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Autore: drisinil    11/12/2021    8 recensioni
[KageHina]
«Hai mai fatto una partita sotto la neve?» chiede Shoyo, senza smettere di fissare il cielo. I fiocchi gli colpiscono gli zigomi, la fronte, le labbra e si sciolgono a contatto col suo calore, lasciando tracce umide, che rifletttono la luce.
Tobio chiude gli occhi. «Ma quanto sei stupido? No! Ti pare possibile giocare a pallavolo in esterno con la neve?»
«Facciamolo!» esclama Shoyo, per tutta risposta, rosso in viso, eccitato.
Le fiamme gli danzano negli occhi, tutto in lui è sorriso.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Nella luce gialla del lampione, gli occhi di Hinata sono fuoco liquido.
Da quando schiaccia la veloce tenendoli aperti, alzare per lui è una droga. Tobio sente il richiamo del suo desiderio di schiacciare mentre lo guarda sottosopra, passando all'indietro, mentre tutta la squadra corre in avanti, mentre gli avversari annaspano cercando di murare a caso. Ogni volta deve resistere alla tentazione di ignorare il gioco e servire lui, soddisfare il suo bisogno.
Servire. Soddisfare. Decisamente, non i verbi di un re.
Chissenefrega.
Chinarsi, distendersi, valutare la tensione, la torsione, la forza, la spinta. Imbrigliare il talento, piegare l'istinto alla traiettoria perfetta, perché la palla si fermi all'apice della sua parabola, esattamente di fronte a Hinata, in linea con la proiezione della mano destra in movimento. E regalargli un istante di onnipotenza. Sospendere il tempo per lui.
Servire.
In partita, Kageyama Tobio alza solo per chi può fare punto, alza per la vittoria. Ma nel parco, quando sono soli, lo fa sempre e soltanto per Hinata Shoyo.
Hanno iniziato ad andare lì in primavera, quando all'ora di chiusura della palestra della scuola, erano gli unici ad avere ancora troppa voglia di giocare. Succedeva ogni tanto. Poi ogni tanto è diventato spesso spesso è diventato sempre, ogni giorno, con ogni tempo, in ogni stagione. Tranne quel mese, in cui non si sono mai rivolti la parola. E sembra tanto indietro nel passato da non avere più alcun senso.
«Ancora una!»
Ancora una. Ancora mille.
Ancora.

Il buio ha iniziato ad arrivare presto; folate di vento gelido trasportano stormi di foglie secche vorticanti. Hinata si confonde nei loro colori e si libra in volo con lo stesso impeto, la stessa capacità di vincere la gravità, di prendere le correnti, la stessa invincibile leggerezza.
La palla percuote l'acrilico con un suono sordo, a velocità impressionante. Perfetta. Shoyo atterra a fianco al suo alzatore, con un sorriso ammirato. Divide sempre il trionfo in parti diseguali, e prende per sé la minore. Crede che sia di Kageyama, il merito di quei miracoli.
«Ancora una!»
Sono quasi le uniche parole che si rivolgono, insieme a una manciata di aggettivi e a qualche insulto occasionale. Sono avari di parole, più che altro perché non ne hanno alcun bisogno. Basta guardarsi.

Tobio alza di nuovo e, come sempre, cerca di leggergli la mente: parallela o diagonale? Lunga o cortissima? Rigida come un rebound o o morbida come un pallonetto? Riesce a indovinare meno di quanto vorrebbe, ma sempre più spesso.
Se potesse, entrerebbe di forza in quella stupida testa arancione, per guardarci dentro, svelare tutti i segreti, conoscere tutti i pensieri, tutti i desideri. Anche quelli meschini, quelli crudeli, quelli sconci. Non gli importa di dare giudizi, va bene tutto. Pur di essere lì, di essere all'interno.
Hinata colpisce. Diagonale, lunga, dura, stile Bokuto Kutarou, esattamente sulla linea di fondo. Perfetta, anche questa.
L'atterraggio non è perfetto, però, e Shoyo si ritrova in ginocchio, a cercare l'equilibrio agitando freneticamente le braccia.
«Stai attento, Boke! Se ti giochi una caviglia prima dei nazionali ti ammazzo.»
«Stai calmo! Sono solo scivolato, è tutto a posto» risponde Shoyo, rialzandosi; si batte le mani contro i pantaloni, si sistema addosso la felpa.
E' orrida, come tutto quello che indossa. Abiti chiassosi, infantili, troppo colorati. Eppure, su Tobio hanno l'effetto di un faro d'automobile contro un animale notturno: impossibile distogliere lo sguardo. Solo quando lo vede cambiarsi, nello spogliatoio, storna subito gli occhi dalle spalle ossute, dalla carne troppo bianca, dai muscoli sottili del dorso che guizzano sottopelle. Meglio vestito.
Ancora una, invoca silenziosamente. Non lo dice, però, perché dev'essere Shoyo a dirlo. Senza un motivo. Funziona così e basta. Hinata supplica, il Re concede.
Hinata ordina, il Re obbedisce.
Ma Shoyo sta fissando in silenzio il cielo notturno, biancastro di nuvole dense che hanno cancellato la luna. Il suo profilo adolescente si staglia netto sotto il lampione, illuminato esattamente a metà.
Apre la mano, come se dal cielo cadessero doni. Ed è così.
«Nevica!» sussurra, trepidante di gioia infantile.
Tobio si guarda intorno: controluce si vedono fiocchi radi che volteggiano. «Che palle! Così dobbiamo andarcene» grugnisce, contrariato.
«Hai mai fatto una partita sotto la neve?» chiede Shoyo, senza smettere di fissare il cielo. I fiocchi gli colpiscono gli zigomi, la fronte, le labbra e si sciolgono a contatto col suo calore, lasciando tracce umide, che rifletttono la luce.
Tobio chiude gli occhi. «Ma quanto sei stupido? No! Ti pare possibile giocare a pallavolo in esterno con la neve?»
«Facciamolo!» esclama Shoyo, per tutta risposta, rosso in viso, eccitato.
Le fiamme gli danzano negli occhi, tutto in lui è sorriso.
E' irresistibile. Letteralmente. Le idee più balzane, espresse come desideri, caricate di aspettativa, vibranti di energia, diventano attuabili solo perché soddisfano le sue voglie. 
Servire. Soddisfare. Tobio si chiede chi sia il re.
Sospira, brontola, lo guarda male. «E' una cosa idiota» commenta. Ma sa già che lo farà.
Anche Shoyo lo sa. «Sì, lo è. Ma non l'ho mai fatta. E tu nemmeno. Dai, facciamolo! Ancora una!» Saltella, guarda in alto, si sfrega le mani. Sorride. Soprattutto, sorride.
«Allora muoviti, Boke! Non stare lì impalato a faccia in su. E guai a te se ti azzardi a prenderti una polmonite o a romperti qualcosa! Ti gonfio.»
Tobio fa roteare la palla fra le dita e offre il suo sorriso al buio, guardando il terreno spolverato dal primo strato di fiocchi ghiacciati.
Giocare a pallavolo con la neve è l'ennesima idiozia che faranno insieme.
Perché è quello che lui vuole. E Tobio desidera i suoi desideri.
Lancia in aria la palla. Aspetta l'attimo del distacco di Hinata dal suolo, calcola i tempi, si riempie gli occhi dell'arco del suo corpo avvolto dal turbinio della neve che cade. E alza per lui.
Ancora una.

***

«Basta!» dice Tobio, chinandosi a prendere la palla da terra.
A Shoyo non piace quel tono di comando. Il motivo per cui non gli piace è che tutte le volte avverte la tentazione di obbedire senza discutere. «Perché? Che ore sono?»
«Non è questione di ora, è che sta nevicando più forte. Ha già attaccato e tu sei scivolato almeno tre volte negli ultimi dieci minuti. L'unico motivo per cui non sei finito col culo per terra è che sei molto agile. E poi fa troppo freddo.»
Shoyo sospira e le sue spalle si abbassano. Tira un paio di calci allo strato di neve, sollevando qualche spruzzo. Raggiunge la panchina e si infila la giacca a vento. «Allora ciao» grugnisce, imbracciando la tracolla della borsa.
Si salutano sempre così, senza tanti convenevoli. Deve sembrare che a nessuno dei due importi granché dell'altro, fa parte di un'abitudine che è già diventata rito.
Shoyo si volta e si aspetta di vedere la mano alzata di Tobio, già incamminato nella direzione opposta. Appena sparito alla vista, arriverà il cicalino del suo messaggio: Scrivi quando arrivi, Boke. Sempre identico, con pochissime variazioni.
Invece stavolta Tobio è fermo lì, con le mani sui fianchi, e il cappotto ben allacciato. «Dove stai andando, Boke?»
«Dove pensi che stia andando? A casa.» Shoyo ha già le mani sul manubrio.
«In salita in bici? Con questo tempo? Se devi morire prima dei nazionali, preferisco ammazzarti io.»
In effetti la nevicata sta rinforzando e l'ultima parte del percorso verso Kami è su una statale che, a essere fortunati, spazzeranno domattina.
«Se butta male, la porto a mano» replica Shoyo.
«Non se ne parla. Ci metterai tre ore e ti verrà la polmonite.»
«Non è che ci sono tante alternative.»
«Fatti venire a prendere.»
«E da chi? Da Natsu?» Shoyo scuote il capo e si avvia verso l'uscita, spingendo la bici.
Il passo di corsa di Kageyama ha un ritmo serrato incredibilmente uniforme, perfetto come tutte le sue prestazioni atletiche. Shoyo sarebbe capace di riconoscerlo fra mille. In questo caso, non c'è neanche bisogno di indovinare. Tobio lo raggiunge e lo afferra per un braccio, con poco garbo.
«Tu a casa in bicicletta con questo tempo non ci vai!»
Shoyo si divincola «Piantala, Baka! Ho detto ciao!»
«Fatti venire a prendere da tua madre.»
«Lo sai che non guida col buio.»
«Aspetta, Boke!» Tobio estrae dalla tasca il telefono e digita furiosamente sui tasti.
Shoyo inizia ad averne abbastanza. E' sempre così con Kageyama, un prepotente su tutti i fronti. Eppure... eppure non ha mai conosciuto nessuno che ammirasse così tanto, e allo stesso tempo con cui si sentisse così libero di essere se stesso, di dire cose stupide, di litigare. Non che siano amici, no. E' qualcosa di diverso, una specie di rivalità, che però contiene anche altre cose che hanno in comune: competitività, per esempio. Passione smodata per la pallavolo. Voglia di vincere. Cose importanti.
«Manda un messaggio a tua madre e dille che arrivi alle nove» ordina Tobio, rimettendosi in tasca il cellulare. «Ti accompagna Miwa, dopo l'ultima cliente.»
«Ma sei deficiente? Hai scomodato tua sorella per accompagnarmi alle nove di sera? Io a casa tua non ci vengo!»
In realtà Shoyo è molto curioso di vedere la casa di Kageyama, anche se preferirebbe farsi prendere a pallonate in faccia da Tsukishima piuttosto che ammetterlo.
«E chi ti ci vuole a casa mia?»
«Pensi di stare fuori sotto la neve fino alle nove? Sei scemo?»
«Andiamo in un posto.»
«Dove?»
«Seguimi!»
Shoyo si trova a obbedire. «Tienimi un attimo la bici!» gli dice, e intanto manda alla mamma un messaggio, pieno di faccine, come piace a lei.
«Mi dici dove andiamo?»
«No. Cammina.»
La strada risulta familiare: è quella che percorrono ogni giorno in senso inverso, per andare al parco. Immersi nella neve che danza, camminano in fretta, Hinata con le mani affondate in tasca e Kageyama continuando a spingere la bici.
«Siamo arrivati.»
«Eh?! Guarda che siamo a scuola!»
Tobio fa dondolare qualcosa davanti al naso di Shoyo. E' una chiave, attaccata a un anello d'acciaio, con un portachiavi di metallo a forma di Mikasa.
Gli occhi di Hinata si accendono come fiamme vive. Kageyama resta a guardarli, abbagliato. Quando si riscuote, stringe in pugno le chiavi con un gesto secco. «Se ci scoprono, ci possiamo scordare il torneo. Quindi cerca di non fare lo scemo.»
Raggiungono il punto dove la recinzione esterna si può sollevare quel tanto che basta per sgattaiolare dentro, si muovono al di fuori dei coni di luce dei lampioni ed entrano in fretta nella grande palestra, immersa nel buio salvo le strisce sotto le finestre larghe e basse, da cui filtrano il biancore della neve e la luce soffusa dei lampioni.
Uno dei posti più familiari al mondo, nonostante frequentino quella scuola da meno di nove mesi.
«Non possiamo giocare» osserva Shoyo deluso.
«Non possiamo neanche accendere la luce. Ma almeno non si muore di freddo.»
«Vado a vedere se i termosifoni negli spogliatoi sono accesi» dice Shoyo a bassa voce. Torna scuotendo la testa. «Come hai fatto ad avere le chiavi?»
«Ho fatto una copia di quelle di Tanaka, quel giorno che ce le ha date perché doveva correre a casa.»
«Sei un criminale.»
Tobio ghigna, come fosse un complimento. E forse un po' lo è.
L'orologio sul muro segna le sette e dieci. «E quindi che facciamo fino a che non arriva tua sorella?» domanda Shoyo, guardando con desiderio la cesta con i palloni.
Tobio si stringe nelle spalle. «Parliamo.»
Shoyo si gira a guardarlo, perplesso. «Parliamo? Di che vuoi parlare?»
«Non lo so» risponde Tobio, stringendosi nelle spalle. Si siede con la schiena contro il muro, sotto la finestra, le gambe distese e caviglie incrociate.
Shoyo si siede lì a fianco, la testa appoggiata sulle ginocchia piegate. «Una cosa di cui vorrei parlare con te ci sarebbe» confessa.
Tobio si volta a guardarlo. «Hai qualcosa da mangiare?»
«Eh?»
«Ho fame.»
«Non te ne frega niente di quello che ho da dire?»
«Non lo so, non l'hai ancora detto. Ma ho fame.»
«E poi fai quello che vuole parlare.»
«Dai, avrai pur qualcosa.»
Shoyo sospira «Ho quei biscotti che mi hai dato tu ieri.»
«Quelli pieni di glassa?» chiede Kageyama schifato.
Shoyo annuisce. «A forma di pupazzo di neve. Sono così carini! Anche la ragazza era molto carina.»
«Tu dici?»
Shoyo annuisce, rovistando nella borsa. Estrae un sacchetto di carta azzurra, con dentro sei o sette biscotti glassati. «Non te ne piace mai nessuna.»
Tobio alza le spalle. «Comunque, chi avrebbe tempo per una ragazza?»
Hinata questo lo capisce. Porge i biscotti a Kageyama, ma prima se ne infila in bocca uno.
«Perché pensi che sia carina?» si informa Tobio, con una curiosità che sembra scientifica, più che romantica.
«Begli occhi, bei capelli, minuta, dolce. Kawaii
Tobio arriccia le labbra, riflettendoci. «Non mi dice niente» conclude, masticando.
«E' una ragazza carina. Cosa deve dirti?»
«Boh. Qualcosa. Quanto sorridono, mi sembrano tutte identiche. Negli occhi non hanno... » Kageyama si volta a fissare Shoyo, che aspetta la conclusione della frase. «...niente di speciale. Niente che valga la pena di guardare. O che ti faccia provare qualcosa.»
«Sei strano.»
L'unica risposta è una mano che si infila nel sacchetto a prendere un altro biscotto.
«Ma prima o poi te ne piacerà una» profetizza Shoyo. Vorrebbe essere allusivo e malizioso, ma la voce suona un po' fasulla.
«Bah! Non credo. A meno che non mi stracci a pallavolo.»
«Vuoi essere stracciato da una ragazza?»
«No.»
Hinata solleva le sopracciglia, poi scuote la testa, sfregandosi le mani. «E quindi? Non ha tanto senso quello che dici.»
«Chissenefrega. Di che volevi parlare?»
«Del ritiro della nazionale giovanile» risponde Shoyo, guardandosi le scarpe. «Non mi hai raccontato quasi niente. Ho capito che è una cosa tua, ma... »
«Che vuoi sapere?»
«Tutto!» E' un tono a metà fra l'esaltazione e la frustrazione.
«Abbiamo giocato molto, in tutti i ruoli. Gli altri erano... forti. Alcune situazioni sono state interessanti. Lo yogurt della mensa era una marca sfigatissima e faceva pena.»
«E...?» 
E tu, Boke, non c'eri. Quindi era buio. Tutto il tempo.  «E cosa?»
Shoyo sbuffa, tirando una pedata a Kageyama. «E ti sei divertito? Ti sei emozionato? Hai imparato cose...tipo wow, stump, swish...»
«Parla come gli umani! E' stato... normale. Pallavolo.»
«Normale.» Il sospiro di Hinata è profondo, con un verso di scoramento. «Vai al ritiro della nazionale giovanile, a Tokyo, e la cosa non ti fa né caldo né freddo. Non ti esalta. Non ti cambia la vita. Sai che ti dico, baka? Tu non te la meriti, la nazionale giovanile! Anche se sei un mostro.»
Kageyama reagisce in un attimo, come sempre. Afferra Hinata per la giacca a vento e lo strattona: «E' tutta colpa tua!»
Shoyo si libera con una manata «Che cavolo dici? Colpa di cosa?»
«Non hai combinato niente. Da cinque a quindici anni non hai fatto un cazzo. Ricevi di merda, servi come uno di prima media! Fai schifo!»
Shoyo incassa quegli insulti con il cuore che gli martella in gola. Fanno male, anche se sono tutte cose vere. Fanno male perché sono vere. E fanno più male perché le dice lui. «Credi che non lo sappia?»
Scatta in piedi, a pugni stretti. E' gonfio di collera fin quasi a scoppiare. E nei suoi occhi, che lo guardano dall'alto in basso, Kageyama vede scoppi, eruzioni, esplosioni fra vampate di fiamma.
«Scusa se non ho il tuo talento! Se mio nonno non faceva l'allenatore di pallavolo e non mi ha messo una palla in mano a tre anni! Se sono basso! Se alle medie sono stato da solo in squadra per due anni e ho dovuto mendicare ogni singola alzata che ho ricevuto. In terza ho trascinato in campo cinque persone a caso solo per iscrivermi al torneo e farmi umiliare da te. Credi che non muoia di invidia ogni volta che ti guardo? Che non ci metta abbastanza impegno? Credi che non volessi essere lì a Tokyo con te? Mi sarei venduto l'anima per esserci!»
Kageyama lo guarda dal basso, con gli occhi socchiusi, senza parlare.
Shoyo si smonta in un attimo. L'ira lo abbandona tutta insieme, come un abito che cade; gli resta addosso un'ansia divorante di rivalsa, e qualcosa in più, come un nodo inestricabile all'altezza dello stomaco, che preme e fa male, lì dentro, da qualche parte.
Quando Tobio gli prende le mani, reagisce al rallentatore. «Si può sapere che vuoi?» grugnisce, liberandosi.
«Hai le mani ghiacciate.»
«E quindi?»
«Vieni qui!» ordina il re del campo.
«Ma dove?»
«Stai zitto. Vieni qui!» Tobio gli afferra un polso e lo torce, tirando verso il basso.
Hinata si ritrova in ginocchio di fronte a lui. «Ahia, mi fai male! Baka! Lasciami!»
Tobio, sordo alle proteste, lo spinge e lo tira, fino a farlo voltare, seduto di schiena in mezzo alle sue gambe aperte. E poi se lo stringe contro, abbracciandolo alla vita con una presa d'acciaio.
«Che diavolo fai?» Shoyo tenta invano di forzargli le braccia.
«Zitto. Ti scaldo.»
«Lasciami andare!»
«Stai zitto, ho detto: ci sentiranno, se continui a urlare come una scimmia. Vuoi sapere o no com'era il ritiro della nazionale giovanile?»
«Non me lo hai appena detto? Non mi hai appena riempito di insulti?»
«E tu non hai capito. Perché sei cretino.»
«Piantala! Levati!» Shoyo assesta un pugno all'indietro, diretto al fianco di Kageyama.
«Tieni ferme queste mani!» Tobio le afferra e le costringe sotto le proprie, tornando ad abbracciarlo più stretto di prima.
«Lasciami...» è una protesta debolissima, una ribellione solo a parole.
«Tu sei cento volte meglio di tutti quelli che erano al ritiro» dice Tobio. Lo dice con il viso nascosto fra il collo di Shoyo e il cappuccio della giacca a vento. L'odore di sole e di zucchero gli stanno dando alla testa.
«Ma...»
«Shhh, ascoltami. La pallavolo è il massimo. E' il meglio che esiste al mondo. E questo vale sempre. Ma senza di te è solo pallavolo. Con te è... » Tobio respira a fondo, in questa posizione, senza guardarlo, è un po' più facile trovare le parole. «E' giusta. E' come dovrebbe essere. Vincere. Esaltarsi. Essere a mille. Sudare. Soffrire. Allenarsi. Allenarsi. Allenarsi. Restare in campo. Restare in campo, Boke. Io e te. Dopo che gli altri hanno mollato. Dopo che gli sfigati, i mosci, gli sfiatati e i perdenti se ne sono andati tutti. Tu e io restiamo in campo. Anche sotto il sole di agosto. Anche sotto la neve.»
Shoyo sta trattenendo il respiro, in un'apnea di ossigeno e sentimenti. Il calore delle braccia che lo stringono supera quattro strati di vestiti e brucia sulla pelle. E quel soffio caldo sul collo lo fa tremare: ogni parola pronunciata è un brivido.
«Muoviti!» gli ordina Tobio, stringendolo più forte, articolando le parole direttamente contro la sua pelle. «Muoviti a recuperare, Boke, sono stufo di aspettarti!»
«Ti straccerò» risponde Shoyo, in un soffio.
«Fallo! Stracciami. E poi gioca con me. Vinci con me! Vola per me! Per me. Hai capito, cretino? Hai capito cosa sto cercando di dirti?»
Shoyo non ha capito. Le sue emozioni sono confuse e acerbe.
«Vinciamo tutto» sussurra. E' un credo, una professione di fede. Una certezza. Il resto è solo un vortice confuso, che parte dal cervello e arriva fra le gambe, mettendo in subbuglio tutto quello che c'è in mezzo.
«Vola per me!» ripete Tobio, soffiandogli le parole nell'orecchio.
«Io volo sempre per te. Sei il mio alzatore. Sei il migliore» risponde Shoyo, con il tono delle verità più ovvie.
Tobio nasconde  il rossore nell'incavo del collo in cui ha affondato il viso.
Basta parole. Ne hanno dette fin troppe. Quindi stanno zitti.
E restano così, abbracciati, abbandonati uno addosso all'altro, senza farsi domande inutili, a sognare lo stesso futuro nei riverberi della neve che cade.

 

   
 
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