Fanfic su artisti musicali > The GazettE
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Autore: kinokochan    03/09/2009    6 recensioni
Un colpo di vento più forte degli altri, e i petali delle rose accanto a loro cominciarono a staccarsi piano, sommergendo il legno lucido come fossero tante gocce che danzavano seguendo i movimenti dell’aria, si posavano sui tasti bianchi e cadevano sul pavimento della veranda, fuggendo via verso l’erba del giardino e poi chi sa in quale altro posto. [...]
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Reita, Uruha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ficcu ispiratami dalle tre personcine che ieri si sono sorbite i miei scleri del tipo "ok dimmi un oggetto...o una cosa qualsiasi°° che ti piace o ti ispira di più in questo momento [...] Ma sei sicura? Non puoi più ripensarci!".
Alla fine sono venuti fuori: un petalo di rosa, una tazzina di caffè ed un pianoforte, e la mia mente malata non poteva chiedere di meglio.
Mentre scrivevo ascoltavo la Sonata al chiaro di luna, consiglio anche a quelle povere anime che leggeranno di farlo u.u
Ringrazio anche coloro che hanno letto, recensito e messo tra i preferiti Broken Orchid, mi fate sembrare brava xD

Dedicata con tanto amore a Lilli <3 More <3 e Papo <3


-I GazettE non mi appartengono, e i fatti raccontati sono puro frutto della mia fantasia.-

nb: Per quelle brave persone xD che seguono la mia long, mi dispiace tardare con l'aggiornamento, ma è un periodo di blocco, le idee ce l'ho ma non riesco a portarla avanti, abbiate un pò di pazienza... grazie^^



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Quel giorno l’aria era calda, leggermente afosa e densamente profumata di fiori.

Ogni tanto un leggero alito di vento muoveva le foglioline verde brillante e le corolle, facendo fuggire qualche insetto che vi si era poggiato.
Era bello starsene seduti fuori ad osservare il giardino al di là della ringhiera in legno chiaro, dava un piacevole senso di pace e tranquillità; la veranda era completamente in ombra, oscurata sia dalla tettoia, sia dagli alberi che crescevano tutto intorno e che, in certe stagioni, si caricavano di frutta, che poi alla fine nessuno mangiava.
Dentro c’era un fresco piacevole, con tutto in penombra e illuminato solo dalla poca luce che entrava dalle persiane abbassate, ma era una giornata troppo bella per starsene chiusi in casa ed anche per questo era stato costretto dal suo ragazzo ad aiutarlo a spostare fuori il grande pianoforte nero lucido.
Aveva sempre amato vederlo suonare, sembrava un angelo mentre premeva con apparente delicatezza i tasti resi caldi dal sole, mentre con la testa accompagnava il movimento delle mani, e i capelli lunghi e biondi gli solleticavano il viso.
E rideva, di gusto.
Era splendido, non c’erano altre parole per descriverlo, aveva una bellezza tutta sua… particolare, che lo faceva somigliare ad un angelo, e quando si sedeva al piano sembrava diventarlo davvero.
Anche adesso, praticamente immerso tra i cespugli di rose, che suonava una delle sue composizioni preferite, che sorrideva allungando le labbra rosee e scoprendo i denti bianchissimi… felice, come riusciva ad esserlo soltanto davanti a quel piano.
Si chiese come facesse a sapere tutte quelle cose.

Era strano.
Tutto sembrava avvolto da un velo di… nebbia. Sembrava sfocato, i rumori erano lontani ma le sensazioni erano vivide e reali, gli odori, il suono melodioso e dolce dello strumento, il caldo afoso dell’estate. Ogni cosa era tremendamente vera eppure terribilmente lontana, si sentiva come estraneo da tutto quello eppure sapeva che gli apparteneva.
Non riusciva a capire ma non gli importava, non mentre l’angelo gli faceva cenno di andare a sedersi accanto a lui, gli prendeva teneramente una mano e lo aiutava a suonare qualche nota.
Ma lui premeva troppo forte, o troppo piano, e la magia si interrompeva.

“no Kou… non ne sono capace, continua tu…”

Sembrava quasi una preghiera, che il biondo decise di ascoltare mentre l’altro osservava rapito e deliziato i suoi movimenti.
Si domandò come facesse a conoscerne il nome.

Un colpo di vento più forte degli altri, e i petali delle rose accanto a loro cominciarono a staccarsi piano, sommergendo il legno lucido come fossero tante gocce che danzavano seguendo i movimenti dell’aria, si posavano sui tasti bianchi e cadevano sul pavimento della veranda, fuggendo via verso l’erba del giardino e poi chi sa in quale altro posto.
Erano splendidi e Kouyou ne fu estasiato: rosso intenso e scuro all’esterno, mentre all’interno, dove si attaccavano al fiore, erano colorati di un giallo pallido.
Sorrise prendendone uno tra le mani ed ammirandolo come una gemma preziosa, lo rigirava tra le dita, lo accarezzava e lo sfiorava saggiandone la morbidezza e la consistenza, sembrava di avere tra le mani un pezzo di velluto.

“Guardalo! Toccalo, è meraviglioso, bellissimo!”


Accolse le mani candide dall’altro tra le sue e gli dispiacque quando quelle lasciarono il posto a qualcosa di sottile e leggero.
Studiò quella meraviglia della natura con interesse, prima di accorgersi che l’altro aveva ricominciato a suonare e fu tentato di lasciar andare il petalo insieme agli altri.

“no, non buttarlo, voglio tenerlo…”

Sospirò, sorrise e alla fine decise di arrendersi, nascondendo il frammento di rosa in tasca.
Si alzò e passò una mano tra i lunghi fili d’oro dell’altro, che interruppe la melodia per guardarlo stralunato.

“dove vai?”
“Vado a conservare il petalo, e a fare del caffè. Tranquillo poi torno, sai quanto mi piace ascoltarti…”

La risposta sembrò soddisfare Kouyou, che sorrise dolcemente e tornò a concentrarsi sulla sua musica.
Il buio e il fresco della casa lo accolsero e non ci volle molto prima che si abituasse e il fastidioso sfarfallio che vedeva davanti agli occhi se ne andasse.
Si sentiva a casa, ma sapeva benissimo di non esserci, si muoveva con movimenti automatici nonostante la sua testa non riconoscesse nemmeno un angolo di quell’abitazione, eppure sapeva già dove andare e cosa fare.
Dalla finestra della cucina poteva osservare Kouyou suonare e una sensazione di benessere si impossessò di lui per qualche istante, rilassandolo e permettendogli di godere appieno della musica, che sembrava entrargli dentro e cullarlo.
La luce del sole che calava cominciò a filtrare tra le foglie degli alberi, disegnando curiose forme luminose un po’ ovunque, contribuendo ad alimentare quel senso di estraneo e familiare che non lo lasciava andare… ma era piacevole, si faceva trascinare dagli eventi anche se ne era parte integrante.
L’aroma del caffè gli salì alle narici e si affrettò a spegnere la moka prima che quello bruciasse.
Da una credenza estrasse due tazzine di porcellana bianca, finemente decorate di piccoli ghirigori azzurri, e le riempì con la bevanda, affrettandosi a portarla fuori.
Il sorriso del ragazzo al piano, accompagnato dalla sua mano che lo salutava, lo accolse fuori.
Poggiò le tazzine sul pianoforte e guardò dubbioso il biondo davanti a lui

“Kouyou, non ti stanchi…?”
“Perché dovrei? È così bello qui fuori che se anche avessi tutte le dita rotte non lo sentirei!”
“Sarà… però sono ore che suoni”
“E potrei suonare per altre dieci ore, se solo volessi!”

Kouyou rise, tanto e a lungo, mentre le sue dita sottili ed affusolate continuavano a rincorrersi con grazia ed eleganza sui tasti dello strumento, regalando all’unico ascoltatore una melodia meravigliosa.
Si accomodò su una poltroncina di vimini e cominciò a bere il suo caffè, osservando la bellezza del musicista, una piccola parte di lui gli fece notare che non aveva idea di chi fosse.
Sapeva il suo nome, sentiva di conoscerlo da sempre ma in realtà non sapeva chi fosse, era un volto sconosciuto ma non del tutto nuovo, come tutto il resto, che però lo faceva sentire bene e in pace.
Tutto cominciò a sfocarsi ancora, mentre assaggiava il caffè.
Lo sentiva, sentiva il sapore leggermente amaro e sentiva il caldo liquido scivolargli giù per la gola, lo percepiva distintamente rispetto a tutto il resto, che sembrava quasi amalgamarsi per poi tornare come prima.
Si chiese da quanto tempo in realtà fosse lì.

Il suono del piano cominciava a sembrare così distante, ormai.
La tazzina gli scivolò dalle mani, frantumandosi in mille pezzi sul pavimento.
Il pianista suonò un accordo lugubre e sgraziato, poi un altro ed un altro ancora, pigiando i tasti a caso.
I petali di rosa cominciarono a bruciare, sibilare e sciogliersi.
La luce del sole si trasformò in un rosso cupo, che rendeva la natura intorno nera come la notte.
L’angelo biondo gridò, piangendo e guardandosi le mani tremanti, coperte di sangue che colava dai polpastrelli e che aveva già macchiato i candidi tasti  del piano.

Ignorando le sue grida l’uomo si alzò, percorse la veranda calpestando i rovi neri che un tempo erano stati bellissime rose.
Scese lentamente i tre gradini che lo separavano dall’erba, fragile e secca come fosse stata bruciata, e camminò attraverso quella.
Non aveva idea di dove stesse andando, sentiva di dover avere paura ma sapeva cosa doveva fare, e non si voltò quando le grida strazianti di Kouyou lo chiamarono, più di una volta.


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Un uomo in camice bianco sospira, stanco e triste, chiude un attimo gli occhi e poi li riapre.
Copre il viso pallido del giovane con un lenzuolo bianco e scuote tristemente la testa.
“Ryo Suzuki, arresto cardiaco” dice, ad alta voce “ora del decesso 16:43”

   
 
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