Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
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Autore: PrimbloodyBlack    13/12/2021    0 recensioni
(la pubblicazione continuerà su Wattpad) Eloyn fa parte di una famiglia di cacciatori di vampiri. Durante la sua prima battuta di caccia viene separata dal gruppo e catturata. Viene portata nella grande dimora di uno dei 5 Signori Vampiri. Viene resa schiava dalla potente Lux che la renderà una Bloodgiver, il cui compito è quello di donare il suo sangue al suo padrone.
Lux riuscirà mai a sottomettere uno spirito ribelle come quello di Eloyn? Sarà una sfida che lei non vorrà di certo perdere.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Lux

Mi svegliai lentamente, con il veloce e ovattato tintinnio dell'orologio. Le coperte in pelliccia mi avevano riscaldata per tutta notte, lasciandomi ogni tanto qualche pelo impercettibile nella bocca. Avevo qualche capello nero e doppio sulla spalla e qualcuno che mi sfiorava l'orecchio. Io ero rivolta verso il soffitto. La schiena mi doleva, per troppo tempo ero rimasta piegata sulla scrivania, e il materasso non era più quello di una volta. La spalliera in legno era ormai piena di piccole ammaccature e mi venne il vago pensiero di cambiare il tutto con un letto a baldacchino. Sarebbe stato belle cadere nell'intimità, nascosta dalle chiare tende che pendevano dalla punta, dove sarebbe entrata solo la luce del sole, o la fioca fiamma delle candele. Uno spazio chiuso, accogliente e caldo. Ancora poco vigile, continuai a navigare trai miei pensieri e desideri. Nel mio immaginario vedevo qualcuno accanto a me, ci toccavamo con la punta delle dita, ci abbracciavamo lasciando che i nostri corpi si fondessero l'uno con l'altro, mosse dal desiderio di annegare l'una dentro l'altra. 

Era solo mattina e la mia giornata stava iniziando già male. Odiavo svegliarmi ancora sognando e odiavo sognare eventi futuri non certi. Lei mi mancava e bramavo il suo tocco. Mi faceva male il petto e con un gesto, che sarebbe sembrato a chiunque inutile, misi la mano sullo sterno e cominciai premere, mettendo vera pressione. La pesantezza apparente che sentivo divenne reale e cominciai a sentirmi nuovamente in controllo delle mie emozioni. Rimasi così per qualche minuto, finché non sentii un mugolio provenire alla mia destra. Io e Ife eravamo rimaste fino a tardi a leggere i rapporti di Malicia e Nemna e quelli dei soldati e delle guardie posti al confine. Avevamo anche cominciato a leggere i documenti con le entrate e le uscite di ogni ducato nella speranza di trovare incongruenze. Ormai facevamo sempre notte fonda. Io solitamente crollavo sulla scrivania e Ife mi aiutava a prepararmi ad andare a letto, combattendo anche la sua personale stanchezza. Di conseguenza era poi lei a crollare sul mio letto. Non mi dava fastidio, era una persona importante per me, le volevo bene, e poi avere accanto qualcuno alleviava i brutti pensieri, soprattutto di notte. Il fatto era che avevo cominciato ad odiare il buio e la luna alta in cielo, mi ricordavano di un altro giorno passato, senza ancora svolte significative. Rimanere sveglia fino a tardi mi dava l'illusione di avere il controllo sui giorni e sul tempo, e cadere stremata sulla scrivania mi permetteva di addormentarmi senza rimurginare su quello che avrei potuto fare di più durante quella giornata. La mattina il mio corpo combatteva per tenermi addormentata, ma il mio cervello si era già abituato ai miei doveri. Mi coricavo tardi e mi alzavo presto, lavoravo, lavoravo, lavoravo, ancora e ancora. Era l'unica cosa che ormai mi permettessi di fare. Ieri sera avevo promesso a tutti che avrei fatto delle buone ore di sonno questa mattina, svenire durante la cena era stato qualcosa che il mio cervello non aveva calcolato ma il mio corpo sì, e per giunta difronte a tutti. 

Ife cacciò qualche altro mugolio, muovendo le gambe e premendo di più la schiena contro il mio braccio. Quella vicinanza accendeva in me sempre un insopportabile fastidio, potevo toccare chiunque volessi, tranne la persona che volevo veramente attaccata al mio fianco. 

Il mio cervello aveva già scosso un paio di volte il mio corpo nel tentativo di svegliarmi, ricordandosi dei miei orari, ma io chiudevo nuovamente gli occhi, sperando di riprendere sonno. Questa volta mi svegliai con la testa poco sotto il cuscino e sdraiata sul fianco. Il letto non era più un avvallamento su due parti, ora c'ero solo io, sveglia, quasi lucida. Le tracce di Ife erano sparite, niente più capelli che mi punzecchiavano il viso, e nessun corpo caldo accanto al mio. 

Stiracchiai un po' le gambe, e poi le braccia, sentendo da subito il cambio di temperatura. Le rimisi subito sotto le coperte. Volevo rimanere in quel tepore, come ogni mattina, del resto. Mi sforzai di scoprirmi, sentendo il freddo penetrarmi nella pelle. Sarebbe stata una giornata estenuante come tutte le altre, ma almeno ero riposata. Mi cambia e uscii dalla camera affacciandomi al lungo corridoio. Sembrava non esserci nessuno nelle proprie camere. Prima di iniziare a scendere le scale, incontrai una schiava delle cucine, che portava un grande vassoio farcito di cibo, acqua, sangue e vino.

"Mia signora," disse con un inchino, ancora tra uno scalino e l'altro. "Vi stavo portando il pranzo."

Non avevo minimamente pensato di guardare l'orario appena sveglia. Pensavo di aver dormito solo un paio di ore in più, non tutta la mattinata!

"Gli altri stanno pranzando?"

"Si sono appena accomodati."

"Bene, mi unirò a loro."

Quando entrai nella sala, guardai di sott'occhio Ife e Rhea. La ragazza abbassò lo sguardo, Rhea mi fece l'occhiolino. Da una parte una colpevole e dall'altra una compiaciuta. Feci un sorriso ad entrambe, alla fine. 'Il movente giustifica l'atto se mosso da ideali giusti.' Un detto che mi recitava mio padre ogni volta che prendeva scelte economiche e politiche sbagliate. Ha sempre cercato di sembrare più di ciò che era veramente, un disilluso in cerca della stessa gloria che aveva ottenuto mio nonno. Ma loro due avevano fatto il giusto, lo riconoscevo. 

In quel periodo la sedia di Eloyn al tavolo degli umani era rimasta vuota, non che avessero dei posti prefissi, ma lei si metteva sempre là, lontana ed infondo, via dal mio sguardo. Nessun umano aveva osato rubarle la sedia, sapevano di non averne il diritto. Non avevo dato spiegazioni sulla sua scomparsa, ma sicuramente giravano delle voci, del resto noi vampiri non abbiamo mai imparato a tenere in considerazione la loro effettiva e costante presenza intorno a noi. Sempre così invisibili ai nostri occhi, ai miei, ma lei non lo era mai stata, tranne ora. 

Ero pervasa dalla malinconia, quello potevano vederlo tutti, era la rabbia l'unica cosa che tenevo per me e che non mostravo mai, nemmeno quando ero in solitudine. Volevo essere migliore della donna che aveva distrutto un intero villaggio, ma allo stesso tempo, l'odio che covavo mi avrebbe portata sullo stesso cammino. Avevo paura di tornare in dietro, ma forse era l'unico modo per riportarla da me. Quindi mi sfogavo con le piccole cose, giustiziare Costantine Seelers era stata una di queste, Rhea ancora ci rimuginava, ma aveva compreso le mie motivazioni, ed ora sembrava essersi placata, anche se ogni tanto vagava con lo sguardo su punti vuoti, scuotendo la testa, per poi guardarmi con la ferocia negli occhi. Ma era così che doveva essere, avesse fatto il contrario mi sarei preoccupata. Qualche volta sorprendevo Amélie fissarmi, così concentrata come se cercasse di leggermi. Quando la beccavo invece di distogliere lo sguardo, come qualsiasi altra persona avrebbe fatto, mi sorrideva. Era un sorriso sincero e caldo, intriso di dispiacere. Mi confondeva. Mi riscaldava, ma allo stesso tempo desideravo la sua indifferenza, così sarebbe stato più facile fare l'odiosa rancorosa. Smise di farlo quando le tolsi i suoi schiavi, dovevo pur sempre punirla, e li diedi a Stella. Stella era sempre stata una spina nel fianco per ogni umano, era quel tipo di padrona che per richiedere i tuoi servigi ti urlava dall'altro lato della casa e se non arrivavi in tempo te la faceva pagare. Quei schiavi avevano vissuto negli allori con Amélie, e ora avrebbero faticato a causa della sua stupidaggine. Quando glielo avevo riferito aveva detto: "Stella è una stronza." Al quale io avevo risposto: "Anche tu." E me ne ero andata. Ad Arkel feci una cosa simile, gli tolsi i suoi schiavi dandoli a persone al di fuori della famiglia. James e Elliot non meritavano altri umani ai loro servigi, erano ancora dei bambini, Marcus non sopportava gli umani a prescindere, e Camilla si era espressa totalmente contraria, non voleva nulla che un tempo fosse appartenuto a un coglione, sue parole, come Arkel. Quindi contattai qualche conoscente di fiducia e li prestai a loro.

Nel pomeriggio arrivò una lettera, annunciandomi che le gemelle sarebbe presto giunte nel Ducato dei Thorns. Avevo in precedenza espresso il mio disappunto, ma Rhea mi aveva convinta a lasciarle andare. La casa presto si svuotò, James e Elliot a fare macelli in città, Stella con qualche vampiro o le sue amiche, Arkel chissà dove, Camilla chiusa in camera a leggere o a rispondere alle sue corrispondenze. Marcus ogni tanto girava per casa senza mete precise, controllava come stessi o se avessi bisogno di qualcosa. Con gli anni, senza nemmeno volerlo, era quasi diventato la mia personale guardia del corpo. Rhea e Amélie ultimamente si erano scambiate delle strane occhiate. Da quando qualche giorno fa era tornata ricoperta di sangue, sembrava che il loro rapporto fosse migliorato.

 Io e Ife eravamo tornate a lavorare quando un'umana bussò delicatamente alla mia porta. Con un inchino mi porse la lettera che teneva tra le dita. Adrienne Manor aveva richiesto una riunione del Concilio, sarebbe avvenuta tra qualche giorno. Se non l'avesse richiesta lei, probabilmente l'avrei fatto io. Avevo bisogno di vedere i rappresentanti della casate, di capire, faccia a faccia, le loro intenzioni e ristabilire la mia fiducia nei loro confronti. Non era sicuro ci fosse un traditore tra loro, ma magari nella stessa famiglia, una persona con una notevole influenza e con un valido movente. La famiglia Manor e i Capitol erano da escludere, così come i Grenville, che vivono ancora nella speranza che io possa, un giorno, sposare Aaron. I Glossilance si erano sempre dimostrati una famiglia seria e devota al loro Lord, così come gli Holymark. I Redstarl erano sempre stati dei forti patrioti, ed io, fino ad ora, non avevo messo in dubbio il mio diritto a governare, né avevo mai messo a rischio il regno. La mia decisione di escludere Styria dagli altri regni li aveva entusiasmati ed io avevo ottenuto il loro favore dal quel momento. Le altre famiglie rimanevano un'incognita, compivano i loro doveri, quello era certo, ma alla fine non si sa mai. Del resto il regno di mio padre era caduto non solo per via delle sue decisioni, ma anche perché le casate con i loro ducati si erano rivoltate contro di lui. 

"Questa notte andrai?" domandai posando la lettera sulla scrivania.

"Sì," mi rispose Ife. 

Negli ultimi due giorni si era mossa tra le strade della città, memorizzando negozi, volti, vicoli... Tutto ciò che le sarebbe potuto essere utile, e stanotte non sarebbe stato da meno. Le avevo dato un mese di tempo, forse un po' troppo considerata la situazione, ma sapevo che così avrebbe fatto un buon lavoro e avrebbe portato dei risultati.

"Mi fermerò a dormire in un osteria vicino alla Golarossa," disse con una voce bassa e calma, con il tipico accento da chi viene da Yathrib. Si era sempre rifiutata di perderlo, era l'unica cosa che la legava ancora alla sua vecchia famiglia umana. "Resterò lì per una settimana."

"E chi sarai?"

"Una semplice ragazza, fuggita da Yathrib a causa dei suo severo padre. Porta con sé pochi soldi ed è in cerca di un posto in cui stare. E' misteriosa, vuole attirare un po' gli occhi su di sé, ma non troppo. Si farà qualche amico, qualcuno di squallido che la vorrà possedere-"

"Non mi piace questa parte." Mi ha sempre sorpreso con quanta calma e, soprattutto, indifferenza si inventa queste personalità. E' capace di creare un personaggio tutto nuovo e mantenere la parte fino alla fine, di distaccarsi dalla vera se stessa.

"Ma," sottolineò, "lei è timida infondo e non facile da avere. Pretenderà delle risposte, però a domande semplici, cose a cui tutti posso rispondere. E lì gli darà un po' di se stessa, il minimo per mantenere alto il suo interesse. Farà conoscenza di altre persone, porrà quesiti innocenti, sciocchi, finché non farà le vere domande ottenendo le risposte che aveva cercato fin dall'inizio."

Rimasi per un attimo perplessa, tenendomi il mento con il pollice e l'indice. "Non mi piace che ti vendi così. Non sei la puttana di un bordello al soldo di qualcuno."

"Non ho mai detto che farò la prostituta."

"Be' hai descritto magnificamente quello che fanno loro. Non voglio che usi il tuo corpo come fosse un oggetto in vendita." Mi sentivo come una sorella maggiore a parlare così. "Da quel mondo ti ci ho tirata fuori prima ancora che potesse traviarti."

Lei corrugò la fronte, dispiaciuta dalla mia reazione, ma ciò che la rattristì non fu che l'avevo paragonata a delle prostitute, ma per il semplice fatto che avevo buttato giù la sua idea.

"Ma non sarò io," mi rispose con leggerezza.

"E chi sarà?" domandai. "Una certa Mardea o Jala?" dissi facendo la finta pensosa. "Non conosco molti nomi yathribani o illiriani," commentai infastidita.

"Non essere l'antagonista della mia creatività."

Sospirai tentando di cercare un punto in comune. L'ultima cosa che vorrei è sapere che qualcuno che conosco da quando è un tappo venire sessualizzato da porci schifosi per un mio profitto.

"Pensa a qualcos'altro. Il mio è un no."

Abbassò la testa, lasciando il mio studio con leggiadra calma, con la rabbia ben nascosta dentro.

Quella notte andai a cercarla in camera sua, una semplice camera degli ospiti che lei non aveva nemmeno tentato di rendere più sua. I vestiti e le armi erano ancora nel baule con il quale era arrivata. Gli armadi e i cassetti erano rimasti vuoti, nessun oggetto personale in vista. Sorprendentemente ne ero rimasi ferita, avevo paura che lei non considerasse questo ambiente, questa casa, come sua, e che si sentisse come una semplice ospite, come se questo fosse un lavoro per lei. 

Entrai senza bussare, solitamente non lo facevo, ma dovevo pur in qualche modo mostrarle la mia rabbia riguardante quella faccenda. "Ife." Era piegata davanti a quel baule marrone e ammaccato, teneva stretta nella mano una sacca di medie dimensioni in cui stava infilando gli indumenti e i vestiti per la sua breve missione. 

"Sei sicura di voler fare questa cosa?"

"Lux," disse tranquillamente. Mi è sempre piaciuto come il mio nome suonava con il suo accento. "Tu non lo sei. Non fare quella faccia scontrosa." Mi guardò sorridendo e io cercai di ammorbidire lo sguardo.

"Ti ho vista crescere, non posso pensarti in quel modo." 

"Non devi, infatti." 

"Sei cresciuta troppo," commentai con imbarazzo. 

Lei si girò nuovamente nel tentativo di dirmi qualcosa, ma non parlò, la sua timidezza l'aveva frenata. Mi sorrise e controllò se nella sacca c'era tutto.

Era da un po' che qualcuno non mi guardava con sincero affetto. C'è stato un momento in cui lei e le gemelle erano delle bambine e temevo che il loro amore per me si sarebbe trasformato in devozione. Non ho mai desiderato essere vista da loro come se fossi una specie di salvatrice, quindi ho sempre cercato di essere più premurosa, più sorella, in modo da poterle presentare un giorno a questa famiglia, senza sembrare che fossero meno o non per nulla parte.

"Sono pronta," disse.

"La carrozza è fuori che aspetta," la avvisai. 

"Bene." Si mise in spalla la sacca. Indossava dei pesanti vestiti da popolana locale. 

"Non avrai freddo?" Indossava una gonna lunga, ma tra il vento e la neve avrebbe sofferto amaramente il freddo, per non parlare della camicetta bianca sopra la quale c'era solo un copri spalle del tessuto spesso e ruvido. "Devi sembrare disperata, non esserlo veramente."

"Non preoccuparti, rammenta le cose che ha fatto in passato."

Sospirai. "Ricordo." 

Ho comprato Ife molto prima delle gemelle, e ha messo al mio servizio le sue lame da almeno vent'anni, ma a volte non posso fare a meno di vederla come la bambina timida che si aggrappava al mio braccio ogni volta che Marcus era in giro. La sua stazza prorompente la intimoriva come non mai, ora invece qualcuno come lui sarebbe un non nulla per lei.

"Il freddo è stato mio amico molte volte, così come la nebbia d'Inverno."

"A volte rimpiango averti mandata dai Capitol, sia te che le gemelle, avrei dovuto darvi una vita più tranquilla."

"Volevi che ti fossimo d'aiuto, non ci vedo niente di male."

"Ho comunque sbagliato."

"Ma non hai commesso quell'errore con gli altri che sono venuti dopo. Hai dato loro una vita che desideravano, li hai amati con tutto il tuo essere. Sono sicura che fratello Arkel è grato, e lo sarebbe stata anche sorella Lailah."

Risi nel sentire i loro nomi. "Lailah è morta e Arkel è diventato un sadico perché l'ho privato delle mie attenzioni."

"Ti punisci troppo," disse nella sua ignoranza.

"Non sai cosa ho fatto. Tu non c'eri, fortunatamente."

"La mia conoscenza di ciò che accade qui quando non v'ero non è del tutto completa. Ma in quei anni fratello Arkel é venuto da noi numerose volte in cerca di conforto."

Avevo un groppo in gola. "Capisco." Ho fallito nel proteggerlo, non ci sono stata nel momento in cui aveva più bisogno di me.

"Non so cosa successe alle altre due Bloodgiver e non rientra nei miei interessi, ma lo sapevo che non avresti mai potuto uccidere sorella Lailah."

Tirai su col naso. "Non sapevo che Arkel avesse una lingua lunga. Un'altra cosa da aggiungere alle cose che non sopporto di lui."

"Sono felice," disse sorridendomi. "Non ci siamo viste molto nell'ultima decade, ma non potrei mai dimenticare il voto che avevi. Sono felice di poter rivedere la vera te."

Beata l'ignoranza di chi parla sempre del bene, perché non ha mai sperimentato il vero male. Ife non poteva capire, non era nemmeno nata quando Cassandra ha ucciso la vera me. Sono morta quando avevo sedici anni, allo stesso modo in cui lei è morta a dieci. Sono rinata come una persona nuova quando mi sono liberata dalle braccia di Cassandra, e Ife è rinata nel momento in cui l'ho comprata. Non possiamo essere chi eravamo una volta, e anche se agli occhi dell'altro sembriamo perfetti così come siamo ora, siamo solo una versione rimodellata di quello che c'era prima. Noi come esseri cerchiamo continuamente di adattarci a questo mondo distrutto. A me è semplicemente capitato di avere qualcuno che mi aiutasse a riparare ciò che una volta era stato rotto. Ma ora anche lei se n'è andata e mi sento come se stessi cadendo di nuovo. L'unica cosa che mi tiene sveglia in questo momento è il sostegno della mia famiglia.

Alla fine, cercai di renderla conscia dei miei pensieri. "Sono una Lux diversa da tutte quelle che hai conosciuto."

"Probabilmente," disse, "c'è una nuova scintilla che non avevi quando ero piccola."

"Be', immagino che quella scintilla sia la cosa che mi sta infiammando."

"Allora spero non si spenga mai." 

L'abbracciai, forte e violentemente, come non avevo fatto in anni. Lei rimase rigida, come suo solito, con le braccia ben saldate ai fianchi, ma appoggiò il mento sulla mia spella e a me quello bastava. Mi è sempre bastato.

"Vai," dissi liberandola dalla mia presa, "ora sei un'adulta, conosci il tuo lavoro, io no, fai ciò che è necessario ma ricorda-"

"Il prezzo non deve mai essere superiore al guadagno."

Le sorrisi e lasciò la stanza con un cospicuo arsenale di coltelli addosso.

 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, sarebbe dovuto essere i 38 ma dato che il 37 con il pov di Eloyn non l'ho ancora scritto ho deciso di pubblicare questo per non farvi attendere troppo. Il titolo è un riferimento al modo di dire inglese "turn over a new leaf" e mi sembrava appropriato considerata l'evoluzione di Lux. Al prossimo capitolo!

 

 

   
 
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