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Autore: time_wings    10/12/2021    2 recensioni
Atsumu, Hinata, Bokuto e Sakusa vivono insieme, da quando giocano nella stessa squadra.
Poco prima di Natale, Atsumu scopre per caso una lettera a Babbo Natale da parte di Shouyou.
Atsumu, che non prova assolutamente niente per lui, pensa bene di esaudire ogni suo desiderio. Lungo la strada, però, scorpirà di aver bisogno di una mano.
[Questa storia partecipa all'iniziativa "Calendario dell'avvento" indetta da Coraline sul forum "Ferisce la penna"]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsumu Miya, Kiyoomi Sakusa, Koutaro Bokuto, Osamu Miya, Shouyou Hinata
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Addestrare gli alligatori

 una commedia natalizia in quattro atti 








Antefatto dell’antefatto    
Novembre

Tuonò.
Per un attimo la terra tremò, mentre un borbottio si disegnava nel cielo, permeandone ogni angolo. Shouyou ascoltò il diluvio riversarsi sulla tettoia della fermata dell’autobus e osservò, con le gambe che penzolavano dal sediolino, la bicicletta rossa che aveva poggiato contro il vetro lì accanto.
Qualche goccia si diffuse anche all’interno del suo riparo, l’inclinazione della pioggia le permise di tratteggiare cammini a zig-zag sul telaio della bici, scivolando in percorsi imprevedibili verso le ruote e i pedali.
Poi il cielo trattenne il fiato per qualche secondo, nuvole nere combattevano una guerra cromatica contro le tinte ancor più scure del pomeriggio invernale, accalcandosi. Shouyou si raddrizzò sul sedile gelido della fermata e accarezzò l’idea di approfittare di quel sospiro tra le lacrime per correre a casa.
Un attimo dopo, il cielo si illuminò di bianco. Passò qualche secondo di silenzio, una sospensione del tempo tipica solo di qualcosa che sta per finire e anche molto velocemente. L’ennesimo tuono si diramò nella forma di un boato sulla città e l’entusiasmo di Shouyou si sgonfiò come un pallone sfortunato, conficcato nel ramo di un albero.

Incapace di starsene fermo ad aspettare che i fari rossi di un autobus bagnassero quell’angolo di mondo dimenticato da Dio, Hinata affondò una mano nel suo borsone, in cerca di un passatempo.
La puzza di indumenti sudati di vari tipi e dimensioni, per un attimo, superò l’odore di pioggia e asfalto della strada. Ma il naso di Shouyou era temprato da anni e anni di spogliatoi maschili ed era diventato come immune a questo genere di tanfi catastrofici. Ravanò nel borsone finché non raggiunse il fondo piatto della tasca superiore e tutto ciò che riuscì ad afferrare fu il nuovo programma degli allenamenti (individuali e di gruppo) dei suoi coinquilini.
Il retro del foglio, però, era immacolato. Si intravedeva la griglia di inchiostro sull’altra facciata, ma Shouyou la ignorò e afferrò la penna rossa che portava sempre in una delle tasche laterali del borsone. Aveva già fatto la lista della spesa, la lista delle cose che avrebbero fatto super arrabbiare Kageyama quando l’avrebbe rivisto e la lista dei videogiochi che avrebbe potuto regalare a Kenma per Natale (era una faccenda delicata e di vitale importanza, che richiedeva mesi e mesi di chiacchierate con l’amico e mezze informazioni a cui aggrapparsi). Hinata aveva iniziato a scrivere liste quando era in Brasile e non era un’abitudine che aveva portato lì in valigia o nel libretto in cui teneva i documenti. Era stata una di quelle abitudini che si sviluppavano con l’esperienza, quel genere di esperienza, però, che prima ti fotteva a puntino e poi ti costringeva a imparare qualcosa di nuovo.
Insomma, la disorganizzazione aveva portato Hinata a sviluppare quest’abitudine di stilare liste e i suoi coinquilini l’avevano sempre amata, per motivi diversi.
Così, finite tutte le liste della settimana, Shouyou ascoltò la pioggia che ticchettava incessante sulla tettoia e osservò un buio non bucato da alcun fanale della speranza schernirlo senza ritegno. Sfruttò la luce intermittente del led che ronzava alle sue spalle e pensò di scrivere una lista tutta per sé, piena di tutte quelle cose inverosimili che da bambino avrebbe creduto ragionevoli e che, in una realtà in cui anche un misero autobus si dava alla macchia, sembravano solo un modo stupido ma efficiente di passare il tempo divertendosi. Ridacchiando ogni volta che un’idea sempre più esilarante gli attraversava il cervello, Shouyou si mise a scrivere.
Anche perché, d’altro canto, che Shouyou Hinata fosse maturato era indubbio. Ma doveva necessariamente avere ancora qualche rotella fuori posto e qualche assenza non giustificata alle lezioni che la vita teneva sugli errori, perché non è che un po’ di pioggia e nessun autobus l’avrebbero dissuaso, la volta successiva, dal trattenersi in palestra altri dieci minuti.


 
Antefatto    
Dicembre, 3

“Ho capito, ma…”
“Ah!” lo zittì Sakusa. Aveva alzato un dito e lo stava premendo contro l’anta del frigorifero, ad almeno dieci centimetri da quello di Atsumu, che stava facendo la stessa cosa.
“Sì, però…”
“Non mi interessa” lo interruppe di nuovo lui, il tono calmo e misurato come se stesse discutendo di faccende importanti, il volto neutro e anzi, secondo il parere di Shouyou, anche un po’ abbattuto. Una flemma vivente, proprio un capolavoro di morfologia umana. “Ieri toccava a te. È scritto qua.”
“Omi, vedi come te lo di…” Atsumu fu interrotto nuovamente e Hinata si ficcò un biscotto in bocca per non ridere, perché altrimenti si sarebbero ricordati che c’era anche lui e Atsumu lo avrebbe costretto a fare il giudice di quella diatriba. Era un terreno spinoso, soprattutto nelle discussioni tra Atsumu e Sakusa, in cui il carico di irritazione e nervosismo era quello di una discussione comune, ma era ripartito disomogeneamente. Quindi in pratica Atsumu si innervosiva per due.
“Perché state indicando tutti il frigorifero?”
Gli inquilini al completo dell’appartamento 24 si osservarono a turno per qualche secondo di silenzio. Poi l’entrata in scena di Bokuto salvò Hinata, diede uno spunto ad Atsumu e procurò con ogni probabilità un ascesso a Sakusa, che non ce la faceva più.
“Bokkun, per fortuna ci sei tu” se lo stava palesemente comprando, ma Shouyou addentò la sua cannuccia e prese un sorso di succo. Atsumu non sollevò il dito dal frigorifero e a questo punto la questione era diventata avvincente quanto una partita a twister. “Vuoi dire a Omi che è uno squilibrato, per cortesia?”
Bokuto esitò. “Devo solo riferirglielo?”
“Sapevi benissimo a cosa andavi incontro.” Sakusa ignorò il potenziale disastro: Bokuto gli avrebbe ripetuto quello che diceva Atsumu e la conversazione sarebbe diventata non solo cretina, ma anche moltiplicata per due.
“No,” Atsumu sollevò un dito. “Questo è un cavillo burocratico. Qui il punto è un altro. Il punto è che tu lo fai solo perché ti diverti a vedermi soffrire.”
Passò un secondo di silenzio, poi, senza sollevare il dito dal frigorifero, Sakusa annuì. “Sì” si premurò anche di aggiungere. “Siamo troppi in questa stanza” decretò e – sacrilegio! – abbandonò frigorifero e cucina, ma soprattutto frigorifero.
“Ti voglio bene, Omi!” gli gridò dietro Atsumu.
“Va’ a farti fottere” giunse la voce di Sakusa dall’altra stanza.
“Penso a te ogni volta che succede!” In risposta, Atsumu ricevette il suono di una porta che sbatteva contro l’intelaiatura. Atsumu staccò violentemente il dito dal suo tabellone di twister personale, poi aprì l’anta del frigo e afferrò il suo stupido latte di mandorla (‘è buono per la pelle, Shouyou!’ informazione che aveva preso probabilmente dal giornalino del barbiere del 1956, nascosto sotto pile di altri giornalini identici). Bevve dal cartone e poi disse. “Io non lo faccio, comunque.”
Bokuto e Hinata si scambiarono un’occhiata rapida e significativa, una di quelle occhiate che solo due menti eccelse come le loro potevano centrare. Poi, con un movimento repentino e uno spostamento rumoroso e stridente di sedie e tavoli, afferrarono il pacco di biscotti e scapparono dalla cucina, lasciando Atsumu solo con le sue responsabilità.
 

La riunione alla tavola rotonda era andata così…
Atsumu era arrivato per ultimo e aveva dato solo un’occhiata al sovraffollamento di fogli sul ripiano. Si era portato l’asciugamano alla testa, perché era appena uscito dalla doccia e, ancora in accappatoio, si era silenziosamente allontanato da quel campo di battaglia.
“Siediti.”
Atsumu si era arrestato di colpo, colto in flagrante. Non è che Sakusa avesse chissà quale autorità in quella casa, perché altrimenti vivere sarebbe stato pressoché impossibile. Ad Atsumu piaceva pensare di essere lui il capo, ma era anche lucido abbastanza da riconoscere che, contro ogni aspettativa, quel capo era Bokuto.
Bokuto stroncava le discussioni sul nascere sfoderando una stronzata megagalattica, Bokuto si appioppava le partacce peggiori di Sakusa perché a volte prendeva i mirtilli dal cestino con le mani, Bokuto interrompeva a giorni alterni le sedute di meditazione di Hinata. Sempre Bokuto – il cielo solo sapeva come facesse a essere ancora vivo – metteva le mani nell’armadio di Atsumu e inventava motivi post-apocalittici per giustificarsi; così assurdi, in effetti, da bastare ad assolverlo, perché Atsumu era un bravissimo alzatore e sapeva che la creatività andava premiata.
In più Bokuto, una settimana prima, aveva accelerato i turni al bagno perché, mentre Atsumu ci faceva i funghi, aveva bussato insistentemente dicendo che doveva correre a fare cacca.
Insomma, il cavaliere della pace, in quell’ecosistema, era Bokuto. Anche se non lo faceva apposta. Questo per dire che Sakusa non aveva autorità in quella casa, ma, durante le riunioni alla tavola rotonda, la sua voce acquisiva una perentorietà che gli veniva concessa perché serviva ordine, in quei casi.
Atsumu dunque si era voltato lentamente e aveva sfoderato una faccia tosta che ormai non doveva neanche mettere più su: gli si era incollata ai connotati. “Sedermi dove?” aveva chiesto, ingenuo.
Shouyou era scoppiato a ridere e aveva arricciato il naso in quel modo che faceva venire ad Atsumu un’inspiegabile voglia di dire qualche altra fesseria e farglielo fare di nuovo. Forse perché comunque Shouyou gli era un sacco simpatico.
A ogni modo Sakusa aveva restituito a Hinata un’occhiataccia biblica e, poiché il fenomeno era raro, Atsumu aveva scambiato solo uno sguardo allarmato con Shouyou e aveva preso posto alla tavola rotonda senza più discutere, accappatoio e asciugamano compresi.

Dopo qualche secondo di riflessivo silenzio, Bokuto aveva allacciato le mani all’altezza della nuca e aveva spostato il peso della sua sedia sui due piedi posteriori, poi aveva inspirato forte attraverso i denti, in una smorfia sofferente. “Dobbiamo scrivere le lettere di auguri ai fan” aveva proclamato solenne e l’informazione ebbe come effetto immediato un coro di nooooo.
“Facciamo che le scrive solo uno di noi” aveva proposto Hinata dopo una serie di lamentele e battibecchi. Era accasciato sul tavolo e Atsumu l’avrebbe trovato teneramente buffo, se lo spettro delle lettere di auguri non gli avesse appesantito il cuore al punto di non essere sicuro di poterlo distinguere dalle palle.
Ogni anno la squadra regalava lettere di auguri ad alcuni dei loro sostenitori, scegliendoli totalmente a caso. Era una cosa carinissima che mandava curiosamente tutti in crisi.
“Sono individuali” gli aveva fatto notare Sakusa.
“E infatti nessuno saprà che è stato solo uno di noi a scriverle” aveva continuato Hinata e Atsumu era riuscito praticamente a vedere le rotelle di Sakusa iniziare ad arrovellarsi attorno a quell’idea.
“Va bene, va bene” Bokuto aveva sollevato entrambe le mani. Non in segno di resa, ma di prevenzione. “Però non potete farle fare a me con l’inganno.” Per qualche ragione davvero inspiegabile – che sorpresa, che offesa – Bokuto aveva guardato Atsumu.
“Allora c’è solo un modo di designare il designato” aveva ribattuto Atsumu, il tono solenne, “il metodo del grande stronzo.”
Sakusa, la vena sul collo che già partiva per l’esasperazione, aveva battuto le mani sul tavolo. “Ne abbiamo già uno.”
Atsumu lo aveva ignorato. “Il primo di noi che cede ha il compito di cagare il grande stronzo. Cioè deve scrivere le lettere per tutti. Vale qualunque giocata sporca.”
“Facciamolo con le faccende domestiche!” si era illuminato Shouyou, riferendosi al loro programma settimanale affisso sull’anta del frigorifero, “il primo che sgarra paga pegno.”
“Il grande stronzo” lo aveva corretto Atsumu.
Sakusa si era stretto nelle spalle. “Non facciamo prima a costringere Atsumu?”
“Guarda che io sono un coinquilino modello.”
“Ho trovato un tuo calzino nella mia camera” lo aveva informato Shouyou. 
“Sporco.”
“Ma da che parte stai?”
“Non voglio prooooooprio scrivere le letterine di Natale” si era difeso lui, “quindi dalla mia.”
“Okay ragazzi, però io non ho buttato l’immondizia, stasera.” Bokuto non apriva bocca da troppo, in effetti. “QUINDI VALE DA ADESSO!” aveva urlato, servendosi della tecnica universale sfondo-i-timpani-dei-nemici-come-diversivo, poi era scappato a recuperare i sacchi in cucina.
Ed ecco come si erano trovati, nella settimana successiva, a disporre tutto il materiale per le lettere sul tavolino in salotto, come monito. Una specie di trofeo, ma al rovescio. Si erano tesi trappole, avevano proposto attività succulente negli orari in cui uno di loro doveva lavare i piatti o raccogliere il bucato.
Poi, la sera precedente, Atsumu aveva avuto la sua sessione pomeridiana di allenamenti e, quando aveva messo piede in casa, aveva trovato Shouyou sul divano e ‘Love, actually’ in televisione.
Il suo sospiro di sorpresa aveva fatto voltare Hinata, che gli aveva sorriso. “Vuoi vederlo con me?”
Atsumu si era succhiato il labbro inferiore, tremendamente indeciso, gli occhi che esitavano in rapida successione tra il televisore e il viso di Shouyou. “Va bene, ma solo cinque minuti. Non puoi fregarmi, Shouyou, devo preparare il pranzo per domani, oppure…” aveva lasciato la frase a metà, buttando un occhio al materiale per le lettere di auguri sul tavolino.
Dopo questo momento di drammatica riflessione, Atsumu si era liberato di cappotto, sciarpa e cappello ed era atterrato con un salto sul divano proprio mentre Natalie si lasciava scappare una scia di parolacce davanti al primo ministro inglese.
C’erano due variabili che Atsumu non aveva considerato, quando aveva ceduto a quei cinque minuti. La prima era che era stanco morto, praticamente spiaccicato, e quel film l’aveva visto almeno un centinaio di volte. La seconda era che Shouyou era la creatura più talentuosa del mondo, quando si trattava di tendere trappole, perché era anche la più insospettabile. E lo sapevano tutti, il primo a scoprirlo era stato Kageyama con quella loro veloce strana e la faccenda dell’esca.
Quindi, in retrospettiva, non c’era troppo da stupirsi se Shouyou gli aveva conciliato il sonno, finendo per fargli i grattini dietro l’orecchio e sotto il mento.
E il resto era storia.
Atsumu, rimasto solo in cucina, sospirò sconfitto e, in tutta onestà, anche un po’ umiliato. Si era fatto fare fesso dall’unica persona che ormai non avrebbe mai potuto più fregarlo. Richiuse l’anta del frigo facendola sbattere, la gomma sui bordi attutì il rumore, ma non la forza, quindi qualche magnete si staccò dalla sua superficie e cadde a terra, trascinandosi dietro tutte le fotografie, i post-it e gli avvisi. Atsumu sbuffò e si piegò per rimettere a posto il disastro.
E poi lo vide.
Con i talismani a volte succede così: li si sfiora con lo sguardo e, anche senza alcuna finestra sul futuro, si scorgono l’energia e la potenza che emanano. Il fatto è che quello che era caduto non era un talismano e Atsumu non era l’eroe di una saga fantasy: era un povero idiota e sul pezzo di carta che era caduto a terra c’erano segnati gli orari dei loro allenamenti e, aggiunti a penna, gli appunti delle faccende domestiche di ognuno. Atsumu aveva quel foglio davanti agli occhi ogni giorno da un mese, l’unica differenza dalle condizioni abituali era che era voltato.
D’altronde, non si conosce quant’è diversa l’altra faccia della luna, se si continua a guardare sempre la stessa. Col tempo, ci si dimentica addirittura che ne abbia un’altra.
Atsumu ignorò gli altri magneti caduti (non aveva più doveri verso nessuno, ormai lo stronzo lo doveva cagare lui) e raccolse il programma, le sopracciglia aggrottate non tanto per la curiosità, ma perché la penna rossa si smetteva di usare più o meno in terza elementare.
 
La mia super mega letterina a Babbo Natale (serissima e confidenziale)
di Shouyou Hinata
Caro Babbo Natale, quest’anno ho vinto un saaaacco di partite, MA SOPRATTUTTO ho sopportato i miei coinquilini senza far loro del male. Quindi ho qualche richiesta insolita, ma sono certo che, con la tua capacità di fare fiuuum nel cielo di notte, sarai capace di soddisfarmi senza il minimo sforzo.
 
Atsumu lasciò scorrere lo sguardo sulle parole di Shouyou, sollevando un sopracciglio man mano che le richieste si facevano più creative.
“Oh, mio Dio” disse, perché non aveva scelta.
Una volta letto un desiderio, bisognava esaudirlo.
Gentili lettori, questa è la storia di come Atsumu Miya si trasformò in una fottuta stella cadente.
 


Atto primo    
Dicembre, 3

Atsumu attese che Shouyou se ne fosse andato e suonò il campanello rosso.
Ora, il campanello rosso era uno strumento sacro, in quella casa. Avevano cinque campanelli: rosso, giallo, arancio, verde e blu e ognuno suonava frequenze diverse e facilmente riconoscibili. Bokuto li aveva portati come souvenir da un viaggio sulle Alpi ed erano stati disposti in fila indiana su un mobile della cucina. Ne avevano uno a testa, per annunciare cose che avrebbero benissimo potuto annunciare a voce, ma che il campanello rendeva vagamente più lussuose. Quello rimanente era quello rosso e veniva usato per chiamare riunioni d’emergenza.
Se qualcuno suonava il campanello rosso, tutti correvano alla tavola rotonda. Era semplice.
“Se è di nuovo l’alligatore sul balcone, è il mocio” esordì Sakusa, esitando con la mano sullo schienale della sua sedia per assicurarsi che non fosse effettivamente il fatto dell’alligatore.
“Non è l’alligatore” lo rassicurò Atsumu, prendendo posto al tavolo con la letterina di Hinata tra le mani.
Sakusa diede un’occhiata al foglio di carta e sospirò esasperato. “Hai perso al tuo stupido gioco, nessuno ti grazierà.”
“E non puoi farlo fare a Hinata” Bokuto si unì alla conversazione con aria solenne. “E non si parla degli assenti alle loro spalle!”
“Le lettere di Natale non c’entrano niente” disse Atsumu, un po’ seccato. Poi voltò il programma perché la lettera di Shouyou si mostrasse in tutto il suo intruglio di follia e inchiostro rosso. “Anche se comunque non le farò mai.”
Sakusa e Bokuto esaminarono il contenuto del messaggio per qualche secondo. Atsumu trovò la scena esilarante perché, per leggere, Bokuto aveva dimenticato qualunque confine dello spazio personale di Sakusa che, di contro, si allontanava nella direzione opposta senza staccare gli occhi dal foglio. Sembravano due fili d’erba nella traiettoria di una folata di vento.
“A me sembra uno scherzo” commentò Bokuto.
“Che dovremmo fare?” domandò invece Sakusa.
“Be’, facciamo Babbo Natale!”
La proposta di Atsumu fu accolta da zero applausi e due sguardi scettici. In generale, era abituato a tutt’altro tipo di pubblico.
“Tu davvero sei disposto a fare questa roba?”
“Non lo so, Tsum Tsum” intervenne Bokuto, gli occhi si soffermarono ancora sul foglio. “A me sembra un po’ estremo.”
Per un attimo, Atsumu considerò l’opinione di Bokuto. Se qualcosa era estrema addirittura per lui…
Scosse la testa e picchiettò il dito sul foglio. “Dobbiamo assolutamente farlo.”
“Be’, puoi farlo tu, eh, nessuno ti ferma” Sakusa si strinse nelle spalle. “Magari è la volta buona che ci riesci.”
Atsumu aggrottò la fronte. “Che vuoi dire?”
“Intende che tu e Shouyou…”
Atsumu rise. Era uno di quei suoni imbarazzanti che sanno fare i bugiardi. “Questa è una cazzata.”
“Hai letteralmente perso al tuo inutile gioco perché Hinata ti ha fatto i grattini.”
“Mi rilassano.”
“L’altra sera gli hai spostato la sedia a cena” fornì Bokuto, come altro esempio. Aveva sempre quest’aria di dispiaciuta confessione, come se dimostrare di aver capito un concetto lo rendesse automaticamente alla portata di tutti.
“Ero galante. Lo stavo prendendo in giro!”
“Due giorni fa gli hai detto che se avesse voluto un bagno gliel’avresti preparato tu.”
“Mi stavo lavando i denti, non mi costava niente.”
Bokuto sollevò un sopracciglio.
“È il mio schiacciatore!” si difese Atsumu, gli occhi sgranati e i palmi delle mani rivolti verso l’alto.
“Lo siamo anche noi” gli fece notare Sakusa, che sembrava sinceramente (e odiosamente) stanco di quel teatrino.
“Sì, ma tu sei uno stronzo e, Bokuto, devi ammettere che tu fai un po’ schifo, usi sempre lo stesso asciugamano.” Passò qualche attimo di silenzio perplesso, poi Atsumu si riappropriò della letterina di Hinata e balzò in piedi, dirigendosi verso la sua camera. “Fate come vi pare, mi aiuterete comunque” disse, poi sbatté la porta forte contro la cornice.
Bokuto sospirò. “Ci serve un nuovo programma settimanale.”

 
Dicembre, 7

Atsumu guardò la punta delle dita di Bokuto sfiorare il pallone e limitarsi ad aumentarne la velocità di rotazione. Aggrottò la fronte e, meno di un attimo dopo, intercettò lo sguardo di Bokuto solo per guardarlo male.
Aaaah” lui abbandonò la testa all’indietro in quella maniera rapida e completa che lasciava a tutti il dubbio che si fosse spezzato il collo. “Troppo veloce.”
Atsumu scrollò le spalle e scosse la testa. Non era affatto troppo veloce. Contrariamente al suo carattere, le sue alzate erano facili. Quello era un insulto bello e buono.
Bokuto si morse il labbro inferiore, pensieroso. Atsumu gli dava le spalle, ma lo sentì inspirare per aprire bocca, quindi si voltò di nuovo e disse soltanto: “un’altra.”
Quello era, con ogni probabilità, uno dei motivi per cui la squadra funzionava. Più o meno all’inizio della loro conoscenza, quando Atsumu era ancora ‘quello antipatico’ e Bokuto ‘quello pazzo’, Atsumu gli aveva detto, alla prima occasione utile, qualcosa sul filo di: ‘Non ti trascinerò in campo come quello scoppiato con cui giocavi al liceo. Se non sei affidabile, posso alzare a qualcuno più utile di te’. 
Oltre a gestire i suoi repentini sbalzi d’umore, Bokuto aveva imparato che ad alti livelli tutti i giocatori, che fossero con o contro di lui, erano a loro modo fuori come balconi. Spesso, non affacciavano neanche sullo stesso cortile e quindi bisognava adattarsi. Di contro, col tempo Bokuto aveva anche imparato che se Atsumu era nervoso, in allenamento diventava uno stronzo del cazzo, quindi niente di nuovo sotto la luna crescente pomeridiana.
“Ma perché sei nervoso? A me sembra una cosa normale.”
Atsumu sospirò, perché se Bokuto considerava una cosa normale, il problema c’era ed era di proporzioni elefantiache. Le probabilità che quella cosa fosse l’esatto opposto di normale, adesso,  non erano neanche vere probabilità, ma certezze.
La ‘cosa normale’ acquistò concretezza verso la fine degli allenamenti, quando qualche pallone si attardava ancora a mezz’aria, accontentando i ritardatari. Atsumu si avvicinò a Hinata e prese un sorso d’acqua, intercettando, per un secondo, la direzione del suo sguardo, perso nei pensieri inaccessibili in cui si rinchiudeva quando nelle sue iridi si rifletteva un campo e una rete tesa in mezzo.
“Shouyou” lo chiamò leggero, la cosa normale incombeva su di lui. Shouyou si voltò a guardarlo come se distrarlo dalla sua concentrazione l’avesse più che altro riportato sulla Terra. Atsumu si passò una mano nei capelli per un look di disinvolta eleganza. Correzione: si passò una mano nei capelli perché era uno sfigato ed era spacciato. “Stasera sei libero?” domandò, leggero di nuovo. E, poiché meno per meno faceva più, due leggerezze facevano un nervosismo. Comunque le percezioni socio-emotive di Shouyou facevano pena alle carpe, quindi non se ne accorse.
“Stasera?” ci pensò su. Atsumu trovava che tutto questo passare in rassegna i suoi impegni serali fosse a dir poco tenero nella sua genuinità: Atsumu aveva controllato il suo programma, sapeva che quella sera non aveva nulla da fare. “Sì, sono libero!” gli sorrise.
“Fantastico, allora non prendere impegni” sollevò le sopracciglia, a metà tra sfida e qualcos’altro. “Dobbiamo fare una cosa.”
Shouyou spalancò gli occhi. Forse la sua visione era addirittura grandangolare. “Solo io e te?”
Paradossalmente, l’ingenuità apparente con cui Hinata si lasciava andare a questi doppi sensi, li rendeva notevolmente più marcati. Atsumu percepì una specie di inspiegabile classe intera di zumba che ballava nel suo stomaco, poi si risolse a stare al gioco. Sollevò e abbassò le sopracciglia, con fare allusivo. “Solo io e te.”
Shouyou abbassò lo sguardo e ridacchiò, poi tornò a guardarlo. “Va bene per me.”
 

Faceva un freddo bestiale. Atsumu guardò Shouyou affondare il viso nella sciarpa. I lampioni gettavano luci gialle che si fondevano tra loro sui bordi, in una scia che faceva da corridoio tra i palazzi. L’aria era gelida, ma a Natale ad Atsumu sembrava che piovesse sempre uno scampanellio, che da qualche parte, lungo la direzione da cui proveniva il vento, ci fossero un camino e una cioccolata calda.
Dunque faceva un freddo bestiale, ma poi i ragazzi svoltarono l’angolo e Atsumu si voltò in tempo per non perdersi Shouyou che spalancava occhi e bocca dalla sorpresa. Sputacchiò qualche insensatezza prima di risintonizzarsi su un linguaggio umano da cui comunque, la maggior parte delle volte, era avulso. “Come facevi a saperlo?!” domandò sconcertato quando ‘le tre O’ gli si parò davanti in tutto il suo intrico di rampicanti e lampadine a bulbo.

1.  Una cena da ‘le tre O’, perché fanno la bistecca

Atsumu non sapeva esattamente cosa avesse questo ristorante in più agli altri, tranne forse l’anacronismo dell’arredamento in una città che aveva abbandonato piante e lampadine per tecnologie avanzatissime e luci a led. In ogni caso non si era fatto troppe domande perché, leggendo il resto della letterina di Hinata, la particolarità della prima richiesta non era mai stata neanche presa in considerazione, oscurata dalle assurdità successive.
Entrarono nel ristorante e una ragazza, con aria di attenta informalità, gli chiese il cognome. Atsumu godette per un attimo di quel sapore di successo che prenotare a proprio nome doveva dare alle persone importanti. Ora, lui amava considerarsi una persona importante, nel senso di VIP, perché dimostrava a Osamu che lui era il gemello felice e, sull’imprevedibile scacchiera della vita, gli dava l’idea di stare per dire ‘scacco’. Ma la verità era che Atsumu Miya era un coglione e forse un giorno sarebbe stato quello a renderlo famoso.
La ragazza li condusse a un tavolo che dava sulla città, Shouyou guardò giù il tempo di sedersi, poi si strinse nelle spalle e gli sorrise come se l’avessero appena fatta franca. Sullo sfondo, un intruglio di piante faceva da appoggio a luci di ogni forma e tipo. Bagnato da quello che doveva costituire i tre quarti dell’inquinamento luminoso sul pianeta, Shouyou sembrava… soffice. Atsumu fece questo pensiero, lo elaborò e poi si diede del cretino, perché non aveva assolutamente senso.
“Oh, mio Dio” disse Hinata chiudendo gli occhi quando, un quarto d’ora dopo, gli arrivò una fetta di carne che era due volte e mezzo la sua faccia.
Atsumu annuì, masticando la forchettata che gli aveva appena rubato. “Una delle tre O sta per orgasmo?”
“Tutte e tre.”
“Buon per loro” Shouyou rise e la rotazione della Terra si incagliò un attimo sul suo asse. Atsumu sorrise di rimando. Non sapeva neanche perché quel pomeriggio era stato nervoso. Aveva passato tonnellate di tempo da solo con Shouyou. Anzi, erano usciti un sacco di volte. Due giorni prima erano andati a prendere il pane, per esempio!
Forse era stato l’altruismo, ad agitarlo a quel modo. Una vita intera a essere egoisti doveva essere entrata in conflitto con una lista di desideri da esaudire disinteressatamente.
Era stato sicuramente l’altruismo.
La cena proseguì senza eventi rilevanti, se non si contavano Shouyou che rovesciava il bicchiere d’acqua sulla tovaglia, lo sferragliare assordante delle forchette di Atsumu, quando erano volate via, e le luci che si accendevano nella città, lucciole in un bosco di cemento armato. Forse erano stati un po’ rumorosi, con l’aria di due sempliciotti che scoprivano il lusso, ma ad Atsumu non importò troppo cosa pensavano di lui, anche perché di uno come lui si poteva pensare solo che fosse scandalosamente affascinante.
Il problema, ad ogni modo, arrivò quando un’altra ragazza vestita elegantemente casual (le tre O stavano certamente per Oce Ola Otiriamo, secondo il non modesto parere di Atsumu) portò loro un dessert. Il fatto era in sé già assai insolito, perché nessuno dei due aveva ordinato un dessert. Ma poi soprattutto uno. Bruciavano duecento miliardi di calorie al giorno, cosa se ne facevano di un dessert?
“Offre la casa” disse la ragazza con un sorriso, poi sparì prima che potesse chiederle perché la casa fosse così generosa.
“Secondo te ci ha riconosciuti?”
Shouyou, che non aveva fatto complimenti e aveva affondato senza pensieri il cucchiaino in quella specie di budino, lo guardò per un attimo e poi cercò di nascondere un sorriso. “Ma chi ti credi di essere?”
“Il migliore?” Non era una domanda, era una modesta ammissione di superiorità.
“Al massimo riconosce me.”
Atsumu aspettò che Shouyou avesse finito di spazzolare tutto il topping al caramello e immerse il suo cucchiaino nella parte di budino più pulita. Gli faceva sinceramente schifo il caramello e Shouyou lo sapeva. Anche per questo Atsumu trovava che fosse carino passare del tempo con lui: non aveva bisogno di dirglielo. “Per tutte le giocate da incosciente che ci fai fare senza avvertirmi.”
Atsumu mentiva spudoratamente, perché le amava. Shouyou assottigliò gli occhi mentre lui succhiava via soddisfatto il budino dal cucchiaio.
“Comunque l’ha fatto perché crede che stiamo insieme.”
Atsumu rischiò di soffocare col budino.
“Lo fanno sempre con le coppie. Avevano anche disegnato un cuore col caramello, non l’hai visto?”
Shouyou lo studiò perplesso e Atsumu riguadagnò compostezza, perché comunque meglio morire con stile che vivere da sfigati. “Mi fa schifo il caramello” disse poi, perché in quanto ad abilità oratoria era un vero maestro.
“Lo so” si limitò a ribattere Hinata, continuando a guardarlo come se si fosse aspettato qualcosa da lui.
Atsumu prese un’altra cucchiaiata e si avvicinò. “Secondo te se ti chiedo di sposarmi ci offrono la cena?” Per tutti gli dei, i santi, gli animali sacri che la razza umana avesse mai adorato sulla Terra, Atsumu non seppe perché gli fosse venuto in mente di guardarlo negli occhi e chiederglielo come se, più che una sfida, fosse stata un’elaborata tecnica seduttiva.
“Sì! Sicuramente!” Shouyou sgranò gli occhi con fare cospiratorio e, in una frazione di secondo, distrusse quell’aria densa che si era creata tra i loro sguardi e che Atsumu riusciva a percepire solo adesso che non c’era più.
Prima che potesse venire a capo dell’arcano, uno stridio di sedie e piatti alle sue spalle lo costrinse a voltarsi.
Ovviamente (che era una delle tre O) un tizio si era appena inginocchiato e Atsumu riuscì a udire a stento un ‘mi vuoi sposare?’ sussurrato. La ragazza che era con lui annuì e si portò le mani alla bocca, un gesto che facevano sempre tutti e che ad Atsumu pareva un po’ cretino.
“NON CI CREDO!” Forse l’aveva detto Shouyou, forse l’aveva detto lui, forse l’avevano detto entrambi.
Gli avevano appena rubato l’idea! Più o meno, a dire il vero, perché poi il signore allungò una mano nella tasca della giacca appoggiata allo schienale della sedia e ne tirò fuori un cofanetto con un anello dentro. Atsumu era certo, però, che con un pizzico di organizzazione in più avrebbe potuto mettere in piedi una messinscena simile senza dover necessariamente sposare nessuno.
Ad ogni modo quando si girò per ripetere a Shouyou che non ci credeva!, trovò il budino finito. “Sul serio?”
Hinata scrollò le spalle. “Hai detto che ti fa schifo il caramello.”
Era vero.
“Oleviamo il disturbo?”
Shouyou, che si stava servendo del cucchiaino a mo’ di paletta per raccogliere i rimasugli di budino, alzò la testa e trattenne una risata nel naso. “Oleviamo il disturbo” convenne e abbandonò quella che ormai era diventata la sua spatola.
Quando furono usciti a suon di parole che forzavano a cominciare per O, Shouyou accelerò il passo e prese a camminare al contrario, per guardare Atsumu in faccia. “Come sapevi che volevo andarci?”
Atsumu guardò i fari delle auto che sfrecciavano alla loro destra illuminare il viso di Shouyou a intermittenza. Per un attimo brevissimo, non fu certo di voler mentire. Poi si ricordò che si chiamava Atsumu Miya e ritrovò la ragione. “Ti ho sentito parlarne con…” finse di aggrapparsi a un ricordo che gli sfuggiva.
“Con Kenma!” intervenne Hinata.
Atsumu schioccò le dita e lo indicò. “Con lui.”
“E perché mi ci hai portato?”
Atsumu si strinse nelle spalle e Shouyou tornò a condividere il passo con lui. “Perché mi andava.”
Atsumu Miya era un esperto di palle. Bugie o pallavolo, non faceva differenza. Quindi, visto che era un esperto, seppe di star mentendo. Ciò che lo tenne sveglio quella notte (notte è un po’ esagerato, forse un paio d’ore) fu che non sapeva perché.
 


Atto secondo    
Dicembre, 13

La condensa si spandeva in nuvole irregolari e si appiccicava alle mattonelle del bagno, scivolando poi verso il basso.
Bokuto osservò il suo riflesso sfumato con aria assente.
Quando la porta del bagno si aprì con uno schianto, il suo sguardo non vacillò. Lo specchio inquadrò un nuovo arrivato. Atsumu guardò prima il riflesso di Bokuto, poi il vero Bokuto, poi di nuovo il suo riflesso in un flipper che doveva sicuro servire ad assicurarsi che le due immagini fossero coerenti l’una con l’altra.
“Ma che diavolo stai facendo?”
Bokuto sbatté le palpebre un paio di volte, poi aggrottò la fronte. “Che vuoi dire? Se lo fa Hinata va bene, se lo faccio io no?”
“Ma Shouyou medita. Entra in contatto col papa o chissà chi.”
I ragazzi iniziarono a comunicare tramite i loro riflessi. “Col papa?”
Atsumu scrollò le spalle, come a dire che le corrispondenze spirituali di Hinata non erano affar suo. “Mi serve una mano.”
Bokuto acchiappò un altro asciugamano da un gancio e prese ad asciugarsi le ascelle. “Che devi fare?”
Atsumu pescò un foglio ripiegato più volte e su traiettorie diverse da una tasca e lo voltò perché Bokuto potesse leggerlo.
Numero due. Visitare casa tua in Lapponia… Tua? Tsum Tsum, noi non viviamo in Lapponia” gli fece notare, scuotendo la testa.
“Non ancora.”
Un leggero bussare alla porta annunciò un nuovo arrivato. A dire il vero il nuovo arrivato bussò e poi entrò, il che equivaleva a non bussare affatto. Sakusa mise la testa all’interno del bagno. Quello che vide fu Atsumu con quel maledetto foglio in mano, Bokuto a torso nudo e un asciugamano sui fianchi e un paio di mutande abbandonate nell’angolo, a sinistra del lavandino. I ragazzi si guardarono per quattro secondi di lenta elaborazione dati, poi la testa di Sakusa scomparve veloce com’era entrata.
“No, Omi, ASPETTA!” Atsumu si lanciò verso la porta e la spalancò, rivelando un coinquilino perplesso, spaventato e un po’ scazzato contemporaneamente. Era come una fusione delle tre personalità dominanti di Sakusa. C’era da restare scioccati… e anche da rimanerci secchi.
“Credo che Tsumu sia un po’ confuso sul nostro domicilio” intervenne Bokuto. “E che la questione della sua cotta imbarazzante sia fuori controllo.”
“L’ultima cosa che voglio fare è parlare della sua cotta imbarazzante.” Sakusa tentò di sgusciare via dalla conversazione, ma Atsumu gli poggiò un braccio sulle spalle. Lui si fece piccolo piccolo, pareva che potesse disidratarsi come una mela e rendersi facilmente approssimabile a dimensioni filiformi.
“Io sto mantenendo vivo lo spirito del Natale” si difese Atsumu, ignorando i tentativi di Sakusa di sottrarsi al suo braccio. “E voi sarete i miei elfi.”
Gli elfi di Atsumu superavano il metro e ottanta, ma era il pensiero che contava.
“Non è che se lui ha problemi sentimentali noi dobbiamo sorbirceli” puntualizzò Sakusa, ma le sue proteste rimasero inascoltate.

 
Dicembre, 14

Shouyou infilò la chiave nella toppa, concentrato al massimo e con le labbra screpolate ridotte a una fessura, già pregustando il calduccio di casa e la tisana alle erbe che lo aspettava assieme a una coperta. Non era molto nel suo stile, ma faceva freddissimo. Così freddo, invero, che aveva le dita ridotte a dieci ghiaccioli ed ecco perché girare le chiavi nella serratura era diventato un compito tanto arduo.
Quando finalmente ci riuscì, sorrise soddisfatto e spinse l’uscio in avanti.
Quello che trovò quando mise piede in casa fu tutt’altro che coerente col suo grande piano di riacquisizione di una temperatura corporea ragionevole. Le finestre erano spalancate, tutte, facendo penetrare il gelo dall’esterno, il pavimento era ricoperto di tessuti bianchi che variavano da magliette ad asciugamani a vecchio polistirolo da imballaggio. Il divano era stato spostato in un angolo e coperto di scatole di cereali e cibi precotti vuote e adornate, per qualche ragione, da fiocchi.
Sul lato opposto del salotto, dove la stanza si fondeva a un piccolo corridoio che metteva in comunicazione le loro stanze, Atsumu era seduto sui calcagni e stava montando l’estremità inferiore di un albero di Natale di plastica. Quando si accorse della porta che sbatteva, si voltò a guardarlo e gli sorrise come se avesse voluto in parte sfotterlo, in parte sfidarlo, il che era curioso visto che quello col cappello di Babbo Natale indosso era lui. Shouyou era sicuro che fosse stato qualcun altro a piazzarglielo in testa mentre aveva le mani impegnate, perché pendeva da un lato e perché gli faceva spuntare alcuni ciuffi di capelli in direzioni non troppo gentili. Invece di salutarlo, Atsumu puntò l’indice verso l’alto.
Shouyou seguì il suggerimento e notò, appuntato alle tende della finestra, uno striscione che recitava: ‘Benvenuti in Lapponia’.
“Abbiamo una renna” sentenziò Atsumu.
Prima che Hinata potesse chiedergli perché, Bokuto si fiondò nella stanza correndo, poi si arrestò di colpo e allargò le braccia. “OH-OH-OH!” gridò e Shouyou notò che il suo costume da renna era composto da un cerchietto con i palchi e un naso rosso.
“Quella non è una renna” lo rimproverò Atsumu, scuotendo la testa confuso.
“Certo che sì.”
“Quale renna fa Oh-oh-oh?”
Bokuto fu sul punto di ribattere, poi scosse la testa. “Senti, la renna sei tu o sono io?”
“Posso fare la renna anch’io?” domandò Shouyou, gli occhi grandi di speranza.
“Basta che non fai Oh-oh-oh.”
Bokuto gli porse un altro cerchietto, Hinata se lo mise in testa alla velocità della luce e fece una smorfia che secondo lui si addiceva molto alle renne. Atsumu lo guardò, pollice e indice destri esitarono per un secondo attorno a una vite della base dell’albero, poi scosse la testa e si voltò a montare quell’inferno.
Shouyou lo osservò, di spalle, armeggiare con oggetti strani. Aveva sempre un che di elegante, quando si muoveva, una specie di fluida formalità. Si riscosse, perché Bokuto era lì davanti. “Le cose bianche a terra sono la neve?”
Bokuto annuì. “E il divano è la slitta.”
Ovviamente.
“Facciamo l’angelo?”
Hinata scrollò le spalle e si fiondò a terra assieme a Bokuto.
“Omi!” Atsumu gridò, dopo qualche minuto di mormorii arrabbiati, alzando la testa verso il soffitto in attesa, come se invece che il suo coinquilino stesse evocando uno spirito. “OMI!” riprovò dopo un attimo, testando il limite delle sue corde vocali.
“Ma che vuoi?” urlò di rimando una voce oltre la porta della camera di Sakusa.
“Vieni un attimo? Non riesco a metterlo nel buco.”
Atsumu si riferiva al pilastro centrale dell’albero, che non riusciva ad avvitare nel foro alla base. Hinata e Bokuto scoppiarono a ridere comunque. Contrariamente a quanto si potesse pensare, Sakusa rispondeva a due richiami: gli umani bisogni fisiologici e la possibilità succulenta di farsi beffe di Atsumu Miya. Nel suo caso, a dire il vero, il richiamo era uno, perché sfottere Atsumu era un bisogno fisiologico.
Quindi Sakusa spuntò dalla sua stanza con una faccia disgustata (in realtà ribolliva di soddisfazione, Shouyou lo sapeva). Valutò la situazione con una rapida occhiata e il risultato fu che sembrava già esausto. “Ti avevo detto che non volevo essere coinvolto.”
“Stiamo trasformando la casa nel fottuto villaggio di Babbo Natale, non puoi non essere coinvolto.” Atsumu sferragliò un altro po’ con il tronco dell’albero e delle viti, poi lo lanciò da parte, nervoso.
“Perché non ti fai aiutare da Hinata, allora?”
Atsumu gli puntò un cacciavite contro (non serviva un cacciavite, nessuno aveva capito perché ne avesse uno). “Omi, io ti rovino.”
Prima che Sakusa potesse ribattere, la porta di casa si aprì di nuovo. “‘Tsumu, ho degli avanzi di…”
Osamu aveva le chiavi di casa. Era stata una tematica molto dibattuta, a suo tempo, tanto che aveva richiesto un meeting di livello campanello-rosso, ma alla fine Atsumu l’aveva spuntata, perché Sakusa era stato l’unico in disaccordo. Hinata ne era molto felice, perché Osamu gli stava suuuper simpatico e perché nove volte su dieci si presentava a casa con qualcosa di buono. Ad ogni modo Osamu sentì il gelo, vide gli angeli nella neve di cotone, suo fratello col cacciavite e lo striscione che gli dava il benvenuto in Lapponia, quindi annuì.
“Va bene, torno quando vi sarà passata.”
Atsumu non si voltò neanche verso la porta, ma sollevò la mano con cui reggeva il cacciavite. “Lascia qua gli avanzi.”
Osamu scrollò le spalle, abbandonò un sacchetto sul davanzale che separava l’ingresso dal soggiorno e se ne andò.
 


Atto terzo    
Dicembre, 15

Atsumu calciò un cuscino all’estremità inferiore del letto e si ribaltò per poggiarvi sopra la testa. “‘Samu, ma tu lo sapevi che mi piace Shouyou?” sussurrò al telefono. Da quell’angolazione, se guardava fuori dalla finestra, poteva vedere nient’altro che cielo. Nuvole borbottanti si mossero su uno sfondo grigio.
“Sì, tu?”
Atsumu chiuse un occhio. “No. Secondo te gli piaccio?”
“Nostalgia della terza elementare?”
“Dico sul serio.”
“Anch’io. Chi diamine parla così?”
“Una settimana e mezzo fa siamo andati a un ristorante super costoso da soli e…”
“No, no, assolutamente no” disse Osamu, poi la linea scattò e Atsumu fu ricompensato con un sonoro e fallimentare tu tu tu.
Sbuffò e si mise a sedere, guardando il cellulare come se il torto gliel’avesse fatto lui.
Senza perdere un attimo, ritrovò il contatto di Osamu e richiamò. “Hai detto che eri in pausa” lo attaccò, saltando i convenevoli.
“Appunto, sono in pausa. Voglio godermela.”
Atsumu alzò gli occhi al cielo. “Sto cercando di avere una conversazione da gemello a gemello. È una connessione intergalattica, ‘Samu, non puoi sottrarti.”
“Sì, invece, guarda.”
Atsumu percepì già la seconda chiusura in faccia in dieci secondi, quindi corse ai ripari. “No, no, aspetta, devo farti una domanda seria.”
“Se vuoi di nuovo chiedermi se posso cucinare un alligatore…”
“No, non c’entra l’alligatore. Tu l’hai mai decorato qualche dolce?”
“Ma sei scemo?”
“Mi vuoi aiutare a dipingere un quadro?”

 
Dicembre, 17

A Sakusa non piaceva questa divisione netta tra elfi natalizi e grinch. Le persone erano sempre sfumature, sbavature, assemblamenti di infiniti pezzi finché non arrivava il Natale. Il Natale ti doveva piacere o ti doveva fare schifo. Non potevano esistere vie di mezzo, apparentemente.
Non aveva senso. A Sakusa semplicemente non importava un accidenti.
Questo per dire che Atsumu Miya il Natale glielo stava facendo odiare.
Il martedì Osamu chiudeva sempre prima. La clientela, per qualche ragione, non era particolarmente attiva in quelle sere e, dopo vari calcoli, Osamu aveva scoperto che faceva meglio a rimanere chiuso. Quindi quella sera Sakusa, Bokuto e i gemelli si erano tutti rintanati nel ristorante, la luce tenue dei lampioni all’esterno gettava fasci caldi sui vetri e un lampadario di metallo era rimasto acceso al di sopra del loro tavolo.
Su di esso, al posto di un bel piatto di Onigiri purtroppo c’era una tela 40x50. Atsumu ci schiaffeggiò sopra il pezzo di carta che Sakusa aveva imparato a odiare.

 
3.  Avere in casa un quadro famoso
 
“Non ho mai visto Hinata andare a una mostra in tutta la sua vita” protestò Sakusa.
“E comunque se lo facciamo noi non è un quadro famoso” gli diede man forte Osamu.
“Sulla letterina c’è scritto che vuole un quadro famoso, non che vuole un originale” fornì come risposta Bokuto.
La luce calda della lampada illuminò lo sconcerto dei tre ragazzi restanti.
“Che c’è?” chiese lui.
“Quello che hai detto ha stranamente senso” disse Atsumu, poi si riscosse dall’intorpidimento che l’intelligenza di Bokuto aveva causato in lui e si liberò della lettera a Babbo Natale di Shouyou, sostituendola con una manciata di pennelli e acrilico. “Facciamo la Notte Stellata” li informò deciso, poi, impugnando un pennello come se fosse stato un gladio.
Sakusa sollevò un sopracciglio. “È l’unico quadro che conosci, non è vero?”
“Sì.”

 
Rincasarono verso mezzanotte. Bokuto e Atsumu avevano trasportato il quadro senza il minimo garbo e avevano rischiato di farlo arrivare a casa con la possibilità di poterlo spacciare solo per un’opera di Fontana. Sempre un quadro famoso, ma non quello che avevano in mente.
Lo affissero a un chiodo che Atsumu aveva piantato in precedenza (la prima e ultima cosa intelligente che avesse mai fatto fuori da un campo) e si ritirarono ognuno nella propria stanza.
La realizzazione dell’opera aveva avuto un esito imprevisto, ma logico. Sakusa aveva iniziato a fare le cose per bene. Ogni pennellata sembrava essere diventata una questione di principio, un punto da dimostrare. Atsumu e Bokuto spennellavano a più non posso, disegnando cazzi blu sulla tela prima di coprire il misfatto con altre pennellate, sghignazzando. Osamu, con sorpresa di Atsumu (perché solo nella sua testa aver decorato qualche cupcake equivaleva a essere un astro nascente della pittura nazionale), si era rivelato un incapace e Sakusa si era spazientito più o meno sette secondi dopo l’inizio dell’opera, convinto che, se si faceva una cosa, tanto valeva farla bene.
Aveva finito per rimediare agli errori di tutti. Non era un artista, ma almeno lui si era impegnato.
Il quadro era venuto fuori decentemente… per gli standard di un ragazzino delle medie costretto a dipingere un quadro in un’ora di lezione di arte. Tutto questo finire senza finire davvero, possibilmente, era stata la cosa che aveva fatto saltare i nervi di Sakusa.
La mattina successiva, quando Shouyou si svegliò, più o meno insieme a un impiegato stressato a Sydney, vide quella creatura ignobile. Si guardò intorno spaesato, come se qualcuno gliel’avesse appesa un attimo prima proprio sotto il naso, poi rise tra sé e andò a fare colazione.


 
Atto quarto    
Dicembre, 23

“Il sole di Rio gli ha dato alla testa” commentò Osamu. Atsumu avrebbe voluto difendere Shouyou, dire a suo fratello che il pazzo era lui, ma non poteva.
L’ultimo desiderio sulla letterina era incomprensibile. Così assurdo, in verità, che sembrava un gioco di parole tradotto male da un
altra lingua.
Sakusa, che con la faccenda del quadro era rimasto coinvolto nel piano più di quanto gli piacesse ammettere, voltò l’ex orario consumato nella sua direzione, come se leggerlo non al contrario avesse potuto aiutarlo a capirlo meglio. “Oltre alla stranezza in sé della richiesta, non ha senso neanche il modo in cui l’ha scritta.”
“Vuole capitarci per caso? Che cambia?” Atsumu si schiaffeggiò con entrambe le mani e aggrottò le sopracciglia. “Vorrei che ci fosse anche Bokuto. Lui capirebbe.”
Data la situazione, il desiderio di Atsumu non era troppo lusinghiero nei confronti del suo compagno di squadra, ma era certo che Bokuto sarebbe stato fuori di sé dalla gioia, se l’avesse sentito dire una cosa simile.
Era imbarazzante, quanto ci tenesse a portare a termine ogni richiesta di Hinata.
Tanto per cominciare, Atsumu non aveva mai dovuto conquistare qualcuno: erano sempre stati gli altri a conquistare lui. Lui era quello antipatico, il tipo distaccato di cui bisognava guadagnarsi la stima e aveva sempre funzionato perché non gli era mai importato un accidenti di chi trovava quell’atteggiamento odioso. 
E forse non aveva mai avuto alcuna epifania. Forse non aveva semplicemente realizzato di avere una cotta per Shouyou. Non gli era mai cascata una freccia di Cupido dritta in testa, Sakusa non aveva eseguito uno strano rituale di magia nera per convincerlo a innamorarsi di Hinata, quando gli aveva fatto notare che essere disposti a fare tutta quella roba per lui era da scoppiati. Forse aveva sempre avuto un debole per Shouyou, era solo stato così bravo a ignorarlo per non doversi cacciare in qualcosa di difficile, qualcosa per cui dovesse sudare, da aver convinto anche se stesso.
Atsumu Miya non falliva mai, il che era notevole, ma smetteva di essere sorprendente se si guardavano tutte le cose che non faceva, perché il rischio di umiliarsi era troppo grande. Era eccezionalmente facile essere sicuri di sé quando si faceva solo ciò che si era sicuri di conoscere. E non c’era da stupirsi se si sentisse totalmente, completamente, inesorabilmente vivo quando giocava a pallavolo, perché, contrariamente al modo con cui conduceva la vita, Atsumu in campo era un incosciente.
“Troviamo il modo di farlo funzionare” sentenziò poi, osservando quello sgorbio a penna rossa che da giorni lo tormentava. Perché Atsumu era un ossimoro che respirava e quindi una parte di lui amava il rischio. Era elettrizzante.
Si era già ingegnato per distorcere le richieste sulla Lapponia e Van Gogh, una banale partita a bocce non avrebbe ostacolato la sua creatività.
 

Dicembre, 24

Bokuto tornò a casa col Natale addosso.
Più o meno letteralmente, perché una bambina gli aveva rovesciato per sbaglio addosso un barattolo di glitter verdi e rossi, lungo la strada.
In giro si respirava l’atmosfera calda delle cene, resa ancor più tiepida, paradossalmente, dal freddo che faceva fuori e dalla penombra che costituiva. Era distante come il vociare attutito dalle pareti, fuggevole come un tintinnio. Incrementava, per chi era fuori al freddo, una solitudine che Bokuto non provava, ma che lo costringeva a esser grato, perché gli ricordava che non essere soli non era scontato.
Quando tornò a casa, col Natale addosso in tutti i sensi, Bokuto mollò le buste che reggeva e sgranò gli occhi. “POSSO GIOCARE?!” domandò.
Dopo l’allestimento dell’albero di qualche settimana prima, la casa era tornata quasi normale. Le magliette bianche erano sparite da terra e il divano era tornato al suo posto, sebbene si potesse trovare ancora qualche scatola infiocchettata qua e là. Ora, invece, la casa era di nuovo un casino. Tutti i mobili erano stati addossati alle pareti per fare spazio a un campo da bocce, quindi a una pista che si snodava lungo la direzione più lunga della casa: da una finestra alla porta della camera di Bokuto in fondo al corridoio.
Osamu stava facendo l’arbitro.
Mentre Bokuto si toglieva le scarpe in fretta e furia, per prendere parte al gioco il prima possibile, iniziarono a succedere una serie di cose strane.
Atsumu lanciò una boccia. “No,” sgranò gli occhi torcendosi le mani e appoggiandoci sopra il mento, “no, no, no, no-no-no-no.”
Poi tutti urlarono, fatta eccezione per Atsumu e Sakusa, che si guardarono come se fossero diventati compagni di ghigliottina. La sua boccia si fermò a trenta centimetri da quella accanto a cui si trovava Omi. Bokuto poteva convenire che nessuno dei due si fosse avvicinato granché al pallino, ma non capiva cosa ci fosse di tanto disastroso nel risultato.
Con una faccia da funerale, Atsumu camminò fino alla sua boccia e sospirò. Sakusa materializò dal nulla una mascherina e se la infilò in faccia come se fosse bastata a proteggerlo dai virus che assumevano anche le dimensioni di Atsumu.
“Che succede?” domandò Bokuto, quando i due iniziarono a guardarsi esitanti.
“Giochiamo a bocce con la variante” gli rispose Hinata, sorridendo.
Riluttante, Atsumu si sporse nella direzione di Sakusa e gli lasciò un bacino sulla tempia. Poi si ritrasse come se non avesse baciato la cosa più pulita al mondo.
Bokuto alzò lo sguardo e vide la variante. Dal soffitto pendevano, solo in alcuni punti, vari rametti di vischio. Il gioco consisteva dunque nel vincere la partita di bocce e posizionarsi accanto alla boccia lanciata, rischiando al contempo di finire sotto al vischio insieme a un altro giocatore abbastanza vicino.
Bokuto non era una cima, ma aveva letto la letterina di Hinata e sapeva che l’ultimo punto era indecifrabile. “Tsum Tsum, è geniale!” gridò impossessandosi di una boccia qualunque e preparandosi a lanciare.
“Non ti emozionare troppo e lancia la boccia lontano dalla mia!” lo avvertì Atsumu, mentre Bokuto già lanciava.
La partita durò esattamente un’ora e cinquantaquattro minuti. Ventisei minuti prima che finisse, Osamu si congedò dicendo che non ne poteva più. Nessuno si oppose, perché andò in cucina a preparare la cena, che era un po’ come dare una diamonica giocattolo in mano a Mozart.
Il motivo per cui la partita finì così presto, però, fu che Bokuto era come un Border Collie: troppo energico perché potesse giocare in casa. Finì per sfondare la porta della sua stanza, lanciando una boccia con troppo vigore. Hinata, Bokuto e Atsumu guardarono il foro d’entrata del proiettile come se qualcuno avesse appena spento la musica in discoteca, Sakusa si schiacciò una mano sulla fronte e sospirò.
“Omi, credo di aver rotto la porta.”
“Sotto casa c’è un ferramenta, magari ha un pannello di legno che ci può dare mentre aspettiamo che passino le feste per chiamare un falegname” ragionò Atsumu. Un altro pezzo di porta si staccò dalla cima del buco e rovinò sugli altri. 
“Omi, perché non lo accompagni?” propose Hinata.
Sakusa si voltò a guardarlo con la fronte aggrottata. Inspirò per rispondere, poi ci ripensò e annuì. “Andiamo” disse, sconfitto non dagli eventi, ma dalla vita intera. Prese un cappotto e non aspettò Bokuto, mentre incespicava dietro di lui.
Calò il silenzio. A interromperlo, c’era solo il ronzare elettrico delle lucine dell’albero alle loro spalle.
Atsumu ridacchiò nervosamente. “Bel buco, eh?”
Shouyou si limitò ad annuire.
Non lo stava aiutando. Non fiutava nemmeno la possibilità che Atsumu avesse bisogno d’aiuto.
“Hai letto la mia letterina.”
Atsumu rise ancora. Si sentiva un cretino. “Quando l’hai capito?”
“L’ho sospettato col ristorante, ne sono stato sicurissimo quando sono atterrato in Lapponia.”
Atsumu sorrise. Evidentemente puntava a una paresi facciale.
“Non avevo idea di cosa ti saresti inventato per l’ultimo desiderio.”
“Fino a ieri neanch’io,” ammise lui, grattandosi la nuca.
“Anch’io ho un regalo per te!” confessò Hinata, con rinnovato entusiasmo.
L’aria gli faceva paura. Atsumu rivide Shouyou, che annegava nella sciarpa e che gli chiedeva perché l’avesse portato nel ristorante di cui aveva parlato con Kenma. Rivide Shouyou che studiava la sua reazione quando, col budino al caramello davanti, gli aveva detto che lo offrivano alle coppie. Rivide Shouyou che sosteneva il suo sguardo quella frazione di tempo in più, in cerca di un’intesa che superasse un’alzata e una schiacciata, una promessa più grande di quella che Atsumu aveva già mantenuto, una più rischiosa. “Che regalo?”
Shouyou indicò il soffitto e Atsumu alzò la testa già consapevole di ciò che avrebbe visto.
Il vischio non lo vide mai, però, perché Shouyou si alzò sulle punte e lo baciò prima che potesse distinguere del verde nella matassa di fili che avevano appeso per allestire il campo da bocce. E Atsumu, che non era scemo, chiuse gli occhi.
Gli infilò una mano tra i capelli, dietro l’orecchio, ed esultò mentalmente. Shouyou scivolò con le labbra sulla sua guancia e gli lasciò qualche bacio lì.
Ecco qua, io muoio così, pensò Atsumu. Moriva così: con suo fratello in cucina, il buco nella porta di Bokuto e Shouyou che lo ammazzava. Invece disse: “Cioè non hai speso un soldo.”
Shouyou si fermò e rise. “Sei tu che non hai scritto una letterina!”
 
“Quindi la lettera era uno scherzo?” domandò più tardi Osamu, quando appoggiò la pentola al centro della tavola. 
“Io l’avevo detto che era uno scherzo!” intervenne Bokuto, che comunque non aveva in mente di prestare troppa attenzione alla conversazione, perché aveva passato gli ultimi minuti a inchiodare un pannello di legno alla sua porta rotta e adesso stava morendo di fame.
“Be’, scusatemi se il senso dell’umorismo di Shouyou fa schifo” disse Atsumu, aspettando impaziente che Bokuto finisse di servirsi. “Non tutti nascono dotati come me.”
Sakusa scrollò le spalle. “Non è che il tuo sia meglio.”
“Tu non ce l’hai il senso dell’umorismo, Omi.”
Bokuto, che era seduto accanto a Shouyou, gli intimò di sporgersi nella sua direzione e ignorare l’ennesimo battibecco tra Sakusa e Atsumu. “Ti insegno io a essere simpatico” sussurrò, con aria cospiratoria. Osamu li sentì e aggrottò la fronte. “D’altro canto, sei il mio discepolo, è compito mio istruirti.”
Dall’esterno, la loro finestra doveva apparire come la milionesima luce calda in un gelo intransigente. Sotto la tovaglia, silenzioso come neve che si posava sui tetti, Atsumu fece scivolare una mano sul ginocchio di Shouyou e strinse.
“Atsumu” chiamò Bokuto all’improvviso. “Ma le hai scritte le lettere ai fan?”
Osamu scosse la testa esasperato. Non aveva idea di cosa fossero queste lettere, ma conosceva il fratello come le sue tasche.
Tutti lo guardarono, in attesa.
Atsumu fece schioccare la lingua e lasciò vagare lo sguardo oltre gli infissi. “Ragazzi, non vorrei allarmarvi, ma ho appena visto un alligatore sul balcone!”
Qualcuno gli diede uno scappellotto.
 

Dicembre, 25

Quella notte, qualcosa lo svegliò.
Babbo Natale nel camino? Un regalo inaspettato sullo zerbino? No, un calcio in uno stinco.
Si mise a sedere e voltò la testa per guardare Shouyou nel suo letto, il viso seminascosto dal piumone e il respiro regolare. Ancora non ci credeva. La piccola lampada sulla scrivania gettava strisce oblique sull’armadio, ma la sua eco si spingeva più in là, permettendogli di distinguere le lentiggini sul viso di Shouyou e la curva delle ciglia che si riposavano sulle guance.
Il traguardo di un rischio corso.
Spostò lo sguardo sulla lavagnetta di sughero.
Appuntata un po’ storta c’era la letterina di Shouyou. Non riusciva a leggere nulla in penombra, ma sapeva esattamente cosa c’era scritto.

 
4.  Restare invischiato in una partita di bocce






 
Note di El: Ehilà, ehilà ehilà!
Questa storia è l'esempio perfetto di "se non esiste, scrivila". Forse se non esisteva un motivo c'era, però vbb che ci frega. Il prompt del calendario dell'avvento era, aspettate, ve lo schiatto qua: "
Personaggio A scrive per scherzo una lettera a Babbo Natale, personaggio B la trova e cercherà di esaudirla" ed è stato tragico perché questa storia è stata scritta in sei giorni MA L'INIZIATIVA ERA TROPPO BELLA I PROMPT ERANO TROPPO BELLI NON SI POTEVA NON FARE
Detto ciò vabbé dovevo dire un mare di cose, ma non me le ricordo più. L'unica è che Bokuto che usa sempre lo stesso asciugamano è un riferimento a "timmy play your trumpet" di farozaan su ao3, che a sua volta è una citazione di new girl. Bene così.
Conto di tornare con un'altra idiozia natalizia prima della fine del mese quindi sarò fiduciosa e vi dirò: A PRESTO!
Nel caso Buone feste <3

El.


 
   
 
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