un nodo che non si scioglie e che occupa ogni angolo libero delle nostre menti. Mama va a dormire presto: saluto tutti e sto per avviarmi a casa, quando Jackie mi posa una mano sulla spalla.

“Chica?”
“Jack?”

Mi sembra incredibile poter pronunciare il suo nome a voce alta. Ci sono parole che, se non le pronunci spesso, assumono forme aliene. Da quant’è che non dico mamma? O mia sorella?

“Resta a dormire, almeno per stanotte. Al piano di sopra c’è sempre posto per te.”
Lancio uno sguardo a Misty, che mi risponde con un sorriso. La adoro. Le butto le braccia al collo, sussurro un grazie a fior di labbra e salgo le scale a due a due fino al piano di sopra, fino alla stanza di Jackie, in cui ho dormito per mesi e che ha ancora quel profumo di famiglia che mi ha rassicurata tante volte prima di addormentarmi. Affondo il viso nel cuscino, inspirandolo a pieni polmoni, rotolandomi sulla coperta dove il mio amico ha dormito fino a qualche ora fa. Quando vivevo qui a casa Welles, mi accoccolavo in fondo al suo letto ogni sera. C’era una brandina pieghevole nell’armadio, ma finivamo sempre a dormire così, prima ognuno rispettosamente nel proprio spazio e poi spiaccicati l’uno sull’altro, senza ritegno e felici come non mai. Mi alzo per cercare nell’armadio la vecchia maglietta stinta che è stata il mio pigiama per un sacco di tempo, e la ritrovo al solito posto, lavata e piegata vicino ai vestiti sportivi di Jackie. Mama è sempre la migliore.

Quanto mi mancava tutto questo.

Mi impegno in tutti i modi a restare sveglia fino all’arrivo di Jackie, ma il letto è troppo invitante e la prospettiva di dormire in compagnia mi rilassa, impedendomi di tenere gli occhi aperti a lungo. Mi distendo, appoggiando la testa e ripetendomi che sarà solo per cinque minuti, ma le palpebre sono troppo pesanti e il letto è così morbido, e da fuori arriva un sottofondo leggero di musica che si mischia al brusio della strada e mi concilia il sonno. Vista del Rey mi canta la ninnananna da quando ero piccola, penso, e un secondo dopo scivolo nel sonno.
 

*
 

Nel mio sogno sono in una stanza buia, piena di oggetti dei quali non riesco a distinguere la forma.

Sono tanti, tutti accatastati di fronte a me, e anche se non riesco a identificarli so di non poter raggiungere il fondo. Un chiarore leggero si allarga da due fessure alle estremità più lontane: il buio mi disorienta, impedendomi di calcolare le dimensioni della stanza. Riesco solo a capire che è enorme, con il soffitto alto e quelle che sembrano due porte in lontananza, da cui probabilmente entrano le lame di luce del giorno che ho notato prima.
Mi muovo a tentoni, provando a procedere senza farmi male. Il pavimento davanti a me è sgombro, non sembrano esserci ostacoli. Vorrei raggiungere le fessure luminose, spingere le porte per vedere su cosa si affaccino, ma prima di riuscire a muovere qualche altro passo una luce bianca si diffonde all’improvviso, accecandomi, bloccandomi sul posto. Uno schermo immenso si è illuminato davanti a me. Mi giro, e la luce che ora invade la stanza mi permette di dare un nome agli oggetti: sono poltroncine pieghevoli.

Un cinema.

Li ho sempre visti nei libri e nei vecchi film, ma è la prima volta che mi trovo davanti a qualcosa del genere. Sullo schermo una donna con i capelli neri sorride, asciugandosi le mani sul grembiule bianco. Accanto a lei è seduto un uomo anziano, in kimono, che abbassa la testa e ha lo sguardo di chi ricorda qualcosa di malinconico. Senza rendermene conto mi ritrovo ad allungare la mano verso di loro, come se potessi toccarli davvero.
Konban wa, sussurra la sua voce, e poi canta la canzone che cantava sempre mentre mi cullava e che ricordo solo per qualche nota. Bambini che camminano nella neve con le sciarpe al collo. Mi posa un bacio sulla fronte. Ogni tanto torna da me come se l’avessi lasciata ieri, e quelle sensazioni mi avvolgono come le sciarpe dei bambini mentre la donna sullo schermo si alza ed esce di casa piano, senza voltarsi indietro…

“Bello, eh?” sorride Judy, che è apparsa accanto a me come succede sempre nei sogni, in silenzio, e ora mi sorride con le dita che sfiorano appena le mie. È concentrata sullo schermo, gli occhi pieni di orgoglio quasi fosse stata lei a far partire la proiezione: mi basta guardarla per sentirmi meglio, più felice, meno trascinata dalla malinconia della donna che mi ricorda mia madre.
“Il cinema. Erano anni che volevo vedere un film.”
“Già,” tento io, che nemmeno nei sogni sono capace di flirtare. Poi, dopo un attimo di silenzio, aggiungo “chissà se lei si ricorda di me.”

È una confessione che mi scappa per caso ma, mentre mi rimprovero mentalmente che non può sapere nulla di me, perché ci siamo incontrate solo due volte e abbiamo avuto a malapena tempo di scambiare due parole, lei annuisce, e sorride. Di nuovo. Allunga le dita fino a prendere le mie e io la lascio fare, sperando con tutta me stessa che non si accorga quanto sto arrossendo. Judy mi tiene per mano, io trattengo il fiato, poi espiro. Restiamo in piedi davanti allo schermo, un primo appuntamento che chissà se mai avverrà, mentre le stringo le dita per impedirle di svanire.
“Forse chi stai sognando ti sta pensando in quel momento,” sussurra, e con le sue parole in testa apro gli occhi sulla stanza di Jackie. Lui è disteso accanto a me, il petto che si alza e si abbassa delicatamente, immerso in un sonno profondo quanto il mio.
 

*
 

“Giuro che non ho pensato di invidiarti nemmeno per un secondo, Jack.”

Jackie scoppia a ridere, assestandomi una pacca sulla spalla che mi fa affondare ancora di più nella sedia di plastica blu su cui sono seduta. Il suo posto segreto è identico alla prima volta in cui mi ci ha portato: le due sedie colorate, le lattine mezze acciaccate per terra, l’enorme struttura metallica arrugginita in più punti alle nostre spalle. Non è cambiata nemmeno la sua espressione, a parte la tristezza di fondo. Riesco a percepirla oltre al sorriso che non lo abbandona mai, oltre alle battute con cui cerca di tenere su il morale a me, Misty e Mama.

Se c’è una cosa che non si permetterebbe mai, è farci soffrire per lui.

“Dico sul serio!” protesto, fingendo indignazione. Nemmeno io voglio che si preoccupi per me: è fin troppo bravo a capire quando qualcosa mi tormenta. “Sì, Johnny Silverhand sarà pure il mio cantante preferito e sapere che ti parla ogni giorno è già abbastanza strano di per sé, ma – “
“Ah chica, sei unica.” Mi appoggia un braccio sulle spalle, tirandomi a sé, e gli affondo la testa nel petto, piena di gratitudine. Sono così felice che mi abbia portata di nuovo qui, dove abbiamo trascorso tantissime serate estive insieme: bastava lo stereo, qualche birra e la città che si illuminava sotto di noi, piena di storie da raccontare, storie di edgerunner che diventavano eroi e ragazzini di strada che diventavano edgerunner famosi. Immaginando di essere noi, i protagonisti di quelle storie… anche se non avremmo mai e poi mai immaginato uno scenario come quello che stiamo vivendo, nemmeno nei sogni più assurdi.

Com’è che dicono? La realtà a volte può superare l’immaginazione?

Inspiro il suo profumo, mi faccio dare coraggio dal battito regolare del suo cuore. Poi alzo lo sguardo e incontro il suo, e per un attimo mi sento un po’ più forte.
“Troveremo una soluzione, Jack. Te lo prometto.”

Lui sospira, abbassa appena lo sguardo. Mi lascia andare per piegarsi in avanti, spostare lo sguardo su Night City che si avvia verso la sera, le auto che corrono, i neon che si accenderanno a momenti.

“Non lo so, V. Ho sospeso il giudizio… diciamo che cerco di godermi la vita,” sospira, strofinandosi gli occhi. Non l’ho mai sentito così sconfitto, nemmeno quando parlava di suo padre. “Vivo alla giornata, una missione dopo l’altra, cerco di tirare su qualche soldo per Mama. Faccio quello che posso, come ho sempre fatto… e se dovessimo trovare una soluzione, solo allora inizierò a preoccuparmi e a valutarla. Prima no, non avrebbe senso. Ma non posso comunque darmi per vinto prima ancora di iniziare a lottare.”
Si risolleva un attimo per rivolgermi un altro sorriso per alleggerire l’atmosfera, appena accennato. “Nel frattempo, cerco di evitare che il mio ospite non mi faccia impazzire. Ti assicuro che non è facile.”

“Ti sta convincendo ad ascoltare tutte le sue canzoni?”
“Nah, magari. Quelle già le conoscevo grazie a te, chica.” Gli rivolgo un ghigno: chissà se si è mai pentito di averle permesso di scegliere la musica ogni volta che viaggiavano assieme. “Ma non sta un attimo in silenzio. Ogni volta che sposto lo sguardo, è perché mi sta riempiendo talmente tanto la testa che devo provare a distrarmi… anche ora.”
“E cos’ha da dire?”
“Di tutto. Parla, commenta, dice qualunque cosa gli passi per la mente,” sbuffa. “Fa commenti su di te. Tipo…” si blocca un istante, poi si porta la mano al viso con un grugnito. “Ecco, ha appena detto che non stai mai zitta. Da che pulpito. Mi ha chiesto come faccio a sopportare il tuo rumore di fondo ogni santo giorno.”
“Oh.” Emetto un fischio di approvazione. La situazione è meravigliosamente paradossale: il mio idolo che parla di me. Il mio idolo morto da più di cinquant’anni. “Grazie Johnny, davvero gentile da parte tua. Vuoi che ti canti qualcosa per ringraziarti?”
“Ha detto che già ti ha sentita, e per ora non ci terrebbe a ripetere l’esperienza.”

Scoppio a ridere, e lo fisso negli occhi. Sono sempre quelli grigio-verdi del mio migliore amico, e anche il suo viso è identico, a parte qualche livido e la preoccupazione che gli ha scurito le occhiaie… ma non oso pensare come debba sentirsi dentro. Lo stress di avere una voce che parla in continuazione nella testa, l’idea di doverci convivere chissà quanto, finché non prenderà il controllo del suo corpo. L’ansia dei giorni che passano senza una soluzione. Io, Viktor e Misty gli abbiamo giurato che faremo di tutto per aiutarlo, ma cosa stiamo facendo di concreto, a parte stargli vicino?

Sto per aggiungere qualcos’altro di sagace riguardo a Johnny, quando, improvvisamente, Jackie si piega in avanti con un gemito di dolore. Mi precipito in ginocchio vicino a lui mentre si tiene la testa tra le mani e continua a gemere a denti stretti, imprecando in spagnolo. Sta soffrendo, lo capisco chiaramente, e non so assolutamente cosa fare, chi chiamare. Gli appoggio una mano sul ginocchio, scuotendolo appena. “Jack? Jack? Che succede?”

“Mi sta… urgh –“
“È il Relic?” Che domanda del cazzo, Sumire!  mi rimprovero un secondo dopo. Cosa vuoi che sia?  Sfioro il suo ginocchio per tranquillizzarlo, ma non se ne accorge nemmeno: il dolore è così intenso da strappargli un altro ansito. “Merda!” ringhia, scuotendo la testa, inspirando ed espirando affannosamente. Devo correre a chiamare Viktor, penso. Fare le scale di corsa e urlare dall’esterno del negozio di venire ad aiutarmi. Quanto potrei metterci se mi precipito giù il più velocemente possibile? Forse dovrei telefonare. Ma se non rispondesse? La mia mente elabora soluzioni a duecento all’ora, e come al solito nel momento del panico non so come comportarmi.
“Jack? Resta qui, vado a chiamare Viktor. Non…”
“Aspetta.” Si alza a fatica, sfiorandomi la spalla per cercare un appoggio. Capisco al volo le sue intenzioni e lo sorreggo, e lui riprende a respirare, sempre affannosamente ma con un ritmo più stabile di prima. Meno male. È ancora qui con me, ce la sta facendo. È l’unica cosa che conta, mi ripeto, l’unica. Può farcela. Jackie, il mio miglior amico, la mia roccia. È qui.
“Vieni, andiamo da Vik.”

Procediamo insieme, lui sulle mie spalle e io che apro la strada verso la clinica, un gradino alla volta, fermandoci su ogni pianerottolo per riposare. Scendiamo dalla terrazza, poi in strada: il vicolo è sgombro, le auto scorrono lontane da noi, per le rumorose strade principali di Kabuki. Il sole sta tramontando come un disco arancione in lontananza, e la sua luce è così intensa da farmi chiudere gli occhi. Jackie prova a schermarmeli con una mano, poi ricade sulle mie spalle, esausto. Per fortuna la clinica non è lontana.
Lo porto direttamente sul lettino di Viktor e solo quando lo vedo disteso, assistito dall’unico bisturi di cui mi fidi ciecamente, riesco a tirare un sospiro di sollievo. Vado a chiamare Misty e cerco di sgombrare la mente mentre la porto alla clinica e la guardo sedersi sullo sgabello a rotelle in più, in attesa che Jackie venga visitato.

È in buone mani.

Andrà tutto bene, penso, e continuo a liberare la mente con tutte le mie forze.

L’unica cosa di cui ho bisogno.
 

*
 

Tanto per aggiungere un nuovo disastro alla montagna di merda che ci pesa sulle spalle, Evelyn è sparita.

Sulle prime Judy era furiosa con lei, convinta che si fosse dileguata dopo il disastro del colpo, ma è strano che non si sia fatta sentire con nessuno: una sparizione che la preoccupa. Così abbiamo iniziato a cercarla, prima al Clouds: un posticino adorabile in cui una doll mi ha psicanalizzato, spingendomi a sfogarmi su mia sorella e sui disastri della mia vita, e da cui siamo uscite dopo aver minacciato quella merda del proprietario perché ci desse informazioni su di lei. Ci ha detto di averla mandata da un tizio a Jig Jig Street, un bisturi, a cui vengono inviate tutte le doll “non più in grado di generare profitti.” Ho visto Judy rabbrividire per la rabbia e lo schifo, e anche io sentivo la bocca dello stomaco contorcersi per la nausea.

Nausea che non ha fatto che aumentare una volta arrivate sul posto.

Abbiamo oltrepassato i teppisti sulla porta rimettendoli a posto con le parole solo per ritrovarci in un edificio buio che puzzava di fumo e vomito, i muri coperti di scritte e le scale semidistrutte come nemmeno nel più brutto e diroccato dei megaedifici. Le abbiamo salite trattenendo il fiato, mentre imprecavo mentalmente contro Woodman, il Clouds, l’NCPD che non si impegnava abbastanza per far chiudere posti del genere, e anche contro me stessa per non aver iniziato prima le ricerche. Judy era dietro di me, e avrei dato qualunque cosa per abbracciarla, rassicurarla come faccio con Jackie, ma la sua tensione era un muro impossibile da oltrepassare. Non potevo far altro che aiutarla, e cercare di arrivare in fondo a quella faccenda.
L’interno della sala d’attesa non era messo meglio in quanto a odore e squallore, e oltretutto era buio, illuminato solo da neon colorati che mi hanno fatto scoppiare la testa. Dopo aver saltato la coda fingendo un malore di Judy – l’unica parte divertente della serata – siamo entrate nello studio di Fingers, una delle persone più viscide, disgustose e meschine che io abbia mai avuto la sfortuna di incontrare. Un tizio che avrei volentieri conciato per le feste, ma che mi sono trattenuta dal picchiare per non aggiungere altra merda ad una situazione che già rischiava di sfuggirci di mano. E comunque, ci ha pensato Judy a farlo al posto mio.

Quello che abbiamo trovato in quello studio semibuio ancora mi fa rivoltare lo stomaco (sì, come avrete capito sono una che soffre parecchio di nausea. Non l’avreste mai detto, eh?). Il suo tono suadente, la tranquillità con cui ha dichiarato di averla ceduta alla sua fixer… ho stretto talmente i pugni da affondarmi le unghie nei palmi delle mani, con tanta forza che anche adesso faccio fatica a distendere bene le dita. Le parole di Fingers martellavano nella mia testa come un ritmo dissonante - potrebbe essere ad un passo dal diventare la nuova star delle BD illegali! Non mi hanno mai detto come si chiamava, mi riferivo a lei come “la doll”. Due tizi sono venuti a prenderla quello stesso giorno – aggiungendosi alla confusione generale.

Merda.

Ci siamo appoggiate alla balaustra ad un piano di distanza, controllando accuratamente che nessuno ci disturbasse, e siamo rimaste lì a riprenderci da quanto avevamo appena vissuto. Judy tiene la testa china, sconfitta. Ho cercato di rassicurarla come posso, ma è difficile riuscirci, quando sono la prima ad aver bisogno di aiuto.

Il mio la ritroveremo, vedrai mi suona falso, incerto. Troppo simile ai vedrai che andrà tutto bene che continuo a distribuire a Jackie e che non riescono a darmi la speranza che cerco disperatamente di infondere in ogni singola sillaba. Siamo appoggiate vicine, più vicine di quanto non siamo mai state in giorni, penso, e il mio cuore spicca un salto. Se solo fosse un momento migliore per essere felice, per pensare a quanto mi piaccia.

Riesco quasi a sentire il suo calore sulla pelle. È una bella sensazione.

Finché il suono di un messaggio in arrivo non mi strappa ai miei pensieri. Ero talmente impegnata con Fingers da non rendermene nemmeno conto: premo subito il pulsante della chat, per controllare che non ce ne siano altri urgenti.

Dieci messaggi in arrivo.

Misty.

Dove sei, V? è il primo, meno incalzante, arrivato mezz’ora fa. Seguono una serie di spiegazioni, richieste di chiamarla, rassicurazioni sul fatto che Vik è partito subito per raggiungerli. Stringo la ringhiera con le dita sudate, il tremito delle mani mi fa quasi sbilanciare. Jackie sta male Jackie sta male Jackie sta male quelle parole mi rimbalzano davanti agli occhi, facendo peggiorare la nausea che già provavo, aggiungendo un capogiro al tutto. Judy se ne accorge: si stacca dal corrimano e mi guarda, preoccupata, sempre a un passo di distanza.

Vorrei che mi abbracciasse, lo vorrei con tutta me stessa, più di ogni altra cosa.

“Jackie,” spiego, cercando di controllare il tremito nella voce. “Il Relic lo fa star male, non sappiamo come fare per aiutarlo. È… imprevedibile.” Lei annuisce, come se capisse perfettamente. “Quel dannato engramma sta cercando di cancellarlo per sostituirsi a lui. Vorrei che avessimo delle risposte per iniziare ad aiutarlo, ma brancoliamo nel buio e…”

La frase cade senza che mi venga in mente un’ulteriore spiegazione da offrirle. Mi stacco dalla ringhiera meccanicamente, per muovermi verso le scale. Judy mi segue, si avvicina a me tanto che percepisco di nuovo il suo calore sulla pelle, invitante e gentile. La tentazione di cercare la sua mano è più forte che mai.

“Ti accompagno,” sussurra. Resta al mio fianco mentre scendiamo le scale, verso l’uscita di quel buco infernale, lontano dalla clinica di Fingers e dall’ennesima, orribile scoperta. Abbiamo una pista da cui partire per cercare Evelyn, una che passa per il quartiere dei piaceri di Jig Jig Street e per gli spacciatori di XBD, ma prima devo tornare a Kabuki, e controllare che Jackie stia bene.
 

*
 

“Hai fatto il possibile V, credimi.”

Misty ha deciso di farmi compagnia per la notte, insistendo per sistemarsi sul divano e lasciare il letto a me, nonostante le mie proteste. Dopo aver preparato la sua sistemazione siamo scese al piano di sotto a bere qualcosa nella zona delle SCSM, ma nemmeno la NiCola ghiacciata e l’aria fresca della sera riescono a togliermi dalla mente quello che ho visto qualche giorno fa.
Abbiamo ritrovato Evelyn, o almeno quella che una volta era lei: un corpo debole, inerme, che non reagisce agli stimoli. Ho aiutato Judy a portarla a casa, a sistemarla a letto. Ho provato a tranquillizzarla. L’ho abbracciata, e per la prima volta ho inspirato il suo profumo di fiori e l’odore di tabacco delle sue sigarette, la disperazione che impregna il suo corpo come un veleno. Avrei voluto tenerla stretta per ore, per mesi, ma l’ho lasciata sola per un po’ a processare il suo dolore, e provare a fare qualcosa per Evelyn.

Capisco fin troppo bene cosa stia provando. Ci sono stati momenti in cui volevo solo restare sola e lasciarmi tutto alle spalle per ricominciare una vita diversa (ciao Atlanta, parlo di te), e altri in cui ho cercato disperatamente la compagnia di qualunque persona attorno a me, per non avere l’impressione di essere completamente sola al mondo. Ho sempre pensato sia colpa dell’orfanotrofio, e del fatto che io e mia sorella ci siamo separate quando non ero nemmeno adolescente: sei talmente impegnato a sopravvivere da non poterti prendere cura di te stesso, e finisci in una sorta di strano limbo in cui non ti fidi di nessuno ma allo stesso tempo vuoi solo che la persona che hai appena conosciuto non se ne vada, lasciandoti indietro.
 
Sai che puoi contare su di me, ho scritto stamattina a Judy. Mi ha risposto con un cuoricino.

“È che a volte mi sembra che ‘tutto il possibile’ non sia nulla di che, alla fine.”
Misty sospira, mi prende la mano per stringerla.

“Non dire così. La città ci fa sembrare minuscoli, ma ogni gesto conta, te lo assicuro. Se non fossi rimasta accanto a Jackie ogni singolo giorno, si sarebbe già lasciato andare da un pezzo. E per Judy è lo stesso.”
Sospiro anche io, dondolando i piedi nel vuoto. È Night City che ci fa sentire immortali una sera d’estate e minuscoli il giorno dopo, nascosti in appartamenti piccoli come topaie, miserabili di fronte al caos. Una volta scese le scale di Judy, ho preso a calci una lattina per tutta la strada fino al punto in cui avevo parcheggiato la moto, poi sono scoppiata in lacrime, dove nessuno poteva vedermi. Non so nemmeno io per cosa piangessi, se per Judy, per Evelyn, per Jackie, o magari per me stessa. Non era facile capirlo.

“Sei una persona speciale, V. Sono così felice che tu non sia rimasta ad Atlanta.”

Sorseggio la NiCola senza dire nulla: mi limito a dare un colpetto alla spalla di Misty con la testa, per ringraziarla, e a lasciarla appoggiata lì, sul tessuto morbido della sua maglietta. Anche io sono felice di essere qui. Di non dover aspettare da sola che il peggio passi, nascosta dal mondo come una minuscola bambina invisibile.
 

*
 

“Mi ha invitato a Laguna Bend per un’immersione con lei, Jack. Un’immersione. Ti rendi conto?”

Di nuovo sul tetto, nel nostro posto segreto, ma stavolta con una cassa di birre ad alleggerire l’atmosfera. Jackie sta meglio rispetto all’ultima volta: ha imparato a controllare il Relic, come dice Vik, e con Johnny hanno raggiunto una sorta di accordo, secondo cui lui può mettere bocca nelle nostre missioni ma deve sparire quando lui e Misty trascorrono del tempo da soli. Ogni volta che Regina o Padre ci spediscono da qualche parte metto su Morro Rock Radio, e canto a squarciagola qualunque canzone dei SAMURAI passi. A Johnny fa piacere, mi ha detto. Non credeva che ci fosse ancora qualcuno in giro disposto a cantarle. E alla fine la mia voce non gli sembra nemmeno tanto male.

Lui sorride, mi affibbia il solito pugno che mi friziona i capelli. “Bueno, chica! Sapevo che avresti fatto colpo. E tu ovviamente hai accettato.”

“Certo!” e anche mentre confermo mi sembra così assurdo, troppo bello per essere vero. Judy ha invitato me a Laguna Bend. Il posto in cui è cresciuta. Le cose tra noi sembrano essersi spostate verso una direzione timidamente speranzosa, dopo tutte le ricerche, le giornate trascorse a piangere e ad inseguire piste, ed Evelyn…

Evelyn. Il suo ricordo mi blocca sul posto, mentre una morsa mi stringe la gola. La corsa disperata fino a casa di Judy che mi aveva chiamato in lacrime, il corpo insanguinato nella vasca… non so quante volte ho sognato quella scena. Quante volte ho sperato si trattasse di un incubo orribile, qualcosa che avremmo potuto cambiare solo volendolo… ma non esistono magie in grado di cancellare intere pagine di vita e sostituirle. Di quella sera mi torna solo in mente il dolore, e il modo in cui ho tenuto stretta Judy che singhiozzava sulla mia spalla. La desolazione. Il senso d’impotenza orribile, schiacciante.

Judy si è ripresa pian piano, ma c’è sempre qualcosa di scuro nei suoi occhi, un’ombra di tristezza che spunta fuori anche dopo la più fragorosa delle risate. Non può immaginare quanto la capisco.

“Ehi chica,” sussurra Jackie che, come al solito, sa perfettamente leggere nei miei pensieri. Mi prende il viso tra le mani per guardarmi negli occhi. “Non iniziare a pensare che Judy meriti di meglio, o qualcosa di simile. Judy merita te, tu meriti lei, e tutti noi ti vogliamo bene. Goditi la giornata, ok? E se vuoi parlarmi di Evelyn, sfogarti, sai che puoi farlo quando vuoi.”

Gli stampo un bacio sulla fronte. “Non volevo farti preoccupare. Con il Relic e tutto il resto, non potevo addossarti anche i miei, di problemi.”

“Oh, V… non sto così male, non tanto da non poterti aiutare,” sbuffa lui, affibbiandomi una pacca sul ginocchio. “Sì, il vecchio Silverhand è una rogna quando ci si mette, ma ehi, quante ne abbiamo passate? Ci vuole ben altro per spaccare questo guscio.” Ride, e il cuore mi si riempie di gioia: erano mesi che non lo sentivo così sereno. “Non potrei mai lasciare che la mia migliore amica soffra senza fare qualcosa al riguardo.”

Non lo merito davvero.

Rimaniamo per un attimo in silenzio, sorseggiando birra ghiacciata e osservando la città attorno a noi. La primavera è arrivata dopo mesi incerti di pioggia e vento incessante, e finalmente possiamo goderci qualche giornata di sole completo. Momenti rari, quasi spensierati: se chiudo gli occhi e mi concentro solo sul sapore della birra e sui rumori della strada, mi sembra di essere tornata ai primi tempi in cui ci siamo conosciuti, quando l’euforia di sentirmi finalmente parte di qualcosa di importante non lasciava spazio ad altro.

Se li riapro, tutto torna al presente, ma Jackie è al mio fianco.

“Misty mi ha consigliato di scrivere poesie quando mi sento triste,” confesso d’impulso, spezzando il silenzio che è calato tra noi. “E ci ho provato, anche se i risultati sono… beh, molto da me.” Frugo nella tasca del bomber e gli allungo un foglietto con una smorfia. “Tieni, giudica tu. Non so se vale la pena continuare.”
Jackie sorride, prende il foglio. Finisce di leggere e le sue labbra si allargano in un nuovo, ampio sorriso. “È bella, molto personale. Quando l’hai scritta?”
“Qualche giorno fa. All’inizio doveva essere solo su mia madre, poi è venuto fuori tutt’altro. Non le ho nemmeno dato un titolo,” spiego, rimettendola a posto in tasca. “Ogni volta che mi sento schiacciare da tutto, tiro fuori il quaderno e provo a scrivere qualcosa. Anche quando ho solo voglia di scappare, e sparire dove nessuno ha mai sentito parlare di me. Finora mi ha aiutata, più o meno.”

Lui si avvicina di nuovo. Mi appoggia un braccio sulle spalle e mi stringe a sé.

“Non dovrai più scappare, V. Te lo prometto. Ci siamo noi a coprirti le spalle.”
 

*
 
La strada per Laguna Bend è sgombra. Un venticello sottile ha preso a soffiare non appena siamo entrate in auto, accompagna la mia mano che dondola fuori dal finestrino, tracciando onde nell’aria. Il sole si muove agilmente tra le nuvole che ogni tanto lo coprono, ma non portano pioggia: dopo l’acquazzone di ieri, il cielo si è preso una pausa. Judy guida accanto a me, mormora la canzone che sta passando in radio. Mi è venuta a prendere stamattina a casa, alle nove: inutile dire che, quando mi ha mandato un messaggio per avvisarmi che stava arrivando, ero già sveglia da ore.

Nel bagagliaio del furgone ha infilato uno scatolone con l’attrezzatura per le immersioni. Non so cosa ci aspetta, ed è una mancanza di consapevolezza che mi spedisce un brivido delizioso lungo la spina dorsale. Ne avevo bisogno.

È una bella giornata.

Inspiro, espiro. Jackie ha ragione: devo solo pensare a divertirmi. Mi torna in mente la notte che ho trascorso a casa di Judy, qualche giorno fa, quando ha riunito me, Maiko, Roxanne e Tom per discutere sul piano del Clouds e poi mi ha chiesto se volessi restare a dormire, dato che le sembravo piuttosto stanca e non voleva che guidassi a notte fonda… quando ho aperto gli occhi la mattina dopo sul suo divano e ho trovato il messaggio che mi aveva lasciato insieme alla colazione. Quando ho capito che sarebbe stata lei l’unica, e che ormai ero innamorata e non potevo far nulla per oppormi a quel sentimento, anche se non ne avevo affatto l’intenzione…
“V,” esordisce lei, mentre è ancora concentrata sulla strada. “Forse so come aiutare Jackie.”
Il cuore mi salta in gola con tanta forza che, per un attimo, mi sento mancare il respiro.
 

*
 
Le parole di Judy continuano ad accompagnarmi mentre mi spoglio e indosso la muta da sub che ha portato per me, mentre mi siedo sul molo, persino mentre smuovo l’acqua sotto di me con un bastone, incantandomi a fissare le piccole onde create dal legno che si allargano. Forse conosco un modo per intervenire sul Relic. Mio nonno ha degli amici che sanno operare su tecnologie di quel genere, li ho conosciuti anche io e mi fido di lui… magari qualcuna potrebbe essere simile? Non so. Non pretendo di essere un’esperta, assolutamente, ma varrebbe la pena provare. Ovviamente solo se Jackie è d’accordo. Sai che farei di tutto per aiutarvi.

Le ho sfiorato la mano mentre parlava, trattenendo il fiato ogni volta che una parola mi lanciava un appiglio di speranza che non avrei mai pensato arrivasse. Come ha già fatto Panam, qualche giorno fa, quando mi ha offerto il suo aiuto, al termine di una missione nelle Badlands che ci aveva lasciate entrambe senza fiato e desiderose di una bella birra ghiacciata: quando sarà tutto finito, possiamo andarcene di qui e cercare una cura. Mitch può portarci da qualcuno che aiuterà Jackie. Quando l’ho detto a Misty è scoppiata a piangere, dopo settimane che non lo faceva, e dal modo in cui mi ha stretta ho capito che pensavamo la stessa cosa.

Esisteva una via. Un modo per non spegnere la speranza.  

Non ho ancora spiegato nulla a Jackie: mi ha categoricamente proibito di pensare a cose che potrebbero rovinarmi la giornata. Qualunque piano può aspettare il tuo ritorno, chica, mi ha ripetuto ieri sera quando sono uscita da casa sua. Eppure, sono così felice che non sono riuscita a trattenermi dall’inviargli una frase. Forse capirà al volo, forse la leggerà a poche ore dal mio ritorno e ne parleremo insieme, e riuniremo anche Misty e Vik e Mama per farli stare meglio.

Judy ha un’idea, Jack.

Basterà.
Lei sta sistemando qualcosa sul computer portatile, parametri e numeri che non capisco, ma mi basta lanciarle un’occhiata per capire che è felice. Mi ha appena sorriso, rivolgendomi un complimento casuale mentre infilavo la muta, che mi ha fatto arrossire da capo a piedi. Anche io mi sento più leggera: è la prima volta che riesco a guardare il cielo dopo mesi, a godermi il sole sulla schiena, la sensazione umida delle gocce d’acqua tra le dita, ogni possibile significato dietro a quel complimento, e lo devo solo a lei. E a Jackie, e a tutte le persone che stanno lasciando la loro traccia nella mia vita, e sono arrivate per restare.

Sai che farei di tutto per aiutarvi.

Forse mi sbagliavo, tempo fa: non è poi così male affidarsi alle persone giuste.
Judy si avvicina, mi porge il casco con un sorriso. L’acqua è scura, nuova e sconosciuta, mi spaventa e mi attrae allo stesso tempo, ma lei è vicina a me, mi tiene per mano, e questo mi basta.

“Sei pronta?”

Sorrido, e annuisco.

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Il prompt a cui mi sono ispirata per scrivere questa storia era "Jackie e V sopravvivono alla missione al Konpeki Plaza, ed è Jackie a ricevere il Relic invece di V": adoro i what if, l'idea di scrivere un Jackie ancora vivo era troppo preziosa per lasciarla andare, ed ecco il risultato finale. L'ho scritta in un periodo di breve ripresa dopo mesi di pare mentali e autosabotaggi, e sono felice sia uscita più o meno come me l'aspettavo... che non è mai scontato. 
La poesia iniziale invece faceva parte di un bonus della challenge, che riguardava lo scrivere una piccola poesia partendo da una parola a caso estratta da una pagina random di un libro random nella propria libreria. Non una delle mie migliori, ma decisamente nello stile di Sumire. 

Grazie ad Ailisea, perché dietro ogni mia storia c'è sempre il suo amore, e anche a te, lettore. Spero ti sia piaciuta, e che le avventure della mia V ti intrattengano almeno un po'!
Fede 

 
   
 
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