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Autore: crazyfred    11/12/2021    6 recensioni
Alessandro, 45 anni, direttore di una rivista di lifestyle. Maya, 30 anni, sua assistente personale. Borgataro lui, pariolina lei. Self made man lui, principessina viziata ma senza un soldo lei. Lavorano insieme da anni, ma un giorno, la vita di entrambi cambierà radicalmente ... ed inizieranno a guardarsi con occhi diversi. Sullo sfondo: Roma.
(dal Prologo) "Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre ad una sensibilità ed intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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Capitolo 20


 
"Brava. BRA-VA!" si complimentò, aprendosi in un sorriso luminosissimo e alzandosi dal bordo della fontana della "Terrina" mentre Maya tornava con due cartocci e une bottiglie di birra "Questa è la prima cosa da vera romana che ti vedo fare da quando ti conosco: la pizza bianca del Forno di Campo è la migliore"
"Nata e cresciuta a Roma e pensi che non conosca le basi … questa pizza è un monumento della città, quasi meglio del Cupolone"
Alex con le chiavi della moto aprì le due bottiglie porgendone una a Maya. "Alla pizza bianca, che unisce Roma Nord e Roma Sud" propose Alex, sollevando leggermente la sua bottiglia verdastra, per un brindisi. Senza rispondere nulla, Maya tintinnò la sua bottiglia contro quella dell'uomo. Nella sua testa però, avrebbe volentieri dedicato quel brindisi a quella serata, a loro, o persino ad Alice, perché se erano lì, insieme, in quel momento, non era certo merito solo della pizza.
Entrambi addentarono voracemente il trancio, croccante ai bordi e morbido all'interno.
"Mmmm" commentò Alex "la salatura e l'olio sono assolutamente perfetti"
"Scusa ma parliamo di questa mortadella" aggiunse Maya, con la bocca piena "fine ma a venti strati... che c'è?"
Alex la guardava incantato ma divertito mentre tesseva le lodi alla focaccia.
"È che non ti facevo proprio tipa da pizza bianca con la mortadella … sì al sushi, no al carboidrato" la canzonò, con un gesto delle mani come se declamasse il motto di una réclame.
Maya ridacchiò, portando un tovagliolo di carta alla bocca per pulire via molliche ed olio, ancora masticando, ma non poteva che dargli ragione: fino a pochi mesi prima, l'idea di andare a passare la serata a Campo, sedendosi sulla base della statua di Giordano Bruno, oppure per terra dove capitava, in mezzo a ragazzi ubriachi e sudati a mangiare un trancio di pizza unta e grassa, l'avrebbe inorridita. Al massimo, se la sua comitiva l'avesse trascinata a forza per qualche evento nelle vicinanze sarebbe rimasta in piedi tutta la sera, con un'espressione tra l'altezzoso e lo schifato e ne avrebbe rubato un quadratino ad Olivia.
"Deve essere l'aria di Testaccio" commentò "i manicaretti della Betti … ho messo su tre chili da quando mi sono trasferita"
La signora Rossi, ormai diventata La Betti, aveva preso in simpatia lei e sua sorella e le viziava in continuazione.
"Ti stanno divinamente" affermò Alex, con prontezza, senza battere ciglio. Ma ne era convinto: il suo viso si era leggermente addolcito e somigliava molto di più a sua sorella, per quanto potesse ricordare da quel fugace incontro avvenuto mesi prima.
"Questo significa che si vedono però. Vergognati!" si finse indignata e iniziò a camminare, con fare scherzoso, verso il centro di Campo de Fiori.
La piazza brulicava di gente: come di giorno le bancarelle pittoresche del mercato la riempivano di turisti, così la sera i localetti della zona sostituivano i banchi di frutta e verdura con i loro tavolini di legno attirando comitive di giovani nella piazza più profana di Roma, infondendole un senso di buonumore e spensieratezza. Era così che tutti e due si sentivano: leggeri e liberi da quei vincoli che si imponevano reciprocamente di giorno, al lavoro; forse era la notte, che con le sue luci rendeva tutto più singolare e lecito.
Mentre Maya, a passo svelto raggiungeva l'altro capo della piazza, Alex la rincorreva, divertito.
"Dai Maya! Lo sai cosa volevo dire …" allungò il braccio per fermarla, ma invece di prenderla per l'avambraccio, la sua mano scese ad afferrare quella di lei.
Quella mossa, che Alex fece senza pensare, istintivamente, gli era immediatamente sembrata avventata, sconsiderata, ed era pronto a ricevere tutto lo sdegno e la contrarietà di Maya: già si vedeva lei che chiudeva lì la serata, prendendo il telefono per chiamare un taxi o, se le girava bene, chiedendogli di riportarla a casa. Invece si girò, ma non era sorpresa né alterata; buttò uno sguardo veloce alle loro mani, e velocemente incrociò il suo sguardo con quello dell'uomo, sorridendo timidamente e lasciando andare la presa. Non era pronta, Alex aveva capito, ma non era contrariata; semplicemente gli stava chiedendo di seguirla, con i suoi tempi. A lui stava bene, non pretendeva altro. Maya, dal canto suo, non sapeva come si sentiva, non sapeva come era giusto sentirsi: il suo cuore stava clamorosamente bene, talmente bene che quasi le sembrava una serata di maggio, in cui mettere via il cappotto e andare in giro con le maniche corte e i sandali spuntati; ma il suo cervello no: quella stronzetta della sua testa tirava il freno a mano, ricordandole tutto quello che poteva andare storto e che per le ustioni d'amore non esiste pomata che funzioni. In quel braccio di ferro, in quel momento era la testa a comandare.
"Lo so, tranquillo" lo rassicurò "ma mi piace avere l'ultima parola…"
"Meglio così"
Continuarono a camminare, senza una meta precisa, tra gruppi di turisti spaesati tra i vicoli, gente ferma alle vetrine e gente ancora seduta ai tavolini dei bar e dei ristoranti, che qualche avventore più coraggioso per sedersi all'aperto si trova sempre, nonostante l'aria frizzantina, soprattutto tra i turisti. Loro, invece, padroni delle strade e del momento, si lasciavano semplicemente guidare dalla conversazione piacevole. Lui ogni tanto le mostrava qualche dettaglio sconosciuto ai più, come un attento Cicerone, lei rispondeva indicandogli questo o quel locale di birre artigianali, oppure quello per gli amanti di shottini.
Era un po' triste che conoscesse la sua città solo per la sua vita mondana, ma non poteva farci nulla se le sue prospettive erano alquanto limitate fino a poco tempo prima. In particolare, avrebbe sorvolato sull'associazione automatica che la sua testa faceva tra i locali e i casi umani che puntualmente le si azzeccavano addosso vedendola da sola, o peggio ancora gli appuntamenti con gente conosciuta su Tinder e che nel 60% dei casi non corrispondeva mai alla foto profilo.
Per caso, abbassò lo sguardo a causa di una lattina lasciata per terra sulla quale stava per inciampare; Alex si avvicinò per aiutarla a mantenere l'equilibrio, ma fu un'altra cosa ad attirare l'attenzione di Maya: tre piccole targhe d'ottone tra i sampietrini, tre pietre d'inciampo. Alzò lo sguardo, e capì che erano entrati nel vecchio ghetto ebraico: le insegne dei negozi e persino gli ombrelloni aperti dei bar riportavano scritte in ebraico o l'indicazione kosher; poco più avanti, in fondo al largo viale, il Portico d'Ottavia e sulla destra, la Sinagoga.
"Roma Glam ha mai fatto servizi sulla cucina giudaica a Roma?" domandò ad Alex.
"Credo di sì, devo controllare … ma perché me lo chiedi?"
"Per quello che hai annunciato questa sera"
Durante il suo discorso Maya e tutti gli altri convenuti avevano capito il perché della serata così importante: Alex aveva annunciato la creazione di un network di riviste web dedicate alle maggiori città del mondo, con articoli tradotti in diverse lingue per attirare il pubblico di tutto il mondo.
"Pensa se si scrivesse che ne so … un articolo o un reportage a puntate sul turismo kosher, su misura della grande comunità ebraica americana. Tipo … dove mangiare seguendo i precetti, dove poter celebrare lo Shabbat …"
"Come ti è venuto in mente?"
"Mah … così, di getto, visto che siamo vicini al Tempio, ma ai tempi dell'università conoscevo una ragazza che era venuta da New York per un programma di scambio ed era colpita che a Roma ci fosse questa grande tradizione nonostante il Vaticano. Non molto lontano da qui per esempio c'è un forno dove andava sempre a comprare pane azzimo e non usano lieviti in nessun preparato"
"È un'ottima idea. Ne parlerò nei prossimi giorni con New York e con il resto della redazione" le disse, guardandola con orgoglio e un filo di tristezza "comunque lo sapevo"
"Cosa?"
"Da quando ti ho conosciuta sapevo che prima o poi avrei dovuto lasciarti andare. Che avevi solo bisogno dei giusti stimoli … sei sprecata per essere solo la mia assistente"
Maya rimase colpita dalle sue parole: non aveva mai considerato sé stessa al di fuori di quel ruolo, anche perché lo aveva sempre visto come un impiego temporaneo, una fase prima di sistemarsi come la Signora X o Y.
"Ma era solo un'idea, nulla di che …"
"Un'idea che nessuno in redazione ha avuto fino ad ora però. E non è giusto che siano altri a prendersene il merito"
"Ma al massimo te lo prenderesti tu e io lavoro per te, e sono contenta se posso esserti utile. Non sono una giornalista o una blogger, non so nemmeno da dove si comincia per scrivere. So organizzare ruolini di marcia, intrattenere pubbliche relazioni, fare da tramite per conto tuo. Sto benissimo dove sto, credimi"
"Sicura?"
"Assolutamente … poi per scrivere bisogna leggere e io ammetto di non essere un'avida lettrice. Al contrario di te …"
"Di me?"
"La leggo la rivista e leggo i tuoi editoriali, si vede che scrivi molto bene perché hai una grande cultura"
Ovviamente, che leggessero la rivista era il minimo che Alex si aspettava dai suoi dipendenti, ma il giudizio di Maya, detto in quel modo così sincero ed accalorato, per nella sua semplicità, lo impressionò più delle recensioni che ricevevano dagli addetti ai lavori. La sua opinione, per lui, contava immensamente, perché sapeva che non aveva peli sulla lingua e se qualcosa non andava, non aveva problemi ad ammetterlo.
Erano arrivati all'isola Tiberina. Di notte, quel lembo di terra separato dal resto di Roma dal Tevere tagliato in due era uno spettacolo come pochi. L'illuminazione, un po' come molte cose a Roma, era un po' raffazzonata - luce calda qui, luce fredda là, eppure il risultato d'insieme funzionava, creando un effetto scenografico di luci ed ombre, con le tinte verdastre della vegetazione che scendeva fin dentro il fiume e ben si sposavano con i colori caldi degli edifici e il bianco dei marmi sui ponti.
Dal ponte dove si erano affacciati si potevano scorgere coppiette appartate nello spiazzo di fronte al Ponte Rotto. Sicuramente l'atmosfera romantica e il fiume che ovattava i rumori del centro città alle prese con il week end erano l'ideale per chi voleva un po' di privacy.
"Vogliamo scendere un po' lì?" domandò Alex.
"No" non perse tempo a rifletterci su Maya "no, torniamo indietro per favore"
"Ok"
Alex non disse altro, sapeva che doveva andarci piano, perché anche se il suo istinto gli diceva che poteva sperare, al contempo non era ancora arrivato il momento di osare.
Lei era mortificata. Sapeva che Alex non avrebbe fatto nulla che lei non volesse, ma non riusciva a lasciarsi andare come avrebbe voluto. Quella passeggiata, finita - neanche loro sapevano come - in uno degli scorci più romantici di Roma, aveva assunto sempre di più i toni di un appuntamento. E lei lo sapeva come andavano queste cose. Si ride, si fa i cretini, poi si torna a casa e, tanto per prendere un drink, ci si sveglia la mattina dopo nello stesso letto, nudi, storditi e pentiti di aver rovinato tutto. E non voleva né poteva lasciare che finisse così con Alex. Però le piaceva stare con lui, quella sua presenza pacata e rassicurante la faceva sentire a suo agio come mai si era sentita prima ad uscire con un uomo. Sapeva che non ci sarebbero stati imprevisti, cazzate e, se ci fossero state sorprese, il suo istinto le diceva che sarebbero state solo cose belle.
Mentre aspettavano di poter attraversare la strada e tornare, a ritroso, verso Campo de' Fiori, Alex le fece da scudo con un braccio: sovrappensiero, non si era neanche accorta di un monopattino che, sfrecciando incurante dei pedoni, le aveva tagliato la strada.
"Sto deficiente!" esclamò l'uomo indignato.
"Lascia perdere …"
Maya, inconsapevolmente, aveva stretto la mano tra le sue e non riusciva a mollare la presa. Lui non fece una smorfia, non la guardò nemmeno, ma intrecciò le dita con quelle della mano destra della ragazza e, appena possibile, ripresero a camminare.
 
"Grazie per il passaggio" disse Maya, scendendo dalla moto e slacciando il casco per restituirlo ad Alex "e grazie per la passeggiata"
"Grazie a te per la pizza" aggiunse lui, e Maya fece spallucce.
"Non c'è di che"
Maya poggiò il casco sulla gamba dell'uomo che stava ancora seduto sullo scooter, ma lo aveva spento per parlare. Con la mano, sfiorò quasi impercettibilmente la sua coscia ed Alex sentì un brivido salirgli lungo la schiena. Maya cerco di rimanere all'erta, concentrata e seria, perché se era vero che quella sera avevano percorso, letteralmente, una nuova strada assieme, non era ancora in grado di capire cosa lui volesse e dove stava andando a parare.
Mentre Alex sistemava il casco nel bauletto posteriore, Maya non si mosse e rimasero entrambi in silenzio: era il classico momento di imbarazzo dopo un'uscita in cui non si sa bene cosa fare, se salutare o se invitare a salire per un drink, nella speranza di proseguire la serata in altro modo. Forse Alex ci sperava, forse no, Maya non riusciva a decifrarlo; quanto a lei, era tremendamente combattuta: farlo salire era tremendamente rischioso ma al contempo non riusciva a lasciarlo andare. Bisognava buttarsi, Olivia aveva ragione, ma era un rischio che non era disposta a compiere senza una minima garanzia.
"Allora ci vediamo lunedì" fece Alex, tornando in sella, sorridendole "passa un buon week end"
"Anche tu" annuì Maya, prendendo le chiavi nella borsa "a lunedì. Buonanotte"
"Buonanotte"
Aveva lasciato, in pratica, che fosse lui a decidere per entrambi: una decisione di cui ora si pentiva amaramente, ma non poteva tornare indietro, non doveva dargli l'idea di essere una disperata, perché evidentemente lui non lo era più di tanto.
Sul portoncino, prima di entrare, Maya si girò, speranzosa di non si sapeva nemmeno lei cosa; lui era ancora lì, ma ormai aveva messo in moto lo scooter. Con un sorriso amaro, stampato a forza sulle labbra, alzò leggermente il braccio per salutarlo e lui ricambiò, da sotto il casco, con un misero cenno del capo.
 
Come faceva sempre quando la accompagnava a casa, Alex aspettò che chiudesse il portoncino per ripartire. Sulla strada, mentre sfrecciava lungo il Tevere ripensò alla serata appena trascorsa, a come l'aveva vista perdere ogni inibizione, come un'amica con cui si passerebbero ore. No, non era amica la parola che cercava. Compagna, compagna era molto più appropriata. E poi aveva stretto la sua mano a quella di lei, avevano passeggiato per i vicoli del centro come decine di altre coppie che erano intorno a loro: incuranti degli sguardi dei passanti, che di certo non erano interessati a loro, e paradossalmente incuranti di loro stessi. Dopo un'iniziale scossa, un nanosecondo per rendersi conto che era successo davvero, che tutti i pianeti si erano miracolosamente allineati e lei aveva finalmente fatto quel passetto verso di lui, e tutto era continuato ad andare come doveva, tranquillo e normale perché insieme stavano bene, funzionavano perfettamente. Non poteva negare e nascondere l'emozione, quella trepidazione un po' timida e un po' adrenalinica che faceva battere il cuore come quello di un ragazzino nel guardarsi e, senza parlare, dirsi che stava succedendo veramente, ma al contempo c'era quella sensazione dolce di benessere e di giustezza che faceva sembrare nulla di eclatante quello che stavano facendo.
Si rese conto, per la prima volta, che non aveva pensato neanche per un secondo a Claudia quando era con Maya; finalmente, aveva smesso di essere il metro di paragone di ogni sua nuova esperienza. Aveva detto alla giovane che non era mai stato un ripiego, un modo per dimenticare sua moglie e digerire la separazione, ma implicitamente ogni cosa che faceva con Maya finiva col farlo pensare alle mancanze di Claudia o alle sue come marito.
Ora non più: stare con Maya non era più un bisogno, un'ossessione quasi; passare anche solo del tempo insieme era un'emozione da vivere totalmente, senza pensare ad altro, conquistato da quegli occhi dolci e irriverenti allo stesso tempo, da quella risata genuina e piena di vita.
Coglione. Alex, sei un emerito coglione.
Mentre era ancora per strada, iniziò ad imprecare contro sé stesso e se avesse avuto un muro a portata di mano avrebbe rimosso il casco e ci avrebbe battuto la testa contro ripetutamente.
Nella sua mente, l'immagine dell'ultimo sguardo che Maya gli aveva rivolto, ritornava di fronte ai suoi occhi tremenda e insopportabile. Lì per lì non ci aveva fatto caso, i suoi occhi ancora distratti da quella patina rosa che era stata quell'uscita a due, ma ora poteva giurare che lo sguardo della ragazza, quando si era girata per l'ultima volta prima di rientrare in casa, fosse spento e deluso. Forse - anzi ne era praticamente certo - non aveva capito niente, forse tanto per aspettarla e rispettarla, si era dimenticato di fare la sua parte dopo che lei aveva fatto la sua.
Appena la strada glielo consentì, Alex fece inversione e ruotò la manopola dell'acceleratore: a tutto gas, verso Testaccio.



 

Lo so, dopo questo finale probabilmente verrete a cercarmi in giro per l'Italia per uccidermi. Ma vi chiedo solo un altro po' di pazienza e verrete ripagati di ogni attesa, ve lo prometto. Anzi, per farmi perdonare per un capitolo anche più corto del solito potrei anche pubblicare prima il prossimo; che ne dite, vi piace come compromesso? Un saluto e un ringraziamento a tutti voi che continuate a seguire la storia e a presto,
Fred ^_^
   
 
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