Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
Segui la storia  |       
Autore: AlsoSprachVelociraptor    17/12/2021    0 recensioni
Nel 2018 Shizuka Higashikata, la figlia adottiva di Josuke, vive una vita monotona nella tranquilla Morioh-cho.
Una notte la sua vita prenderà una svolta drastica, e il destino la porterà nella misteriosa città italiana di La Bassa, a svelare i segreti nascosti nella sua fitta nebbia e nel suo sottosuolo, combattere antichi pericoli e fare nuove amicizie, il tutto sulle rive di un fiume dagli strani poteri.
.
Terza riscrittura, e possibilmente quella finale, dell'attesa fanpart di JoJo postata per la prima volta qui su EFP nel lontano 2015.
.
Prequel: “La battaglia che non cambiò nulla (o quasi)”
*Spoiler per JoJo parti 1, 2, 3, 4 e 6*
.
Aggiornamenti saltuari.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Josuke Higashikata, Jotaro Kujo, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Vi devo delle spiegazioni, e delle scuse. Vi andrebbe di venire a cena da me, a casa mia? Oggi è festa.
Così aveva scritto loro Minerva, qualche giorno dopo gli avvenimenti al Museo Archeologico di La Bassa. 
Nessuno sapeva di cosa si sarebbe dovuta scusare, in fondo l’attacco al museo da parte di quei due vampiri non era stata colpa sua, no?
“Vuoi vedere che c’entra davvero?” ringhiò Josuke a denti stretti, lo sguardo fisso su Okuyasu, che invece non lo guardava. Minerva aveva mandato a lui il messaggio per invitare tutti loro alla cena- ma non era così sicuro che Minerva volesse invitare tutti, o solo Okuyasu.
Josuke sentiva la competizione della donna su Okuyasu, competizione che non aveva mai sentito di avere su di lui- chi avrebbe mai voluto Okuyasu, pensava Josuke? Eppure, qualcuno c’era.
“Smettila, Josuke.” lo zittì Yukako, che era ancora più nervosa e il suo tono era ancora più duro di quello di Josuke. La ciocca bianca tra i suoi capelli si era allargata, e benchè lei provasse a nasconderla sotto la restante folta massa di capelli neri.
“E se lo fosse?” bisbigliò Koichi, le occhiaie sempre più neri sotto gli occhi perennemente stravolti in un’espressione di terrore.
“Non lo è! Basta!” gridò Yukako, spaventando tutte le poche persone rimaste nella hall dell’hotel Colori del Tramonto. “Io vado a cambiarmi, fatelo anche voi.” e detto ciò, in un impeto di collera, girò i tacchi e quasi corse su per le scale.
Perchè erano tutti così diversi, lì a La Bassa?
Cosa stava succedendo loro?
“Il dieci marzo è una data importante, qui a La Bassa?” chiese Jotaro con un filo di voce a Minerva, che aveva fatto parcheggiare la loro auto a noleggio sul retro della villetta in cui abitava.
Era una bella casetta monofamiliare, ma ci viveva solo lei. Il giardino non era particolarmente curato, e non c’erano molti addobbi decorativi attorno alla casa- solo lo stretto necessario. Muri perfettamente bianchi, ma spogli. Imposte di un colore neutro. 
“Ah- sì.” Rispose Minerva, che, ogni volta che le si rivolgeva la parola, sembrava sempre stupita. “Sì, oggi è la ricorrenza di una storica battaglia. La città fu rasa al suolo, e il castello con lei, ma la torre rimase in piedi, e, come una fenice, la città risorse dalle sue ceneri. Oggi è la Notte delle Fenici.”
Nel cielo scuro di La Bassa- non così scuro, dato che tantissime luci UV anti-vampiro erano accese per la città- piccole mongolfiere di carta svolazzavano, esibendosi in coreografie infuocate. Tante piccole fenici.
La casa, all’interno, non era così dissimile dall’esterno. Una casa spoglia, arredata come un catalogo dell’Ikea, mobili squadrati e dai colori spenti, nessun quadro alle pareti, anche se, appesi a quei muri bianchi, c’erano i segni di chiodi passati.
“Un po’ freddina come casa, eh?” sorrise Okuyasu a Minerva, che alzò le spalle, cercando di rimanere la più distaccata possibile. “Io sono raramente a casa e non ci abita più nessuno ormai, non ho interesse a renderla confortevole.”
“Hai famiglia?” le chiese Yukako, mentre si radunavano attorno a un tavolino di marmo, in un grosso open-space che da un lato faceva da sala da pranzo, e dall’altro una cucina vera e propria.
Sul tavolo, erano adagiati diversi antipasti labassesi, tra cui cicciole, schiacciatine e fette di salame casalino. 
“Sì… in un certo senso. Vado abbastanza d’accordo con i miei, ma con mio fratello… io…. ehm, mia figlia studia e non abbiamo un buon rapporto, e mio marito… non c’è più.”
Koichi sgranò gli occhi, e Yukako non si scompose più di tanto. “Oh, mi dispiace.” fece, senza scusarsi davvero. Non era davvero dispiaciuta di averle fatto un paio di domande. 
Minerva tirò un sorriso, negando forte con la testa, l’unico lungo ciuffo di capelli viola che ricadeva dall’alto chichon in cui erano stretti i suoi lunghissimi capelli che si mosse con lei. “Non scusarti. Sono passati tanti anni, nostra figlia era piccola. Faceva il pittore… ho ancora il suo dipinto non finito di nostra figlia, in cantina.”
Okuyasu, che quella sera per l’occasione aveva i capelli sciolti e solo i capelli neri raccolti in una treccia, toccò un braccio di Minerva. “Meglio se parliamo di cose più leggere! Loro due hanno due figli, due pesti- ma sono molto carini!” sorrise, e al pensiero dei figli, il viso degli Hirose si riempì di luce. Koichi tirò fuori il cellulare e mostrò tutte le foto di Manami e Tamotsu a Minerva, il cui sorriso le si allargava sempre di più a ogni adorabile foto di famiglia che Koichi teneva religiosamente da parte sul telefono.
“Ci mancano tanto.”
“Oggi Manami ha detto di aver scritto un tema su di noi! “Mamma e papà sono dei supereroi!” Non è adorabile?”
“Anche tu hai una figlia, Jotaro, vero?” chiese Minerva, ora più calorosa ed espansiva. “La ricordo, cinque anni fa. Una bella peperina, vero?”
Jotaro, che stava mangiando gli antipasti in silenzio, alzò appena lo sguardo su Minerva, il suo viso si rilassò un po’. “Jolyne. Ha 26 anni, ora. E non si è calmata.”
“Chissà che presto non arrivino i nipotini, eh Jotaro? Mi sembra affiatata con quel suo boytoy rosa!” mugugnò Josuke, abbastanza a voce alta perchè tutti sentissero, e Jotaro si strozzasse con la cicciola che stava mangiando causando una risata generale di tutti uomini e donne lì presenti. 
“E tu, Josuke, tua figlia è Shizuka, no?” tentò Minerva, incontrandosi il muro gelido che era sempre stato Josuke con lei. Non le rispose.
“Ehm-” tentò la donna labassese, di nuovo a disagio. “-vi accompagno a tavola. Ho preparato il risotto alla pilota.”
Il risotto alla pilota era un tipico piatto labassese. Riso al dente, adornato da grassissima, deliziosa salamella mantovana.
“L’hai cucinato davvero tu?” chiese Okuyasu, che era seduto proprio al fianco di Minerva, il cui viso divenne di una tonalità intera più rosso. “In realtà no. L’ha cucinato mia mamma. Ho mentito.” e una risatina generale scosse il tavolo.
“Lei è di Villimpenta, dove, si dice, facciano il miglior risotto alla pilota dell’intera provincia di Mantova. Mio padre l’ha conosciuta là, da giovane, mentre studiava ancora Beni Culturali all’università e indagava il castello diroccato di Villimpenta e gli insediamenti calcolitici vicini. E si è innamorato della sua cucina.”
“Come non innamorarsi, in effetti?” ridacchiò Okuyasu, e Minerva divenne ancora più rossa, questa volta per un altro motivo.
Josuke sbuffò così forte da coprire tutte le altre voci, e Koichi, seduto al suo fianco, colpì il ginocchio col suo. “Jos, basta, ma che ti prende?” gli sussurrò, preoccupato per l’amico. Non l’aveva mai visto così.
“Secondo te?! Non dovresti essere uno psicologo  del cazzo?” gli ringhiò l’uomo più alto, rabbioso come mai.
“Io..!” pigolò Koichi, preso alla sprovvista. “Io sono… uno psicoanalista?”
Josuke sbatté le mani sul tavolo, zittendo tutti gli altri. “Credi che me ne freghi qualcosa!?”
“Non parlare così a mio marito!” saltò su Yukako. 
“Jotaro, posso parlarti in privato?” chiese Minerva a bassa voce a Jotaro, e lui, odiando profondamente quella situazione, si sbrigò ad alzarsi, anche se le forze sembravano mancare alle tremanti ginocchia.
Jotaro si appoggiò con forza alla sedia di Koichi, piegandosi appena per chiedergli di seguirlo. Ogni volta che Jotaro gli si avvicinava tanto, lo sguardo di Koichi cadeva sul labbro martoriato di Jotaro, solcato da una lunga cicatrice che tagliava entrambe le labbra, e le rendeva rigide e immobili- Koichi non amava le cicatrici. “Vieni anche tu.”
Ma cos’è quest’ossessione per me?, pensò Koichi, facendo per alzarsi. 
“Koichi, vai pure, ci penso io qui.” disse sua moglie Yukako, cercando di mandarlo via, di proteggerlo come se fosse fatto di cartapesta e dovesse strapparsi da un istante all’altro.
Josuke, ora arrabbiato con Jotaro evidentemente, decise di parlare e rovinare la serata anche a lui.
“Intendi dire la verità a Koichi, invece di sballottarlo in giro come una bambola di pezza?”
Jotaro lo fulminò con lo sguardo. 
“Me l’ha detto Holly nella lettera allegata al pacco per Shizuka. Sai. Tua madre. Mia sorella.”
Jotaro mollò la presa sulla sedia di Koichi, come se fosse diventata incandescente tutto ad un tratto, e sbalzò indietro, seguendo Minerva fuori dalla cucina, su per le scale, nel suo studio.
.
.
Lo studio, come il resto della casa, era bianco, ma non immacolato. Alle pareti erano appesi fogli, mappe, fotocopie scarabocchiate. 
La scrivania, grossa e di compensato bianco, ricoperta da libri, e due PC e un computer fisso erano riversi su esso.
Non dissimile dallo studio di Jotaro, pensò l’uomo sorridendo. Il suo studio all’università di Miami, dove conduceva ricerche di oceanografia e biologia marina, e, prima del 2012, stava anche cercando di costruire un drone sottomarino per studiare le profondità dell’oceano Pacifico.
Prima che accadesse tutto ciò. Prima che arrivassero i vampiri. Prima che quella malattia…
Minerva indicò la finestra, stranamente spalancata e da lì, al primo piano, la figura tetra e demoniaca della fabbrica più grande di La Bassa spiccava sul cielo costellato da stelle di fuoco e carta.
“Quella è la disgrazia della città, e del mondo intero. Quella, la Age of Plastic, è la causa per cui voi siete qui. Tre anni fa io e il mio assistente e collaboratore, Nestore Bennutti, cugino del boss della Banda, abbiamo provato ad indagare sul vampirismo, sul perchè le famiglie di quegli operai e lavoratori non potessero più vedere i loro cari che vi lavoravano, sul perchè i vampiri sembravano proprio venire da lì. E Nestore è morto, là.”
“E perchè me lo stai dicendo?” le rispose Jotaro, mani nelle tasche e occhio sano a guardare ogni suo movimento. Minerva sembrava tremare, nel vento gelido che entrava dalla finestra e nel raccontare qualcosa che non avrebbe dovuto.
Sospirò. “Dentro la fabbrica sono rimasti i dati di Nestore, conservati post-mortem dal suo stand, Delta Machine. Uno stand capace di analizzare qualsiasi cosa vedesse, e conoscerne ogni dettaglio. Lui si era spinto più all’interno della fabbrica di me, e per questo lui ne ha scoperti i segreti- e per questo non ho potuto proteggerlo, ed è morto.”
Un silenzio strano calò su quella camera, le luci fredde che segnavano ancora di più il volto stanco di Minerva.
“E perchè tu non sei morta? C’è qualcosa che devi dirmi?”
La donna annuì. “Prima o poi la verità verrà a galla comunque, ma, finchè ho tempo, vorrei rimanesse un segreto. Ma so che devo riferirtelo, almeno a te, al più presto possibile.”
.
.
“Ma perchè devi sempre rispondere per me, Yu?” mugugnò Koichi all’orecchio della moglie, più ferito che offeso. Lei era su di giri, le braccia incrociate sopra il seno e lo sguardo torvo. 
“Perchè tu non rispondi mai! Ma dov’è finito il ragazzo coraggioso di cui mi ero innamorata!?”
“Avevo quindici anni, Yukako, per Dio! Non ero coraggioso, ero stupido!”
Josuke aveva bevuto quasi tutta la bottiglia di lambrusco delle colline mantovane che era stata sfortunatamente appoggiata vicino a lui, mentre combatteva Okuyasu in una stramba battaglia di sguardi. Era davvero una situazione penosa e fastidiosa quella calata sulla sala da pranzo di Minerva.
Per sfortuna o forse per fortuna, a interrompere quella sceneggiata fu un improvviso black-out.
Tutte le luci, sia quelle della casa che quelle dei luminosissimi lampioni esterni si spensero, con un suono elettrico.
I quattro abitanti di Morioh fermarono di fare qualsiasi cosa stessero facendo, e si alzarono in piedi di scatto.
Un black-out a La Bassa non era qualcosa di normale, né un buon segno. Tutto il contrario.
Minerva e Jotaro corsero giù per le scale, ora illuminate solo da fioche luci UV che erano sparse per la casa.
C’era un faretto in ogni camera, ma era davvero minuscolo, e non serviva davvero a difenderli dai vampiri.
Minerva, tutta trafelata, corse incontro al gruppo. “Ehm- ogni casa attorno ha un cancello di protezione, un circuito chiuso indipendente dal generatore di quartiere. Ma tutta l’elettricità nella casa sì. Ho un bunker anti-vampiro sul retro, che ha un generatore proprio, se volete noi… noi dovremmo…!”
“Tutto il quartiere è al buio, centinaia di persone sono in pericolo di vita.” la interruppe Jotaro, abbassandosi la visiera del cappello sul viso. “Io non voglio nascondermi.”
Yukako scoccò un ultimo sguardo arrabbiato a Koichi, prima di fare un passo avanti. “Sono con te, Jotaro. Minerva, hai detto che c’è un generatore del quartiere, no? Andiamo a controllarlo. Noi siamo forti.”
Okuyasu annuì, un sorrisone sul viso. “Io ci sto!”
Josuke sbuffò e alzò le spalle, fintamente disinteressato, e Koichi  sentì un brivido gelido passargli la spina dorsale- non era la scelta giusta da fare, ma aveva qualcosa da dimostrare a sua moglie.
Minerva osservò quel gruppo, e poi un minuscolo sorriso si formò sulle sue labbra nere. “Va bene, andiamo a controllare.”
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo / Vai alla pagina dell'autore: AlsoSprachVelociraptor