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Autore: Krgul00    11/12/2021    0 recensioni
Charlie è una donna con dei segreti stufa che questi la tengano lontana da suo padre, l'unica persona che può chiamare famiglia. Tornata al suo paese natale per ricucire il loro rapporto, Charlie si troverà coinvolta con l'affascinate nuovo sceriffo.
Ma ancora una volta, il non detto rischia di mettere a repentaglio ciò che ha di più caro.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO DUE
Non sorprende che il giorno successivo, alle otto di mattina, il Red fosse insolitamente affollato. La speranza che la donna misteriosa si presentasse di nuovo alla stessa ora e nello stesso posto del giorno precedente aveva spinto molti curiosi a cambiare, per una volta, le proprie abitudini. Passata un’ora di attesa, però, la speranza di un nuovo avvistamento iniziò a scemare e dopo due ore iniziarono a considerare quella del giorno prima solo una visita casuale di una donna di passaggio. Pertanto, pian piano il Red si svuotò e le persone tornarono ai loro doveri e attività.
Ciò che tutti, tranne ovviamente il Maggiore Stephen Royce – da sempre una persona molto riservata e poco interessata al pettegolezzo - ignoravano era che Charlie Royce, su suggerimento del suo superiore e amico Matthew Allen, aveva passato il pomeriggio del giorno precedente tra farine, uova e ogni altro genere di ingrediente che potesse essere usato per preparare dei biscotti al cioccolato. Nonostante la dispensa del padre fosse ben fornita, aveva dovuto rimpiazzare alcuni ingredienti con dei degni sostituti, o almeno così credeva lei, e a fine giornata aveva sfornato quattro teglie da trenta biscotti l’una. Era stata soddisfatta del risultato finale, certo non erano paragonabili a quelli della pasticcieria, ma credeva fermamente che fosse un degno primo tentativo.
Trovandosi, quindi, con centoventi biscotti al cioccolato, che suo padre non aveva alcuna intenzione di mangiare, quella mattina Charlie non andò al Red per fare colazione. Pensò, invece, a come attuare il suo piano.
Sola nel suo piccolo letto e immersa nel silenzio della notte, era arrivata alla conclusione – che le piacesse o meno - che Matt aveva ragione: Charlie aveva chiesto il trasferimento di dipartimento in modo da poter lavorare liberamente da Sunlake, questo perché aveva tutta l’intenzione di ristabilirsi in paese e stare vicina a suo padre; perciò, tanto valeva iniziare a adattarsi alla vita di paese e a socializzare.
Attraverso una veloce ricerca su internet – ormai i social media permettevano di ottenere grandi quantità di informazione con uno sforzo minimo – scoprì che la sua amica di infanzia, Maddie Foster, viveva ancora in città. Diddi – così la chiamava Charlie, dopo tutta un’estate passata ad insistere per quel nomignolo – e Charlie avevano vissuto quasi in simbiosi da che erano nate fino ai quindici anni, quando Stephen Royce aveva spedito sua figlia alla scuola militare, a quasi trecento chilometri di distanza.
Effettivamente, il motivo che aveva spinto suo padre ad una decisione tanto drastica era uno dei pochi segreti ben custoditi di Sunlake, noto solo a quattro persone: Charlie, suo padre, Maddie e Don Walker, l’allora preside della scuola di Sunlake ormai in pensione.
La quindicenne Maddie Foster era una ragazza studiosa e molto portata per le materie umanistiche; pertanto, la chimica non riusciva assolutamente a comprenderla, non importava quanto spesso Charlie provasse a spiegargliela. Perciò, quando l’ennesima insufficienza aveva minacciato di mandare in fumo il weekend alla fiera del cioccolato – l’evento sociale più importante dell’anno per i giovani di Sunlake – Charlie era intervenuta.
Sin da quando, a dieci anni, Stephen aveva regalato a sua figlia un computer, Charlie si era impegnata per carpirne tutti i segreti e accedere da remoto ad un altro computer era di gran lunga la cosa più semplice che Charlie aveva imparato nei cinque anni successivi; perciò, era stato facile entrare nel computer della scuola e modificare il brutto voto di Diddi in una più che piena sufficienza.
Adesso che era più matura e aveva molta più esperienza alle spalle, Charlie si rendeva conto di quanto fosse stata ingenua nello sperare che nessuno si accorgesse della cosa.
Alla fine, i loro progetti per la fiera del cioccolato erano sfumati comunque e una Charlie quindicenne si era ritrovata alla scuola militare. Inevitabilmente, con il passare degli anni, Charlie e Maddie avevano perso sempre più i contatti, e ora si sentivano solo tre volte all’anno: per gli auguri dei rispettivi compleanni e per gli auguri di Natale. 
Quindi, verso mezzogiorno, Charlie si presentò alla biblioteca comunale con un sacchetto di biscotti fatti in casa. La biblioteca, così come il municipio, il Red e il supermarket, era uno degli edifici che affacciavano sulla piazza centrale del paese; questa non era altro che uno spiazzo circolare di erba verde e ben curata, al cui centro svettava un imponente abete – non ancora addobbato per il Natale – che nelle giornate estive forniva un piacevole riparo dal sole per tutti coloro che volevano riposare sulle panchine sottostanti.
A quell’ora, furono in pochi a notare la donna che attraversò il prato ed entrò nella biblioteca.
Essendo, quella di Sunlake, l’unica biblioteca di tutta la contea, era molto più grande di quanto ci si potesse aspettare per un paesino così piccolo; oltre a fornire agli abbonati il servizio di prestito libri, la biblioteca era munita del servizio di prestito degli audiovisivi e vendita dei quotidiani locali. Per questo motivo, solitamente, era molto frequentata.
Quando Charlie entrò, però, era vuota, tranne per la donna dietro al bancone per il ritiro e la restituzione. Maddie Foster, infatti, era intenta a riordinare dei registri ed era piegata in avanti, di profilo all’ingresso, borbottando sottovoce delle maledizioni. Charlie si avvicinò silenziosamente, si appoggiò al bancone con entrambi gli avambracci e si sporse in avanti. “Sembra sia proprio un buongiorno, Diddi”, disse ad alta voce.
Maddie si alzò di scatto - diversi registri scivolarono fuori dallo scaffale e caddero a terra – e si girò a guardarla, gli occhi castani sgranati dallo stupore.
Anche se non fosse stata in grado di riconoscerla, l’uso di quel soprannome, che solo Charlie aveva mai usato, le disse perfettamente chi fosse.
“Mio Dio”, mormorò la donna portandosi una mano tremante alla bocca. “Gesù”, mormorò ancora, adesso facendo il giro del bancone per andarle difronte.
Di tutte le possibili reazioni che Charlie aveva immaginato, non si era certo aspettata che Maddie le saltasse addosso, cingendole il collo con le braccia, e le scoppiasse a piangere sulla spalla. Non riuscì a nascondere il suo stupore e l’unica cosa che poté fare fu abbracciare di rimando la sua amica di infanzia.
Non ricordava quando fosse stata l’ultima volta che era stata abbracciata in quel modo; forse l’ultima volta che era andata a cena a casa di Matthew e sua moglie. Anche in quel caso, però, non era stata stretta nel modo feroce in cui la stava abbracciando Diddi, come se avesse paura che Charlie potesse sparire da un momento all’altro.
Fu così che si rese conto di quanto le fosse mancata la dolce e solare Maddie e solo il dolore improvviso che le risalì la gola le fece realizzare di star trattenendo le lacrime. Inspirò profondamente, contò fino a sette ed espirò, acquisendo di nuovo il controllo di sé.
“Shh. Lo sai che se piangi, farai piangere anche me”, le bisbigliò Charlie all’orecchio, iniziando a massaggiarle la schiena. A quelle parole Maddie rise tra le lacrime, la testa ancora sepolta nell’incavo del collo di Charlie.
“S-scusa. Mi dispiace così tanto”, singhiozzò Maddie.
Charlie si accigliò leggermente. “Di che cosa?”, le chiese ancora sussurrando, senza smettere di massaggiarle la schiena.
Il pianto dell’altra donna si intensificò. “È c-colpa mia s-se t-te ne sei andata” - tirò su col naso – “n-non sei più t-tornata perché” – un terribile singhiozzo la fece bloccare – “mi odi e n-non volevi p-più vedermi”, gli argini della diga del pianto di Diddi si ruppero e il suo divenne un pianto disperato, di anni e anni di preoccupazione e senso di colpa.
Il nodo alla gola di Charlie riapparve, più doloroso di prima, tuttavia non trovò sollievo in un pianto liberatorio. Era da quando aveva visto la delusione nello sguardo di suo padre che non versava lacrime; quel giorno, l’ultima volta che era tornata in città, sette anni prima, Charlie era convinta di aver versato tutte le lacrime che aveva.
Diverse volte in precedenza, durante le chiamate che le erano consentite alla scuola militare, Maddie le aveva chiesto scusa; ma Charlie non poteva immaginare che, dopo tutti quegli anni, quella donna si sentisse ancora così tanto in colpa a causa sua.
“Non ti odio”, le mormorò Charlie, “non potrei mai odiare la donna che ha messo un serpente finto nel sottobanco di Cameron Harris, in seconda media, solo perché mi ha chiamata piscialletto.”
Maddie scoppiò a ridere sciogliendo l’abbraccio e asciugandosi le guance con mani tremanti.
“Non ho mai più sentito qualcuno urlare in quel modo”, riuscì a dire tra una risata e l’altra. Anche Charlie si ritrovò a ridere. “Ha fatto un salto, che pensavo avrebbe bucato il soffitto”, ricordò Charlie ridacchiando.
Mentre Maddie si ricomponeva, Charlie ebbe il tempo di studiarla. L’ultima volta che l’aveva vista Diddi era una quindicenne magra e piuttosto minuta, ma ora Charlie aveva davanti una donna formosa, alta poco più di un metro e sessanta; i capelli, una volta castani chiaro, si erano scuriti e allungati ed ora ricadevano in ricci disordinati sulle sue spalle; sul naso, sempre cosparso di lentiggini, non vi erano più gli occhiali tondi di una volta, il che valorizzava i dolci occhi castani di Maddie.
“Mi sei mancata tanto, C.”, le labbra di Diddi si aprirono in un sorriso tremolante e gli occhi, arrossati dal pianto, brillarono d’affetto. “Quando sei arrivata?”, chiese mentre si premeva un fazzoletto sotto gli occhi.
“L’altrieri notte. Ho visto tuo padre al Red, ieri mattina.”
“Ieri matti-”, si interruppe bruscamente, battendo le palpebre perplessa, ma giunse rapidamente ad una conclusione perché sul suo viso comparve un’espressione di stupita comprensione. “Sei tu la misteriosa donna di cui parlano tutti!”
Fu il turno di Charlie di essere perplessa e Maddie se ne accorse perché subito aggiunse, “Nessuno ti ha riconosciuto e ieri il paese è impazzito in una sorta di caccia all’uomo.”
La fronte di Charlie si corrugò ancor di più nel tentativo di ricordare ciò che era successo il giorno prima, era stata troppo sovrappensiero per avere un ricordo chiaro degli eventi.
“Non ha senso”, ragionò ad alta voce, “Ho salutato Benjamin, non può non-” la comprensione arrivò come una doccia d’acqua fredda. Il viso di Charlie si illuminò in un sorriso di divertita incredulità. “Santo cielo”, esplose in una risata toccando il braccio di Maddie, che ricambiò il sorriso in attesa di sentire una storia divertente. “Credo proprio che non abbia avuto idea di chi fossi!” La sua risata riempì la biblioteca.
 
Maddie e Charlie decisero di pranzare insieme al Red, per continuare la conversazione iniziata in biblioteca.
Non fecero caso agli sguardi stupiti delle poche persone a cui passarono vicino – o almeno Charlie non sembrò farvi caso. Appena varcarono le porte del locale, però, Maddie si rese conto che pranzare in tranquillità non sarebbe stata un’impresa facile. Non appena i primi clienti notarono Charlie, diedero di gomito al loro vicino, per richiamarne l’attenzione; in poco tempo il rumoroso chiacchiericcio che aveva riempito la stanza al loro ingresso si trasformò in un mormorio di sottofondo, fatto di sussurri e bisbigli.
Maddie si sentì immediatamente a disagio sotto la minuziosa attenzione – anche se non diretta a lei – dei presenti e si stupì di come la sua amica sembrasse ancora non essersene accorta. Si diresse, invece, con passo sicuro – come se gli capitasse ogni giorno di essere al centro dell’attenzione di un’intera stanza – verso un piccolo tavolo tondo in un angolo.
Si sfilò il cappotto, rivelando un maglione accollato a quadri azzurri e gialli che evidenziava un seno alto e sodo e che richiamava il colore dei suoi occhi, e si accomodò sulla sedia, seguita a ruota da Maddie.
Il brusio di sottofondo tornò alla normalità e Diddi, più a suo agio, fece per consigliare alla sua amica – che aveva iniziato a studiare interessata la lista dei piatti del giorno – la zuppa di farro, quando l’ombra di Luke Thomson, vicesceriffo di Sunlake, si stagliò sul tavolo interrompendola.
Sorpresa, Maddie alzò lo sguardo sull’uomo di fronte a loro, mentre Charlie continuò a studiare la carta.
Luke si schiarì la gola per attirare l’attenzione dell’altra donna, inutilmente, e con lo sguardo fisso su Charlie, si rivolse a Diddi, “Non mi presenti la tua amica, Maddie?”
Questa soffocò una risata nel palmo della mano, piegando la tasta verso il basso tentando di nascondersi tra i suoi ricci scuri. Non poteva credere alla storia che le aveva raccontato Charlie poco prima, nessuno l’aveva riconosciuta; eppure, per Maddie era facile rivedere la sua amica d’infanzia nella donna seduta vicino a lei. Sicuramente il tempo l’aveva cambiata, rendendola più simile a sua padre non solo nell’aspetto: c’era una certa riservatezza in Charlie, adesso, che prima aveva visto solo in Stephen Royce.
Non fu necessario che rispondesse.
“Luke, l’ultima volta che ci siamo visti avevo la tua lingua in gola”, disse Charlie alzando lo sguardo sull’uomo, di fronte a loro. Lo sguardo sorpreso di Luke corse in quello di Maddie, in cerca di aiuto, per poi rimbalzare subito indietro, verso l’espressione canzonatoria di Charlie, come se l’avesse riconosciuta per associazione con lei.
Ai tempi della scuola, Luke Thomson era stato un vero Don Giovanni, aveva infranto i cuori di mezza scuola e si diceva che anche adesso, a ventinove anni, si dava il suo d’affare.
“Che mi venga un colpo. Charlie Royce”, disse Luke a voce alta, di modo che tutti i presenti potessero sentire. Le labbra di Charlie si schiusero in un sorriso che le illuminò gli occhi, si alzò e andò ad abbracciare un Luke Thomson leggermente stordito. Così come abbracciò chiunque altro andò a salutarla durante il loro pranzo, ed è inutile dire che furono in molti a farsi avanti.
Tra i tanti Gracie Howard e Sylvie Moore invitarono Charlie a prender parte alle riunioni del comitato cittadino, invito che, con sorpresa di Maddie, Charlie fu entusiasta di accettare, come se non aspettasse altro. Il vero evento, però, si realizzò quando Mrs. Moore pronunciò le parole che tutti nel locale stavano aspettando: “Hai da fare sta sera, Charlie?”
L’unica ignara della portata di quella domanda fu la stessa Charlie, che tuttavia dovette captare qualcosa dalle vibrazioni circostanti perché improvvisamente si fece circospetta. Furono davvero in pochi a non tentare di origliare la risposta, lo stesso Luke Thompson – che si era seduto al tavolo vicino – li guardò apertamente, curioso.
Occhi blu scrutarono quelli di Sylvie Moore in cerca di un indizio rivelatore. Non trovandone, Charlie scelse la strada migliore: non rispondere e porre un’altra domanda.
“Perché me lo chiede?”, chiese con un sorriso gentile.
Il volto dell’altra donna si illuminò, come convinta di avere la vittoria in pugno. “Mio figlio Logan sarebbe felice di portarti a cena fuori, stasera.”
Le spalle di Charlie si rilassarono e anche gli occhi si addolcirono. “La ringrazio Mrs. Moore, ma non sono interessata.” Non era certo la prima volta che una donna faceva la preziosa con Sylvie, considerò Maddie, preparandosi alla prossima mossa di Mrs. Moore.
Sylvie, infatti, non batté ciglio e insistette imperterrita. “Lo sceriffo è sicuramente un buon partito, vedrai che vi diverti-”, si interruppe. Era difficile riuscire a interrompere una delle tirate di Mrs. Moore, giusto suo figlio era in grado di mettervi un freno; eppure, a Charlie bastò prenderle gentilmente una mano tra le sue e stringerla in un gesto affettuoso. Infine, parole che Sylvie non aveva mai sentito da nessun’altra donna furono pronunciate da Charlie: “Mrs. Moore, se suo figlio sarà interessato, sono sicura che me lo chiederà lui stesso. ”E con quello il discorso fu chiuso.
 
Lo scompiglio portato dalla scoperta dell’identità di Charlie Royce non raggiunse lo sceriffo, o almeno non subito e non in egual misura rispetto al giorno prima. Poiché una chiamata di Ryan Clark, sceriffo della contea limitrofa di Twin Lake, lo aveva trattenuto fino a tardi, Logan aveva da poco iniziato la pausa pranzo quando sua madre chiamò.
“Ciao, mamma”, rispose al telefono.
La madre non perse tempo con i convenevoli. “Tesoro, devi assolutamente chiedere un appuntamento a Charlie Royce”, disse con tono concitato.
Logan – all’oscuro delle notizie – rimase perplesso a quella richiesta, aveva sentito parlare di Charlie Royce sporadicamente nell’arco di quei cinque anni e sapeva solo che era la figlia del Maggiore Royce e che non tornava mai in città.
“Intendi la figlia di Stephen Royce?”, chiese confuso.
La madre sembrò esaltarsi a quell’accenno di interesse. “Si, Logan. È la donna del Red di ieri mattina, ti ricordi?”
Come poterlo scordare? Si chiese lui.
“E perché dovrei chiederle di uscire? Sicuramente già ci avrai pensato tu, no?”, le fece notare Logan in modo tagliente e se la madre si accorse del suo fastidio, non lo diede a vedere.
“No, no. Voglio dire, si certo che l’ho fatto, ma lei mi ha detto che avresti dovuto chiedere tu.”
Un sorriso malizioso spunto sulle labbra di Logan, sembrava che non sempre le persone facessero come diceva Sylvie Moore, dopotutto. “Non vuole uscire con me?”, stavolta la nota di felicità nella sua voce non sfuggi alla donna. “Non è divertente, Logan”, lo riproverò seria.
Lo sceriffo, d’altro canto, butto indietro la testa e rise. “È dannatamente fantastico, te lo dico io!”
Dall’altro capo della linea, la donna iniziò a protestare, ma Logan la interruppe. “Non è chissà quale tragedia, mamma, non conosci nemmeno questa donna.”
“Logan, questa potrebbe essere esattamente la donna giusta per te” – lui ne dubitava fortemente – “avete così tanto in comune…”, affermò e con così tanta convinzione che l’attenzione di Logan fu tutta per lei.
“Tipo, cosa?”, chiese curioso.
“Beh”, iniziò Sylvie, il tono più titubante, “suo padre è stato nell’esercito e tu sei uno sceriffo”, concluse come se quello dicesse tutto, non sembrava più così convinta come pochi secondi prima.
Un suono di incredulità gli uscì dalle labbra. “Mi stai-”, scosse la testa per schiarirsi le idee, “mi stai dicendo che dovrei chiedere un appuntamento al Maggiore Royce?” mormorò nella cornetta.
Sua madre balbettò qualcosa, ma Logan non vi prestò attenzione. Schiarendosi la gola, lo sceriffo si appoggiò in avanti sulla scrivania e usò la sua voce più inflessibile, la stessa che usava per obbligare Jake a mangiare i broccoli.
“Mamma, ascolta, lascia stare Miss. Royce. Se continuerai ad importunarla dovrò arrestarti per molestie, capito?”
“Come se ne fossi capace.” Sbuffò lei.
Un piccolo sorriso obliquo gli curvò le labbra. “Non esiterei un attimo”, le disse scherzosamente. Un movimento sulla porta gli fece sollevare lo sguardo, Luke Thomson chiese silenziosamente il permesso di entrare e, al cenno affermativo dello sceriffo, si richiuse la porta alle spalle.
“Ora devo andare, ci vediamo sta sera.”
Una volta che ebbe riattaccato, gli occhi scuri di Logan incontrarono quelli pieni di ilarità di Luke.
“Sembra che Sylvie mi abbia preceduto”, ruppe il silenzio il vicesceriffo. “Sai, Charlie Royce è diventata proprio uno schianto. Dovrei chiedere a tua madre di organizzare qualcosa anche per me.”
Logan sbuffò a quella sua presa in giro.
Gli occhi di Luke si fecero maliziosi, si mise più comodo sulla poltroncina dell’ufficio di Logan, chiuse gli occhi e incrociò le mani dietro la testa: il ritratto del relax. “Ho sentito dire che non ne vuole sapere di te”, sbirciò la reazione dell’altro – che rimase impassibile – socchiudendo l’occhio destro. “Magari preferisce i biondi…” continuò con un sorrisetto impertinente, passandosi una mano tra i capelli chiari.
Logan si appoggiò all’indietro, sullo schienale della poltrona. “Sei stato fortunato che fosse il tuo giorno di riposo ieri, sicuramente quando sono venuti in visita i signori Lewis il mese scorso non è successo questo putiferio.”
Luke annuì distrattamente, lo sguardo distante come a ricordare qualcosa. “Se i Lewis andassero in giro con un paio di gambe come quelle di Charlie Royce…”
Logan alzò gli occhi al cielo e Luke si sporse in avanti sulla scrivania, l’espressione più seria. “Davvero, amico. Quando l’ho vista al Red, prima, non potevo credere ai miei occhi. Non si vede spesso una donna così, in giro per Sunlake”, disse il vicesceriffo.
“D’accordo, come vuoi”, acconsentì Logan, deciso a metter fine al discorso. “Mi ha chiamato Ryan, aveva delle novità.”
Al nome dello sceriffo di Twin Lake, Luke si mise dritto sulla sedia e si fece attento. Era già qualche mese che nella contea vicina avevano iniziato a circolare quantità superiori di cocaina. Non che ci fossero poi tanti acquirenti, ma quella di Twin Lake City poteva essere considerata una vera e propria città, con una vasta affluenza di turisti e quindi anche di una sviluppata vita notturna. Contee poco popolose come le loro non godevano delle risorse in grado di fronteggiare un traffico di stupefacenti, come quelle di grandi città; pertanto, era necessario porvi fine il prima possibile e non lasciare che le cose sfuggissero di mano. Fino a due mesi prima l’unico giro di stupefacenti era riconducibile ad Alan Hill, che perlopiù smerciava marijuana e che era un vero e proprio idiota. Era stato arrestato già una volta perché aveva tentato di vendere roba illegale allo stesso Alex Peterson, che subito lo aveva arrestato.  Aveva scontato due anni.
Adesso, però, sembrava fosse stato coinvolto in qualcosa più grande di lui e fosse diventato il burattino di qualcuno di davvero pericoloso.
Poiché Alan Hill abitava nella contea di Lake Rock, Logan era stato coinvolto nelle indagini di Ryan Clark.
“Sembra che Alan non si veda da quattro giorni, il che non è da lui, lo sai”, disse Logan.
Quell’uomo amava godersi la vita, il che lo rendeva un pessimo delinquente. Non era affatto un tipo discreto, amava l’alcol, le donne e le feste; quindi sparire per quattro giorni dalle scene non era affatto il suo stile.
“Mando subito qualcuno a controllare a casa sua”, suggerì Luke, alzandosi.
Logan annuì. “Dobbiamo assolutamente trovarlo.”
   
 
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