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Autore: MusicDanceRomance    18/12/2021    9 recensioni
"Era il modo che lei aveva di camminare per i corridoi. Di sciogliersi i capelli che aveva fatto crescere fino alle scapole. Erano i suoi sbuffi durante le file alla mensa. Erano le sue acrobazie quando si allenava, gli occhi puntati verso l’altro lato della pista, le mani tese ed eleganti che ricordavano l’essenza di un cigno.
Erano tutti i gesti spontanei di una ragazza felice, e che racchiudevano una sensualità inconsapevole a cui non ci si poteva opporre.
George la guardava e ricomponeva mosaici di lei, a poco a poco."
Song-fic sulla canzone "Millevoci" di Albe.
Questa fic partecipa all'iniziativa "Regali di inchiostro" del gruppo facebook "L'angolo di Madama Rosmerta".
Questa storia è candidata agli Oscar della Penna 2023 indetti sul Forum "Ferisce la penna".
Questa storia ha vinto l'Oscar per la Miglior Colonna Sonora agli Oscar della Penna 2023 indetti sul Forum "Ferisce la penna".
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mami Suzuki/Marine, Shinichi Gomi/George
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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A Nirvana_04
che mi ha fatto amare questa coppia
 
 
 
 
 
Ho fatto un giro e mi sono chiesto
Di cosa si nutre il male del mondo
Ora che sono qua genuflesso
Prego, prego fino in fondo
 
Mille voci.
Le aveva sentite, seguite, aveva masticato tra le labbra e risputato via le parole amare che gli avevano sussurrato.
Ognuna pareva risuonasse di una propria prepotenza.
Erano le voci dei compagni delle elementari, che osannavano Heric come se per loro il crepuscolo dell’infanzia si completasse solo compiacendolo.
Era stato facile assaltarla, e obbedire agli ordini. E seguire il branco. E ridere fino a sentirsi marcio, sentirsi parte del gruppo che aveva attorniato una bambina e l’aveva gettata in acqua.
La voce di Marine, tinta di suppliche e corrosa dalla paura, lo aveva implorato.
Lui aveva continuato a ridere di lei.
Tutti lo avevano fatto, mentre Marine sputava alghe e tornava a inghiottire lacrime e acqua sporca.
Così poteva essere la ferocia dei bambini. Un gioco, mille voci che osannavano un leader, un susseguirsi di atti vandalici.
Forse da lì cominciava il male del mondo, quando i bambini dimenticavano il senso di una preghiera e si rivoltavano contro altri bambini.
Così era stata la sua ferocia.
“Marine, perché non ripeti quello che hai detto ieri a Heric? Non sentiamo più la tua voce!”
 
Si muove la luna intorno
Ma tu ti muovi da sola
Credo, credo che ci casco
Dentro il vuoto dell’abisso
 
Mille voci.
Lo avevano tartassato per intere notti, ripetendo in coro che lui doveva essere il figlio modello.
Plasmato con l’intelligenza del padre, rivestito della devozione della madre. E corazzato con quelli che non contavano, come faceva suo fratello. Un cuore asciutto di emozioni.
Solo il collegio avrebbe contato.
Le mille voci della sua famiglia gli avevano ripetuto di dimenticare i vecchi compagni.
Altre mille avevano sobillato contro Heric, che era nato vandalo e aveva rubato delle pistole ad acqua.
Heric era marcio, mentre lui, George, già salvo dalle brutture dei disagi come ogni bambino che cresceva in una famiglia solida.
Mille voci lo avrebbero protetto e avrebbero confermato che Heric era solo un ragazzo di spine.
Mille voci avevano accusato Heric di furto, ma non la sua.
Il vuoto dell’abisso gli era apparso per la prima volta in quei momenti, per farlo annegare nei suoi errori.
Vigliacco, codardo, meschino.
Forse lo sarebbe rimasto per sempre.
Ma un po’ meno in quell’occasione.
Stanco di tacere, aveva confessato di essere lui il ladro, e prima ancora un codardo.
Heric sapeva fiutare la solitudine di un bambino, per questo lo aveva coperto. Soprattutto, lo aveva perdonato.
E Marine gli aveva sorriso a scuola, per la prima volta.
Il suo sorriso avrebbe acceso la luna.
“Marine, scusami anche tu.”
Lei aveva annuito per concedergli un tacito perdono, ma non aveva aggiunto altro.
La voce di Marine era per le amiche, per la classe in generale, per Heric che aveva espiato le sue colpe con lei.
La voce di Marine non era mai stata per George.
 
È buona la notte più brutta
E dammi la mia buonanotte
In bilico e manca l’ossigeno
Ti vedo e sembro ridicolo
 
Mille voci avevano riempito i suoi anni di scuola.
Dalle elementari alle medie, erano state vivaci e piene di entusiasmo.
Alle superiori, avevano cominciato a mutare, a divagare sui primi battiti del cuore.
Troppe, ghiotte di pettegolezzi, si erano intrecciate nella sua classe.
Le ragazze adoravano le chiacchiere.
Le sue compagne, tra invidie e ammirazioni, tenevano il conto di tutti gli amori che sbocciavano al liceo.
Si diceva che Marine Suzuki, quella della classe accanto, fosse fidanzata con Taruto Ghibayashi, il genio del liceo Meintan, il più prestigioso della città.
George era abituato a sentir nominare Taruto, perché i loro genitori erano amici di famiglia. Lo stesso Taruto, quando lo incontrava, gli offriva ancora un pranzo per il gusto di raccontargli i suoi ultimi trionfi.
George avrebbe potuto arricchire la conversazione delle sue compagne dicendo che di Taruto disprezzava troppe abitudini, ma aveva stretto i denti e aveva cominciato a disegnare figure di ginnaste con l’inchiostro rosso.
Marine era iscritta al club di ginnastica artistica. Il colore rosso era il suo preferito.
Quando la incrociava per i corridoi del liceo si salutavano appena, consapevoli di aver condiviso scorci di infanzia sbiadita.
Gli occhi di Marine erano ancora pioggia per lui, facevano riemergere ricordi sbagliati. E il fiume della colpa non si era mai prosciugato nella coscienza di George.
Non aveva scordato la bambina gettata nel laghetto, né il bastone che l’aveva percossa per costringerla a bere acqua sporca. Il bastone che aveva impugnato lui.
Era stato durante la gara finale di ginnastica artistica che George l’aveva incrociata una volta di più e aveva dimenticato cosa fosse il respiro.
“Marine” le aveva sussurrato, convinto di somigliare a un clown impacciato “Taruto, il tuo fidanzato... ha un’altra!”
Era scappato subito, prima che lei riuscisse a metabolizzare il senso di quella verità.
Due giorni dopo le voci gracchianti delle sue compagne di classe annunciavano che Marine Suzuki, della classe accanto, aveva lasciato Taruto Ghibayashi.
Non c’era stata voce per George, ma c’erano stati fatti.
 
Sarebbe da pazzi farsi a pezzi
Basta che alla fine li raccogli tu
Come due mosaici un po’ dispersi
Più ti allontani più è nitido
 
Mille voci erano frammenti sparsi, quando sussurravano il nome di Marine.
Mille conferme, che armonizzavano sogni astratti, mani che George avrebbe voluto sfiorare e un corpo che avrebbe voluto stringere.
Marine gli piaceva, e la osservava in silenzio.
Non per pietà. Non per desiderio di riscatto.
Ma aveva capito che quando due persone si allontanavano dopo la memoria di stracci di passato, ogni dettaglio appariva più nitido.
Non erano mai stati nulla, e qui era la differenza che lo agganciava a lei.
Era il modo che lei aveva di camminare per i corridoi. Di sciogliersi i capelli che aveva fatto crescere fino alle scapole. Erano i suoi sbuffi durante le file alla mensa. Erano le sue acrobazie quando si allenava, gli occhi puntati verso l’altro lato della pista, le mani tese ed eleganti che ricordavano l’essenza di un cigno.
Erano tutti i gesti spontanei di una ragazza felice di sé stessa, e che racchiudevano una sensualità inconsapevole a cui non ci si poteva opporre.
George la osservava da lontano, e se lei qualche volta gli sorrideva a stento, per lui si scioglieva il sole.
Era la voce di Marine che sentiva in lontananza, un concentrato di colori.
La guardava, e ricomponeva mosaici di lei, a poco a poco.
 
Se ti penso mentre canto
Perdo il tempo a trovare le parole
E non m’importa, sono fuori rotta
Ma non c’è una mappa che mi riporta da te
 
Mille voci avevano esultato, durante la festa del diploma.
Alcune avevano intonato motivetti popolari.
Altre avevano improvvisato auguri in rima.
La scuola era solo un granello di sabbia nella clessidra della vita.
E se avessero chiesto a George dei suoi progetti per il futuro, lui avrebbe risposto che avrebbe pensato a vivere.
Studiare architettura, perché gli piaceva disegnare, e gustare un po’ di più gli attimi discrepanti d’incertezza, dove niente è del tutto sicuro e proprio il fascino dell’ignoto ti può sbilanciare i progetti.
Avrebbe studiato per la fiamma di un sogno, e i suoi genitori si sarebbero rassegnati all’idea di non avere un altro figlio medico.
Anche Heric e Sana erano presenti alla cerimonia.
George aveva perso tracce della loro storia, aveva scoperto che non era bastata l’America a dividerli e avrebbe voluto sapere come un legame nato alle elementari potesse murarsi così tanto d’amore, fino a rendersi invincibile. Ma una voce cristallina aveva cancellato le sue domande.
“Ciao, George.”
La voce di Marine aveva parlato, per lui, mirata come un gancio inaspettato.
Non erano più esistiti i mille strilli vittoriosi attorno a lui; i rumori della festa si erano attenuati fino a ridursi a un contorno indefinito.
Forse funzionava così la voce di Marine per lui: era diretta come una pallottola, e il resto non contava più.
George aveva atteso per anni il suo colpo di pistola.
Marine sorrideva, limpida come un’alba di giugno:
“Ti ringrazio per avermi avvisata su Taruto. Non faceva per me.”
“Posso...” aveva borbogliato George, mentre le parole si aggrovigliavano nella sua gola “Posso... offrirti una ruota e un giro sul caffè? Cioè... posso offrirti un caffè e un giro sulla ruota panoramica?”
Marine lo aveva guardato. Gli occhi di una bambina che aveva pianto erano divenuti gli occhi di una ragazza che amava stupirsi.
George si era domandato se fosse facile, per chi non conosceva la geometria delle stelle, ritrovare una rotta sicura.
“Certo, George.”
Lui sapeva quale mappa seguire.
 
Mille voci cantano di noi
Mille voci parlano di te
Ma non conta se poi non è facile
Ma tu sei fragile così
Tu mi piaci così come sei fatta, tienimi stretto
Che torno da te
 
Se anche le stelle avessero cominciato a rivelare le loro mille voci tonanti, George le avrebbe ignorate. A meno che non avessero parlato di loro, aspettando la chiusura di un cerchio durato quasi un decennio.
Era uno strano girotondo, quello che li aveva portati a farsi battaglia a un primo appuntamento.
Non sapeva se il senso di vertigine che provava dipendeva dall’altezza della loro cabina o dallo sguardo di Marine addosso a lui.
“Ti ho odiato, sai?” aveva esordito la ragazza.
George sapeva che lei non era mai stata impetuosa come la corrente, ma dolce e levigata come una statua di marmo affondata negli abissi, immobile e silenziosa, ma che abbagliava le profondità col suo candore.
“Mi sono odiato anche io. Per anni. Ho pregato e chiesto perdono a tutte le divinità in cui si possa credere” aveva giurato.
“Tu, Heric, gli altri... mi avete fatto sentire spezzata. Fragile. E poi ho capito che quelli veramente spezzati eravate voi. Heric ha avuto Sana. Tu chi hai avuto?”
“Nessuno.”
 “Tuo padre è sempre molto rigido con te?”
“Aveva smesso durante il periodo delle medie. Ora esige tanto, ma non mi spezzerò più per colpa degli altri.”
Marine aveva deciso di non parlare più.
George l’aveva guardata ancora, convinto di ricevere uno schiaffo.
Forse una volta sarebbe accaduto.
Forse Marine lo aveva già perdonato da tempo.
Forse altre mille voci e altre mille parole si erano attorcigliate attorno a loro, in quei lunghi anni, confabulando, tra pettegolezzi e curiosità, come mai due vecchi compagni delle elementari si ignorassero con così tanto furore, e si osservassero invece di nascosto, con una continuità che resisteva alle stagioni.
Anche ignorarsi era un’arte, uno dei primi alfabeti dei cuori impacciati.
“Ti ringrazio per Taruto. È vero, frequentava altre ragazze e ne aveva presentata una alla sua famiglia. Perché lo hai fatto?”
“Perché... anche se ti proteggessi per i prossimi cent’anni non sarebbe abbastanza per chiederti scusa. Tu... anche se continuerai a odiarmi per sempre... io per sempre cercherò... di proteggerti e fare in modo che tu non soffra, ecco!”
La fragilità era imperfetta, si diceva. Come una perla covata in un guscio che non era stato abbastanza forte da evitare le infiltrazioni della sabbia.
Ma le perle si amavano perché erano rare, come la fragilità e la resistenza insieme.
Dei gusci solidi e vuoti George non sapeva cosa farsene.
Erano arrivati al punto più alto del cielo quando Marine lo aveva stretto a sé, la voce era una carezza che leniva i lividi impressi nella coscienza:
“Ti va di essere fragili insieme?”
 
Noi che siamo eterni senza tempo
Noi che siamo eterni senza te
Baciami solo sul collo
Baciami e lasciami il segno
 
Mille voci per mille argomenti diversi. Forse non sarebbero bastate.
George e Marine parlavano, quando si vedevano. Così tanto che sembrava dovessero recuperare dieci anni di silenzi.
Parlavano di Sana che era sempre più famosa, di Heric che aveva imparato a seminare i giornalisti che lo volevano intervistare, di Terence che non era migliorato in irascibilità, della rimpatriata fatta coi vecchi compagni.
E quando non parlavano, perché anche le parole avevano bisogno di riformarsi tra due innamorati, allora si lasciava spazio ai baci. E ai morsi sul collo. E a tutti i segni dell’amore, tocchi di dita e carezze sfrenate.
“Tienimi stretta a te, George” gli sussurrava Marine “Baciami e tienimi stretta, stanotte non andare via.”
Erano le preghiere degli amanti.
Il cuore di una donna che amava, gli avevano detto una volta, era lo specchio dell’uomo che la rendeva felice.
E se qualche volta Marine piangeva – perché il suo ultimo coniglietto era malato, o perché aveva battibeccato con qualcuno –  George subito le asciugava le lacrime.
Immaginavano le voci pedanti dei parenti di George, che non reputavano Marine alla sua altezza, e sapevano come ignorarle.
Immaginavano le risate curiose dei vecchi amici, che non avrebbero mai scommesso su una coppia così improbabile.
Immaginavano Sana ed Heric, che non se lo aspettavano. Sana voleva invitarli continuamente a uscire insieme ed Heric le ordinava di non soffocarli, che l’amore aveva anche bisogno dei propri spazi non appena fioriva.
Avrebbero avuto tempo.
Mille voci avrebbero comunque narrato la loro strana storia.
Mille voci erano già loro due insieme.
Mille voci potevano ridursi a un unico sussurro d’amore.
 
Mille voci cantano di noi
Mille voci parlano di te
Ma non conta se poi non è facile
Ma tu sei fragile così
Tu mi piaci così come sei fatta, tienimi stretto
Che torno da te
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
NDA
Eccomi qui, a tornare dopo anni in questa sezione, per un regalino a Nirvana_04, che mi ha fatto innamorare di questa ship e che ha scritto fic meravigliose su questi due.
La canzone “Millevoci” di Albe mi ispirava tantissimo e ho voluto farmi guidare da essa, spero ne sia uscito qualcosa di buono. Non ho potuto usarla tutta altrimenti avrei scritto troppo!
Nelle prime parti ho preferito collegarmi anche a episodi filler presenti nell’anime, visto che lì George è più presente.
E per quanto possa adorare il manga, quando scrivo in questo fandom non riesco a non usare i nomi coi quali sono cresciuta come Heric, Marine, George ecc... <3
La fic partecipa all’iniziativa “Regali di inchiostro” indetta sul gruppo facebook “L’angolo di Madama Rosmerta”.
Grazie per essere arrivati fin qui, spero vi sia piaciuta!
 
 
   
 
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