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Autore: Ghost Writer TNCS    18/12/2021    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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5. I predoni

Erano passati alcuni giorni dall’arrivo di Havard e Nambera a Bakhmiŝ, e la situazione stava lentamente migliorando.

Gli schiavi liberati ora lavoravano al pari degli altri abitanti, spesso in settori più affini alle loro capacità e alla loro esperienza, riuscendo in questo modo a dare un contributo più significativo al resto del villaggio. Alcuni di loro in ogni caso erano rimasti nei campi, e grazie al supporto degli animali e di altri orchi, la produzione non era calata significativamente.

Diversi abitanti si erano convinti a provare le ricette di Nambera, soprattutto grazie all’entusiasmo degli ex schiavi che per primi avevano accettato di assaggiare i suoi esotici piatti. Tuberi e piante urticanti che prima erano ritenuti scarti, ora erano ingredienti ricercati dalla maggior parte degli abitanti.

Perfino il capovillaggio Morzû sembrava aver accettato Havard come suo superiore, probabilmente grazie all’esorcismo dello spirito di suo padre. Il pallido era sempre più convinto che non ci sarebbero stati problemi a confermarlo come leader del centro abitato.

Sebbene l’umore generale verso il figlio di Hel fosse ora per lo più di rispetto e fiducia, c’era comunque qualcuno che ancora lo vedeva come un usurpatore o un eretico. La sacerdotessa di Mbaba Mwana Waresa continuava a invocare l’intervento della sua dea dalla cella, e alcuni membri del villaggio erano ancora scettici riguardo ad Havard e alle sue innovazioni. In ogni caso nessuno, a parte la chierica, si era azzardato a sfidare apertamente il figlio di Hel.

In quel momento il pallido si trovava nell’edificio centrale del villaggio e stava dando disposizioni per la costruzione di un molo, quando il suono di un corno mise in allerta tutti i presenti: nemici in arrivo.

Poco dopo un giovane orco entrò di corsa nella stanza. «Capovillaggio, Havard: predoni in arrivo!»

«Quanti sono?» chiese il pallido.

«Sono una trentina, tutti su monoceratopi.»

«Preparate i monoceratopi» ordinò Havard. «E di’ ai guerrieri di portare gli scudi che vi ho fatto costruire.»

«Subito!»

Morzû non sembrava convinto. «Havard, portare degli scudi in battaglia è un disonore» gli disse mentre uscivano dall’edificio. «Lasciaci combattere come abbiamo sempre fatto.»

«Usare asce e mazze contro nemici armati di archi e frecce è da idioti, non è onorevole» ribatté il pallido. «Se fate come vi ho spiegato, li scacceremo senza difficoltà. Ora vai.»

Il verde si limito a un grugnito e si allontanò.

Havard raggiunse la palizzata che circondava il villaggio e salì su una delle postazioni di vedetta. Da quel punto privilegiato avrebbe potuto osservare l’evolversi dell’intera battaglia.

«Nambera, manca ancora molto?» si lamentò il piccolo Havard. «Sono stanco. E ho fame!»

Era tardo pomeriggio e avevano camminato per quasi tutto il giorno: era normale che il bambino fosse esausto.

L’orchessa si guardò intorno e riuscì a individuare un punto che sembrava adatto a passare la notte.

«D’accordo, sommo Havard, per oggi può bastare. Venite, possiamo fermarci in quel punto.»

Appena arrivati a destinazione, il piccolo orco pallido lasciò cadere a terra il suo zaino e si sedette a terra. «Ho fame, cosa mangiamo?»

«È avanzata un po’ di carne, quindi vi preparerò quella. Venite come me mentre raccolgo la legna, voglio che cerchiate delle piante per la cena.»

«Eh? Ma non ho voglia!» si lamentò il bambino. «E sono stanco!»

«Lo so, ma dovete imparare a riconoscere le piante commestibili, sommo Havard. E poi voglio che accendiate il fuoco.»

Il piccolo orco era sempre più sconsolato. «Anche il fuoco? Ma perché non lo fai tu?» Incrociò le braccia. «Io sono un dio, e gli dei non accendono il fuoco!»

«Avete ragione, ma vi prego, sommo Havard, è importante che impariate a cavarvela da solo.»

Un velo di preoccupazione apparve sul volto del bambino. «Perché? Te ne vuoi andare via?»

Nambera, intenerita da quello sguardo, lo accarezzò dolcemente sulla testa. «No, sommo Havard, certo che no. Starò al vostro fianco finché potrò, ma ormai non sono più così giovane, e voi avete tutta la vita davanti. Voglio essere sicura che sarete in grado di cavarvela da solo quando non ci sarò più.»

Il piccolo Havard si alzò con piglio fiero. «Non ti preoccupare: ho deciso che tu non morirai mai.»

Lei gli sorrise. «Siete molto gentile, sommo Havard. Ma voglio comunque che veniate con me a cercare delle piante. D’accordo?»

Lui sbuffò. «D’accordo…»

Havard aveva dato precise disposizioni ai guerrieri su come combattere contro i predoni, ma sarebbe stato a Morzû guidare la battaglia: prima di andarsene, il figlio di Hel voleva essere sicuro che il villaggio era in grado di difendersi da solo in maniera efficiente.

Il pallido osservò con occhi attenti i predoni in rapido avvicinamento. Si muovevano in formazione larga, ed erano armati di rudimentali archi. I nomadi erano praticamente gli unici orchi a usare armi a distanza, e questo, unito alla loro abilità nel cavalcare i monoceratopi, li rendeva dei temibili avversari. Gli attacchi dei predoni erano molto comuni, ma spesso si risolvevano con il furto di alcuni capi di bestiame e il rapimento di qualche membro del villaggio – di solito guerrieri usciti a combattere –, che poi sarebbero stati rivenduti come schiavi.

Havard lanciò uno sguardo ai suoi guerrieri, schierati su due righe in formazione serrata a cavallo dei loro monoceratopi. Tutti quanti brandivano un grosso scudo in grado di proteggere quasi completamente il busto e la testa.

«Ok, gente! Quest’idea non piace neanche a me, ma se funziona, daremo una bella lezione a quegli stronzi!» gridò Morzû, che stava pochi metri avanti a tutti gli altri. Sollevò la sua imponente ascia e poi la abbassò verso i predoni. «Carica!»

 I guerrieri spronarono i loro monoceratopi e si lanciarono contro il nemico come un muro.

I predoni cominciarono a scagliare frecce, ma le punte metalliche venivano facilmente bloccate dagli scudi. Un dardo centrò un monoceratopo in un occhio, l’animale inciampò e cadde, ma il resto della formazione continuò l’avanzata.

«Con me!» gridò il capovillaggio, che dal centro impartiva la direzione. «Con me!»

I predoni capirono ben presto che non sarebbero riusciti a fermarli e si sparpagliarono.

«Con me!» ripeté Morzû, puntando con decisione un paio di predoni e ignorando tutti gli altri. «Con me!»

Con grande soddisfazione di Havard, il gruppo non si sparpagliò per inseguire i nemici, ma mantenne la formazione compatta e continuò a caricare.

Le vittime designate continuarono a scagliare frecce, provarono a fuggire, ma l’assalto pareva inarrestabile. Il muro di corni e scudi si abbatté sul primo predone, travolgendolo con forza inaudita. Il suo monoceratopo cadde a terra e si ribaltò più volte, spappolando il suo cavaliere.

Il secondo provò a fuggire, ma Morzû riuscì a menare un colpo d’ascia che ferì alla coscia la sua cavalcatura. L’animale si imbizzarrì e venne travolto a sua volta. Anche del secondo predone non rimase che un cadavere scomposto.

Il capovillaggio lanciò un grido di vittoria che infiammò gli animi dei suoi uomini.

Gli aggressori provarono a bersagliarli con le frecce da tutte le direzioni, ma grazie alla formazione su due linee, gli orchi erano in grado di proteggersi sia davanti che dietro.

Un nuovo rumore di corni destò l’attenzione di Morzû: alcuni dei predoni si stavano avvicinando al centro abitato.

Il possente orco verde si voltò e vide alcuni guerrieri che si muovevano verso la palizzata con delle fiaccole in mano. Volevano dare fuoco al villaggio, così da tenere occupati gli abitanti mentre loro li depredavano.

«Seguitemi! Con me!»

Il capovillaggio fece girare la formazione e puntò con decisione contro gli incendiari. Non sarebbe arrivato in tempo per fermarli, ma almeno avrebbe avuto il piacere di massacrarli per quell’affronto.

Appena il villaggio fu a tiro, i tre predoni lanciarono all’interno le loro torce. Havard, che li aveva tenuti d’occhio, decise di non intervenire. Le fiamme attecchirono facilmente sugli edifici di legno, pelli e paglia, ma ancora il figlio di Hel non si mosse: gli abitanti di Bakhmiŝ dovevano cavarsela da soli, il suo compito era solo quello di prepararli per simili evenienze.

E con sua grande soddisfazione, gli abitanti del villaggio stavano dimostrando di aver imparato la lezione: alcuni barili d’acqua erano già pronti agli angoli delle strade, e altri secchi stavano arrivando dal vicino fiume. Adesso gli abitanti non dovevano più fare il giro dall’ingresso principale, ma potevano sfruttare il nuovo passaggio che dava direttamente sul futuro molo.

Ci volle poco per spegnere gli incendi, e i danni risultanti furono molto contenuti. E ci volle ancora meno tempo per vedere la vendetta di Morzû: il capovillaggio guidò la carica contro gli incendiari, uccidendo i primi due con un solo assalto.

Il terzo predone, fuggito dalla parte opposta, si riunì con i suoi compagni. Gli aggressori lanciarono un ultimo sguardo al villaggio di Bakhmiŝ, ancora scioccati per quell’inaspettata batosta, poi si girarono e fuggirono.

Morzû sollevò la sua ascia e lanciò un grido di vittoria, presto imitato dagli altri guerrieri. Avevano respinto i predoni praticamente senza subire danni.

Una volta sicuro che i predoni erano lontani, Havard scese dalla postazione di avvistamento e per prima cosa andò a sincerarsi delle condizioni del villaggio.

«Ci sono feriti?»

«Nessuno» rispose uno degli abitanti, un orco troppo anziano per cavalcare. «Solo dei tetti un po’ bruciati.»

«Bene.»

Il figlio di Hel raggiunse l’ingresso, dove lo aspettava il capovillaggio.

«Soddisfatto della vittoria?» gli chiese il pallido.

«Avrei preferito sconfiggerli alla vecchia maniera» ribatté il verde. «Ucciderli o farli schiavi.» L’occhiataccia del figlio di Hel lo indusse a correggersi: «Volevo dire, solo ucciderli.» Questa volta Havard si convinse a lasciare correre. «In ogni caso ora sappiamo come affrontarli, e la prossima volta non avranno scampo!»

«Cerca di non esagerare: il tuo compito come capovillaggio è proteggere il villaggio, non attaccare briga con i predoni nei paraggi» gli rammentò il pallido. «E comunque quei predoni non ci daranno altri problemi.»

Morzû era scettico. «Ne sei sicuro? Avranno anche perso una battaglia, ma prima o poi torneranno.»

Havard però era fiducioso. «Per allora saranno già diventati miei. Oppure li schiaccerò insieme a tutti i miei nemici.»


Note dell’autore

Ciao a tutti!

Piano piano le idee di Havard stanno prendendo piede nel villaggio di Bakhmis, e già si vedono i primi risultati. Quella contro i predoni può sembrare una piccola vittoria, ma per Havard è fondamentale sapere che Morzû e i suoi sapranno cavarsela da soli quando se ne sarà andato per portare avanti l’espansione del suo regno ^.^

E intanto abbiamo anche visto un altro scorcio del passato di Havard e Nambera :)

Ora la domanda è: riuscirà Havard ad annettere i predoni? Con il villaggio è andata bene, ma con i nomadi potrebbe essere tutta un’altra storia. Staremo a vedere.

Grazie a tutti per aver letto il capitolo e a presto ;D


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