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Autore: pampa98    16/12/2021    1 recensioni
[Questa storia partecipa al "Calendario dell'Avvento" indetto da Cora Line sul forum "Ferisce la penna"]
Helsinki/Palermo, NoHeist!AU
C’erano delle ore di silenzio, ore in cui Martín dedusse che il vicino andava a lavoro; ma come rientrava in casa, la prima cosa che faceva era mettere su tutto il repertorio di canzoni natalizie scritte nella storia dell’umanità. Michael Bublé era quello che compariva più spesso, ma non mancavano anche canzoni spagnole o italiane alla sua playlist. Martín sospettava che alcune provenissero addirittura dai cartoni animati.
Si era sforzato di ignorare la situazione, di dirsi che presto quella tortura sarebbe finita, ma quando sentì le note di Tu scendi dalle stelle non ci vide più.
Genere: Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Helsinki, Palermo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Prompt: Personaggio A detesta visceralmente il Natale, la persona che abita nell’appartamento di sopra però evidentemente non condivide il suo stesso astio dato che è dal primo di dicembre che non fa altro che cantare a squarciagola le canzoni di Michael Bublé!

Note: Nella storia sono nominati anche Nairobi e Bogotà, i cui veri nomi sono rispettivamente Agàta e Santiago.


 
I'm dreaming of a white Christmas



 

Martín era una persona paziente, il più delle volte. E, soprattutto, detestava interagire con i vicini, tanto che metà di loro non li aveva nemmeno mai visti. Era stato fortunato in questo, lo sapeva bene: nessuno aveva sentito il bisogno di lamentarsi di lui, né lui era mai stato infastidito dai rumori provenienti dalle abitazioni limitrofe. Almeno fino a quell’anno.
Intorno a metà luglio aveva visto spesso il camion di una ditta di traslochi e i rumori dell’appartamento sopra il suo gli avevano fatto capire che qualcuno si stava trasferendo lì. All’inizio aveva temuto che potesse essere uno di quei ficcanaso desideroso di fare amicizia con tutto il vicinato ed estremamente chiassoso, ma fino a dicembre non gli aveva dato alcun tipo di problema.

Poi era iniziato l’Inferno.
Qualcuno avrebbe potuto apprezzarlo, così come avrebbe potuto apprezzare le strade ammantarsi di neve e vedere luci colorate comparire a ogni angolo della città. Ma Martín lo odiava. Non ce l’aveva con il Natale in sé, quanto piuttosto con quelle persone che lo amavano tanto da doversi portare un abete in casa appena tolte le zucche di Halloween e che espandevano il giorno di festa all’intero mese di dicembre. Per sua enorme sfortuna, il suo nuovo vicino sembrava appartenere proprio a questa tipologia umana.

Il primo di dicembre, Martín si era svegliato sulle note di una delle canzoni che più odiava al mondo: White Christmas. In un primo momento aveva deciso di sopportare, sperando che non avrebbe dovuto ascoltare più di una di quelle stupide canzoni al giorno. Ed era stato un grave errore. C’erano delle ore di silenzio, ore in cui Martín dedusse che il vicino andava a lavoro; ma come rientrava in casa, la prima cosa che faceva era mettere su tutto il repertorio di canzoni natalizie scritte nella storia dell’umanità. Michael Bublé era quello che compariva più spesso, ma non mancavano anche canzoni spagnole o italiane alla sua playlist. Martín sospettava che alcune provenissero addirittura dai cartoni animati.
Si era sforzato di ignorare la situazione, di dirsi che presto quella tortura sarebbe finita, ma quando sentì le note di Tu scendi dalle stelle non ci vide più.
Corse al piano di sopra e prese a bussare e suonare il campanello a intermittenza.
«Abbassa la musica, cazzo, e vieni ad aprire questa fottutissima…»
Quando la porta si aprì, Martín fu invaso dalla musica, ma la sua attenzione si focalizzò solamente sulla persona davanti a sé. Si era fatto un’idea di che tipo di individuo si sarebbe trovato di fronte, ma la sua immaginazione aveva fallito su tutta la linea. Il suo vicino fissato con Bublé non era una zitella che trovava conforto solo nella magia del Natale, né un giovane omosessuale che non era riuscito a sfondare nel mondo del ballo e si sfogava danzando su quelle stupide canzoni tutto il giorno. Era un uomo adulto, più alto di Martín e decisamente più grosso, con una lunga barba grigia e la testa calva. Indossava un maglione verde con ricamato sopra un agrifoglio e dalle sue labbra spuntava il bastoncino di un lecca lecca.
«Posso aiutarti?» gli chiese e dalla sua espressione Martín capì che quel tizio non aveva idea di quanto inquinamento acustico stesse causando.
Inspirò, imponendosi di provare a chiedere con le buone, almeno all’inizio.
«Puoi spegnere la musica?» disse con il tono più calmo di cui fosse capace. Si sorprese positivamente quando l’uomo acconsentì. Non appena il silenzio si diffuse tra loro, Martín si lasciò andare a un sospiro di soddisfazione.
«Finalmente!»
«Vuoi accomodarti?» gli chiese l’uomo e Martín notò che aveva un forte accento serbo.
«No. Voglio solo che quel coso resti spento.»
«Quale coso?»
«Lo stereo, idiota! Lo sai che non ci abiti solo tu in questo palazzo, vero?»
L’uomo spostò lo sguardo da lui allo stereo e, finalmente, sembrò capire.
«Il volume era troppo alto?» chiese. Non c’era traccia di sarcasmo o sfida nella sua voce, ma solo puro interesse.
«Non credo sia riuscito a raggiungere la luna, ma se questo insulto di musica doveva essere destinato solo alle tue orecchie, sì, era decisamente alto.»
«Ehi, sono canzoni di Natale! Dove sarebbe l’insulto?»
Martín sbuffò, passandosi una mano sul viso.
«Senti» disse, al limite della sua pazienza, «vuoi ascoltare Michael Bublé come farebbe qualsiasi ragazzina delle medie? Fa’ pure. Ma fallo a un volume tale per cui le mie orecchie non debbano sopportarlo.»
Si voltò e fece per prendere le scale quando sentì una grande mano afferrargli il braccio.
«Va bene, scusa» disse l’uomo, che lo aveva seguito sul pianerottolo. «Non ti disturberò più. Tu sei quello che sta al piano di sotto?»
Martín inarcò un sopracciglio e ritrasse il braccio, che l’altro gli lasciò andare senza problemi.
«Sì, quindi qualsiasi rumore fastidioso tu faccia, lo sento.»
«Capito. Farò più attenzione. Sai, è la prima volta che vengo a vivere in un condominio, prima avevo…» Un’ombra di tristezza passò sul suo sguardo. «Non ho mai vissuto in un condominio.»
«C’è sempre una prima volta, suppongo» commentò Martín con un sorriso tirato e di nuovo gli diede le spalle, deciso a rifugiarsi quanto prima in casa sua.
«Io sono Mirko, comunque.»
«Piacere di averti conosciuto, Mirko» lo salutò scendendo le scale. «Evitiamo di rivederci.»
 

❄ ❄ ❄
 

Col senno di poi, Martín realizzò che sarebbe stato meglio sopportare le canzoni natalizie. Credeva di essere stato chiaro sul fatto che non volesse avere niente a che fare con lui, ma evidentemente il suo vicino non era riuscito a comprenderlo. Già la mattina successiva Mirko si era presentato davanti casa sua con un piatto di biscotti e un sorriso idiota stampato in faccia. E a niente era servito che lui lo cacciasse in malo modo, perché quel serbo sembrava essere deciso a diventare suo amico. Ogni giorno trovava una scusa diversa per andare a disturbarlo: “Ho visto che avevi la cassetta della posta piena così ti ho portato le lettere”, “Ho cucinato più porzioni del dovuto e te ne ho portate un po’”, “Ho provato una nuova ricetta che ho visto su Facebook, ti va di assaggiarla?”, “Hai programmi stasera? Ti va se andiamo a berci una birra insieme?”
Martín avrebbe potuto pensare che fosse una specie di stalker psicopatico se non fosse stato così evidente che il suo vicino di casa era, semplicemente, un koala scemo.

Alla fine, stanco di vedere i suoi tentativi di liberarsi del serbo fallire uno dopo l’altro, decise che gli era rimasta un’unica scelta: passare del tempo con lui e lasciare che fosse Mirko, scoprendo che razza di persona fosse Martín, ad allontanarsi spontaneamente.
Un paio di giorni prima della Vigilia di Natale, Martín indossò uno dei suoi completi firmati, prese una bottiglia di vino e andò a bussare all’appartamento di Mirko. Dall’altro lato della porta udì le note di Last Christmas e si segnò mentalmente che i successivi incontri avrebbero avuto luogo a casa sua, dove non avrebbe dovuto sopportare quella musica atroce.
«Ciao, Martín» lo salutò Mirko con un grande sorriso, facendosi subito da parte per lasciarlo entrare.
Martín si accomodò sul divano in soggiorno, di fronte a un gigantesco albero di Natale pieno di palline colorate e luci che avrebbero messo seriamente in pericolo una persona epilettica. A eccezione di quell’oggetto, però, la stanza era piuttosto spoglia: solo un piccolo tavolino e una televisione.
«Sono contento di vederti» disse Mirko, sedendosi accanto a lui. Martín si rese conto che l’ambiente era silenzioso e, sporgendosi verso lo stereo in cucina, notò che era spento. «Stavo pensando di scendere da te più tardi.»
«Una novità, eh» commentò Martín. «Cosa volevi propormi stavolta?»
Mirko abbassò lo sguardo sulle sue mani.
«Ehm, ecco… Forse ti sembrerò un po’... invadente…»
Martín sbuffò. «Forza, grassone, parla.»
«Tu hai dei programmi per Natale?» gli chiese infine, sollevando di nuovo lo sguardo verso di lui.
Martín strinse le labbra, passando le dita sul bracciolo del divano con deliberata lentezza. Ripensò all’ultimo Natale che aveva festeggiato, tre anni prima, insieme ad Andrés, sua moglie, suo fratello e pochi altri amici. Non erano esattamente una famiglia, ma per lui lo erano stati – perché aveva lui.
“Noi siamo anime gemelle. Ma solo al 99%.”
«Martín?» Il suo silenzio prolungato fece preoccupare Mirko, ma, nonostante il richiamo, Martín non proferì parola. «Scusami, lo so che non ti piace molto questa festa…»
«La odio.»
Mirko annuì.
«Volevi invitarmi a trascorrerlo con la tua famigliola felice?» chiese Martín. Mirko emise una risata strozzata che lo fece voltare verso di lui con un sopracciglio aggrottato.
«Scusami» rispose, con una mano sulla bocca per smorzare il riso, «ma dove la vedi la famigliola felice qui?»
Martín si strinse nelle spalle. In quell’appartamento viveva solo lui, quello era chiaro, ma niente vietava che avesse dei fratelli o dei genitori fuori da quel condominio.
«La mia famiglia d’origine vive in Serbia» spiegò Mirko. «Ci sentiamo regolarmente, ma non è semplice incontrarci di persona. Mentre quella che mi ero creato… Be’, Santiago in realtà mi ha invitato ad andare a Barcellona per le feste, ma non me la sento.»
«Perché?» chiese Martín, a cui non era sfuggita la tristezza nel tono dell’uomo, né il fatto che i suoi occhi fossero diventati lucidi all’improvviso. Ricordò che al loro primo incontro aveva fatto un’espressione simile parlando di dove viveva prima e che una volta, quando gli aveva portato un piatto di biscotti allo zenzero, aveva nominato una certa Agàta e si era fatto subito triste. Non aveva mai avuto interesse a sapere cosa gli passasse per la testa o quali problemi avesse – oltre a quelli evidenziati dalla sua passione per Michael Bublè, a cui però temeva non ci fosse cura. Tuttavia quel dolore che ora scorgeva in lui si andava ad aggiungere agli altri misteri che circondavano quell’orso buono e Martín si riscoprì a desiderare di esplorarli e conoscerli. Poteva essere una buona distrazione dai suoi di dolori.
«È una lunga storia» rispose Mirko con un sorriso triste. «Lasciamola per un altro giorno. Oh, questo lo hai portato tu?» aggiunse, indicando la bottiglia di vino che Martín aveva posato sul tavolo.
«Sì. Ho pensato di autoinvitarmi a cena e di portare questo come pagamento.»
Mirko sorrise e si alzò dal divano. «Il vino è sempre ben accetto, ma la tua compagnia è un pagamento più che sufficiente.»
I blandi dubbi che Martín nutriva ancora circa l’omosessualità dell’uomo furono spazzati via dal modo in cui lo guardò mentre pronunciava quelle parole. Un sorriso divertito fece capolino sul suo volto, mentre lo guardava dirigersi in cucina per apparecchiare la tavola: quella conoscenza avrebbe sicuramente portato molti benefici nella sua vita.
«Ti piace il pollo?» urlò Mirko dalla cucina. «Avevo pensato di preparare quello, ma ho anche del merluzzo se preferisci.»
«Il pollo va bene.»
Si alzò e raggiunse il serbo, fermandosi sulla soglia della stanza a guardarlo correre da una parte all’altra della stanza per mettere la tovaglia in tavola e iniziare a cucinare contemporaneamente.
«Comunque» disse, strusciando un piede a terra con fare disinvolto, «se cucini le lasagne, potrei anche pranzare con te a Natale.»
Mirko si fermò e si voltò verso di lui, un sorriso compiaciuto sul volto.
«Allora le mangi le cose che ti porto!»
Martín si strinse nelle spalle. «Non sono bravo a cucinare e, visto che tu mi porti il cibo gratis, sarebbe uno spreco non approfittarne, no?»
«Hai ragione» rispose, scuotendo la testa senza smettere di sorridere. Armeggiò con i fornelli per un paio di minuti, poi si lavò le mani e lo raggiunse, appoggiandosi alla parete accanto a lui.
«Ti cucino tutto quello che vuoi, e poi possiamo uscire a fare una passeggiata o guardare un film alla tv.»
«Se stai per proporre una commedia romantica di Natale, ti fermo subito.»
«Non avrei nemmeno osato provarci. Pensavo più a Il Grinch. Quello ti piace, no? Insomma», gli lanciò uno sguardo eloquente, squadrandolo dall’alto in basso, «sei lui.»
Martín aggrottò le sopracciglia. «Non l’ho mai visto. So solo che quel personaggio è un essere verde informe e io sono decisamente più sexy di lui.»

Mirko sgranò gli occhi, completamente shockato. «Non hai mai visto Il Grinch
La padella prese a sfrigolare con forza, richiamando l’attenzione di Mirko su di sé. L’uomo si avvicinò ai fornelli e riprese a prendersi cura della cena.
«È una mancanza gravissima che non puoi assolutamente avere» disse, e andò avanti a borbottare mentre Martín prendeva posto a tavola e lo guardava muoversi sconvolto tra i fornelli. Si rese conto che era piuttosto divertente, perciò decise di aspettare un po’ prima di dirgli che era favorevole a visionare quello stupido film, e aspettò che la cena fosse pronta osservando il panorama al di là della finestra. Notò che aveva iniziato a nevicare. Per la prima volta da quando Andrés gli aveva spezzato il cuore, vedere un abete illuminato su uno sfondo di fiocchi di neve fece vibrare un piacevole tepore dentro di lui; e Martín si rese conto di non essere più solo un guscio vuoto.



 
   
 
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